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Dove batteva il mio cuore
«C'è davvero tutto in questo romanzo: l'amore, la perdita, la morte, la guerra, la storia, la memoria, le idee, i viaggi, l'amicizia, la rivalità, il sesso...» - Sunday TelegraphRobert Hendricks, psichiatra londinese, è un uomo in fuga dai propri demoni. ""Habitué della solitudine"""", come ama definirsi, da più di trentacinque anni non crea rapporti duraturi, ma solo legami dettati da un desiderio fugace o dalla comodità, che gli consentono di preservarsi da qualunque emozione e turbamento. Un giorno, di ritorno dall'ennesimo viaggio di lavoro, Hendricks riceve dalla Francia una lettera capace di scuotere qualcosa in lui. Il mittente è un anziano neurologo, Alexander Pereira. Il ritrovamento di un vecchio diario e di alcune fotografie risalenti alla prima guerra mondiale, in cui Pereira ha combattuto nell'esercito britannico al fianco del padre di Hendricks, lo hanno spinto a contattare il famoso psichiatra. Hendricks aveva due anni quando suo padre morì, poco prima dell'armistizio. L'assenza della figura paterna ha profondamente segnato la sua vita. Il pensiero, perciò, che uno sconosciuto possa sapere del genitore più di quanto ne sappia lui stesso lo turba e lo alletta insieme. Dopo aver scoperto tra le pagine del Conseil de l'Ordre des Médecins en France, scovate alla London Library, che Alexander Pereira ha pubblicato ben cinque libri prima di non dare più alcun segno di sé dopo la seconda guerra mondiale, Hendricks decide di partire alla volta della Francia. Raggiunta l'isola nel sud del paese dove il medico vive, si trova al cospetto di un uomo molto anziano che, inaspettatamente, vuole sapere tutto della sua esperienza come soldato nel secondo conflitto mondiale, costringendolo a confrontarsi con gli eventi che hanno reso la sua vita una lunga fuga dai propri demoni: la campagna militare in Italia, dove rimase ferito a una spalla, e la lunga convalescenza per riprendersi, vicino a Napoli, dove conobbe Luisa, una bellezza ligure con gli occhi neri e la voce flessuosa che cambiò per sempre la sua esistenza."" -
Il fregio della vita
Tra Vienna e le montagne del Grossglockner, tra l'assasinio dell'Austria al Terzo Reich, una storia d'amore in cui la forza dell'eros emerge con prepotenza tra le paginernrnLa storia narrata in queste pagine si svolge tra Vienna e le montagne del Grossglockner, nel periodo che intercorre tra il 1934 e il 1938; anni fastidiosi del secolo passato, segnati dall'assassino di Dollfuss e dall'Anschluss, l'annessione dell'Austria al Terzo Reich.rnIl racconto, tuttavia, come sovente accade nella letteratura mitteleuropea, nel cui solco si muove palesemente, non narra dei grandi eventi storici che annunciano con clamore il tramonto di un'epoca e l'avvento di una nuova barbarie. Il senso della fine traspare in queste pagine dai fantasmi e dalle ossessioni di una vicenda d'amore che ruota attorno a tre personaggi: un marito, una moglie e un nano.rnInizia con la dolente elaboraione letteraria delle proprie vicende matrimoniali narrate da uno dei protagonisti, ormai ottantenne, a un passante, occasionalmente incontrato su di una panchina del lungolago di Bregenz: un nano, caustico e curioso personaggio, che diventerà il possessore e il dispensatore delle storie segrete dei due coniugi; lui, un uomo tormentato e innamorato della sua gelosissima sposa, lei, un'ebrea inquieta e insoddisfatta, alla scoperta della sua dirompente sessualità. Sarà il nano a compiere un viaggio dentro la loro vita, denominata da demoni e cieca su quanto si prepara nell'Austria che sta covando il nazismo. E il passato riemergerà, come un fiume carsico limaccioso e pieno di detriti, debordando e invadendo il presente; un passato che non sarà più solo loro, ma anche una dimensione del presente di ognuno di noi, perché senza tempo sono la storia d'amore, di gelosia, di tradimento, e di morte che ci abitano. -
Ribon messaggero d'amore
Un'opera profonda e toccante sulla ricerca della felicità e sull'imprevedibilità della vita, narrata con toccante leggerezza dall'autrice del Ristorante dell'amore ritrovato.La piccola Hibari vive con i genitori e l'eccentrica nonna Sumire, una ex cantante lirica appassionata di birdwatching. Un giorno, tornando da scuola, Hibari scopre che Sumire, dopo aver trovato tre uova abbandonate, le ha prese con sé per sottrarle alla voracità dei corvi. Per tenerle al caldo, aspettando il momento della schiusa, l'anziana donna le ha infilate nel suntuoso ed elegante chignon che ogni giorno si arrotola sulla sommità del capo. Da quel momento Sumire, come una mamma chioccia, protegge le uova nel calore del suo nido di capelli, mentre Hibari, da brava assistente, fa del suo meglio per aiutarla a far nascere i pulcini. A schiudersi, tuttavia, è un solo uovo, da cui esce un uccellino implume e minuscolo, subito ribattezzato Ribon, come il nastro invisibile che lega nonna e nipote. Crescendo, Ribon si rivela essere un magnifico esemplare di pappagallo calopsitta con una curiosa acconciatura e due vistose chiazze arancioni all'altezza delle guance, capace di portare gioia e armonia nella casa di Hibari e Sumiri. Un giorno, tuttavia, in cui lo sportellino della gabbia è aperto, Ribon si libra verso l'azzurro del cielo e va incontro al suo curioso destino di messaggero d'amore per cuori infelici. Volando di casa in casa, infatti, Ribon sarà in grado di riportare un alito di vita nella drammatica quotidianità di una donna che ha da poco perso il figlio; rallegrerà una speciale «casa degli uccelli» dove vengono accolti volatili feriti e in cui lavora il timido Torisu; verrà adottato da una donna a cui resta poco tempo da vivere, rendendo meno amare le sue giornate... -
