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Darling days
Lower East Side, New York, anni ottanta. Un quartiere frastornato dall'eroina e dall'alcolismo, brulicante di senzatetto, delinquenti e relitti umani, ma anche di scrittori anticonformisti, artisti squattrinati, musicisti bohémien e poeti improvvisati. È qui che cresce iO, con una madre single - attrice e ballerina in preda ai demoni della nevrosi e della dipendenza -, capace di un amore incondizionato ma non di provvedere al suo sostentamento, e un padre assente, perennemente in viaggio per l'Europa. A sei anni, dopo essere stata respinta da un gruppo di ragazzini che giocano a palla, iO, bambina dal nome bizzarro ispirato al satellite di Giove, decide di non voler più essere una «lei» e per otto anni, con il pieno appoggio dei genitori, fa credere a tutti - i maestri, i compagni di classe e i registi con cui lavora come piccolo attore - di essere un maschio. Solo da quattordicenne, dopo la dolorosa fuga da una madre sempre più instabile e negligente e il trasferimento in Germania dal padre, iO riabbraccia la femminilità, che porta con sé la scoperta dell'attrazione sessuale, di una vitalità inarrestabile, dell'innamoramento. ""Darling Days"" è l'intima autobiografia di un giovane «essere umano ibrido» - come ama definirsi iO, oggi artista e attivista -, sincero prima di tutto con se stesso, che ci parla di libertà, coraggio e ribellione; una riflessione potente sulla fluidità delle identificazioni di genere e degli orientamenti sessuali, sul modo in cui gli istinti ci forgiano e le norme ci deformano. La testimonianza tormentata, e insieme candida ed esilarante, di una persona capace di ascoltarsi nel profondo, fino a rifiutare ogni categoria ed etichetta e credere soltanto in ciò che può essere sentito e vissuto. -
I ricchi
Una Cadillac gialla si accosta al marciapiede di Labyrinth Drive. È una mattina di gennaio: c'è neve sulla strada e sull'erba. L'aria è fragrante, crepita come una lastra di ghiaccio sotto la pressione di un tacco a spillo. Dalla Cadillac scende una donna: ha una sciarpa di visone intorno al collo e occhiali da sole che scintillano nella luce invernale; il suo incarnato è quello di una bambola di porcellana: pallido, puro, perfetto. La donna si chiama Natashya Romanov Everett, Tashya per tutti, Nada per suo figlio Richard. Il povero Richard, il grasso Richard, l'ombroso, schivo Richard che non si sente una persona ma uno dei comprimari nei romanzi della madre: i romanzi che hanno reso lei immensamente popolare e ricca, e lui sempre più schivo, sempre più ombroso. Qualcosa di oscuro si agita dietro gli abbaini della villa di Labyrinth Drive, e nessuno steccato bianco, nessun filo di perle, nessun cocktail party può nasconderlo: è il cuore nero e pulsante dell'America più irreprensibilmente wasp, l'America democratica e progressista, l'America di Kennedy e di Carter, l'America delle magnifiche sorti e progressive, l'America che cela, dietro le sue medaglie al valore, un volto sinistro. L'America che Joyce Carol Oates conosce in modo così intimo, l'America che ha già raccontato in ""Una famiglia americana"" e che qui viene deformata in una maschera carnascialesca, tanto più inquietante quanto più grottesca. Nel secondo capitolo dell'epopea americana, Joyce Carol Oates si allontana dai toni drammatici del ""Giardino delle delizie"" per inscenare una commedia nera degna di Vladimir Nabokov e Edward Albee; una pantomima in cui il riso non è mai sciolto dall'amarezza del pianto, una satira acida e corrosiva che dissolve impietosa, davanti agli occhi del lettore, i colori pastello del sogno americano. -
Nel paese del re pescatore
Un'ereditiera californiana viene rapita dall'Esercito di liberazione simbionese, diventa l'amante di uno dei terroristi e terrorista lei stessa, poi sposa la sua guardia del corpo e va a vivere con figli e cani in una casa finto-spagnola iper-blindata. Una banchiera d'affari di Manhattan mentre fa jogging a Central Park viene aggredita da sei adolescenti neri e ispanici, stuprata, torturata con dei rami e ridotta in fin di vita. E lui, il Re pescatore, il presidente nello Studio Ovale, Ronald Reagan, il custode del Graal ignaro del mistero della comunione, fa cadere l'ostia nel calice del vino consacrato e la lascia lì a galleggiare. Joan Didion compie un'altra incursione sul palcoscenico degli Stati Uniti e, spaziando da Los Angeles a Washington a New York, racconta una geografia impazzita, personaggi grotteschi, un affresco bizzarro, paradossale e psichedelico