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Invito a cena
Undici storie mirabilmente collegate tra di loro, molte delle quali pubblicate per la prima volta su The New Yorker, emozionanti, originali e comiche, che fotografano momenti di svolta, in positivo e negativo, dell’uomo e della donna di oggirn«Traboccante, divertente, intelligente e dinamico. Ferris è un candidato assolutamente degno per il Booker Prize o per qualsiasi altro importante premio.» - Janet Maslin, New York Timesrnrn«È un piacere osservare come questo scrittore spazi, con abilità, dai registri ampiamente giocosi della commedia a un’autentica profondità spirituale.» - Wall Street Journalrnrnrn«Il sentimento della vita di Ferris appare tragico, ma lo scrittore riesce a vederne gli elementi buffi e ironici: la possibile salvezza dalla disperazione è affidata proprio al mistero che ci sorprende ogni giorno, consentendoci di ridere delle nostre miserie» – Antonio Monda, Robinsonrnrn«I protagonisti di questi racconti in bilico tra commedia e tragedia, illuminati da dialoghi corrosivi, svolte inattese ed epifanie, tendono a dividersi tra giovani di moderato successo che non hanno capito niente, tipi scialbi che si compiacciono delle proprie limitazioni e insoddisfatti cronici, convinti che gli altri stiano sempre meglio di loro» – La LetturarnrnLe moderne tribolazioni del matrimonio, l’ambizione e la paura di cadere in tentazione, la solitudine e il tentativo di superare il proprio isolamento, l’amore vissuto sognato o mai nato. Tutte esplorate attraverso la prosa dinamica e la feroce satira che hanno reso Ferris uno dei più acclamati romanzieri dei giorni nostri. Ognuna di queste storie si addentra nelle incomprensioni, spesso esilaranti, che accadono tra gli sconosciuti e gli amanti, e che trasformano le vite ordinarie in vite straordinarie. Ferris mostra a quali lunghezze viviamo per comprendere il significato umano dal nostro tempo sulla terra, uno sforzo sempre più disperato nella direzione della redenzione. -
Il figlio prediletto
Candidato al Premio Strega 2018rnDue storie di resistenza e ribellione ai pregiudizi magistralmente intrecciate tra la Calabria e l’Inghilterra degli anni Settanta e dei giorni nostri.rnUn romanzo intenso, commovente, di feroce malinconia.rn«C'è un filo che lega Annina allo zio Nunzio, scomparso dalla memoria famigliare per la colpa di essere omosessuale. E dai codici nella 'ndrina cerca di fuggire la ragazza. Romanzo su un Mezzogiorno arcaico dove la speranza non muore mai» - Robinson, La RepubblicarnrnÈ una sera di giugno del 1970 in un piccolo paese della Calabria, Nunzio e Antonio hanno vent’anni e si amano, in segreto, da due mesi. Il loro amore si consuma dentro la vecchia Fiat del padre di Antonio, parcheggiata in uno spiazzo abbandonato. Ma, proprio quella notte d’estate, tre uomini incappucciati e armati trascinano Antonio fuori dall’auto, colpendolo fino a quando il giovane non giace a faccia in giù e a braccia aperte, come un Cristo in croce.rnTre giorni dopo Nunzio Lo Cascio sparisce dal paese, messo su un treno che da Reggio Calabria lo conduce lontano, a Londra. Il mondo, all’improvviso, gli ha mostrato il volto più feroce, quello di un padre e due fratelli che «gli hanno spezzato le ossa a una a una» per punirlo del suo “peccato”. Nulla sembra avere più senso per il ragazzo: la fiducia negli uomini, la speranza di un futuro, la sua stessa identità. Di lui rimane soltanto la foto del campionato del ’69, appesa nella pescheria dei genitori, che lo ritrae con tutta la squadra sul campo dopo la vittoria, promessa mancata del calcio.rnA interrogarsi sulla vita di Nunzio è anni dopo sua nipote Annina, che sente di avere con quello zio mai conosciuto, di cui nessuno in famiglia parla volentieri, inspiegabili affinità. Anche Annina, sebbene in modo diverso, si trova a combattere con un padre violento e prevaricatore e con la stessa realtà chiusa del paese, in cui una ragazza non ha altre possibilità che essere una «femmina obbediente». E, come Nunzio, scoprirà la dolorosa necessità di riprendersi il mondo, ribellarsi ai pregiudizi e lottare per la propria libertà.rnRomanzo di feroce malinconia, capace di penetrare nelle pieghe più riposte dell’animo umano, e di fare emergere con forza la disperazione e la speranza, la paura e il desideriodi riscatto dei suoi personaggi, Il figlio prediletto è una splendida conferma del talento di Angela Nanetti. -