Il giorno con la buona stella. Diario 1945-1976
Nel 1941 Lea Quaretti, giovane scrittrice di belle speranze, si trasferisce a Venezia dove, nel 1945, incontra Neri Pozza. Da quell'incontro nasce un sodalizio intellettuale e sentimentale che culminerà nel matrimonio e terminerà soltanto con la scomparsa della scrittrice nel 1981. Figura fondamentale nella nascita delle edizioni Neri Pozza nel 1946, Lea Quaretti compilò fino al 1976 quasi quotidianamente il suo diario, riversandovi ogni accadimento della propria vita: la sua storia d'amore con l'editore, la collaborazione nell'attività della casa editrice, le relazioni amicali, le letture, le conversazioni con letterati e artisti, gli incontri casuali. Pagine intense, che vengono ora alla luce e testimoniano della straordinaria avventura sentimentale e intellettuale vissuta da Lea e Neri Pozza, e della cerchia di amici che si raccolse attorno alla loro casa editrice: Palazzeschi, Alvaro, Montale, Bassani, Buzzati, Zanzotto, Cecchi, Falqui, Pasolini, Morandi, Licini, Tancredi, Denti di Pirajno, Levi della Vida, Diano, Bettini. Educata alla vita di società, elegante, colta, Lea Quaretti suscitava passioni e inaspettate confidenze. Nelle pagine del suo diario, il lettore può scoprire un Montale ""pauroso fino a fare rabbia""""; un Cecchi angustiato dal timore di """"non trovare la parola vera per rappresentare la voce che aspetto di sentire""""; un Buzzati """"che può amare solo chi non lo ama""""; un Parise convinto che ogni avventura sentimentale """"consumi la carica vitale""""..."" -
La guerra segreta. Spie, codici e guerriglieri (1939-1945)
Max Hastings riscostruisce in queste pagine la storia di una guerra in cui spionaggio e operazioni clandestine assunsero un’importanza mai avuta in precedenza.rnrnQuesto libro si occupa di alcune delle persone più affascinanti che presero parte alla Seconda guerra mondiale. Un esercito di uomini e donne che, non sparando un solo colpo, influirono profondamente sull’esito degli eventi: spie, crittoanalisti, guerriglieri che condussero una guerra segreta per carpire informazioni e strategie del nemico. rnDalla leggendaria GC&CS, la Government Code and Cypher School di Bletchley Park che fu il più importante fulcro dello spionaggio del conflitto e che attraverso la creazione delle «bombe» elettromeccaniche di Alain Turing, e la conseguente decifrazione del traffico di «Enigma», inferse un duro colpo al sistema di comunicazioni della Germania; alla produzione di materiale dell’«Ultra», la complicata operazione di decrittazione dei messaggi delle macchine cifranti da parte dei geniali matematici e linguisti britannici e americani che permise al direttivo alleato di pianificare le proprie campagne e operazioni nella seconda metà della guerra con una precisione che a nessun comandante militare era mai stata consentita nella storia; ai crittoanalisti di Nimitz nel Pacifico; alle reti di spie dell’«Orchestra rossa» operanti nell’impero nazista per conto dell’Unione Sovietica, fino ai Cinquecento di Washington e di Berkeley – un piccolo esercito di americani di sinistra che si prestarono a fare da informatori per lo spionaggio sovietico, Max Hastings riscostruisce in queste pagine la storia di una guerra in cui spionaggio e operazioni clandestine assunsero un’importanza mai avuta in precedenza. -
Tre piani
L'opera che ha consacrato sulla scena letteraria internazionale il talento di Eshkol Nevo.«Una potente allegoria delle nostre paure più profonde.» - Ran Bin-Nun, Yedioth Ahronoth«Il nuovo libro di Eshkol Nevo è l'esperienza letteraria più intensa che ho avuto quest'anno. Leggetelo. Non ve ne pentirete. - Guy Meroz«Ognuna delle tre storie finisce a modo suo, come succede nella realtà. Anzi, nessuna finisce davvero. ""Tre piani"""" si svolge così, lasciando che i protagonisti si confessino a muti interlocutori affidando i propri segreti a qualcuno - anzi a qualcosa - che mai li rivelerà. Se non fosse che ci sono uno scrittore e il suo lettore ad ascoltare dietro l'angolo della pagina.» - Elena Loewenthal, TTL, La StampaIn Israele, nei pressi di Tel Aviv, si erge una tranquilla palazzina borghese di tre piani. Il parcheggio è ordinatissimo, le piante perfettamente potate all’ingresso e il citofono appena rinnovato. Dagli appartamenti non provengono musiche ad alto volume, né voci di alterchi. La quiete regna sovrana. Eppure, dietro quelle porte blindate, la vita non è affatto dello stesso tenore. Sorto da una brillante idea narrativa: descrivere la vita di tre famiglie sulla base delle tre diverse istanze freudiane – Es, Io, Super-io – della personalità, Tre piani si inoltra nel cuore delle relazioni umane: dal bisogno di amore al tradimento; dal sospetto alla paura di lasciarsi andare. E, come nella Simmetria dei desideri, l’opera che ha consacrato sulla scena letteraria internazionale il talento di Eshkol Nevo, dona al lettore personaggi umani e profondi, sempre pronti, nonostante i colpi inferti dalla vita, a rialzarsi per riprendere a lottare."" -