dell'America contemporanea: è un viaggio coast-to-coast in cui a ogni tappa l'autrice svela le narrazioni mitiche che sfuggono all'occhio dei comuni osservatori, decostruisce le fantasie dei media e affronta senza remore ogni verità, anche la più brutale. Ne risulta un infuocato reportage in prosa lirica, un amalgama abbacinante di scetticismo e compassione; l'ennesima prova della capacità di Joan Didion di catturare lo spirito del tempo. ""Nel paese del Re pescatore"" è un'opera in cui i lettori di Joan Didion ritrovano i tratti distintivi dei suoi romanzi e memoir: lo sguardo limpido come acqua artica, l'intelligenza tra le più raffinate e insieme corrosive, lo stile denso e terso, l'inconfondibile eleganza, il piacere letterario unito alla scabrosità giornalistica, la capacità di cogliere un dettaglio e trasformarlo in emblema. -
Sinfonia di Leningrado
Sabato 9 agosto 1942. La Sala concerti della Filarmonica di Leningrado trabocca di gente. Nonostante il caldo, gli orchestrali indossano molti strati di vestiti: tremano per la fame, quella che li ha fatti svenire durante le prove, che li sta facendo scomparire dentro giacche e pantaloni. Arriva il direttore: scheletrico nel suo frac, somiglia a uno spaventapasseri. Verrebbe da chiedersi quanta energia resti ai concertisti. Poi, però, attacca la musica. Leningrado era sotto assedio dal 14 settembre 1941, quando i nazisti avevano tagliato l'ultima via di terra per uscire dalla città. Gli stenti e il gelo avevano decimato la popolazione, spingendola a gesti disperati, a volte perfino al cannibalismo. I cannoni tedeschi facevano fuoco ininterrottamente. Ma un contrattacco sovietico li ha costretti al silenzio per un breve periodo, sufficiente perché la Settima Sinfonia di Dmitrij Sostakovic venisse eseguita. Quella partitura doveva raggiungere la città a ogni costo: un aereo speciale sorvolò Leningrado assediata e fece cadere dal cielo gli spartiti. La Settima venne suonata nella Sala della Filarmonica e, dagli altoparlanti collocati ovunque in città, i tedeschi furono obbligati a sentire che, nonostante tutto, la vita continuava a pulsare. Poi la Sinfonia divenne l'inno internazionale della lotta contro il nazismo; e tuttora è ritenuta il capolavoro di uno dei più grandi compositori del XX secolo: dal primo movimento - scritto da Sostakovic sotto una pioggia di bombe -, con il celeberrimo «tema dell'invasione» e il crescendo di tamburi rullanti, al finale, con le sue melodie festose e trionfali, rappresenta la liberazione non solo dei cittadini di Leningrado, ma di qualunque popolo che tenta di resistere alle iniquità della guerra e dei regimi totalitari. In ""Sinfonia di Leningrado"" Brian Moynahan restituisce un quadro nitido della città russa vessata da Stalin, ridotta alla fame da Hitler ed eternata da Sostakovic. Moynahan racconta un'impresa compiuta collettivamente da una città intera, una città morente che ha saputo risorgere, dimostrando a tutto il mondo che resistenza e musica, arte e libertà sono componenti inscindibili nella storia umana. -
Denaro. Come la finanza ha reso possibile la civiltà
Dopo la crisi scoppiata nel 2008, sempre più persone vedono la finanza come qualcosa di ingiusto e distruttivo, che dilapida patrimoni, diffonde disuguaglianza e disoccupazione, minaccia la tenuta degli Stati nazionali e pone a rischio il nostro futuro. Eppure, l'intera storia umana testimonia che l'evoluzione della finanza è stata il principale fattore di sviluppo della civiltà. William N. Goetzmann compone una fondamentale storia della finanza, che osserva i punti di svolta dell'umanità da una prospettiva nuova, dimostrando il ruolo decisivo del denaro e dell'investimento nell'invenzione della scrittura e nei primi fenomeni di urbanizzazione dell'antica Mesopotamia; nella nascita ed espansione della civiltà greco-romana; nell'ascesa e caduta delle dinastie imperiali cinesi; nelle spedizioni commerciali che hanno portato gli europei alla scoperta e alla conquista del Nuovo Mondo; nella Rivoluzione industriale e in molti altri momenti chiave della storia universale. Il denaro e la finanza hanno consentito agli uomini di interagire oltre la sfera limitata delle relazioni fiduciarie personali, familiari o tribali. Rappresentano una sorta di macchina del tempo, che ha cambiato il nostro modo di pensare, di gestire il rischio e di programmare il futuro: grazie a istituzioni come le banche o le società di capitali possiamo spostare il valore economico avanti e indietro nel tempo. Ma la finanza è comunque una tecnologia, uno