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Io sono vivo, voi siete morti
"Da adolescente"""" scrive Emmanuel Carrère nel """"Regno"""" """"sono stato un lettore appassionato di Dick e, a differenza della maggior parte delle passioni adolescenziali, questa non si è mai affievolita. Ho riletto a intervalli regolari 'Ubik', 'Le tre stimmate di Palmer Eldritch', 'Un oscuro scrutare', 'Noi marziani,' 'La svastica sul sole'. Consideravo e considero tuttora il loro autore una specie di Dostoevskij della nostra epoca"""". A trentacinque anni, spinto da questa inesausta passione, Carrère decise di raccontare la vita, vissuta e sognata, di Philip K. Dick. Il risultato fu questo libro, in cui, con un'attenzione chirurgica per il dettaglio e una lucidità mai ottenebrata dalla devozione, Carrère ripercorre le tappe di un'esistenza che è stata un'ininterrotta, sfrenata, deragliante indagine sulla realtà, condotta sotto l'influsso di esperienze trascendentali, abuso di farmaci e di droghe, deliri paranoici, ricoveri in ospedali psichiatrici, crisi mistiche e seduzioni compulsive e riversata in un corpus di quarantaquattro romanzi e oltre un centinaio di racconti (che hanno a loro volta ispirato, più o meno direttamente, una quarantina di film). Con la sua scrittura al tempo stesso semplice e ipnotica, Carrère costruisce una biografia intricata e avvincente quanto lo sarà, vent'anni dopo, quella di Eduard Limonov che è insieme un romanzo di avventure e un nitido affresco delle pericolose visioni di cui Dick fu artefice e vittima." -
Il richiamo del corno
Quando Alan Querdilion, un ufficiale della Marina britannica, si risveglia nel letto di uno strano ospedale sono passati centodue anni, il mondo non è più lo stesso e lui si ritrova imprigionato in un incubo. I nazisti hanno vinto la seconda guerra mondiale e regnano incontrastati. I prigionieri-schiavi vengono allevati e trasformati nella selvaggina di un feroce sovrano. Un terrore remoto e indicibile si impossessa lentamente di Alan: è ""il terrore che si prova ad essere cacciati"""". Qualcosa di notte si muove nella foresta e brama sangue. Lo sente avvicinarsi da lontano, preceduto dal suono di un corno. Sono note isolate, appena avvertibili, separate da lunghi intervalli, """"ognuna così solitaria nel buio e nel silenzio assoluto, come un'unica vela su un vasto oceano"""". Poco dopo la fine della guerra, e ben prima che il genere distopico infuriasse fra i lettori di tutto il mondo, un diplomatico inglese estremamente discreto, che passava da una sede all'altra del Medio Oriente, scriveva questo piccolo romanzo, che fa pensare a un racconto di Wells, e dove all'immagine di un futuro alternativo governato dai nazisti si sovrappone ben presto la terrificante visione di un mondo capovolto e arcaico, regolato dalla caccia fine a se stessa. Ossessione ricorrente da varie migliaia di anni fino a oggi, e forse oggi più che mai. Con una nota di Matteo Codignola."" -
Giornale di guerra e di prigionia. Nuova ediz.