Via d'uscita
Via d'uscita attesta già «la cruda, ironica ricchezza del mondo di St Aubyn e la densità filosofica delle sue pagine.» (Zadie Smith)rn«La tragedia (oggettiva) insita nella vicenda si accompagna a un pervasivo humor nero, che rende sinistramente spiritoso il protagonista.» - Franco Marcoaldi, D di Repubblicarn«Personaggi memorabili, umorismo nero e una scrittura sublime.» - Library Journalrn«Uno dei grandi scrittori comici del nostro tempo.» - The New York Times Reviews of Booksrn«St Aubyn è uno dei più grandi prosatori di lingua inglese.» - Alice SeboldrnSei mesi di vita. Sei mesi soltanto in questo mondo per Charlie Fairburn, sceneggiatore cinematografico di Alieni dal cuore umano, film visto da ben cinquantatré milioni di persone. Quando ha pronunciato la sentenza, il medico ha abbozzato un sorriso pieno di indulgenza, poi, con la sua costosa penna nera, ha prescritto il palliativo: prozac.rnNessuna pillola, iniezione, nessun libro consolatorio o colloquio con qualche cappellano militare possono però lenire i tormenti di Charlie Fairburn. In effetti, che cosa può fare un uomo in simili circostanze se non pensare ossessivamente alla sua morte? E che cosa può fare uno scrittore se non scrivere di questa sua ossessione e smettere di narrare di Ted, Carol, Bob o Alice?rnCharlie Fairburn parte cosí per New York a illustrare al suo agente l’idea della sua ultima opera: un romanzo sulla morte, anzi che abbia al centro l’io davanti alla morte, un io senza orpelli, un io che sia come una colonna butterata che si erge solitaria tra le rovine. L’agente, che si vanta di non essere una spalla su cui piangere, bolla come deprimente l’idea e, ficcandosi in bocca una forchettata gocciolante di spaghetti alle vongole, sbotta: «Fanculo la morte!».rnA Charlie Fairburn non resta perciò che liberarsi di ogni legame su questa terra e uscire di scena nella maniera più limpida e pura. Vende la villetta rosa con i cancelli bianchi comprata a St Tropez e, col denaro raccattato, decide di andare a Montecarlo a buttarlo ai pesci nelle Salles des Jeux, in un magnifico declino a cinque stelle.rnUna via d’uscita impeccabile, se Charlie non si imbattesse un giorno in Angelique, una giovane donna con gli occhi a mandorla che lanciano scintille verdi. -
L'onore sopra ogni cosa
James Burton, noto e stimato argentiere di Philadelphia, ha una benda nera che gli copre l'occhio sinistro. Nei salotti buoni della città le donne sussurrano che sia rimasto sfregiato durante un duello. Negli anni ha imparato a nascondere molti segreti. Nato in una grande casa coloniale nel Sud della Virginia, dall'unione illegittima tra Belle, una schiava mulatta, e Marshall Pyke, il giovane padrone della piantagione, James un giorno è stato accecato dall'ira e dalla disperazione. Ha impugnato un'arma e ha fatto fuoco contro Marshall, suo padre, che aveva deciso di venderlo come schiavo. La fuga, senza rivolgere la parola a nessuno per il timore di essere scoperto, è durata a lungo. Fino al giorno in cui Jamie Pyke è diventato James Burton, gentiluomo di Filadelfia, invitato ai ricevimenti dell'aristocrazia della città, poiché ne conosce diligentemente le regole e poiché è un uomo attraente e di bell'aspetto, capace di conquistare il cuore di Caroline, la figlia del cinico Mr Cardon, un ricco esponente dell'industria del taglio e del trasporto del legno in Pennsylvania. Vent'anni per lasciarsi alle spalle il passato e raggiungere una certa sicurezza. Ora però la paura, che non lo ha mai abbandonato, sta tornando a farsi sentire. Henry, un uomo di colore con cui ha esattamente da vent'anni un debito d'onore, ha bussato alla sua porta e gli ha chiesto di aiutarlo a ritrovare suo figlio, finito in mano ai negrieri. -
La fonte sacra
"'La fonte sacra' è il solo romanzo lungo in cui James si serve di una voce narrante in prima persona [...]. Leon Edel ha riassunto in due righe la trama del romanzo: 'un acuto e ipersensibile osservatore passa un fine settimana in una casa di campagna studiando ciò che ritiene essere il modo in cui due coppie si svuotano a vicenda'. La 'sacra fonte' che dà il titolo al libro è quella da cui ciascuno dei quattro, secondo il narratore, attinge vita, intelligenza e giovinezza, che passa poi all'altro, alternativamente svuotandosi e riempiendosi. Ciò che - attraverso una fitta trama di ipotesi e di smentite, di indizi e di controprove, che fanno assomigliare il romanzo a una detective-story senza delitto - il narratore si studia di comprendere è da quale donna - da quale fonte - Gilbert Long, notoriamente sciocco, ha tratto improvvisamente la sua intelligenza e bevendo a quale sorgente la quarantenne signora Brissenden ha riacquistato la giovinezza che suo marito, anagraficamente più giovane, ha invece perduto [...]. Nessuna delle risposte che di volta in volta egli crede di dover dare - Lady John, May Server, forse la stessa signora Brissenden - trova conferma [...]. La fonte sacra è, in questo senso, l'esperimento supremo dell'arte di Henry James [...]: ciò che alla fine il narratore - e con lui il lettore - contempla è un'ispirazione pura e senza oggetto, una Musa senza volto e senza nome."""" (dalla prefazione di Giorgio Agamben)" -
Il libro degli amici