strumento potente che, usato nel modo sbagliato, ha causato bolle di mercato, crisi devastanti e crolli improvvisi, debiti insostenibili, sfruttamento e imperialismo. ""Denaro"" è una storia di imperatori, banchieri, usurai, pionieri del commercio, templari e corsari; esploratori celebri come Cristoforo Colombo e Marco Polo, matematici geniali come Fibonacci e Lefèvre, finanzieri acuti e spregiudicati come John Law, menti illuminate come Seneca, Marx e Keynes. E sa trovare le risposte ai grandi dilemmi del futuro: con le opportune riforme, le immense potenzialità della finanza potranno essere impiegate per combattere la miseria e prendersi cura di una popolazione sempre più numerosa e invecchiata. -
Perverso e paranoico. Scritti 1927-1933
""Perverso e paranoico"" raccoglie i testi che Salvador Dali scrisse negli anni trenta, i più decisivi per la definizione della sua poetica surrealista e per la sua maturazione artistica. Ne nasce l'autoritratto della più grande «mente immaginativa del secolo scorso», che illumina di luce nuova le sue opere - ma anche il suo pensiero sul rapporto fra arte e politica, sul sesso e sulla religione, sulla scienza e sulla psicoanalisi -, l'amicizia con Luis Bunuel e Federico Garcia Lorca, il tormentato sodalizio artistico con i surrealisti e la passione per il cinema e la fotografia. L'ossessione, il sogno, l'estasi, il delirio: l'irrazionalismo è il più fertile dei fattori espressivi e creativi grazie al metodo paranoico-critico, vera e propria chiave di volta del percorso di Dali. Nel suo universo artistico ogni rigida distinzione intellettuale, ogni comoda categoria pratica, persino il più ovvio rapporto di causa-effetto sembra implodere e dichiararsi «altro» da sé. L'inorganico trapassa improvvisamente nell'organico, istinto sessuale e istinto alimentare si fondono, mentre Freud e Einstein vengono eletti degni successori di maghi e alchimisti per aver dimostrato - ciascuno a modo suo - che la materia è instabile. Ci vuole un «genio» - un genio che, inutile dirlo, Dali identifica con se stesso - per portare a termine l'aspirazione alchemica prima: mostrare, proprio attraverso una radicale, mistica trasmutazione della materia, come sia possibile perseguire un analogo cambiamento di coscienza: un'«estasi», cioè uno stato nel quale «ogni giudizio cambia in modo sensazionale», e da cui solo può sgorgare l'arte. -
La paura in Occidente. Storia della paura nell'età moderna
Paura degli spiriti dei morti. Paura delle tenebre. Paura delle tempeste. Paura delle bestie feroci. Paura del mistero femminile. Paura di sciagure, carestie, cataclismi, epidemie. Paura dell'ira di Dio, dell'apocalisse. E allora dagli all'untore. E allora avanti con la caccia alle streghe. L'uomo ha sempre avuto bisogno di individuare qualcuno da temere (e punire) per dominare l'angoscia ancestrale. La paura ha governato la storia umana nei secoli dei secoli. Jean Delumeau scrive la storia della paura in Europa tra XIV e XVIII secolo: indaga le attrezzature mentali della società preindustriale e scova una nebulosa anonima, onnipresente e persistente che, in forme più o meno consapevoli, ha costituito il basso continuo, il nerbo dei modelli di comportamento - in breve, la radice di tutte le pratiche culturali dell'Occidente. Perché la paura è un dispositivo essenziale per sottrarsi ai pericoli e sfuggire provvisoriamente alla morte; ma protratta all'infinito e nell'indefinito diventa una minaccia per l'equilibrio psichico individuale e collettivo. Come controllarla? Frammentandola; fabbricando paure particolari; oggettivando l'angoscia. Passando da un sentimento viscerale ingovernabile a un nemico dotato di volto e nome. I detentori del potere della civiltà europea stesero così l'inventario dei mali che Satana era capace di provocare e la lista dei suoi agenti: musulmani, ebrei, eretici, donne, e soprattutto streghe, maghi, uomini neri. Fu tranquillizzante pensare la peste come un flagello mandato da Dio per punire l'umanità peccatrice. Fu la soluzione al trauma collettivo. ""La paura in Occidente"" è il saggio con cui Jean Delumeau sonda questa corrente sotterranea della storia umana. Una ricerca che ricorre alla più ampia messe di fonti e si avvale degli strumenti che le più diverse discipline - dalla storiografia alla psicologia alla sociologia - hanno offerto a chi intenda verificare la genesi delle nostre mentalità, cultura, idee. Una lezione necessaria per comprendere l'immaginario contemporaneo. -
La forma dello spazio profondo. La teoria delle stringhe e la geo...
