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Uomini immaginati. Maschilità in metamorfosi
Un testo è fatto di quello che dice e anche di quello che non dice, delle cose che mostra evidentemente scelte rispetto a quelle che scarta. Qui non si resta soltanto ai (mis)fatti degli uomini tristemente conosciuti ma si alza il tiro sull'immaginario. Cristiana e Sophie raccontano e disegnano e fanno poesia di ""uomini immaginati"""", che non vuol dire fantasticati o irreali, anzi: """"Uomini amici, amanti, colleghi, padri, sconosciuti della porta accanto, volti noti dell'universo mediale. Uomini molto diversi tra loro..."""". Piuttosto sono uomini raccontati attraverso un immaginario ampio ed è questa la scelta che allarga le maglie di questo libro. Quindi si parla di """"maschilità plurali"""" che raramente trovano una rappresentazione: perché fino a ieri eravamo noi maschi a vedere non visti, a parlare del mondo, di tutto tranne che di noi stessi; e perché anche adesso, quando si parla del maschile, spesso lo si inquadra nel canone della maschilità egemone, dominante, tossica... sicuramente con tutta la sua ragione di essere, che ci riporta all'ordine del dominio maschile e al suo strumento della violenza, ma che rischia di far fuori ogni altra narrazione. E ancora, qui non si polarizza tra uomini buoni e cattivi a tutto tondo: accanto alla discussione delle categorie come """"la crisi del maschile"""" c'è spazio per metterle in tensione con il racconto della cura, della discontinuità generazionale dai padri, dei nuovi inizi e delle trasformazioni in atto. """"Un uomo... / Forte e debole ma insieme / Un uomo umano"""", di questo raccontano Cristiana e Sophie. Ora, se questo libro riesce a vedere cose nuove nella maschilità senza rimuoverne l'ombra, l'aggancio più forte per me sta proprio nel come è fatto questo sguardo per vederle. Mi torna in mente Le parole per dirlo di Marie Cardinal e la sensazione di sentire nascere quelle parole nel suo racconto, parole nuove con cui quella donna riusciva a contattarsi, ad afferrare qualcosa di sé e portarlo fuori, ad ascoltarsi e a dirsi. In un altro registro, anche le parole di Cristiana e le """"parole piccole e grandi immagini"""" di Sophie ci restituiscono qualcosa di nuovo e profondo, dallo scambio con uomini che hanno raccontato le proprie storie in laboratori, focus group, esperienze sociali e artistiche. Qui non sono riportate direttamente le storie di quegli uomini ma ci ritorna il senso, il segno che quelle hanno impresso, assieme a tante altre, nel linguaggio di queste due donne che ce lo raccontano (le chiamano """"le nostre contro-narrazioni""""). Cristiana, che ho conosciuto come una donna di confine tra l'insegnamento universitario a Bergamo e l'associazione Alilò di cui è un'anima, cerca le parole della sociologia, quella che si muove """"ai margini"""", quella che ci appassiona quando ha il coraggio di smettere di mimare le scienze dure e ritorna scienza sociale, quando decide di uscire dalla cittadella universitaria e dal pre-concetto dei questionari per ascoltare a fondo e contaminarsi con le storie delle persone. Le storie che si raccontano in modo nuovo possono generare o si possono accordare a nuove categorie per nominare la... -
Contaminazioni. Un approccio interdisciplinare
Per dovere di cronaca, questa iniziativa editoriale non nasce da una riflessione sul contesto storico: era già prevista mesi prima dell'ondata pandemica di inizio 2020, come ""atti"""" di un convegno rinviato e convertito, tempo dopo, in webinar. Una strana coincidenza, per usare eufemismo, che però ha reso ancora più stringente l'argomento del dibattito originario, almeno in senso lato. Se nell'immediata quotidianità la contaminazione rimanda, per l'appunto, al pericolo di contagio, alle mascherine, all'isolamento, su un piano più astratto può articolarsi come modalità di pensiero, come strumento ermeneutico per leggere una miriade di relazioni culturali e di forme espressive. Va da sé che le due declinazioni del paradigma non si escludono a vicenda, anzi. Dunque, oltre a quella del virus che ancora oggi minaccia il mondo intero, quali altre contaminazioni, negative o positive, permeano la filosofia, l'arte, la scienza e la società del presente? Quali, nel passato, offrono degli spunti di indagine ancora validi e attuali? A inaugurare la miscellanea, ricalcando la keynote lecture della conferenza, rimane il saggio sull'Antropocene, che in qualche maniera anticipa e include molti degli spunti a venire (Elena Bougleux). Segue la sezione Nuove metamorfosi: l'uomo e l'animale (Mike Belingheri, Chiara Stefanoni), in cui la trasformazione, intesa in chiave metaforica e/o ideologica, diventa protagonista. L'essere molteplice e le identità plurali alterna letteratura, arte visuale e filosofia all'insegna dell'indagine sul corpo e sull'io, sull'uomo e sulla natura, sul senso dell'essere e del nulla (Beatrice Melodia Festa, Benedetta Milani, Nazareno Pastorino, Danilo Serra). Hard e soft science: scienze a confronto adotta uno sguardo incrociato su etnografia e cultura economica, musicologia e fisica, storia della scienza e biografia (Barbara Aiolfi, Luigi Finarelli, Francesca Lo Vetere). A sua volta di respiro molto ampio Prospettive transnazionali fra letteratura e