Da Alberto Moravia a Elsa Morante. da Sandro Penna a Italo Calvino, da Francesca Sanvitale a Elsa de Giorgi, tutti i maggiori esponenti della Roma letteraria del secondo Novecento convergono in queste pagine a mostrare la bellezza di anni irripetibili in cui vita e letteratura erano tutt'unornIl folto gruppo di prosatori e di poeti che abitano le pagine di questo libro - da Elsa Morante ad Amelia Rosselli, da Aldo Palazzeschi ad Alberto Moravia, da Paola Masino a Paolo Volponi, da Dario Bellezza a Rodolfo Wilcock, e tanti altri fra musicisti, pittori, attori, registi, galleristi - sono gli amici di cui l'autore, fra amabile e ironico, fra malinconico e divertito, racconta le giornate e gli incontri. Fanno parte di una società che include e accoglie i ""chiamati"""" e gli """"eletti"""", la cui singolarità consiste soprattutto nella certezza di un'appartenenza difficile, ma instancabilmente cercata. Fra loro hanno la meglio la confidenza e gli umori, la reciproca attenzione e la non infrequente spietatezza. E non s'aggirano sulle terrazze romane inventate dal cinema e suggerite dalle cronache, ma nel recinto della familiarità e degli affetti. Siamo negli anni che vanno dalla metà degli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta, quando Roma va esaurendo gli entusiasmi succeduti alla Ricostruzione e resistiti alla Prima Repubblica. Sono gli anni in cui la città pullula di cinema d'essai e di teatri d'avanguardia, di librerie affollate e dove, nelle strade e nelle piazze del Centro, ancora è dato godere di vasti silenzi e di straordinarie apparizioni: De Chirico sulla porta del Caffè Greco, i Torlonia a cavallo che scendono da Villa Borghese, Fellini che traversa piazza di Spagna, Ingrid Bergmann che scivola via sui lunghi piedi. Non è assente in queste pagine il dolore: la morte di Pasolini, più tardi il suicidio della Rosselli, e un'altra Roma annientata dal rumore. Non è la nostalgia a muovere la narrazione, né l'elogio di un tempo ormai remoto; piuttosto il bisogno di consegnare una piccola testimonianza di un periodo d'oro."" -
Ingrossare le schiere celesti
Gus ha più di cinquant'anni e del mondo conosce soltanto i campi della sua isolata fattoria tra i monti, il bosco limitrofo e il paese di Pont-de-Montvert, nel sud della Francia, in cui saltuariamente è costretto a scendere per fare compere e commerciare. È un uomo schivo, diffidente, di poche parole: tutto ciò che gli interessa è continuare la propria vita senza essere disturbato, tra i suoi animali e la natura circostante, fino alla fine dei suoi giorni. Come unica compagnia, oltre all'amato cane Mars, ha Abel, il vicino, di vent'anni più vecchio, con il quale condivide le serate tra bicchieri di vino e reciproci racconti. Un giorno, mentre sta cacciando con Mars, sente dei colpi d'arma da fuoco e delle grida provenire dalla tenuta di Abel. Si precipita dal vicino e si trova davanti un luogo apparentemente abbandonato e tranquillo. Di Abel nessuna traccia. Sulla neve vicino al recinto brillano però inquietanti macchie rossastre. L'indomani, quando si imbatte finalmente nell'amico, Gus è sorpreso dal suo atteggiamento ostile. Le spiegazioni di Abel trasudano l'odore acre della menzogna. Ha sparato al proprio cane, dice, scambiandolo per una volpe, e non ha altro da aggiungere. Parole ambigue, che sono soltanto il preludio di una serie di avvenimenti oscuri. Di lì a poco, infatti, Mars viene ritrovato al margine del bosco, in apparenza ferito orrendamente da un animale più grosso, ma con accanto al corpo delle tracce confuse e il portachiavi di una Volkswagen... -
Genio ribelle. Arte e vita di Wyndham Lewis
Nella Londra novecentesca fra le due guerre, una strana figura d'artista fa il vuoto intorno a sé. Si chiama Wyndham Lewis e ha fondato una rivista che non ha collaboratori ed espone un unico pensiero: il suo.rn«È stato umo dei pochi uomini di lettere della mia generazione che definirei uomini di genio. Ne è stato il più stilista di prosa, forse l'unico ad aver inventato un nuovo stile.» - T.S. Eliotrn«Un uomo della sua intelligenza è ineluttabilmente destinato a scontrarsi, a opporsi e a battersi. Non puoi essere così intelligente, in quel modo, senza essere preda delle furie.» - Ezra Poundrnrn«Aveva una faccia che mi ricordava il muso di una rana. Sotto il cappello nero gli occhi erano quelli di uno stupratore a cui è andata buca.» - Ernest Hemingwayrn«Wyndham Lewis, nel migliore dei casi un uomo bilioso e intrattabile.» - Leonard WoolfrnWyndham Lewis ha dato alla sua rivista il titolo «The Enemy», ""Il Nemico"""", ed è quello che lui vuole essere, un fuorilegge solitario e un proscritto rispetto allo establishment e alle mode del suo tempo. Il risultato sarà l'ostracismo in patria e all'estero destinato a trasformarlo in un oggetto misterioso e in un soggetto infrequentabile. Già volontario nella Prima guerra mondiale, un'esperienza da cui trarrà olii e disegni che lo pongono al vertice della pittura inglese in materia, negli anni Venti Lewis cerca una nuova strada che superi il puro astrattismo e il romanzo psicologico. Egotista e collerico, amico e rivale di Pound come di Eliot e di Joyce, acerrimo nemico del """"gruppo di Bloomsbury"""", con «The Apes of God», """"Le scimmie di Dio"""", scrive la più devastante satira di un mondo intellettuale dove dilettantismo e giovanilismo si danno la mano per dar vita alla figura del """"sempliciotto rivoluzionario"""", l'eterno bambino che gioca