Sembra impossibile che spazi più piccoli di quelli che si possono umanamente immaginare, spazi a sei dimensioni, un milione di milioni di milioni di volte più piccoli di un elettrone, siano in grado di esercitare un'influenza tanto profonda su ogni parte dell'Universo da diventarne un tratto distintivo e caratterizzante. Eppure è così. Per la teoria delle stringhe le dimensioni dell'Universo sono dieci: quattro sono le dimensioni spaziotemporali contemplate dalla teoria della relatività generale, le restanti sei (le cosiddette ""dimensioni extra"") danno forma alle varietà di Calabi-Yau. Nel 1976 Shing-Tung Yau ha conquistato la Medaglia Fields, il premio Nobel dei matematici, per aver dimostrato l'esistenza di queste forme complesse che portano il suo nome, spazi invisibili la cui geometria può essere la chiave definitiva per comprendere i più importanti fenomeni fisici. ""La forma dello spazio profondo"" ripercorre le tappe del percorso scientifico che ha portato Yau alla formulazione di una teoria rivoluzionaria, con una nuova possibile immagine dell'Universo. Troppo bello per essere vero: così, spesso, gli scettici hanno liquidato le astrazioni della nuova geometria. L'ipotesi delle dimensioni extra, che riguarda fisica, matematica e geometria, suggerisce non solo che i nuovi spazi possano essere veri, ma che la realtà, ancora una volta, è più affascinante dell'immaginazione. -
La morte di Vivek
La morte di Vivek è un romanzo misterioso e delicato; la storia di una fiammeggiante liberazione dal fumo nero che aleggia dentro la testa delle persone.rn«Un romanzo travolgente su quello che le famiglie non vedono, o scelgono di non vedere.» - The New York Times, 100 Notable Books of 2020rnrn«Viscerale, tenero e struggente. Un esempio di quello che la narrativa migliore può fare: essere un antidoto all’invisibilità.» - The GuardianrnUna madre trova il corpo del figlio davanti alla porta di casa. Vivek è morto, il giorno dell’incendio al mercato. Al collo non ha più il ciondolo che portava sempre; è nudo e dalla testa, ornata da capelli che qualcuno giudicava troppo lunghi per un uomo, stillano fiotti di sangue. Cosa gli è accaduto? Chi l’ha trascinato fino a lì? Il dolore atroce e il desiderio di scoprire la verità conducono la madre alla consapevolezza di non aver mai conosciuto fino in fondo suo figlio. Vivek ha sofferto, ha scontato la sua diversità, ma ha trovato comprensione tra le braccia di alcune amiche e del cugino, unici a custodire il segreto della sua morte.rnrnVivek miscela sessi e identità, sfida i limiti, abolisce i confini, e così anche la lingua di Akwaeke Emezi si fa fluida, eppure pronta a impennarsi con scatti di fragoroso sprezzo delle norme. -
Fotocopie
Conversare con una ragazza su un autobus in Irlanda, osservare una donna prendersi cura di un piccione in una piazza di Londra, condividere un pranzo con i lavoratori del mercato in Galizia, camminare con un ragazzino che porta un fucile a tracolla per le strade di Delhi. Piangere la morte di un caro amico e guardarne un altro, un sopravvissuto dei gulag, prepararsi per un trasloco, sfrattato dalla casa in cui sua madre ha aspettato per quattordici anni che facesse ritorno dalla Siberia. In Fotocopie John Berger presenta una collezione di attimi, ciascuno colto nel momento di più intensa vividezza, bloccati come in uno scatto fotografico a rappresentare la storia della nostra epoca e quella dell'autore. Vignette, fotogrammi, ricordi; ogni vicenda, ogni «fotocopia verbale», è una persona che ha toccato l'esistenza di Berger, lasciando con quel contatto un'impronta indelebile. Tra queste ci sono gli uomini e le donne che incontriamo quotidianamente, ma anche artisti e scrittori come Paul Klee e Simone Weil, a loro volta evocati a partire da una visione: disegni stesi su un prato verde le cui linee ricordano all'autore l'artista austriaco o il tavolo di legno di pero in una casa di Parigi su cui la scrittrice francese concepì le proprie opere. Il rapporto tra immagine e linguaggio diventa, nella prosa di Berger, un legame simbiotico: l'occhio cattura l'istante, la scrittura lo ancora al flusso del tempo e ne fa proliferare le numerose possibilità evocative. Nello stile discreto e intensamente cinematografico di Berger, queste ventinove Fotocopie traboccano di odori, di suoni e di vita, ed emanano una malinconica nostalgia. L'effetto di questi piccoli ricordi è un delicato eppure inevitabile distacco dal passato; la metamorfosi della memoria privata in scritti di portata universale. -