Per il sottotenente Gadda, che l'aveva auspicata come «necessaria e santa», la Grande Guerra si rivela uno scontro durissimo. Più ancora che con il nemico, con ciò che scatenava in lui un'indignazione così violenta da sfiorare la «volontà omicida»: la meschinità della «vita pantanosa» di caserma, che spegne ogni aspirazione alla lotta; l'incompetenza dei grandi generali; l'«egotismo cretino dell'italiano» che di tutto fa una questione personale; l'indegnità morale dei vigliacchi, degli imboscati e dei profittatori, che costringevano gli alpini a marciare con scarpe rotte: «se ieri avessi avuto innanzi un fabbricatore di calzature, l'avrei provocato a una rissa, per finirlo a coltellate» confessa. Ma lo scontro più lacerante, e fondatore, è quello che Gadda ingaggia con sé stesso: con l'orrore e la tristezza della solitudine, con un «sistema nervoso» viziato da «una sensitività morbile», con una insufficienza nell'agire che gli impedisce di tradurre in atto i tesori di preparazione tecnica, senso di sacrificio, spirito di disciplina che abitano in lui: «Mi manca l'energia, la severità, la sicurezza di me stesso, proprie dell'uomo che... agisce, agisce, agisce a furia di spontaneità e di estrinsecazione volitiva». La disfatta di Caporetto e la prigionia in Germania peseranno come un macigno sul bilancio della partecipazione di Gadda alla guerra, ma il tempo dimostrerà che l'officina del Giornale - primo sofferto atto di conoscenza del mondo e della propria realtà psichica - segna la nascita del più grande prosatore italiano del Novecento. -
Non si fruga nella polvere
Una volta, alla domanda se leggesse romanzi gialli, Faulkner replicò sornione: «Quando sono buoni come I fratelli Karamazov». Al pari di Dostoevskij, amava infatti trasfigurare e usare ai suoi fini la struttura del poliziesco - quasi che la letteratura non fosse altro che un polveroso tribunale, nascosto tra le quinte del profondo Sud americano. Questo romanzo del 1948 ne è l'ennesima riprova. Nella mitica contea di Yoknapatawpha - dove Faulkner ambientò molti dei suoi romanzi e racconti più celebri -, il vecchio nero Lucas Beauchamp è accusato di aver ucciso un bianco, e rischia il linciaggio. Il solo disposto ad aiutarlo è un ragazzo bianco, Chick, che non esita - accompagnato dall'amico nero Aleck Sander e da una vecchia zitella forse leggermente tocca - a riesumare il corpo della vittima come Lucas gli ha chiesto. Li attende una scoperta sconvolgente, che cela una torbida realtà. Ma a catturare e trascinare il lettore, assai più del ricorso al murder mystery, sarà il mirabolante «flusso di coscienza» di Chick, intramezzato da descrizioni di una natura bella e crudele, da brani risentiti sulla Guerra Civile, da brevi, convulse scene d'azione: una «rappresentazione a massimo potenziale», per usare le parole di Emilio Cecchi, che sigilla sulla pagina lo stile folgorante, unico di Faulkner. -
Memorie di un baro
Nessuno meglio di Sacha Guitry, scrive Edgardo Franzosini, è stato in grado di incarnare «un certo esprit ... tutto parigino, fatto nella vita quotidiana di leggerezza, di impertinenza, di vanità, e a teatro di dialoghi fluidi e intrighi deliziosi». Persino per l’incontentabile e beffardo Paul Léautaud ogni nuova commedia di Guitry era «una sorpresa, un incanto». Capace di rappresentare il gioco dell’amore e della seduzione in tutte le sue possibili variazioni, dotato, come Lubitsch, di un suo specialissimo «tocco», Guitry fu apprezzato dai critici della Nouvelle Vague, e in particolare da Truffaut, che vedeva in lui un «autore completo». Nella sua immensa produzione, Memorie di un baro è l’unico romanzo e, come scrive ancora Franzosini, «con il suo humour nero, il suo sorridente cinismo, la sua amoralità, le sue frasi rapide ... ha la grazia scintillante di un apologo» destinato a celebrare il piacere del gioco. Le esilaranti avventure del protagonista – il quale, avendo perduto l’intera famiglia a causa di un piatto di funghi, comincia la sua carriera come groom in un albergo di lusso, per intraprenderne poi una decisamente più fruttuosa nei casinò di mezza Europa – sono narrate da Guitry con malizioso candore, cercando la complicità del lettore, il quale non potrà, a sua volta, che trovarle un puro incanto. -