con il fuoco della rivoluzione, pensa che il nuovo sia sempre un progresso e essere alla moda una condizione dello spirito. Divenuto il più grande ritrattista della sua generazione, gli anni Trenta lo vedranno ingaggiare, sempre in perfetta solitudine, una battaglia contro i """"compagni di strada"""" e la sinistra intellettuale inglese che flirta con il bolscevismo sovietico. In esilio volontario in Canada durante la Seconda guerra mondiale, Lewis tornerà in seguito in patria riprendendo la sua posizione di outsider e di proscritto rispetto all'ordine costituito. Come critico d'arte sarà il primo a intuire il genio di Francis Bacon, ma, ironia del destino per chi come lui aveva fatto dell'""""Occhio"""" la sua ragione estetica, trascorrerà l'ultimo decennio della sua vita nella più completa cecità."" -
Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica
Una riflessione importante e quanto mai necessaria sul mito del progresso«Indubbiamente il suo capolavoro» – Jean-Claude Michéa (I misteri della sinistra)«Un libro ricco e affascinante, che presenta un panorama di storia delle idee poco familiare al lettore italiano.» – L'Indice""Come può accadere che delle persone serie continuino a credere nel progresso, malgrado le importanti confutazioni che parevano aver liquidato una volta per tutte la validità di questa idea?"""" Muovendo da questo interrogativo, Christopher Lasch dà avvio in questo libro - vera e propria pietra miliare di ogni pensiero critico della modernità - a un'affascinante ricostruzione storica, filosofica, sociologica dell'idea di progresso, ultima fede, autentica religione secolarizzata dell'occidente. Il libro parte dall'interpretazione largamente accettata secondo la quale l'idea di progresso rappresenterebbe la versione secolarizzata della fede cristiana nella provvidenza. Opponendosi, infatti, al mondo antico e alla sua visione ciclica della storia, e rivendicando all'opposto una direzione di quest'ultima - dalla caduta dell'uomo alla sua definitiva redenzione -, la cristianità avrebbe permesso all'occidente di concepire la storia come un """"processo generalmente in moto verso l'alto"""". Per Lasch, tuttavia, nel ventesimo secolo quest'idea del progresso basata sul pensiero di una """"finalità"""" della storia, sulla speranza in un qualche stato finale di perfezione terrena, diventa """"la più morta delle idee morte"""", spazzata via dal fallimento dei totalitarismi e di ogni considerazione utopistica del futuro. Nel secolo scorso si mostra, infatti, in ambito soprattutto anglosassone, l'estrema secolarizzazione della fede nel progresso. La sua idea viene separata dalla città celeste e riportata sulla terra, e la fede nel progresso diventa fede nel """"progresso tecnologico"""" e nell'estensione del benessere materiale, dell'abbondanza e del consumo. E allora anche che ogni critica del progresso viene bollata come una faccenda di oscurantisti, chiacchiera di tutti coloro che """"si rifugiano nella devozione, nell'estetica e nel mito"""". Il risultato è che questa cieca fede nel progresso appartiene oggi in egual misura tanto alla destra che propone di mantenere il nostro standard di vita smodato a spese del resto del mondo e delle nostre stesse minoranze, quanto alla sinistra che pensa, invece, di estendere gli standard di vita occidentali al resto del mondo. Un programma suicida, per Lasch, perché nel primo caso approfondirà il solco che separa le nazioni povere da quelle ricche e genererà moti di ribellione e terrorismo sempre più violenti contro l'occidente; e, nel secondo, porterà ancora più rapidamente all'esaurimento di risorse non rinnovabili, all'inquinamento irreversibile dell'atmosfera terrestre e alla distruzione del sistema ecologico da cui dipende la vita dell'uomo. Tutto ciò rende urgente, per Lasch, la costruzione di un punto di vista radicalmente nuovo che tagli corto sia con la convinzione che il nostro standard di vita sia destinato a un costante miglioramento, sia con l'altra faccia dell'ideologia del progresso: quella struggente nostalgia che essa produce per la semplicità passata, per le comunità del """"mondo che abbiamo perduto""""."" -
Il senso della mia vita
«Penso di non avere abbastanza vita davanti a me per scrivere un'altra autobiografia». Realizzata da Jean Faucher per Radio Canada nel 1980, pochi mesi prima che Romain Gary ponesse fine alla sua vita, la conversazione, che costituisce il contenuto di queste pagine, è un documento per tutti coloro che amano la figura e l'opera dell'autore della ""Vita davanti a sé"""". Gary non soltanto rivolge a Faucher osservazioni che, come quella indicata, stringono il cuore, ma rivela ambizioni, speranze, successi e umiliazioni che hanno caratterizzato la sua esistenza. Rivelazioni condotte, naturalmente, alla sua maniera, con una spontanea mescolanza di struggenti confessioni – come quella che concerne le ragioni del divorzio da Jean Seberg – e di gustosi aneddoti sulla sua giovinezza, trascorsa peregrinando in paesi diversi – Russia, Polonia, Lituania – fino ad approdare alla terra promessa, la Francia, l'incarnazione stessa della grandezza, della bellezza, della giustizia agli occhi di sua madre, intrepida francofila, com'era tradizione tra i russi nati nel XIX secolo. Una vita movimentata e pittoresca, degna del più stravagante dei romanzi. Una vita che da """"Educazione europea"""" fino agli """"Aquiloni"""", l'ultimo commovente romanzo, estremo omaggio alla grandezza e alla fragilità dell'amore, racchiude l'avventura esistenziale e letteraria di uno dei grandi scrittori del Novecento."" -