linguistica, incentrato sul contatto di lingue e narrazioni appartenenti a contesti diversi (Matteo Gallo Stampino, Albana Muco, Elena Ravera, Alessandro Secomandi). Generi contaminati nel teatro e nel romanzo si concentra più prettamente sulla fusione di stili, forme e regimi letterari in una circoscritta serie di casi (Andrea Grassi, Martina Elisabetta Misia). Infine, Culture a contatto conclude il volume analizzando l'incontro/scontro tra culture colonizzate e colonizzatrici, o più genericamente distanti nel tempo e nello spazio (Fernanda Haydeé Pavié Santana, Valentina Romanzi). Fra campi lontanissimi tra loro e curiose convergenze, approcci macro e microscopici, fili diretti e analogie, un possibile consiglio per i lettori è di """"affrontare"""" Contaminazioni in modo erratico, nomade, spostandosi da una sezione all'altra, senza limitarsi ad attraversarla linearmente. In effetti, questa ricchezza magmatica di idee, di strumenti e di interpretazioni è forse il maggior motivo di fascino per una raccolta che proprio nell'eterogeneità trova il suo punto di forza: al pubblico l'""""onere"""" di perdersi nel suo caleidoscopio, di tracciare nuove linee fra le sue aree di ricerca, di proporre risposte ulteriori ai suoi numerosi interrogativi."" -
Santiago-Bergamo. Lettere dal Cile 1962-1963-1964
Mi chiedo, a quasi sessant'anni di distanza, per quali motivi ho accettato la proposta di andare in Cile nell'autunno del 1962, un'esperienza che avrebbe potuto cambiare la mia vita ma che io ho voluto provare come una parentesi, pur rivelatasi bella e preziosa. La proposta mi arrivò in estate con una telefonata di Pippo Pandolfi a nome di Giovanni Battista Scaglia, parlamentare bergamasco, vicesegretario di Aldo Moro alla Segreteria nazionale della Democrazia Cristiana. In Italia erano gli anni del Centrosinistra e del miracolo economico, gli anni del pontificato di Giovanni XXIII (Angelo Roncalli) e del Concilio, della Guerra Fredda e del Terzo Mondo, della rivoluzione cubana che sembrava l'unica alternativa ai governi liberali e conservatori o ai regimi militari dell'America Latina. Infine, l'era del presidente John Fitzgerald Kennedy e della sua ""Alianza para el Progreso"""". Avevo ventisette anni, una laurea in Giurisprudenza, lavoravo con mio fratello Dimitri nell'agenzia di assicurazione lasciataci da nostro padre Dante, morto nel 1956, ed ero da poco fidanzato con Anna Bianconi, diciottenne, cui le lettere sono destinate. Ero anche stato esonerato dal servizio militare e ciò mi lasciava lo spazio necessario per svolgere un eventuale servizio civile. Avevo militato da studente nel movimento giovanile DC e ora facevo parte della Direzione Provinciale della Democrazia Cristiana bergamasca (30.000 iscritti, Scaglia e Pandolfi non stavano in maggioranza) e, se ne avessi avuto l'ambizione, avrei potuto anche candidarmi alle elezioni politiche dell'anno successivo, nel 1963. Nonostante tutto questo (o forse proprio per questo?) ho detto sì all'idea di lasciare Bergamo, le mie occupazioni e i miei impegni e ho accettato la proposta di andare in Cile (formalmente come inviato del quotidiano «Il Popolo») per collaborare con il Partito Democratico Cristiano cileno e con il suo leader, il senatore Eduardo Frei Montalva, in vista delle elezioni presidenziali del 1964. Nell'intervista che nel 2009 mi ha fatto il professor Raffaele Nocera, dell'Università di Napoli, nell'ambito del saggio dal titolo Dove non osò la diplomazia, è spiegato il contesto politico generale in cui si inseriva la mia trasferta cilena. Da parte mia contarono l'interesse e la passione politica (dare una mano ai DC dell'America Latina) e la curiosità di conoscere Paesi nuovi e nuove relazioni umane e politiche e di affrontare una prova da solo in condizioni diverse, un'esperienza allora insolita che mi avrebbe portato oltre alle certezze e alle opportunità già acquisite nella mia terra. Oggi, a posteriori, riconosco che fu anche un atto di coraggio, nel senso politico del termine di cui parla Hannah Arendt. Non mi sentivo un'eccezione. Tanti giovani della mia generazione attivi nelle associazioni, partiti, sindacati, enti locali, movimenti per la pace, nel vuoto politico creato da vent'anni di dittatura, senza modelli di riferimento, si sono trovati a dover gestire la cosa pubblica in prima persona. Lo richiedeva la nascita della Repubblica e la Costituzione. Senza retorica o presunzioni giovanilistiche, con serietà e fatica. Ecco perché sono finito in un Paese del Terzo Mondo come il Cile («el último rincón del mundo»), che allora era una... -
Album con figure