Il fosso
Con uno stile asciutto, veloce e schietto Koch mostra, con Il fosso, come un uomo che apparentemente ha avuto tutto, possa rapidamente restare impigliato nelle proprie paure, in una discesa sfrenata verso la disfatta.rnrn«Herman Koch, il più grande scrittore Olandese dal dopoguerra, mostra ancora una volta il motivo per cui viene considerato un maestro della suspense» - Humornrn«Il fosso è un altro grande romanzo» - Nrc handelsbladrnrn«Herman Koch sta rapidamente diventando uno dei miei scrittori preferiti» - Stephen Kingrnrn«Koch ha imparato il suo mestiere con perizia, senza sforzo. Raramente la promessa di un editore è stata così pienamente ripagata» - De volkskrantrnrn«il fosso è un’ode alla fantasia» - Het paroolrnrnQuando Robert Walter, popolare sindacorndi Amsterdam già al secondo mandato, vede la mogliernSylvia gettare la testa all’indietro in una risata,rnmentre sta chiacchierando con uno dei suoi assessori,rnun tizio insopportabilmente pedante, sospettarnsubito il peggio.rnNonostante un matrimonio lungo e felice, Robertrnè convinto che Sylvia si stia prendendo gioco di luirne che abbia un amante. Inizia quindi a osservarernogni movimento, ogni cambiamento d’umore e dirnabitudini della moglie, in un regime di paranoiarnche cresce di giorno in giorno.rnNel frattempo riceve una telefonata dal padre novantacinquennernche vuole lo accompagni, improvvisamente,rna scegliere la propria tomba al cimitero.rnIl desiderio di coinvolgere Robert in questa commissionernè il pretesto per una cruciale discussionernin cui Robert viene a sapere che entrambi i genitorirnhanno deciso di optare per il suicidio assistito: ilrnterrore del decadimento fisico definitivo, di doverrngravare su Robert e doversi affidare alle sue curernsembrano diventare la prospettiva più preoccupante,rnperfino della morte.rnQuando Robert rientra, stordito dalla rapidità conrncui gli eventi si susseguono in maniera asettica,rnriceve un altro colpo basso: una giornalista ha riesumato,rnin un servizio fotografico degli anni Sessanta,rnun fotogramma in cui si vedono tre ragazzi picchiarerna bastonate un poliziotto durante una manifestazionerncontro la guerra in Vietnam. L’uomornè rimasto invalido e qualcuno ha fatto trapelare larnnotizia che il giovane che imbraccia il bastone siarnproprio Robert. -
Un caffè alle mandorle
Vita e morte di Michele Sindona, faccendiere e criminale italiano, in un romanzo sulla mafia che, a più di cinquant’anni dalla pubblicazione del Giorno della civetta, trae spunto da avvenimenti realirnrnPalermo, il battaglione Sicilia. Alla fine del 1978 il trentenne capitano dei carabinieri Perego riceve la sua nuova assegnazione. Una sventura per Anna, la giovane moglie incinta, una straordinaria opportunità per il capitano… Palermo, una capitale di millenario prestigio, con squarci di bellezza mozzafiato. Certo, la città è diventata, stando ai rapporti interni all’Arma, un campo di battaglia tra l’ala moderata della mafia e belve come Riina e Provenzano, latitanti inafferrabili. Ma rinunciare al trasferimento equivarrebbe a un suicidio professionale. Perego sa, in realtà, poco di Palermo e della mafia, la sua conoscenza si ferma al Giorno della civetta, il film non il libro. Ma una volta giunto in città, gli basta poco – una visita al Charleston, il ristorante liberty dove Michele Greco dispensa sorrisi e dolcezze a una folla di questuanti, oppure una riunione in caserma in cui apprende che, per il capo della Procura, occuparsi troppo di mafia significa rovinare l’economia siciliana – per comprendere la natura di Cosa nostra in Sicilia. In una città pigra, dove la vita di Perego è allietata dalla nascita a Pavia di una figlia, due eventi, col trascorrere del tempo, sconvolgono l’esistenza del capitano: l’uccisione di un suo confidente e la morte di Boris Giuliano, colpito alle spalle mentre sorseggiava un caffè al bancone del bar Lux. L’inseguimento del filo rosso che lega la morte di Giuliano ai numerosi crimini che insanguinano Palermo agli inizi degli anni Ottanta conduce Perego a imbattersi nella figura di Michele Sindona, in fuga da New York e riparato in Sicilia, dove gode di palesi e oscure protezioni. È una caccia, però, che produce soltanto sconfitte e dolore per il capitano, che viene trasferito dapprima a Roma e poi a Pavia. A Pavia, tuttavia, un evento inaspettato lo conduce di nuovo nel cono d’ombra di Sindona, incarcerato a Voghera. Due giorni dopo la condanna all’ergastolo del discusso finanziere per l’assassinio di Ambrosoli, Perego apprende che alle 8.30 del 22 marzo 1986 Sindona è crollato esanime sul pavimento della sua cella dopo aver urlato: «Mi hanno avvelenato». Sul lavabo del bagno spiccava una tazza di caffè da cui si levava un acuto odore di mandorle, l’odore tipico del cianuro di potassio. Che l’Ammiraglio, l’Avvocato e il Presidente, gli oscuri e misteriosi referenti del faccendiere di Patti, abbiano a che fare con la sua morte? -