Dietro le quinte della polizia
È lo stesso commissario Maigret, nelle sue Memorie, a raccontare (in una esilarante mise en abyme) come gli era capitato di far visitare i locali della Polizia giudiziaria a uno scrittorello dotato di «giovanile sfrontatezza», tale Georges Sim. Nella realtà fu Xavier Guichard, che ne era il direttore, a proporre, all'inizio degli anni Trenta, a un Simenon che di Maigret ne aveva già pubblicati una mezza dozzina, di trascorrere qualche giorno al Quai des Orfèvres: giusto per rendere più verosimili il suo personaggio e l'ambiente in cui si muoveva. Lui non se lo fece ripetere due volte e ne approfittò anche per scrivere una serie di articoli. Tuttavia, poiché (come il lettore ha già potuto constatare nei tre precedenti volumi dei reportage) non di rado il romanziere eclissa il giornalista, non solo Simenon annota spunti per i suoi futuri romanzi, ma si toglie lo sfizio di raccontare celebri inchieste, casi giudiziari clamorosi, aneddoti singolari. Dai quali emerge anche uno spaccato della Parigi dell'epoca, con la fauna dei suoi quartieri malfamati, gli immigrati delle periferie, i ricchi borghesi delle strade eleganti, i piccoli artigiani degli arrondissement più poveri: una Parigi che già allora cominciava a cambiare profondamente - e che oggi è quasi del tutto scomparsa. Così com'è scomparsa quella polizia di cui Simenon ci mostra all'opera gli ultimi esemplari, e della quale non nasconde di rimpiangere i metodi sbrigativi ma efficaci. Con una Nota di Ena Marchi. -
Il dubbio
Onizuka Kumako è una donna avvenente, dalla figura prosperosa e dai modi spregiudicati. Entraîneuse nei bar di Tokyo, sa come sedurre i clienti, e per farsi rispettare non esita a usare le maniere forti - e a ricorrere, se necessario, alle sue amicizie malavitose. Peccato che Shirakawa Fukutaro, ricco vedovo alla disperata ricerca di compagnia, sia all'oscuro del suo passato e decida di sposarla, portandola a vivere nella regione dello Hokuriku. Sarà un matrimonio di breve durata: in una piovosa sera di luglio l'auto su cui viaggiano finisce nelle acque del porto e Fukutaro annega. Accusata di aver architettato l'omicidio per riscuotere il premio di un'assicurazione sulla vita del marito, Kumako si ritrova nel tritacarne della stampa che, assecondando i pregiudizi della gente del posto, si scatena contro la «demonessa». Benché dal carcere lei non cessi di proclamarsi innocente, solo una manciata di temerari avvocati è disposta a crederle: almeno fino a quando il dubbio non comincia a serpeggiare e inattesi particolari tornano alla luce. Come sempre Matsumoto si rivela un maestro nel rovesciare le prospettive, ma soprattutto nello spiazzare il lettore smascherando, a partire da un'oscura vicenda, il più torbido sottofondo della società giapponese. -
Un giorno come un altro
Quando Shirley Jackson arrivò in ospedale per la nascita del terzo figlio, l'impiegata all'accettazione le chiese quale professione svolgesse. E alla risposta «Scrittrice», replicò imperturbabile: «Io metterei casalinga». Senza volerlo, quell'impiegata aveva toccato un nervo scoperto - e colto nel segno. L'autrice di uno dei più celebri e disturbanti racconti della letteratura americana moderna era anche, come emerge dagli irriverenti aneddoti familiari, un'eccentrica donna di casa e una madre spassosa e piena d'inventiva. Ed è impossibile non riconoscere qualcosa di lei nelle stravaganti Mary Poppins che