"Capita nella vita di non intrattenersi più con una persona e per questo giudicare che il rapporto con essa sia esaurito, chiarito. È invece alla sua morte che la relazione riappare sconfinata, indistruttibile, anche gioiosa. Mentre sei alla cassa di un supermercato e sorridi ricevendo il resto, mentre compri il biglietto alla stazione, tutto visto da fuori è normale, ma gli occhi possono spingersi sotto la superficie di un dettaglio, le pulsazioni premere il tempo e i sensi riprendere in mano il filo di un discorso addirittura, volendo, in evoluzione. Capita anche di incontrare qualcuno che si è stati, in una piazza, una biblioteca, e lasciare che dal sangue affluiscano emozioni che non avevamo compreso. Così la realtà e il suo contrario si parlano, dialogando in noi. È d'altra parte nell'aula di Estetica e Filosofia dell'Arte, docente Francesco Leonetti, che ho appreso in piena coscienza che il linguaggio è subliminale, non ha bisogno che ci occupiamo di lui, il linguaggio parla se stesso attraverso di noi. Inconsapevolmente ne avevo fatto esperienza già da tempo, come tutti in fondo, ma l'apparire alla coscienza del fenomeno mi ha fornita di strumenti capaci di indagare, comprendere, creare. Concetto immenso, ricco di implicazioni filosofiche, misteriche, antropologiche. Prima avevo ascoltato la musica di John Cage. Più tardi avrei letto alcune cose sulla nuova fisica. Nel frattempo approfondivo le voci molteplici dei personaggi, avendo incontrato sulla mia strada Kaya Anderson, attrice, cantante e, se la cosa le facesse piacere, aggiungerei maga della psiche. Sono i luoghi dove ci si ritrova soli nella folla i migliori ingressi per la contemplazione della vita e del suo doppio. Come su un palcoscenico, senza bisogno di pensiero, il corpo sa compiere perfettamente precisi rituali di fronte al pubblico, e lo spirito è libero di vivere lì e altrove. Tutto è un velo, reale e fluttuante a un tempo."""" M.S." -
Il cinema di Clint Eastwood. A partire dal ciclo di lezioni di Bruno Fornara
Il 31 maggio 2020 Clint Eastwood ha compiuto novant'anni. Ma già prima era un ""grande vecchio"""", se a questa formula associamo un'idea di saggezza e preveggenza, di """"classicità"""". C'è chi queste doti le assomma vivendo una vita particolarmente densa e piena, pare che a Clint questo sia toccato. Molte sono le cose che mi piacciono di lui. Almeno dieci, come i dieci comandamenti. La prima che mi piace di lui è il pragmatismo. I suoi sono personaggi del """"fare"""", evitano le pose amletiche, agiscono e nell'azione stessa trovano spesso la risposta al dubbio: sul bene e sul male, sul giusto e l'ingiusto. Accettano di sporcarsi le mani in quella che per comodità definiamo """"realtà"""" e perciò accettano il rischio, calcolano l'insuccesso. Nessuno di loro pecca di astensionismo o di accidia. La seconda cosa che mi incanta è che le sue creature non credono nella salvezza a prescindere, nel lieto fine, nel premio alle buone intenzioni. Guardano in faccia il Destino, lo soppesano e lo sopportano. Seguono il motto antico: """"quando viene il dolore, reggilo e astieniti dal metterlo in scena (substine et abstine)"""". La terza cosa è la virtù della tenacia dei suoi eroi. Vanno avanti. Non perché sono ostinati e rigidi (se fosse così non sarebbe una gran cosa questa virtù) ma perché credono che almeno questo si possa fare: tenere dritta la schiena sotto i colpi. A me viene in mente la Ginestra, che è una bellissima poesia del Leopardi (conviene rileggerla): la ginestra non è stupida, sa che appena il Vesuvio dà uno scrollone, lei finirà distrutta ma nonostante questo continua tenacemente a fare quel che può fare: profuma. Fino alla fine. La quarta è Maggie Fitzgerald. Tutto di lei mi piace. Ma più di tutto il fatto che sa di essere una persona differente, singolare. E giunta a un certo punto della sua vita decide di essere fino in fondo quel che è. La quinta che mi attrae è che gli piace la vita. Si vede proprio. Talmente tanto che della vita accetta anche la morte. La morte così è """"solo"""" l'altro lato della medaglia. La sesta cosa sono gli occhi dell'Ispettore Callaghan. Anzi: la faccia tutta di Clint, scolpita. Scalfita. Erosa. Ma quando sorride.... La settima. Sa fare domande, esistenziali. Ma le fa per via di racconto, di storia. Mai di predica. Non è petulante. E mentre tu guardi, lì nel buio della sala, capisci che è di te che si sta parlando. L'ottava è che è un anticonformista: la società di massa gli sta stretta. Basta pensare a Richard Jewell, una vera parabola sulla facilità dei pregiudizi, sulla fragilità del singolo contro le architetture del potere. La nona è quando alla fine di Gran Torino Walt Kowalski decide di diventare la Vittima. Così esce dalla storia ed entra nel mythos. La decima è questo libro: val proprio la pena di leggerlo. (dalla prefazione di Alessandra Pozzi)"" -
La mobilità della matrice-The mobility of the matrix
"Questo testo presenta un'analisi femminista della riproduzione come forza strutturante che definisce il femminile in relazione alla biopolitica, alla sfera sociale e allo stato nazionale. Ripercorre la genealogia storica della costruzione del femminile attraverso un'esplorazione della divisione mitica dei ruoli maschile e femminile nella procreazione: quelli della forma e della materia. Negli antichi libri di scienza scritti in latino, il termine """"matrice"""" è sinonimo di utero. Per questo motivo ho deciso di mantenerlo nella mia scrittura, anche se qui il termine non si riferisce solo all'organo. Piuttosto si collega alla riproduzione fisica della logica dell'""""equivalente generale"""" delineata dal filosofo Jean-Joseph Goux. La matrice è stata storicamente separata dal corpo della donna, ridotta a contenitore biologico e posta sotto la responsabilità della storia delle scienze della vita, in particolare dell'embriologia. La riduzione del corpo della donna a un'intelligente incubatrice e la concezione della madre come una macchina hanno comportato prima una svalutazione