Mia cugina Rachele
Il film girato tra la Cornovaglia, Arezzo e Firenze è già un successo di pubblico in Inghilterra, Australia, Stati Uniti Diretto da Roger Michell celebre regista di Notting Hill.rnrn«Dalla prima pagina il lettore si ritrova nell’oscura e malinconica atmosfera di Rebecca, la prima moglie» - rnThe New York Timesrnrn«Un adattamento sontuoso che dona un nuovo sguardo al thriller gotico di Daphne du Maurier» - rnWall Street JournalrnrnCornovaglia, metà Ottocento. Philip Ashley è convinto di avere molti validi motivi per odiare Rachele, vedova dell’amato cugino Ambrose, venuto a mancare in circostanze poco chiare.rnQuando la bellissima e misteriosa Rachele lo raggiunge in Cornovaglia, tuttavia, Philip si scopre incapace di resistere al suo conturbante fascino. Ma chi è davvero Rachele? Una donna innamorata o un’arrampicatrice sociale che cerca soltanto di impadronirsi della sua ricchezza, come ha già fatto con il defunto marito?rnLa seduzione, l’amore avventato, il sospetto diventano i protagonisti di questo romanzo, in un crescendo d’inquietudine di cui Daphne du Maurier è maestra indiscussa. -
La figlia del boia e il diavolo di Bamberga
Un cupo giallo ambientato nel Seicento tedesco, che mostra, sullo sfondo, un cupo capitolo di violenza: il processo alle streghe di Bamberga.rnBaviera, 1668. Insieme alla figlia Magdalena e al genero Simon, il boia di Schongau, Jakob Kuisl, è in viaggio verso Bamberga per presenziare alle nozze del fratello Bartholomäus. Dinanzi a un guado del fiume Regniz, carrettieri e contadini, riuniti in semicerchio, osservano qualcosa. Incuriosita, Magdalena, si fa largo tra la folla: nella melma affiora il braccio destro mozzato di un uomo. Qualcuno mormora che nella foresta di Hauptsmoor si aggira un mostro, una creatura dalle sembianze demoniache venuta direttamente dall’inferno. Raggiunta Bamberga, la famiglia Kuisl resta sbigottita dallo stato di abbandono e degrado in cui versa la città: gli edifici hanno le finestre sprangate da assi, ad alcuni manca la porta e dove un tempo c’erano magnifici vetri soffiati ora si spalancano buchi neri. Arrivati a casa di Bartholomäus, Jakob Kuisl apprende dal fratello che un clima di inquisizione grava sulla città. Dopo il ritrovamento di un braccio mozzato e di una gamba rosicchiata dai topi alla deriva del fiume Regnitz, e alcune misteriose sparizioni, il panico regna. Gli abitanti di Bamberga credono che sia opera del demonio, soprattutto da quando una creatura irsuta è stata vista aggirarsi di notte tra i vicoli. Jakob Kuisl, da uomo illuminato quale è, si rifiuta di credere a una simile superstizione e, insieme alla figlia, decide di indagare sul caso; un caso curiosamente legato alle abitazioni in rovina, testimoni silenziose di un crimine violento, forse il più violento che quelle contrade abbiano mai visto: il processo alle streghe di Bamberga. -
Pseudo
Pseudo è uno straordinario libro sui meandri della creazione letteraria e, in virtù di questo, una delle maggiori opere dell'autorern«Pseudo è stato scritto come una beffa, ma è un vero capolavoro: divertente, commovente e del tutto assurdo, questo libro è diverso da tutto ciò che ho letto fino ad ora» - Maurice Samuels, Yale Universityrn«Un romanzo affascinante che è sia la storia selvaggia di un artista mentalmente sconvolto... sia un tour de force linguistico» - M. A. Orthoferrn«Con Pseudo... la prosa di Gary sembra approssimarsi a una vera e propria scrittura psicotica» - Pierre Bayardrn«Gary teorizza una vera e propria poetica del ""fare pseudo"""", cioè diventare un personaggio che non si appartiene mai, inafferabile, sempre altro sia a sé stesso sia da sé stesso» - Riccardo FedrigarnAll'inizio degli anni '70, dopo una brillante e prolifica carriera, Romain Gary ormai è considerato