Il vino dei morti
Il vino dei morti, tuttavia, «contiene in sé già tutti i romanzi di Gary», poiché anticipa largamente i tratti fondamentali del mondo narrativo dello scrittore che vinse due volte il Goncourt. rn«Romanzo dell'angoscia e dell'assurdo, del rovesciamento carnevalesco tra alto e basso, Il vino dei morti si colloca allegramente all'interno di una tradizione corrosiva e irriverente che mescola espressionismo tedesco e surrealismo francese, il grottesco di Gogol e la libertà linguistica di Céline, Jarry e Rablais, gli incubi di Poe e la cultura yiddish, la versione macabra delle meraviglie di Carroll e l'humour nero caro a Breton» - Fabio Gambaro, Robisonrn«Uno dei più immaginifici inventori di storie e di se stesso è stato Romain Gary». - Wlodek Goldkorn, l’EspressoA lungo inedito e pubblicato per ultimo solo nel 2014, quando venne ritrovato da Philippe Brenot che ne ha curato l'edizione francese, ""Il vino dei morti"""" è la prima opera di Romain Gary. Il grande scrittore di origine lituana, di recente celebrato in Francia con l'ingresso della sua opera nella Pléiade, la scrisse nel 1937, quando aveva appena diciannove anni, nella sua stanza di studente in rue Rollin, a Parigi. Il romanzo narra della fuga dagli inferi del giovane Tulipe, tra un sabba di tombe, loculi, bare e morti che, come scrive Riccardo Fedriga nella postfazione alla presente edizione, «paiono gli inquilini bislacchi di un cimitero simile a una casa popolare di Belleville», come quella di Madame Rosa nella """"Vita davanti a sé"""", il romanzo che Gary firmò con lo pseudonimo di Émile Ajar. Di certo, il suo giovane protagonista ha molto in comune con il giovane Romain che, negli anni Trenta, viveva con la madre a Nizza, nella pensione Mermonts in cui si aggiravano ospiti altrettanto bislacchi, o con il Gary studente e """"immigrato"""" a Parigi, che nell'ebbrezza del vino cercava il balsamo alle sue prime pene d'amore. """"Il vino dei morti"""", tuttavia, «contiene in sé già tutti i romanzi di Gary», poiché anticipa largamente i tratti fondamentali del mondo narrativo dello scrittore che vinse due volte il Goncourt. Il sottile umorismo, innanzi tutto, che nelle sue pagine genera una esilarante galleria di personaggi: dal portaborse di un ministro importante al redattore del ministero delle Belle Arti, dal cantante russo di un coro cosacco al masturbatore seriale, al prete che non crede ai miracoli. Infine, il carattere disperato e grottesco, picaresco e ridanciano, insieme, della narrazione. Una proprietà inconfondibile del libro che, in un passo dell'opera postuma """"Vita e morte di Émile Ajar"""" (1981), farà dire a Gary stesso: «Tutto Ajar è già in Tulipe»."" -
Il disertore
«La storia di Walter Proska, soldato della Wehrmacht che nell'ultima estate della Seconda guerra mondiale si unisce ai partigiani polacchi e all'Armata rossa, è un contributo prezioso alla letteratura del dopoguerra» - La Repubblicarnrn«Colpisce la forte tensione narrativa che afferra mente e cuore dei personaggi nel ritmo incalzante della lotta per la vita» - Luigi Forte, La Stamparnrn«Lenz si colloca tra gli autori che hanno sentito il dovere di aiutare il popolo tedesco a pagare i debiti enormi di cui s'erano caricati insieme al loro onorato Führer» - Messaggero Venetornrn«Applausi, allori e onori all'autore che scrivendo compie miracoli» - La StamparnrnScritto nel 1952, Il disertore ha dovuto attendere 64 anni prima di venire alla luce in Germania. Ritrovato tra le carte di Siegfried Lenz dopo la morte dello scrittore, pubblicato perciò postumo dall’editore Hoffmann und Campe, il romanzo ha suscitato una eco enorme, riaccendendo il dibattito attorno alle colpe e alle rimozioni della Germania negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale. Lenz che, poco prima della fine del conflitto, aveva disertato ed era riparato in Danimarca, fu costretto, nel 1952, a riporlo nel cassetto dopo che il suo editore del tempo, un ex membro delle SS, si rifiutò di pubblicarlo.rnArricchito da amare riflessioni sulla Germania, sulla patria e sulla guerra, l’opera è un romanzo intenso e fortemente pacifista cui non è certamente estranea l’esperienza di prigioniero di guerra di Lenz in un campo dello Schleswig-Holstein.rnWalter Proska, giovane soldato tedesco proveniente dalla Masuria, scampato a un attentato delle forze partigiane a un treno di trasporto delle truppe diretto a Kiev, si ritrova, nell’ultima estate della Seconda guerra mondiale, a «Waldesruh», un forte che non ha nulla della pace silvestre che promette il suo nome. La foresta, infestata da mosche e zanzare, pullula di partigiani armati e il caldo è asfissiante.rnTra quelle anguste mura, i soldati reagiscono ognuno a modo suo. Il sottufficiale Willi Stehauf elargisce sigarette, acquavite e sapone; Zwiczosbirski, «Gamba», intraprende una battaglia persa contro un enorme luccio; Ferdinand Ellerbrok, «Tonto», un trasandato ex artista di circo, cerca di addestrare una gallina; Wolfgang Kürschner, «Pan di latte», scrive lunghe lettere in cui discetta in modo grave e approfondito di morte e di conforto. E Proska si pone domande sempre piú pressanti: che cosa è piú importante, il dovere o la coscienza?rnChi è il vero nemico? Si può agire senza rendersi colpevoli? E dove è finita la bella Wanda, la ragazza dai capelli rossi lucenti come seta e gli occhi turchesi scesa dal treno poco prima che saltasse in aria?rnRomanzo che narra di un giovane uomo posto dalle circostanze della storia dinanzi alla piú ardua delle decisioni – scegliere tra la cieca appartenenza alla propria terra e il proprio sentimento della giustizia – Il disertore si segnala come una delle opere piú rilevanti sugli anni che sconvolsero l’Europa e il mondo. -