del corpo materno, e poi la cancellazione del soggetto nella madre. Questa è, inoltre, l'archeologia sessuale che riflette la battaglia tra idealismo e materialismo. La separazione tra l'utero e la donna, come descritto nel primo capitolo, è stata operata dai medici. La medicina ha giocato un ruolo fondamentale nella repressione delle donne e nel sostenere una precisa ideologia del loro ruolo: in anatomia la matrice è stata a lungo considerata un """"animale dentro un animale"""" - cioè un organo di natura mobile. L'utero è diventato una sorta di terreno di competizione tra gli scienziati per il controllo del corpo femminile e del suo potere riproduttivo. Nel secondo capitolo, analizzo questo passaggio esaminando il modo in cui la civiltà impone un costume disciplinare al corpo femminile. La monopolizzazione della violenza fisica da parte dello Stato esclude le donne dall'esercizio di tale potere delegato, e rimodella l'habitus sociale in cui esse operano. Il corpo femminile viene confinato nei vestiti che lo stringono e lo immobilizzano, mentre il corpo maschile viene ridisegnato come motore umano. Questa disciplina limita la capacità delle donne strutturando per loro una incapacità fisica. Il terzo capitolo è dedicato alla costruzione della """"differenza"""" nella """"transizione al capitalismo"""", che ha trasformato profondamente la riproduzione della forza lavoro. La persecuzione delle donne durante la caccia alle streghe del XVI e XVII secolo è una forma di terrorismo attuata con l'obiettivo finale di naturalizzare il """"lavoro femminile"""" e di rinforzare economicamente la trasformazione delle donne in proprietà privata. Infine, nell'ultimo capitolo, la maternità surrogata e lo sfruttamento dell'utero sono introdotti attraverso un immaginario """"futurista"""" e un femminismo che muove i primi passi dal miraggio dell'ectogenesi. Questa spinta anglosassone, da Shulamith Firestone in poi, ha visto nella tecnologia una forma di liberazione dalla naturalità. L'utero è stato investito di un'essenza """"macchinica"""" all'interno di un movimento progressista che non ha scosso le colonne su cui si fonda l'inferiorizzazione delle donne, ma che ha tutt'al più abbracciato la loro forma patriarcale, sfruttando geografie considerate """"inferiori"""" e sconfiggendo le stesse lotte femministe attraverso posizioni reazionarie e conservatrici, ben rappresentate dal femminismo neoliberale. Lo scopo di... -
Essere umani. Diario di sopravvivenza poetica ai tempi del coronavirus
"Esseri Umani è la testimonianza in presa diretta dei primi quindici mesi di pandemia. Una resa poetica dell'essere umano illuminato dalla luce del coronavirus filtrata con le lenti dell'arte e della ricerca interiore. Filo conduttore del libro l'arte, appunto, e l'amore. Non l'amore in senso romantico o relazionale, ma l'amore come vibrazione vitale, che accomuna ogni essere vivente. E quindi nella fattispecie l'amore vissuto dagli esseri umani del biennio 2020-2021, gli esseri umani della pandemia. Un libro sotto forma di diario, dunque, e un diario sotto forma di terapia. Terapia umana. Era il primo marzo 2020 quando ho iniziato a scrivere questo libro. Già nell'intento il volume voleva essere una riflessione poetica sul mondo, e intendevo dargli una connotazione molto personale proprio per fare fluire al meglio ciò che pensavo senza che sapessi di pensarlo. Per questo motivo ho scelto la forma del diario, o meglio, del diario poetico. Il presente libro è quindi da intendersi come un tentativo di resa poetica dell'essere umano immerso in un mondo in trasformazione da covid. L'essere umano qui messo in luce è l'essere umano che accomuna me alle altre persone, convinto come sono che la profondità umana sia più assimilabile a un oceano silenzioso e immoto nelle sue costanti onde che a un qualcosa di unico e diverso dagli altri umani. Questo libro è quindi una testimonianza di come io come essere umano abbia vissuto il periodo della pandemia. Argomento comune dell'opera è la poesia, o meglio, la riflessione sulla poesia da parte di un libero professionista della scrittura creativa che cerca di inquadrare meglio il suo - amato - mestiere. Inizialmente, credevo di scrivere solamente la prima delle quattro parti di cui è composto il libro. La prima parte può essere letta come un commentario creativo dei quadri esposti a una mostra tenuta a Bergamo nel mese di dicembre 2019. Nei capitoli della seconda parte passo dal diario alla raccolta a posteriori di racconti, poesie e riflessioni composte nei mesi successivi all'avvento della pandemia. Qui l'attenzione converge sul tema dell'amore, carattere fondante dell'essere umani, chiedendosi """"Come l'amore ha subito gli effetti delle quarantene?"""" La terza è invece la parte centrale del libro, quella più appassionata, a tratti arrabbiata e a tratti compassionevole. È la parte centrale non dal punto di vista numerologico ma da quello tematico: rappresenta una sorta di sintesi hegeliana delle prime due parti, una sintesi che mi restituisce un riflesso di persona più matura in seguito agli shock che ho vissuto nel periodo marzo-dicembre 2020. Infine, la quarta e ultima parte del volume è dedicata al ruolo giocato dalla scrittura creativa nella messa in luce dell'essere umano. A seguito di una mia riflessione si trovano alcuni dei componimenti degli studenti dei miei corsi, e i loro scritti sono tesi a illuminare ancora di più l'umano del periodo pandemia"""". (N. Crippa)" -