un romanziere finito. Si parla di lui solo per segnalare che un suo cugino alla lontana, Emile Ajar, ha scritto un romanzo innovativo e sconvolgente, «La vita davanti a sé», che vince il Goncourt nel '75. Ma Gary e Ajar sono, in realtà, la medesima persona. «Pseudo» è il racconto di questa incredibile trasformazione. O incarnazione. Romain Gary è così stato, grazie a una volontà di mistificazione ambigua (Gary e Ajar significano rispettivamente """"brucia!"""" e """"la brace"""" in russo), l'unico scrittore a ottenere due volte il Premio Goncourt, la prima volta con il suo pseudonimo usuale, per «Le radici del cielo» nel 1956, e la seconda volta con lo pseudonimo di Émile Ajar, per «La vita davanti a sé» nel 1975."" -
Il nervo ottico
Le vite dei più grandi artisti si offrono in queste pagine nei loro dettagli più bizzarri e a volte funesti. A narrarle è una guida turistica e critica d’arte di Buenos Aires, una giovane donna che nella loro bizzarria trova conforto alla propria balzana e, a volte, funesta esistenza.rnrn«Questo libro è assolutamente originale: un’opera meravigliosa, a volte delicata e altre volte brutale, e la protagonista è indimenticabile» - rnMariana EnriquezrnrnrnAlfred de Dreux ha sette anni quando, camminando per Siena con il suo padrino, si imbatte nel grande Géricault, il martire del romanticismo francese, in città per studiare le linee di Simone Martini. Il loro è «uno di quegli incontri che siglano alleanze e segnano destini», perché «il maestro» si rivela non solo pittore di scene epiche con zattere alla deriva, ma abile ritrattista di animali allo stato brado: cavalli, leoni, tigri. Soggetti capaci di colpire profondamente la mente del giovane Alfred che, anni dopo, verrà insignito da Napoleone del ruolo di «ritrattista ufficiale di cavalli». Toulouse-Lautrec non può evitare di fare costantemente i conti con la sua origine. La sua famiglia, aristocratica e reazionaria, discende in linea diretta da Luigi VI e suo padre, il conte Alphonse, indossa la cotta di maglia dei crociati e d’estate passeggia lungo le strade del paese in groppa al suo destriero, portandosi in spalla un falco a cui dà da bere acqua benedetta, per non privarlo dei benefici della religione.rnCándido López è convinto che per arrivare al cuore della realtà bisogna deformarla. Ignazio Manzoni, il suo maestro, legge in questa ostinata convinzione il segnale indiscutibile di un temperamento artistico, suggerendogli di andare in Europa. Ma quando il presidente Mitre dichiara guerra al Paraguay, Cándido López corre ad arruolarsi nel battaglione della Guardia Nazionale, guerra dalla quale tornerà con una mano amputata.rnTsuguharu Fujita, a ventisette anni, abbagliato dalle avanguardie europee, si imbarca sul Mishimaru diretto a Parigi. Il Mishimaru fa scalo a Londra e, poiché non distingue una città dall’altra, Fujita scende dalla nave, trovando immediatamente lavoro come sarto di abiti su misura per sir Gordon Selfridge.rnLe vite dei più grandi artisti si offrono in queste pagine nei loro dettagli più bizzarri e a volte funesti. A narrarle è una guida turistica e critica d’arte di Buenos Aires, una giovane donna che nella loro bizzarria trova conforto alla propria balzana e, a volte, funesta esistenza, in cui le capita di scarrozzare in giro per musei ricchi americani sotto piogge torrenziali, traslocare dalla casa di famiglia avvolta dalle fiamme, sfuggire a una nube di cenere larga due chilometri.rnOpera che ha inaugurato un nuovo genere letterario in cui romanzo, storia dell’arte e racconto intimo si compenetrano totalmente, Il nervo ottico è una vibrante rappresentazione dell’arte e della profonda connessione che instaura con ogni aspetto della vita. -
Antabus
Un romanzo crudo, potente, capace di raccontare le origini profonde degli abusi nei confronti delle donne e l'anima nera di una società fortemente intrisa di violenza e maschilismornrn""Quando non ci sono i problemi degli altri a distrarlo, l’essere umano muore a causa del proprio patimento""""rnrnFiglia unica di una famiglia trasferitasi a Istanbul per sfuggire alla povertà di un paese dell'entroterra, a quindici anni Leyla viene mandata a lavorare come cucitrice nel laboratorio del signor Hayri, un conoscente di suo zio della stessa età di suo padre. Al lavoro non tarda a scoprire che tutte le ragazze, prima di mettere piede nel laboratorio, si incipriano come