popolano questa raccolta, accompagnate da gatti parlanti e in grado di confezionare abiti con le coccinelle e i denti di leone del giardino. Quanto al lato più macabro - quello che la spinge ad affrontare tormenti, aberrazioni, crudeltà, a sondare normalità, follia, soprannaturale e sordido, o ancora a rendere sottilmente inquietante la banalità di «un giorno come un altro», appunto -, il lettore non avrà che l'imbarazzo della scelta. Nessuno meglio di Shirley Jackson conosce «il male incontrollato» che si cela sotto la più linda e ordinata delle superfici. E solo lei sa mescolare assurdo, comico e spaventevole - avvelenata mistura -, portandoli alle estreme conseguenze con un'economia del dettato e un'acutezza del dettaglio del tutto inconfondibili. -
La formula perfetta. Una storia di Hollywood
David Thomson, «il più grande critico cinematografico vivente» per John Banville, ha qui tentato una storia di Hollywood - la sua - e lo ha fatto col piglio caustico e malandrino che contraddistingue chi da sempre ama quel mondo e ciò che ha da offrire: sogni surrettiziamente innervati dalla realtà. Thomson prende spunto da un capolavoro, Chinatown, il mitico film di Roman Polanski del 1974, il che gli permette di ripartire da molto lontano, dalla crescita indiscriminata, corrotta e manovrata di Los Angeles, e di puntare la sua personale macchina da presa sulle speculazioni fraudolente intorno alla gestione dell'acqua e della viabilità, elementi che, sottotraccia, contribuirono notevolmente alla nascita e allo sviluppo di Hollywood. Ricostruisce poi la storia di quegli anni, dalle prime salette improvvisate ai grandi cinema, alla creazione degli Studios, affrontando il passaggio dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore e alle ulteriori innovazioni tecniche. Ma soprattutto racconta le storie, sempre curiose, spesso sordide, comunque illuminanti, dei grandi che hanno fatto grande il cinema: registi come Griffith, Welles o Hitchcock, divi come Greta Garbo o Marlene Dietrich, Humphrey Bogart o Jack Nicholson, e insieme produttori come Jack Warner, Louis Mayer o Samuel Goldwyn, nonché altre figure meno note ma non meno influenti. Thomson vuole darci «la formula perfetta», espressione che riprende dall'ultimo romanzo incompiuto di Fitzgerald, ambientato nella Mecca del cinema: l'equazione che sola può offrire una visione d'insieme di quel mondo, quell'arte, quel mestiere, quell'industria, quel gioco d'azzardo, in tutta la sua varietà, follia e grandezza. -
Elephi: un gatto molto intelligente
Nell’anno della storica nevicata di Natale, sulla Quinta Strada i newyorkesi impegnati nelle ultime compere della vigilia assistono a uno spettacolo memorabile: dall’alto di un palazzo un’auto viene calata a terra all’interno di una rete. Ma com’è finita nell’appartamento dei signori Cuckoo? C’è lo zampino di Elephi Pelephi, «Famoso Gatto un Tempo Gattino» dal quoziente intellettivo altissimo e dall’incontenibile bisogno di compagnia. Ispirata dal suo amato micio, Jean Stafford ci racconta questa spassosa storia con grazia e ironia, ma soprattutto con la sapienza mimetica di chi conosce alla perfezione la mente felina e i suoi meandri. Età di lettura: da 6 anni. -
La triomphante
«La Triomphante di Teresa Cremisi è la perfetta traduzione romanzesca di quella parabola di Borges in cui un pittore dipinge paesaggi - mari, boschi, città - e alla fine si accorge di aver dipinto il proprio volto. Il romanzo è un asciutto, incantevole ed elusivo autoritratto in cui le cose e le persone - i refoli della storia e le loro tracce nella polvere dispersa, i colori, gli odori, la ""quiete sorniona del mare che lappa lentamente la sabbia"""", i porti d'Oriente affollati di navi, le lingue più diverse che echeggiano nell'anima come stormire di foglie o stridio di uccelli - diventano lineamenti di un viso e battiti di un cuore». (Claudio Magris)"" -