Luigi Angelini. Restauratore e innovatore
Conosciuta a livello internazionale, in particolare, per la redazione del pregevole Piano di Risanamento di Bergamo Alta, la figura di Luigi Angelini rimane da esplorare ulteriormente e con sicuro interesse, negli aspetti teorico-metodologici e nelle espressioni operative che attengono alla sua esperienza nel campo della conservazione del costruito storico. Un contributo che appare di grande rilevanza nel quadro dell'importante evoluzione della dottrina che si attua nella prima metà del XX secolo ma che sembrerebbe non aver trovato, ad oggi, il dovuto riconoscimento. Benché egli non abbia mai formulato una vera e propria 'teoria', la sua riflessione sui compiti del restauratore e sulle finalità del restauro traspare dagli oltre sessanta interventi di 'restauro, completamento e ampliamento' condotti tra il 1913 e il 1963: tutti contraddistinti da rigore storico-critico, massimo riguardo per le preesistenze nel loro contesto antropico e naturale e, non in ultimo, coraggiosa umiltà. Un'eredità tangibile di opere tuttora interrogabili e presenti in palinsesti urbani, talvolta sensibilmente mutati che, ormai a cinquant'anni dalla sua scomparsa, questo volume si propone di ripercorrere, al fine di pervenire ad una ricostruzione sincronica e diacronica dell'apporto - per molti aspetti, innovativo e precursore - fornito dal colto progettista bergamasco. -
La vita movimentata di Nicola Pezzoli Garibaldino della Val Seriana
Queste pagine nascono dallo studio di un epistolario messo in salvo e conservato per diverse generazioni nella casa della famiglia Pezzoli a Songavazzo; la fitta corrispondenza tra padre e figli, sommata a quella tra fratelli, ha permesso di ricostruire in modo abbastanza approfondito la storia vissuta da un componente della famiglia, Nicola Pezzoli, che è stato lontano da casa per diversi periodi e per svariati motivi tra il 1855 e il 1866, nel pieno delle battaglie risorgimentali. L'ho seguito a Bergamo al collegio Valsecchi, poi a Padova, Pavia e Parma durante gli studi alla facoltà politico - legale, negli anni in cui si radicalizzano i suoi ideali; infine in Camicia Rossa sulle Alpi, al tempo della terza guerra d'indipendenza, che combatte come volontario al seguito di Garibaldi e del colonnello Cadolini in Lombardia e Trentino. È una storia ricca di riferimenti storici con la Padova controllata dall'Austria negli anni '50, la Pavia dei fratelli Cairoli nella primavera del 1860, l'Italia alle prese con la terza guerra d'indipendenza del 1866; allo stesso tempo le conversazioni e le divergenze col padre e col fratello ci mettono a contatto diretto con le dinamiche interne di una famiglia borghese della metà dell'800. Prefazione di Chiara Frugoni. -
La collezione di Antonio Piccinelli (1816-1891)
La passione per il collezionismo d'arte ha sempre contraddistinto, specie nel XIX secolo, le famiglie più abbienti di area bergamasca. Se le raccolte di Giacomo Carrara, Guglielmo Lochis e Giovanni Morelli sono note a chiunque abbia dimestichezza con quell'affascinante materia che è la storia del collezionismo, un episodio meno conosciuto ma comunque portante per le raccolte orobiche e lombarde è il caso di Antonio Piccinelli (1816-1891). Nel corso di più di trent'anni di attività, il gentiluomo - esponente di una famiglia attiva nel Risorgimento e nell'imprenditoria lombarda - radunò nella quadreria della villa di famiglia a Seriate, alle porte di Bergamo, una collezione di oltre duecento opere, di cui si presenta la ricostruzione in questo volume. Morto il fondatore, a partire dalla fine dell'Ottocento iniziarono le vendite dei dipinti ad opera del nipote Giovanni Piccinelli e del figlio di quest'ultimo, Ercole, detto Tuccio. La parentesi più nera era appena dietro l'angolo, quando il secondo marito di Antonia Piccinelli (figlia di Giovanni), Giacomo Siffredi, si impossessò illecitamente di alcuni dipinti ricevuti in usufrutto alla morte della consorte, donandoli al comune di Imperia, provincia di cui era originario. Se una parte della raccolta resiste ancora nelle proprietà dei discendenti, la gran parte dei capolavori una volta sulla sponda del fiume Serio adornano oggi i musei di mezzo mondo: da Giovanni Cariani all'Accademia Carrara al Parruccone di Fra' Galgario a Brera, da Ambrogio Bevilacqua al Castello Sforzesco fino a una rara tavola di Antonio Maria da Carpi a Budapest. Tra i dipinti che solcarono l'Oceano Atlantico era presente anche la gemma della collezione, la Madonna con il Bambino e i Santi Rocco e Sebastiano di Lorenzo Lotto: rifiutata dallo Stato italiano nella vicenda dell'eredità Contini Bonacossi, oggi fa bella mostra di sé alla National Gallery of Canada di Ottawa. -
Breve storia del casoncello