pappagalli con dei belletti rossi e viola. Sono tutte innamorate di Ömer, il giovane sarto caposquadra. Leyla non può imbellettarsi poiché il padre le vieta di farlo. Ma in capo a qualche giorno si sorprende a svegliarsi mezz'ora prima degli altri, a spazzolarsi i capelli, prima da una parte poi dall'altra, a provarsi tutti i vestiti che possiede, poiché nel suo cuore non c'è altri che Ömer. Un giorno, però, il signor Hayri getta uno sguardo un po' troppo profondo là dove si è aperto un bottoncino della camicetta della ragazza. Leyla si porta subito una mano al petto, ma il signor Hayri le mette una mano sul collo e la trascina sotto un tavolo. Secondo le tacite leggi delle famiglie tradizionaliste in quel lembo di terra, alla ragazza non resta che piegarsi a un matrimonio riparatore con un conoscente dello zio, Remzi, un vedovo proprietario di un negozio di tessuti messo piuttosto bene quanto a soldi. Tra le mura domestiche, però, Remzi svela un volto persino peggiore di quello del signor Hayri. Dopo aver trascorso ore attaccato alla bottiglia, tira le tende di casa per non dare scandalo e riempie di botte la giovane moglie per un qualsiasi futile motivo. Leyla sa di non avere via di scampo: se trovasse il coraggio di sporgere denuncia, nessuno dei vicini andrebbe a testimoniare, in fondo si tratta di questioni familiari. Che fare allora? La risposta gliela dà Ülker, una «accompagnatrice di abbandonati» negli ospedali di Istanbul: placare il vecchio marito trattandolo, a sua insaputa, con Antabus, il medicinale usato per la cura dell'alcolismo cronico. L'Antabus, infatti, riduce il desiderio di alcol, ma bisogna usare accortezza: mai più di mezza pastiglia e solo con l'acqua, perché può avere diversi effetti collaterali... Opera di una scrittrice in prima linea nella battaglia per i diritti umani in Turchia, """"Antabus"""" è un romanzo crudo, potente, capace di raccontare le origini profonde degli abusi nei confronti delle donne e l'anima nera di una società fortemente intrisa di violenza e maschilismo."" -
Bambole di pietra. La leggenda delle Dolomiti
Un libro per i montanari incalliti.rn«Che cosa farebbe, se fosse davvero un nostro contemporaneo, Dolomieu, lo scienziato di fine Settecento del quale le Dolomiti portano il fortunato nome?»rnrnNella seconda metà del XVIII secolo Déodat de Dolomieu, geologo e viaggiatore, filosofo e pittore, valente conversatore e seduttore, si avventura nella regione delle Alpi, senza servitù e con qualche pregiata bottiglia di vino e una non modica quantità di caffè nel nécessaire. Viaggia per quasi un mese, spesso a piedi, tra montagne fatte di «pietre calcaree luminose, biancastre e grigiastre». È incantato a tal punto da quella roccia da portarsene dietro più di un frammento che, una volta tornato in Francia, spedisce all’amico Théodore-Nicolas De Saussure. Nel 1792 Saussure battezza quel tipo di roccia dolomia, in onore dell’amico. Nella prima metà del secolo successivo l’intera catena di monti fatta di quelle pietre calcaree viene chiamata Dolomiti.rnCosì comincia la «leggenda» di quelle magnifiche montagne affiorate, come per magia, dal fondo del mare 250 milioni di anni fa. Una leggenda che risale appunto alle scoperte dei geologi viaggiatori di fine Settecento e inizio Ottocento, prosegue con le prime avventure degli alpinisti, si muta in una vera e propria «dolomitologia» a opera di numerosi scrittori e giornalisti, e vacilla inevitabilmente quando emergono gli interessi turistici, in primo luogo lo sci, l’hotellerie di lusso e i riti delle vacanze-intrattenimento.rnBambole di pietra narra la storia di questa leggenda attraverso un racconto avvincente in cui sfilano in prima persona tanti protagonisti, dall’eroe italiano Cesare Battisti a quello tirolese Andreas Hofer, dallo scienziato Dolomieu al mito alpinistico di casa Reinhold Messner, dallo scrittore Dino Buzzati al cineasta Luis Trenker. -
La fine della madre