La scrittura del disastro
Scrivere è follia, sorta di veglia fuori coscienza, tensione al limite del non sopportabile di cui si parla con terrore e non senza unrnsentimento di gloria. Il fatto è che la gloria è il disastro.«Leggere, scrivere, come si vive sotto la sorveglianza del disastro: esposti alla passività fuori passione. L'esaltazione dell'oblio. Non sarai tu a parlare; lascia parlare in te il disastro, non importa se attraverso l'oblio o il silenzio.» Ultima fra le opere teoriche di Maurice Blanchot, La scrittura del disastro risponde alla necessità di riflettere sul tema del linguaggio poetico e letterario che si era imposta imperiosa con Lo spazio letterario, ma che qui va oltre - «al di là» - il problema di dire ciò che è, al di là del bisogno di appagamento, al di là della descrizione di una totalità. È una ricerca che rompe questa totalità, che turba ogni cosa, e prima di tutto la scrittura. Ha a che vedere con l'interruzione, con la frammentazione, con la catastrofe. Con il disastro. La scrittura stessa allora si frantuma, soccombe a un'esigenza che non trova - che non cerca - la redenzione, ma un'altra possibilità di se stessa. La scrittura diventa qualcosa che porta al meno, all'oblio, al non detto, al mai cominciato. Blanchot recupera gli scrittori amati, antichi (Ovidio) e moderni (Kafka, Melville, Hölderlin), e si confronta con maestri del pensiero come Heidegger e Levinas, per scavare nella non possibilità della parola letteraria, nella possibilità del silenzio senza scopo. Sullo sfondo, Auschwitz, che rivela e mette a nudo «tutte le caratteristiche di una civiltà» e che impone di continuare a «vegliare, senza posa, sull'assenza smisurata». Con uno stile che, adattandosi al disastro, si fa fratto e ossimorico, Maurice Blanchot invita alla lettura chiedendole di rinnovarsi e continua la meditazione che ha praticato (e che lo ha guidato) per tutta la vita, scardinando quanto è venuto prima. Perché «c'è domanda, eppure nessun dubbio; c'è domanda, ma nessun desiderio di risposta; c'è domanda, e nulla che possa essere detto, ma solo da dire». -
Che cosa abbiamo nella testa? Il cammino accidentato della ragione
In Che cosa abbiamo nella testa? Edoardo Boncinelli e Antonello Calvaruso ci spiegano tutto quello che oggi sappiamo sul cervello e sul suo funzionamento. Grazie ai progressi della scienza ora siamo consapevoli che proprio il cervello è la casa dei pensieri, della mente, della razionalità, perfino delle emozioni. E anche se non esiste ancora una definizione univoca di «pensiero», sappiamo che ne convivono in noi due tipi: uno immediato - l'istinto che ci fa sottrarre la mano dal fuoco quando ci scottiamo - e uno complesso - che implica l'intervento della razionalità e comporta una valutazione delle variabili prima di compiere una qualsiasi scelta. Ma anche in questo caso siamo molto meno razionali di quanto crediamo, perché di fatto il nostro cervello risponde agli stimoli esterni in modo schematico, guidato dal retaggio della nostra evoluzione: tendiamo a prendere le decisioni rapidamente e col minimo sforzo, spesso cadendo in tranelli di cui nemmeno ci rendiamo conto. Con ""Che cosa abbiamo nella testa?"" Boncinelli e Calvaruso ci offrono una guida al cammino accidentato della ragione, alla scoperta di ciò che siamo e delle insidie che la mente infila fra i nostri pensieri, insegnandoci a riconoscerle per evitarle o servircene attraverso molti esempi in cui possiamo ritrovare le nostre esperienze quotidiane. Per comprendere meglio noi stessi, il nostro nucleo più autentico: forse la sfida più temeraria che possiamo affrontare. Postfazione di Domenico De Masi. -