Dalla prefazione di Pier Carlo Capozzi: «Si fa presto a dire Casoncello. Il difficile, per noi curiosi dalla nascita, è sapere da dove viene, perché si chiama così, a chi è venuta l'idea, da quale angolo del nostro pianeta, che ingredienti ha sempre raccolto nel suo delizioso fagottino di pasta. A questo complicato cimento ha messo mano il mio fraterno amico Leonardo Bloch, che compone con me e altri due sodali, entrambi di nome Stefano, la congrega dei ""Moschettieri"""", quattro innamorati della scrittura e del buon cibo. Il mio percorso di vita ha fatto in modo che entrassi in contatto con diversi intenditori (e moltissimi presunti tali) di cultura enogastronomica. Ma uno come Leo è irraggiungibile, e non lo scrivo perché mi ha regalato l'onore di questa prefazione. È un conoscitore, profondissimo e appassionato, di quello che ti arriva in tavola e nel bicchiere. E ne capisce, che è poi quello che fa la differenza in un mondo infarcito di critici autoreferenziati, dove il termine """"esperto"""" viene spacciato molto più della polverina bianca a Medellin. E la cartina di tornasole di quello che penso è facilmente rintracciabile in quella serata in cui invitò il resto dei Moschettieri a casa sua. """"Accontentatevi, andrò io ai fornelli"""".» Icona culinaria della fascia di territorio lombardo racchiusa tra Adda e Mincio, il casoncello fa le sue prime apparizioni già nel basso medioevo, ma la sua storia affonda le radici addirittura nella gastronomia della Grecia classica. Questa monografia ripercorre, con un ampio corredo di riscontri filologici, le vicende del più antico tortello la cui presenza sia tutt'oggi vitale nella cucina della Penisola, fornendo chiarimenti determinanti a molti degli interrogativi rimasti sino ad ora senza risposta. Ma lo spettro dell'analisi si allarga a più riprese all'intero comparto delle paste ripiene, poco esplorato dalla storiografia gastronomica, contribuendo a ricostruire diverse tra le tappe cardinali che ne hanno scandito il percorso evolutivo."" -
Una presenza che sfugge
Una cronaca scritta in tre settimane da Bergamo, la città più colpita in Europa dal Covid-19, ma gli eventi coprono tutto il nostro continente in un arco temporale di sessant'anni, a partire dal 1961, data di costruzione del Muro di Berlino. Lo scrittore Donat Dora lascia Bergamo poiché si sente ""costretto"""" a riprendere un viaggio in compagnia di Marta, una sua vecchia conoscenza, che vuole raggiungere Berlino a ogni costo. Quando Donat rientra a casa, sempre nel picco della pandemia, non trova nessuno. Mancano la moglie, la figlia e il padre anziano. Cerca di mettersi subito sulle loro tracce, ma all'ultimo momento viene raggiunto nella sua abitazione da un ospite inaspettato, Artur, un detenuto al quale sono appena stati concessi gli arresti domiciliari in custodia cautelare."" -
Giancarlo Piccoli. Moroni sequel
«Meritava Giovan Battista Moroni un omaggio come questo in occasione del suo anniversario. Meritava un omaggio intelligente, sobrio e assolutamente contemporaneo: non capita spesso che un artista di oggi riesca ad entrare nelle fibre di un suo collega del passato come Gianriccardo Piccoli ha saputo fare con Moroni. È un omaggio che ha il sapore di una vera fratellanza capace di scavalcare i secoli. Partiamo intanto dall'idea: perché all'origine non c'è un sentimento ma un'idea. Il sentimento c'è, naturalmente ed è certamente intenso. Ma non è da lì che è scaturito questo omaggio di Piccoli a Moroni. All'inizio c'è un'idea. O meglio c'è il lavoro per portare allo scoperto l'idea che sta sotto la pelle del capolavoro di Moroni. È un'idea nella quale convergono geometria, forme, tonalità, invenzioni, luci. Tutti fattori che si compattano in quel corpo pittorico che sembra sbucato dal nulla. (...) È una Crocifissione che ha dovuto lacerare il velo della dimenticanza e che è stata sporcata dalle ingiurie e dalle ipocrisie del tempo. Riappare portando sul corpo il segno di catastrofi storiche, che però l'hanno resa ancora più necessaria. C'è un altro indizio che rivela la natura di questo esercizio di Piccoli: è il ricorso alla serialità. L'aver concepito il ciclo come una sequenza di immagini uguali, seppur con qualche variazione di note luminose e cromatiche, suona come un'implorazione. Le tele sono come i grani di un rosario contemporaneo, da parte di un uomo che ha visto correre il secolo e che ora innalza sulla tela il Crocefisso, chiedendo che da lì arrivi un'indicazione sul senso di quello che abbiamo vissuto. La serialità, con la sua ossessività assolutamente contemporanea, fa sì che questa domanda di senso si trasformi in un grido. Se c'era da rendere un omaggio a Moroni, non si poteva fare niente di più pertinente. Ora sappiamo che quel capolavoro ha davvero la forza di un archetipo capace di bucare il tempo.» (Giuseppe Frangi) -
Le avventure di Puffo Smanettone
Dopo aver raccontato, nella raccolta ""Il papà non è un cretino è solo molto sfortunato"""", gli episodi più significativi """"su gomma"""", Alberto Mazzoleni torna a svelare, sempre con sincerità, altre avventure della sua vita. Senza un particolare filo conduttore, a vicende singolari e divertenti si alternano i curiosi ricordi meno """"politicamente corretti"""" che, per scrupolo, l'autore ha contrassegnato con un bollino sotto al titolo. Alcuni fatti sono accaduti ad amici e conoscenti, ma Mazzoleni ha ugualmente voluto narrarli, soprattutto per il contesto nei quali si sono svolti, garantendone l'assoluta veridicità. I capitoli non rispettano l'ordine cronologico e qualche data potrebbe essere approssimativa. Si avverte che, se qualcuno dovesse trovare analogie con esperienze personali delle quali si era dimenticato, magari volutamente, non dovrà sentirsi obbligato a inserirle nel proprio """"curriculum vitae""""."" -