Un teatro in cui scompare un’unica figura: la madre, quale detentrice unica, secondo Lucetta Scaraffia, di quella capacità di procreare che da sempre gli uomini hanno invidiato alle donne.rnrnUn nuovo diritto non previsto né codificato da alcuna legge si è prepotentemente affacciato, nel nostro tempo, sulla scena: il diritto al figlio. Per molti è un semplice passo in avanti sul piano della libertà individuale, reso possibile dall’inarrestabile progresso delle tecnoscienze. Per l’autrice di queste pagine è il segno di una trasformazione antropologica di vasta portata in cui sono in questione i punti nevralgici della condizione umana, a cominciare dalla generazione.rnNulla più delle modificazioni linguistiche e giuridiche è in grado di mostrare la profondità di questa trasformazione. In molti paesi i termini stessi di «madre» e «padre» vengono cancellati; la frase «nato da...» viene sostituita da «figlio di..»; la «parentela» sparisce e si affermano nuovi termini sessualmente neutri, quali «genitorialità», «progetto genitoriale» ecc. Infine, una nuova formula giuridica, il contratto di affitto dell’utero, rende giuridicamente disponibile ciò che in tutte le legislazioni occidentali è sempre stato giudicato indisponibile: il corpo umano. Il risultato è che la scena della generazione muta radicalmente.rnComprende ora, oltre ai due genitori, i donatori o la donna che affitta l’utero, i medici addetti alle operazioni necessarie, le istituzioni che mediano i rapporti fra i cosiddetti «donatori» con gli aspiranti genitori; i legali, indispensabili per definire la «proprietà» del bambino e l’eventuale anonimato del donatore.rnUn teatro in cui scompare un’unica figura: la madre, quale detentrice unica, secondo Lucetta Scaraffia, di quella capacità di procreare che da sempre gli uomini hanno invidiato alle donne. -
Maggio '68. Cronaca di una rivolta immaginaria
Ci fu un mese in cui, a Parigi, tutti pensarono che tutto potesse cambiare: era il maggio '68.rnrn«""Corri compagno, il vecchio mondo è dietro di te"""", """"Vivete senza sosta, godete senza ostacoli"""". La Sorbona è in festa, festa perenne, pena la restaurazione della noia: """"Vietato vietare"""", """"Io decreto lo stato di felicità permanente""""»rnrnIl '68, a Parigi, cominciò con la scintilla della protesta studentesca, divampò in Francia con dieci milioni di persone in sciopero e finì in un fuoco fatuo. Fu un enigma, e forse lo è ancora. Il perché successe, cinquant'anni dopo, per la Storia non è ancora passato in giudicato. Ciò che successe è invece cronaca. Roberto Gobbi è tornato sulle strade di quella rivolta immaginaria per ripercorrerne gli avvenimenti giorno per giorno. Dalla presa della piccola Bastiglia di Nanterre, l'università-laboratorio, al primo sampietrino lanciato davanti alla Sorbona contro la polizia che mette mano ai manganelli, dalla lunga notte delle barricate all'occupazione delle fabbriche. Fino al momento in cui i benzinai, rimasti a secco per lo sciopero, ricominciano a riempire i serbatoi delle auto e i parigini barattano il Maggio con un week end, riconsegnando il Paese al vecchio generale De Gaulle. Fu l'avventura di una generazione che non voleva conquistare il potere, che forse non sapeva cosa voleva davvero, ma sapeva sognare: non fece cadere la V Repubblica, però prese la parola e cambiò i rapporti tra genitori e figli, insegnanti e allievi, uomini e donne, servi e padroni. Un romanzo dove compaiono protagonisti conosciuti, ma anche personaggi insospettabili: il buon prefetto che governò la violenza evitando il bagno di sangue, la bella mannequin che, per un mal di piedi, perse un capitale e si guadagnò la Storia, la chansonnier cui De André """"rubò"""" la Canzone del maggio, la ragazza che prese marito in mezzo ai lacrimogeni, il sequestrato in fabbrica di Bouguenais, i ladri che vendettero i manifesti della protesta per un pugno di dollari."" -
La mia casa a Damasco
Attraverso il prisma di un antico edificio, La mia casa a Damasco illumina, più di ogni reportage giornalistico, la storia antica e recente della Siria, del suo popolo, della sua società e dei suoi incomparabili tesori.rnrn«Scritto con il ritmo di un romanzo è molto più di un diario personale: è un’enciclica eclettica della storia siriana, degli arabi, della loro lingua e delle tradizioni, di arte e architettura islamica, e molto altro ancora» - Times Literary Supplementrn«Il potente e commovente nuovo libro di Diana Darke offre una rara visione della Siriarne dei suoi conflitti, attraverso l’occhio di un’attenta osservatrice, profondamente esperta nella sua cultura» - rnNew RepublicrnrnFin dal primo giorno in cui mette piede in Siria, nel 1978, Diana Darke si sente a casa. Parecchi anni dopo, quando la casa editrice Bradt le commissiona una guida della Siria, l’incanto per questo paese, che racchiude in sé