Mille cervelli in uno. Nuova teoria della mente
Che cosa significa essere intelligenti? In che modo le cellule del nostro cervello danno origine alla comprensione del mondo? Come viene trasformata la percezione dei sensi in conoscenza? La verità è che non lo sappiamo. Per quanto si parli costantemente degli enormi progressi delle neuroscienze, abbiamo ancora più domande che risposte. Jeff Hawkins ha trascorso quasi vent’anni provando a colmare questa lacuna e, come spesso succede per le grandi scoperte, si è accorto che è sufficiente cambiare il nostro approccio per farci sorprendere dalla realtà. La sua Teoria dei mille cervelli, esposta qui per la prima volta, nasce infatti da una nuova prospettiva sulla neocorteccia. L’intuizione chiave riguarda le sue unità di base, chiamate colonne corticali, che imparano singolarmente un modello del mondo e lo tengono in continuo aggiornamento. All’interno della scatola cranica non c’è però una sala di controllo che decide a quale singolo modello dare ascolto: la nostra percezione è un consenso che le colonne raggiungono votando. Una vera e propria democrazia di neuroni nella testa. Ma Hawkins, ingegnere oltre che neuroscienziato, fa un passo in più: una volta che abbiamo capito davvero come funziona il cervello, sarà più facile costruirne uno. Combinando le neuroscienze con uno studio ambizioso sullo sviluppo delle intelligenze artificiali del futuro, “Mille cervelli in uno” annuncia una vera e propria rivoluzione nel modo di avvicinarci alla conoscenza, umana e artificiale. È un libro che pensa in grande, in tutti i sensi. -
I racconti dell'Apocalisse
Si dice che si nasce soli e soli si muore; ma immaginare un'uscita di scena collettiva per la specie umana è una narrazione molto più interessante, che al glorioso inizio della nostra parabola oppone un vero gran finale e che ha dunque sollecitato la fantasia di alcuni tra i più grandi scrittori di ogni tempo. Andrea Esposito ha scavato fra le più selvagge e folli di queste fantasie e selezionato una partitura di pagine sulla fine del mondo: dall'orrore visionario di H.P. Lovecraft alla fantascienza steampunk di Jules Verne, da un oscuro dramma di Aleksandr Puskin all'ultimo uomo sopravvissuto di Mary Shelley. Prende forma una sinfonia percussiva che include la poesia di Sara Teasdale e di Lord Byron, la prosa di Leopardi e di Hawthorne, e che accoglie negli intermezzi rare gemme nascoste: miti norreni, vangeli apocrifi e le terribili visioni che anticiparono l'arrivo dei conquistadores spagnoli in Messico. ""I racconti dell'apocalisse"" compongono l'antologia definitiva del nostro terrore più viscerale; ci aiutano a esorcizzarlo, nel contempo facendocene assaporare il fascino primitivo e risvegliando il cupio dissolvi nascosto dentro ognuno di noi. -
L' Italia dei poteri locali
L'idea portante del volume, contenuto nel titolo, è che larghi settori d'Italia medievale, tra i secoli X e XII, si caratterizzino per dinamica politica che si svolge in massima parte a livello locale: hanno scarso rilievo i coordinamenti più ampi (regni, principati), e prevalgono poteri di ridotte dimensioni, che trovano il proprio fondamento nel possesso fondiario, nella capacità militare, nel controllo della società locale tramite una rete di clientele vassallatiche. è la cosiddetta ""anarchia feudale"", ma su questa definizione interviene una duplice correzione: non ""feudale"", perchéla componente vassallatica fu solo uno degli elementi di questa dinamica socio-politica locale; e non pura ""anarchia"" perchè la violenza e il disordine (innegabili) convivono con forme di ordine e di regolazione della violenza: è la contraddittorietà tipica di un potere che si adegua alle forme della società, priva di forme di inquadramento regionale o statale e di una legislazione ad ampio respiro. Se l'approccio è principalmente politico ed è costruito attorno alle forme del potere, queste tuttavia non possono essere comprese senza considerare i funzionamenti della società che li esprime: un punto chiave è proprio la stretta connessione tra società e potere, e quindi l'esigenza di valutare forme e strumenti di questo legame e della penetrazione dei poteri signorili nella società locale (in massima parte contadina). -