Capovolgiamo le piramidi. Bergamo 2001-2021 Racconti e dialoghi per un altro mondo ancora possibile
In queste pagine si ripercorrono i vent'anni dell'alba del nuovo millennio: gli anni zero e gli anni Dieci. Vent'anni densi di avvenimenti ed evoluzioni. Segnati da una parte dall'11 Settembre 2001 e dall'altra dalla pandemia causata dal Covid-19 tra 2020 e 2021. Questi i due estremi temporali. Due decenni complessi, difficili da leggere retrospettivamente, nel momento in cui siamo immersi. È pregio di Matteo Rossi portarci per mano in questo arco temporale con la capacità di dare chiavi di lettura e, soprattutto, di raccontare il vissuto. Una storia personale, indubbiamente, ma che si fa necessariamente collettiva. È la dimensione del collettivo, del condiviso, che caratterizza questo libro. Ci diciamo sempre, e ce lo stiamo ripetendo soprattutto dallo scoppio della pandemia, che anche le situazioni di maggiore difficoltà possono dischiudere opportunità. Che anche nei momenti peggiori dobbiamo cogliere le opportunità. E certamente la pandemia ci ha costretti a ripensarci: ripensare noi stessi e il mondo nel quale viviamo. Sbattuti in casa da un giorno all'altro, in solitudini inimmaginabili fino al giorno precedente. A contatto con un nuovo vocabolario che si è imposto sulle televisioni e sui giornali. A fare i conti con la paura di qualcosa di invisibile a occhio nudo che ha la forza di cambiare le nostre abitudini, le nostre società, le nostre vite. Che ha la forza di strapparci gli affetti più cari. Da questo turbine di morte, paura e solitudine, emerge con più forza la voglia di lasciare traccia e dare un senso alle nostre storie di vita. Provare a rintracciare i fili che ci hanno spinto alle scelte quotidiane negli anni, che ci hanno fatto incontrare persone, amare un'idea. Il racconto di Matteo Rossi nasce proprio da questa esigenza: riannodare i fili, sistematizzare una storia e riconoscere quei valori e quei principi che dimostrano come questo mondo va affrontato insieme. Non da soli. Ciascuno di noi ritroverà sé stesso leggendo il racconto di Matteo. Tramite i suoi occhi e la sua storia, c'è la storia di tantissimi italiani degli anni duemila. Ma è l'utopia che muove il mondo, che sta nell'orizzonte, parafrasando Galeano, citato anche da Matteo. Puoi camminare due passi, e l'orizzonte è sempre là. Puoi camminare ancora dieci passi, e l'orizzonte rimane laggiù. A cosa serve, dunque l'orizzonte, l'utopia? Serve a non smettere mai di camminare. (dalla prefazione di Walter Veltroni) -
Dieci anni di Diaforà 2010-2020. Vol. 1
Partimmo su un terreno incerto e accidentato. Da una parte cercando il modo di ricostruire la ""nostra"""" casa - il convento- dall'altra approfondendo alcune direzioni che già erano presenti nelle cooperative sociali (La Fenice, Chimera e Diagramma) da cui eravamo nati. Il nostro obiettivo era di mettere in contatto i saperi con le domande prodotte dalle pratiche, e già questo pareva ambito adatto alla differenza. Bastava iniziare dalla disabilità, dall'infanzia, dalla adolescenza, sperimentate in tutte le loro grandiose problematiche in atto, per interrogarci sui metodi e le teorie che potevano realizzare il desiderio di inclusione della disabilità o favorire l'armoniosa crescita del bambino o suscitare lo sviluppo della curiosità culturale nei ragazzi. Perciò è stato proprio il nostro lavoro, concreto, quotidiano, quello che fa stare con le mani in pasta (un """"certo"""" modo di promuovere l'inclusione del diverso, una """"certa"""" passione nell'accendere la curiosità dell'apprendimento, un """"certo"""" stile educativo fatto di voce, di corpo, di pensiero divergente) a renderci sensibili verso chi nel mondo della cultura """"alta"""" ci pareva percorrere una strada interessante, indicare una suggestione da applicare, un metodo più nuovo o più antico di promuovere l'umano. Da qui è partita la costruzione del """"Pensare dalla Ripa"""", un ciclo di conferenze che potesse costituire una traccia, orme da calcare o da criticare, un'occasione di stimolo e di accesso a quel convivio ricco di piaceri che dovrebbe essere la tavola apparecchiata dalla cultura. Un percorso per portare alla luce ciò che stava dietro a molte di quelle credenze, di quelle """"verità"""" che si davano per le uniche possibili e vigenti, per analizzarne così, nel loro cammino, storture, punti critici e aiutare una prima messa a fuoco di alternative differenti. Una confluenza di sguardi da saperi diversi per smontare gli steccati disciplinari divenuti ostacoli al confronto. Con l'obiettivo che il pensiero filosofico, i saperi scientifici, le arti, le lettere diventassero linguaggi aperti al reciproco ascolto e fornissero contributi permeabili sui diversi temi proposti. Non è stato facile, ma intanto il convento è diventato di nuovo uno spazio agibile per tutti, armonioso, accogliente, utile al bene comune, anche se resta ancora molto da fare per concluderne il recupero. Non è stato facile, ma intanto le conferenze hanno visto aumentare il pubblico, intanto qualche giovane ha cominciato a ingrossare le fila dell'associazione. E così sono fioriti concerti, performance di teatro di altissimo livello, seminari internazionali, momenti di formazione, esposizioni artistiche, si sono editi libri."" -