La compagnia delle anime finte
Finalista al Premio Strega 2017rnPresentato da Paolo Di Stefano e Silvio PerrellarnFinalista alla XLIX edizione del Premio Vitaliano Brancati, categoria Narrativarnrn«La compagnia delle anime finte di Wanda Marasco è un valzer senza musica con la vita. Per ballare hai bisogno dei ricordi, dei passi perduti che ti tornano in mente. Rosa guarda. Forse impara.» - Carlo Baroni, Corriere della SerarnrnDalla collina di Capodimonte, la «Posillipo povera», Rosa guarda Napoli e parla al corpo dirnVincenzina, la madre morta.rnLe parla per riparare al guasto che le ha uniternoltre il legame di sangue e ha marchiato irrimediabilmenternla vita di entrambe.rnImmergendosi «nelle viscere di un purgatoriornpubblico e privato», Rosa rivive la storiarndi sua madre: l’infanzia povera in un’aridarncampagna alle porte della città; l’incontro, trarnle macerie del dopoguerra, con Rafele, il suornfuturo padre, erede di un casato recluso nellarncupa vastità di un grande appartamento in viarnDuomo; il prestito a usura praticato nel formicolanternintrico dei vicoli, dove il rumore deirnmercati e della violenza sembra appartenere arnun furore cosmico.rnÈ una narrazione di soprusi subìti e inferti,rndi fragilità e di ferocia. Ed è la messinscenarncorale di molte altre storie, di «anime finte»rnche popolano i vicoli e, come attori di un medesimorndramma, entrano sulla ribalta dellarnmemoria: Annarella, amica e demone dell’infanziarne dell’adolescenza, Emilia, la ragazzinarnche «ride a scroscio» e torna un giorno dalrnbosco con le gambe insanguinate, il maestrornNunziata, utopico e incandescente, Mariomaria,rn«la creatura che ha dentro di sé una preghierarnrovesciata», Iolanda, la sorella «bella ernstupetiata»…rn«Anime finte» che, nelle profondità ipogee dirnuna città millenaria, attendono, come Vincenzinarne come la stessa Rosa, una riparazione.rnArriverà, sorprendente e inaspettata, nelle paginernfinali del libro ad accomunare madre ernfiglia in un medesimo destino.rnDopo l’acclamato Il genio dell’abbandono, WandarnMarasco torna a raccontare Napoli e i segretirndella sua commedia umana con un romanzorndalla lingua potente e poetica, cosí materica ernallo stesso tempo cosí indomitamente sottile. -
Malgrado tutto, direi che questa vita è stata bella
Con una prosa ironica, ammiccante e fantasiosa, Jean d’Ormesson si svela al lettore attraverso un resoconto autentico e appassionante della sua vita. Un resoconto in cui i ricordi, i rimpianti e i sogni mai realizzati di un grande scrittore si fondono insieme senza nostalgia né patetismi, per offrire il ritratto a tutto tondo di un secolo e di un’intera nazione.rnrn«Fin dalle prime righe, la penna è vigile e ironica. In questo viaggio della memoria, la gioventù rimane eterna, imperiosa, insolente» - Atlanticornrn«Una prova grandiosa: brillante, allegra, scritta da un autore amato da tutti» - rnla Croixrnrn«Un libro che mette in scena l’avventura che è stata la lunga vita dello scrittore. Un invito a essere felici» - rnLa viernrnrnSi può ricostruire la propria vita come se si trattasse di un processo il cui giudice altri non è che il proprio Super-Io?rnIn un serrato, folle e avvincente dialogo con se stesso Jean d’Ormesson ripercorre le tappe salienti della sua esistenza, iniziata tra la fine della Prima guerra mondiale e la grande crisi.rnIncalzato da un Super-Io severo, benevolo e a tratti spietatamente ironico, d’Ormesson parla dei primi viaggi al seguito del padre diplomatico: inizialmente in Baviera, dove impara a parlare tedesco prima di parlare francese, poi in Romania e in Brasile, fino al rientro in Francia nel castello di famiglia. Casato appartenente alla casta irrequieta e orgogliosa della nobiltà di toga, i d’Ormesson danno poca importanza al denaro, ma questo non impedisce al piccolo Jean di crescere circondato da autisti, cuochi, maggiordomi e cameriere, perché vi sono pur sempre gli obblighi imposti dal rango sociale.rnIl lignaggio impone un codice di comportamento al quale è fuori questione non sottomettersi: si indossa lo smoking, la marsina, il frac e il cappello a cilindro; sono rigorosamente bandite espressioni come «caspita!», «piacere di rivederla», «buon appetito!» o «buon proseguimento », mentre «dopo cena» è preferibile a «le ventidue», riservata ai ferrovieri.rnTra governanti inflessibili che lo sculacciano con la spazzola per capelli, autisti che lo scorrazzano per boschi e sagre di paese e zii che gli trasmettono l’amore per la letteratura, Jean cresce come un grande sognatore e un instancabile lettore che legge tutto quello che gli capita tra le mani: i manifesti sui muri, le ricette dei medici, i volantini per strada, da bambino, e Oscar Wilde e Bergson da ragazzo.rnPur riconoscendo di essere nato con una camicia di finissima seta, circondato di privilegi, d’Ormesson è però, soprattutto, figlio del suo tempo, un tempo dominato dal nazionalsocialismo di Hitler e da una guerra che, con i suoi campi di concentramento, i bombardamenti a tappeto, il nucleare, le bugie e i delitti diventa pane quotidiano di una realtà a cui è impossibile sfuggire. -