tutti i tratti che le sono cari del mondo arabo, torna a farsi sentire con prepotenza. Gironzolando tra i vicoli tortuosi della Vecchia Damasco, tra i suoi magnifici palazzi ottomani, resti dimenticati di un’età remota, Diana si imbatte nel suo destino: una porta socchiusa. Varcata la soglia si ritrova immersa nella quiete di un cortile ornato tutt’intorno da aranci, tralci di vite, buganvillea ed esili rampicanti simili al gelsomino.rnTravolta dall’emozione, si sofferma a contemplare una fontana di marmo chiaro, bahra, in lingua araba, «piccolo mare», tanto assorta da non rendersi conto che dall’altra parte della vasca un uomo le viene incontro con un sorriso amichevole. Bassim, questo il nome del giovane, è un architetto che, impegnato nel progetto di restauro della Città Vecchia, ha il compito di informare gli stranieri della possibilità di acquistare le antiche dimore di Damasco per salvarle dalla rovina, dato che il governo non dispone dei fondi necessari al restauro.rnInizia così, per Diana, la conquista di quella che diventerà la sua «casa di Damasco», una conquista che assumerà spesso contorni bizzarri, soprattutto agli occhi di un occidentale, e che si concluderà con l’acquisto di Bait Barudi, letteralmente: «La casa del venditore di polvere da sparo». Un luogo incantato, capace di infondere in Diana una profonda pace interiore.rnUna pace, tuttavia, destinata a durare poco a causa della guerra civile in cui il paese sta sprofondando. -
Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista
Nel nome di Allah è un’agile storia delle varie correnti, scuole e movimenti dell’islamismo, e del suo rapporto con la cultura «araba», che getta luce su un fenomeno che, benché abbia offuscato l’immagine dell’Islam, continua a piantare radici nel mondo musulmano.rnrn«Sansal trasforma la cupa profezia sulle minacce del fondamentalismo religioso in un grido di rivolta contro le menzogne del potere» - rnFabio Gambaro, la RepubblicarnrnrnQuesto libro tratta dell’ascesa dell’islamismo nel mondo arabo. Non è, però, un trattato accademico né un’inchiesta giornalistica, ma una ricostruzione narrativa basata sulla testimonianza di uno scrittore il cui paese, l’Algeria, già dai primi anni Sessanta si è dovuto misurare con tale fenomeno.rnI primi predicatori religiosi islamisti, per lo più membri dei Fratelli musulmani, fecero infatti la loro comparsa in Algeria all’indomani della guerra di liberazione dalla colonizzazione francese (1954-1962). Arrivavano tutti dai paesi del Medio Oriente, dove venivano puntualmente perseguitati dai regimi e dalle tirannie al potere.rnL’Algeria era in quegli anni «la Mecca dei rivoluzionari», un paese socialista, terzomondista, profondamente laico, guardato con ammirazione in tutto il mondo progressista. Algeri era una città dove accorrevano Che Guevara, Castro, Mandela, il generale Giap e altri celebrati «eroi» delle guerre di liberazione dell’epoca. Agli occhi della società progressista algerina i predicatori islamisti apparivano perciò come individui bizzarri dall’abbigliamento e dal vocabolario così stravaganti da suscitare simpatia. Anni dopo quella stessa società scoprì, dapprima con sommo stupore e poi con somma impotenza, che quell’islamismo così misero e insignificante si era talmente diffuso in tutto il paese, attraverso la rete delle moschee e dei suk, da mobilitare folle immense, organizzare milizie capaci di imporre l’ordine islamista nelle strade, sviluppare un’economia cosiddetta islamica, accaparrarsi in modo massiccio le attività caritatevoli, estirpare la delinquenza nei quartieri sotto il suo controllo, sfidare ogni giorno lo Stato, infiltrarsi nelle rivolte popolari, installarsi in Occidente e attaccare la democrazia utilizzando la democrazia stessa con abilità e astuzia.rnNel nome di Allah è un’agile storia delle varie correnti, scuole e movimenti dell’islamismo, e del suo rapporto con la cultura «araba», che getta luce su un fenomeno che, benché abbia offuscato l’immagine dell’Islam, trasformandosi in un fascismo assassino che obbedisce solo alla volontà di potenza, continua a piantare radici nel mondo musulmano. -
Confabulazioni