Ester
Ettore, deluso della sua vita sentimentale con Laura e colto da innumerevoli dubbi sul suo modo di essere, lascia Civitanova Marche per trasferirsi a Bergamo e dare il via alla sua nuova attività di direttore nella nascente radio locale. Promettente giornalista musicale ottiene l'opportunità di intervistare il più grande musicista di progressive rock che ha appena registrato il suo ultimo album prima di ritirarsi dalla scena. L'incontro si rivela ricco di episodi, anche personali, che hanno condizionato la vita del ''Guru'', così viene soprannominato il musicista nell'ambito musicale. La sera stessa, in circostanze fortuite, Ettore incontra Ester ed è subito un colpo di fulmine. La ragazza, di straordinaria bellezza, in un momento di confidenza gli rivela retroscena inquietanti che riguardano anche la vita del ""Guru"""". Argomentazioni sconcertanti e inverosimili per le quali il giornalista verrà coinvolto in un raccapricciante epilogo."" -
Dei normali
Quando si lavora sulla scrittura dei giovani si tocca con mano la pertinenza di quella categorizzazione che in qualche modo già Pier Vittorio Tondelli aveva delineato. Si era negli anni Ottanta e l'autore aveva promosso un progetto - Under 25 - per favorire la pubblicazione di testi scritti da giovani, aprendo un mercato editoriale poco penetrabile. Sono passati quarant'anni da quelle ""gioventù"""" eppure tutte le volte in cui mi trovo a fare scrittura con """"giovani"""", che nemmeno vogliono essere scrittori e che spesso si iscrivono al corso organizzato dalla scuola per i più svariati e meno immaginabili motivi, ritrovo alcune delle costanti inventariate allora. Questa volta, per esempio, l'invenzione della trama è caduta in un luogo imprevedibile, lontano nel tempo e nello spazio (nell'Olimpo e in Sicilia e la sfida di una tessitura che da subito partiva complicata è stata superata dalla loro perseveranza a dispetto di molti ostacoli. Il risultato è stato sorprendentemente capace di stravolgere alcuni luoghi comuni dei nostri giorni. Autori: Marilyn Brizzolari, Martina Coccia, Tommaso Digonzelli, Giulia Duzioni, Elisa Leidi, Monica Papis, Francesco Ronzoni, Matteo Sangalli."" -
La valle di ognidove
Ishmael è un giovane boscaiolo che incontra la linea d'ombra, il passaggio della consapevolezza. È boscaiolo nel Dever, conosce solo la foresta, non pensa alle conseguenze delle azioni che compie. Quando scopre una baita nella quale legge alcuni vecchi libri, inizia a scrivere e a collegare le trame della vita di cui è parte. Ce lo racconta dalla cuccetta sulla Calanus, vascello che entra ed esce dalle nebbie come lo spirito guida del viaggio di Ishmael tra spazi aperti, epoche e paesaggi della mente. Presa coscienza delle proprie azioni nel contesto dell'ecosistema Terra, il protagonista si confronta con il mondo tra esplorazioni, slanci artistici, filosofici, storici, l'incontro con Gesù prima che diventi icona. La crescita di Ishmael è anche un tributo a quello imbarcatosi con il capitano Achab per la caccia alla Balena Bianca, che in questo romanzo è La Valle di Ognidove: «Prima di salutarmi mi aveva detto: Ishmael, chi legge questo libro lo ama. Chi lo capisce compie il viaggio. Addio.». ""In questo libro che non assomiglia a nessun altro, Davide Sapienza disegna la mappa di un territorio che vuole essere immaginario fin da subito: la Valle di Ognidove. Attenzione, però: immaginario non vuol dire arbitrario! L'immaginazione di un artista è rigorosissima. Uno scrittore vero, e Davide lo è, va incontro a un'esperienza inevitabile: non è lui a decidere cosa deve diventare parola e racconto. Lo scrittore è più piccolo delle storie che racconta; è il servo della storia e della pagina, la mappa continuamente ridisegnata di un sogno infinito, che come tutti i sogni è fatto di realtà. È preciso e mai mistificatorio: come gli angoli e le anse del mondo, come le pagine di questo libro."""" (dalla prefazione di Raul Montanari)"" -
Lorenzo Lotto. Dipinti e committenze domenicane
L'ordine dei frati domenicani accompagna come un filo rosso, attraverso committenze e patronati, gran parte della vita di Lorenzo Lotto. Per i padri di Recanati ha firmato nel 1508 il polittico che rappresenta il primo vero e proprio capolavoro della sua carriera, per quelli di Bergamo ha creato la più grande macchina d'altare che gli sia toccato dipingere, a Cingoli ha consegnato nel 1539 un vertice d'intimità stravagante con l'invenzione felice, immortale, dei putti che spargono con impertinenza giocosa petali di rose mariane. Presso i frati di San Giovanni e Paolo a Venezia ha abitato in un periodo della sua vita: per la stessa chiesa dipinse una pala che contiene il germe della rivoluzione caravaggesca, esprimendo la volontà testamentaria di essere sepolto nel cimitero dei religiosi e rinunciando a una parte del compenso per il suo lavoro. Ripercorrere attraverso le opere domenicane la storia di Lorenzo Lotto significa penetrare l'universo di un pittore che sa unire la cultura figurativa veneziana con un profondo realismo e sentimenti meditati, moderni, psicanalitici, che ci vengono consegnati attraverso gli occhi intriganti e malinconici dei suoi personaggi.