La famiglia italiana in età moderna. Ricerche e modelli
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Sistemi cognitivi complessi di psicoterapia
Quali collegamenti esistono tra le modalità di sviluppo e le caratteristiche di personalità che contraddistinguono una persona adulta? Cosa rende alcuni individui più vulnerabili rispetto ad altri di fronte a determinati avvenimenti? Come si possono esplorare gli elementi più basilari della personalità che, se non considerati, tendono a provocare nuovi scompensi? Quali sono gli obiettivi di una psicoterapia e in base a quali presupposti teorici si procede nella relazione terapeutica? Quale tipo di cambiamento si può verificare nel corso di una psicoterapia? Affrontati secondo un approccio cognitivo-strutturalista, questi argomenti sono trattati prendendo in considerazione le teorie di più autori che, nell’ambito di scienze diverse (dalla fisiologia alla fisica, dall’epistemologia alla psicologia, dalla sociologia all’etologia), hanno condotto ricerche e sviluppato osservazioni che sembrano avere interessanti punti di contatto. Ne deriva la proposta di un modello della conoscenza umana e dell’intervento psicoterapeutico secondo un’“epistemologia della complessità”: l’attività cognitiva risulta cioè dall’interazione di più componenti che si autosviluppano in un ecosistema con cui entrano in rapporto di reciprocità, componenti che non hanno una meta prefissata e il cui insieme esprime più della somma delle singole parti. -
L' italiano degli stranieri. Storia, attualità e prospettive
La situazione dell'italiano diffuso fra stranieri è molto complessa, a volte contraddittoria, ma anche ricca di potenzialità. L'italiano non è fra le lingue più diffuse nel mondo quanto a parlanti nativi, ma lo è per numero di corsi di lingua per stranieri. Questi si avvicinano all'italiano per il suo legame con una tradizione di alta intellettualità e in virtù della collocazione dell'Italia fra i paesi più industrializzati, meta fra l'altro di una forte immigrazione dall'estero. Il volume descrive le principali linee storiche della lingua italiana diffusa fra gli stranieri. Le radici dell'attuale condizione dell'italiano come lingua straniera sono ricercate nel passato, con una ricostruzione di momenti dell'insegnamento dell'italiano a stranieri che si trasforma in proposta interpretativa della complessa situazione attuale. -
Il poema in ottava. Storia linguistica italiana
Il volume presenta una scelta di alcune opere della tradizione epico-cavalleresca italiana in ottave. Ad accomunare testi cronologicamente lontani come il Teseida di Boccaccio (1340 ca.) e la Gerusalemme Liberata di Tasso (1581) è proprio la loro appartenenza formale: l'ottava rima, precipuamente collegata alla funzione narrativa. Ogni passo antologizzato e commentato ha un nucleo tematico ricorrente: il duello cavalleresco. A parità di sequenze grosso modo omologhe, si sono volute mettere in luce le analogie e le diversità nelle tecniche di rappresentazione usate dai vari scrittori e si è lasciato ampio spazio all'analisi dello stile di ognuno. -
I modelli della didattica
L'attuale esplosione della domanda di formazione determina un crescente bisogno di elevare la qualità delle pratiche d'insegnamento. Su questo sfondo culturale, la didattica si interroga sulla questione del rapporto tra senso dell'intervento formativo e tecniche d'insegnamento. Il volume propone una risposta non dogmatica capace di accogliere differenti istanze problematiche, ricostruendo un quadro sistematico dei modelli didattici e della loro dimensione operativa.