Solo per i tuoi occhi. 007
Per la prima volta Fleming si presenta a noi nelle vesti di scrittore di racconti: e le sorprese non mancano, anche se il protagonista di tutti e cinque i titoli è l’agente segreto che conosciamo bene. Incontreremo così Quantum of Solace, originale e degno omaggio a un venerato maestro della narrazione come Maugham; Bersaglio mobile, reso celebre dalla trasposizione cinematografica; e soprattutto Solo per i tuoi occhi, uno dei casi più singolari affrontati da 007, qui mano vendicatrice di M, il direttore del Secret Intelligence Service, e affiancato nell’impresa da una fanciulla armata di arco e frecce. Ma ci imbatteremo anche in un episodio inconsueto, che porterà James Bond a pesca sullo yacht di un miliardario sadico e brutale, con sviluppi tortuosi e un finale inaspettato. E quando in Risico lo invieranno in Italia a investigare su un presunto traffico di droga, dovrà sbrigarsela con la malavita nostrana. -
Gormenghast. La trilogia
Invidiabile la sorte del lettore che affronta per la prima volta questo monolito letterario, unico per concezione e architettura. Castello-caverna che la natura ha divorato, o che ha divorato la natura, Gormenghast è in primo luogo un modo di vivere, di essere: è tutto. E dunque esclude per definizione il resto, tanto che chi lo abita non riesce neppure a immaginare una realtà esterna. A descriverlo non poteva essere che uno scrittore e illustratore di genio come Mervyn Peake, visionario estremo. L’avventura si snoda in tre atti. Nel primo assistiamo alla nascita di Tito, che minaccia mutamenti, quindi scandalo e rovina, in un reame che si nutre di una millenaria ragnatela di rituali. Peake imprime al racconto un moto magmatico che si riversa sui protagonisti e ne fa insetti mostruosi conservati nell’ambra, prima che ne affiorino turgidi rilievi. Dove trovare un cast di eccentrici più ricco, più dickensiano già dall’inventario dei nomi? Sepulcrio, Fucsia, Barbacane, Ferraguzzo, Floristrazio, Musotorto e molti altri. Il secondo atto introduce all’educazione di Tito, che ora ha sette anni: il che significa per lui affondare nelle pieghe di insidiose trame per il potere, in una battaglia epica senza esclusione di colpi. E il ritmo narrativo si adegua, con esiti sempre più cinematografici, per poi subire nel terzo scomparto un’ulteriore accelerazione: sfuggito a Gormenghast, il giovane muoverà i primi passi in un altrove che esiste davvero – ma non è in nulla migliore di quanto si è appena lasciato alle spalle. -
Notturno cileno
"Ora muoio, ma ho ancora molte cose da dire. Ero in pace con me stesso. Muto e in pace. Ma all'improvviso le cose sono emerse"""". L'uomo che in una notte di agonia e delirio decide di ripercorrere la propria esistenza, per """"chiarire certi punti"""", per smentire le """"infamie"""" messe in giro su di lui da quel """"giovane invecchiato"""" che da un pezzo lo perseguita coprendolo di insulti ombra, o fantasma, o figura della sua innocenza perduta -, è stato un sacerdote, un membro dell'Opus Dei, e anche un poeta e un autorevole critico letterario. Ma è stato soprattutto uno che ha sempre badato a tenersi al riparo da ogni rischio, e per riuscirci si è piegato a molti compromessi, ha chiuso gli occhi dinanzi a molte nefandezze, si è macchiato di molte viltà. Ha accettato e svolto coscienziosamente incarichi bizzarri, come dare lezioni di marxismo a Pinochet e ai membri della sua giunta, e ha preso parte a squisite serate letterarie in una sontuosa villa, alla periferia di Santiago, nei cui sotterranei venivano torturati gli oppositori politici al regime. E adesso che le cose e i volti del suo passato gli turbinano davanti come sospinti da un soffio infernale, """"si scatena la tempesta di merda"""". In questo, che è l'ultimo grande romanzo pubblicato in vita, Roberto Bolaño fa i conti una volta per tutte con la storia di quel Cile che non ha mai smesso di amare e odiare. Lo fa scegliendo il punto di vista di un personaggio equivoco e meschino, e riuscendo a costruire un possente """"romanzo-fiume""""." -