Finché notte non sia più
All'alba di un nuovo anno, Caterina giunge in Francia dove sua zia Liliana si è stabilita dopo il fatale incontro con un turista francese. Nel borgo, antico come un aratro, sembra che il tempo non calchi mai la mano: campi coltivati a orzo, frutteti per trarvi conserve e marmellate, forni a legna dove cuocere il pane dal sapore acidulo del lievito madre, tutto sembra ubbidire a un placido scorrere degli anni e delle ore. Capelli biondo ruggine e, dipinta sul volto, la bellezza senza compromessi della gioventù, Caterina ha lasciato Roma, con i suoi androni scrostati e le strade chiassose, per sfuggire all'abbraccio soffocante di sua madre e trovare la propria via nel mondo. Conclusi gli studi, ha raggiunto zia Liliana con la prospettiva di un lavoro in un poliambulatorio e l'idea di dare una mano nella conduzione del Liliane Coiffure, un lindo salone di parrucchiera dalle poltroncine viola che la zia ha aperto in quel borgo nel sud della Francia. Un giorno capita nel salone un vecchio signore con una massa scompigliata di capelli e una mano tremante abbandonata lungo la gamba. Si è ferito alla fronte nel tentativo di accorciarsi da solo i capelli, ed è in imbarazzo tra quelle poltroncine viola, i vasi di ranuncoli e le riviste di moda impilate negli angoli. Fuggirebbe, se non fosse per l'accoglienza che gli riserva Caterina, che si prende subito cura di lui. Come due anime che si sfiorano e si riconoscono, Caterina e Delio, il vecchio signore, comprendono all'istante che il filo del destino li unisce. La sera stessa la ragazza riempie una valigia e si stabilisce nel casolare accanto alla casa di Delio. Il vecchio vive solo, circondato da una terra dura, con malerbe che crescono ovunque e cumuli di sterpaglie affastellati lungo i camminamenti dell'orto, quell'orto che sua moglie Teresa coltivava con cura prima che la malattia se la portasse via. Caterina non tarda a capire che un'altra mancanza grava sul cuore malandato del vecchio: Daniele, il figlio che la foto sulla credenza raffigura come un giovane uomo prestante, coi capelli un po' lunghi e un'aria sfrontata, è assente da casa da più di quattro anni. In paese, dove tutti parlano di lui e qualche ragazza lo nomina con il rimpianto di una ex innamorata, si sussurra che una grave offesa l'abbia spinto a rifiutare ogni contatto col padre. Quando, però, dopo una caduta, Delio cede alla vecchiaia e si mette a letto col volto scavato dalla stanchezza della vita, Daniele compare sull'uscio di casa. E Caterina, tormentandosi una ciocca di capelli, lo accoglie con un sorriso di disagio, il cuore impazzito. -
Vita da editore
«Lei non vorrà dirmi che io sono un editore, sic et simpliciter, che prende un autore e lo stampa. Io sono uno sfruttatore degli autori, nel senso morale, accanitissimo». Così scriveva Neri Pozza in una lettera a Eugenio Ferdinando Palmieri che gli aveva spedito una sua raccolta di poesie. E non vi è forse definizione migliore di questa - «uno sfruttatore degli autori, nel senso morale, accanitissimo» - per dare ragione della complessa e affascinante figura di Neri Pozza editore. Colui che nel 1946 fondò a Venezia la casa editrice che porta tuttora il suo nome, lo scopritore di Goffredo Parise che ebbe modo di riunire attorno alla sua creatura i maggiori scrittori, poeti e saggisti del suo tempo (da Gadda a Buzzati, da Montale a Bontempelli, da Diano a Bettini), era un editore particolare che... ""cercava di sfruttare in senso morale"""" i suoi autori. Pozza chiarì il senso di questa sua definizione in un'altra lettera - indirizzata a Primo Mazzolari, il prete partigiano - in cui scrisse: «L'autore deve temere solo di uscire dalla verità». Il carattere morale del lavoro editoriale era, infatti, ai suoi occhi nient'altro che questo: evitare che un autore esca dalla verità, e tradisca in tal modo l'onestà, la sincerità, la «necessità della sua stessa storia di scrittore». Per tener fede a questa idea, Pozza, come dimostra questa raccolta di scritti che riassume esemplarmente la sua attività di editore, non esitò a entrare in competizione coi suoi autori, a rimproverare, stimolare, emendare, suggerire «da artista ad artista», come osò scrivere a Dino Buzzati, mentre l'autore del """"Deserto dei Tartari"""" componeva per la casa editrice """"In quel preciso momento"""". Divisa in tre sezioni, questa raccolta offre una ricognizione critica delle principali collane create da Pozza; mostra una galleria di venticinque ritratti, o storie di autori e collaboratori, con i quali Pozza intrattenne rapporti di lavoro e di amicizia: dall'ebreo Jacchia, suo primo modello di editore, a Antonio Barolini, suo primo autore; da Vittore Gualandi, il suo tipografo preferito, a scrittori e poeti come Bontempelli, Alvaro, Buzzati e Parise, passando per saggisti quali Camerino, Izzo, Magagnato e Baratto; e presenta, infine, un'antologia di lettere in cui compaiono più esplicitamente le idee e i gusti letterari di uno dei maggiori protagonisti della cultura del Novecento.""