Tony & Susan
«Quando in una storia vedo comparire un protagonista-lettore, ho sempre il sospetto che sia stato messo lì allo scopo di adularmi, di rassicurare, mentre io pretendo tutto il contrario dal libro che sto leggendo: voglio ch'esso mi strattoni, che mi renda maledetto e solo a sprazzi redento, che mi spaventi a morte. È per questo che ho amato a tal punto Tony & Susan di Austin Wright, un romanzo che parla di romanzi, ma una felice eccezione della sua specie, perché tutto fa fuorché rassicurare. Spaventa molto e redime poco. Esalta la vocazione stessa dei romanzi a essere non-rassicuranti e ne celebra la dimensione oscura, spiazzante». (Paolo Giordano) -
Le gemelle che non parlavano. Nuova ediz.
Figlie di una coppia di origine caraibica, June e Jennifer Gibbons, gemelle omozigote, rivelano fin dai primissimi anni un'intelligenza acutissima e appaiono unite da un legame fisico e psicologico così forte da rendere difficile l'accesso al loro mondo. Dopo i primi, fallimentari, tentativi di inserimento nella scuola, June e Jennifer si chiudono in casa e conducono una propria vita separata da tutto e da tutti. Con una furia dell'immaginazione che ricorda la storia delle sorelle Brontë, inventano un universo fantastico e cominciano a scrivere romanzi e novelle di sorprendente qualità. Infine, decidono di uscire nel mondo esterno, lanciandosi in pericolose azioni di sfida, sinché vengono arrestate, condannate e internate a Broadmoor, famigerato manicomio criminale, dove rimarranno undici anni. Questa storia terribile viene qui raccontata da una nota giornalista del «Sunday Times», Marjorie Wallace, che con grande finezza ha saputo farsi strada nel loro mondo segreto. Ne è risultato questo libro-documento, impressionante immersione in uno dei casi psicologici più misteriosi, rivelatori e strazianti del secolo scorso. -
La ragazza con gli occhi d'oro
«All'improvviso comparve una nuvola insolita, che si proiettava in alto con una specie di larghissimo tronco: si allargava e si ramificava: andava sfilacciandosi, a tratti immacolata, a tratti torbida, secondo che sollevasse terra o cenere». È Plinio il Giovane a documentare nelle epistole l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ma la voce narrante è qui, inconfondibilmente, quella di Citati. Nessuno come lui ha saputo riverberare e dilatare nella sua scrittura il fascino dei libri che leggeva e amava - e trasmetterci il desiderio irresistibile di leggerli e amarli a nostra volta. Né c'è da meravigliarsi: più che critica letteraria, la sua è interpretazione narrata, racconto che tramuta ogni libro e il suo autore in indimenticabili personaggi: «Dickens riempiva la realtà con un'allegria furiosa, eccitando ed esaltando il suo genio ... Una misteriosa ilarità lo attraversava, lo colmava ed egli non riusciva ad interromperla, quasi fosse stato percorso da una zampillante fontana di fuoco». Letteratura sulla letteratura, in definitiva, o anche letteratura scaturita dall'arte, ma non alla maniera dell'amico Manganelli, attento come ogni buon rètore a frapporre tra sé e ciò che scriveva «uno spazio di indifferenza emotiva»; nelle pagine di Citati la letteratura circola libera e impetuosa, ci avvolge e ci contagia, lasciando intravedere dietro di essa la sua vera e più antica vocazione, leggere: «non ho mai smesso di leggere, leggere, leggere; ogni libro che leggevo era una forma dell'infinito, che inseguivo, e inseguivo, e fallivo continuamente nell'inseguire». -
L'orsacchiotto
Un uomo appagato, il professor Jean Chabot: ginecologo di fama, comproprietario di una clinica e responsabile della Maternità di Port-Royal, un appartamento di dodici stanze al Bois de Boulogne, una moglie, tre figli e una segretaria amante che si è assunta il compito di «evitargli ogni minima seccatura». Tra le seccature da cui lo ha sbarazzato c’è stata anche la giovanissima inserviente della clinica che lui aveva preso una notte, mentre era semiaddormentata, e che gli era parsa «qualcosa di tenero e commovente come un orsacchiotto nel letto di un bambino». Nell’apprendere che era stata licenziata, però, Chabot non aveva reagito: in fondo, con lei aveva passato solo poche ore. Né era sembrato particolarmente scosso dalla notizia che l’avevano ripescata nella Senna. E che era incinta. Eppure, nella liscia, smaltata superficie della sua sicurezza cominciano ad aprirsi delle crepe, e lui ha come l’impressione che al centro della sua vita si sia spalancato un vuoto. Per di più, da qualche settimana vede un giovane – il fidanzato del suo «orsacchiotto»? Un fratello? – lasciargli sotto il tergicristallo della macchina, senza nascondersi, quasi a sfidarlo, dei biglietti in cui gli annuncia: «Ti ucciderò». Ma lui non ha paura di morire, anzi. Gli è perfino capitato diverse volte di «sfiorare sorridendo il calcio della pistola» che teneva in un cassetto della scrivania e che da un certo momento in poi si è messo in tasca... -
1903: Esch o l'anarchia. I sonnambuli. Vol. 2
Dal vero scrittore, ebbe a dire Elias Canetti in un discorso su Hermann Broch tenuto nel 1936, bisogna pretendere «la ferma volontà di dare una visione del suo tempo, una spinta all’universalità che non arretra spaventata di fronte a nessuna incombenza singola, che non elude, non dimentica, non trascura nulla, e che in nessun caso cerca facili scorciatoie. Broch si è occupato più volte e in modo approfondito di questa universalità. Si può dire di più: la sua volontà letteraria si è accesa veramente proprio anelando all’universalità». Per Canetti la trilogia ""I sonnambuli"""" rappresenta dunque «la realizzazione poetica della sua filosofia della storia, sia pure circoscritta alla propria epoca. La “disgregazione dei valori” vi è raffigurata in personaggi vividi e altamente poetici. Non riusciamo a liberarci dalla sensazione che la pienezza, il valore e talvolta l’ambiguità di questi personaggi si siano affermati nonostante la volontà contraria o comunque con la pudica riluttanza del loro autore». E davvero ha come una concreta, autonoma esistenza il protagonista di questo secondo pannello, il trentenne August Esch, impiegato di commercio, lacerato tra «l’integerrima contabilità della sua anima» e «la sua peccaminosa condotta di vita». Una vita inquieta e senza baricentro, tra l’improbabile alternarsi di mestieri e gli ondivaghi rapporti con le donne, mentre in lui cova una rabbia impotente tanto contro gli affaristi quanto contro i demagoghi di «un mondo in preda all’anarchia, in cui nessuno sa più se sta a destra o a sinistra, sopra o sotto»."" -
La terra inumana
14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’aggressione tedesca dell’Unione Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto Molotov-Ribbentrop – che in un «protocollo segreto» aveva stabilito la spartizione della Polonia –, a fronte della minaccia nazista viene firmato l’accordo militare fra Stalin e Sikorski per la costituzione, sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in precedenza fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito polacco ed è stato internato dapprima a Starobel’sk e poi a Grjazovec, viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi dietro il filo spinato». È l’inizio di un’odissea che porterà Czapski ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila prigionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno in parte rinvenuti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyn’).