Un sorprendente Autoritratto in cui a essere propriamente ritratta non è la persona dello scrittore, ma la linguarnrn«John Berger sembra ispirarsi alla maestria di poeti come Bashō o Buson, per elaborare scritture minime e folgoranti. Generate da barlumi di mondo, da aneddoti di cronaca, da quadri, da fotografie. Abitate da paure, da speranza, da indignazioni. Caratterizzate da un sapiente utilizzo delle parole: prosciugate, depurate e accostate in virtù di significati, di metafore o di ritmi, fino a suggerire ""confabulazioni"""" e assonanze» - La Lettura-Corriere della Serarnrn«Leggendo e rileggendo queste pagine ci si accorge che, accanto ai temi di un'orfanità che accomuna, di una non appartenenza che avvicina, dell'odio netto e senza eccezioni per il potere, torna più volte, come un motivo, l'idea del """"cavarsela"""". Farcela, resistere, sopravvivere, arrivare a sera, come l'Omino disegnato da Chaplin, con tenacia e humor.» - Maria Nadottirnrn«John Berger: uno dei più importanti intellettuali del Novecento.» - la Repubblicarnrn«Scrivo da circa ottant’anni. Da principio lettere, poi poesie e discorsi, più tardi storie, articoli e libri, adesso appunti». È l’incipit di questa raccolta di scritti, l’ultima curata da John Berger, scomparso il 2 gennaio 2017, ed è anche la frase inaugurale del testo che apre il libro, un sorprendente Autoritratto in cui a essere propriamente ritratta non è la persona dello scrittore, ma la lingua.rnLo scrittore è, nelle sue pagine, soltanto colui che, con qualche riga posta su un foglio, lascia che «le parole tornino in punta di piedi dentro la loro creatura-lingua».rnL’idea che la lingua sia «un corpo, una creatura vivente» in cui le parole accolgono perennemente altre parole in una interna e continua confabulazione, mostra quale rapporto John Berger intrattenga con la scrittura e, in generale, con l’universo dei segni. Una relazione con una infinita, misteriosa potenzialità che attraversa tutti i linguaggi, quelli articolati, ma anche quelli inarticolati; quelli verbali, ma anche quelli non-verbali, gli idiomi parlati dall’insieme degli esseri viventi.rnIl disegno, che puntualmente accompagna le parole nei testi di Berger, non è affatto, da questo punto di vista, un ornamento della scrittura, ma la forma forse più alta di fedeltà al corpo della lingua così intesa.rnCome scrive Maria Nadotti, nella postfazione in cui ripercorre il suo lungo sodalizio con l’autore, «il disegno, attività prediletta, probabilmente vocazionale, di JB, è forse proprio la decifrazione paziente – acustica, olfattiva, tattile, oltre che visiva – di questi segni destinati e non-destinati a noi. Lì, in sé, a portata di mano e tuttavia indipendenti da noi, una foglia, un campo, il movimento ondivago dell’erba ci rimandano a una misteriosa, potenziale unità»."" -
Creazione e anarchia. L'opera nell'età della religione capitalistica
I cinque scritti qui raccolti cercano di disinnescare questo dispositivo attraverso una paziente indagine archeologica dei concetti di opera (Archeologia dell’opera d’arte), creazione (Che cos’è l’atto di creazione), comando e volontà (Che cos’è un comando).rnrnNella cultura occidentale, principio, creazione e comando sono strettamente intrecciati. L’arché, l’origine, è sempre già anche il comando, l’inizio è sempre anche il principio – il «principe» – che governa e comanda. Questo è vero tanto in teologia, dove Dio non solo crea il mondo, ma lo governa e non cessa di governarlo attraverso una creazione continua, quanto nella tradizione filosofica e politica, in cui principio e creazione, comando e volontà formano insieme un dispositivo strategico senza il quale l’edificio della nostra società crollerebbe.rnI cinque scritti qui raccolti cercano di disinnescare questo dispositivo attraverso una paziente indagine archeologica dei concetti di opera (Archeologia dell’opera d’arte), creazione (Che cos’è l’atto di creazione), comando e volontà (Che cos’è un comando). Il territorio dell’arché viene percorso ed esplorato in ogni senso alla ricerca di una via di uscita an-archica. Finché, nel testo che chiude il libro (Il capitalismo come religione), l’anarchia appare come il centro segreto del potere, che si tratta di portare alla luce, perché un pensiero che abbia deposto tanto il principio che il suo comando diventi possibile. -
Il mio cane del Klondike
Dopo aver dato voce alla figura del padre ne ""Le serenate del Ciclone"""", Romana Petri torna a raccontarsi attraverso gli occhi di un altro «gigante» buono: il selvaggio Osac, un cane che, con la sua furia ribelle, sembra uscito da un libro di Jack Londonrnrnrn«Romana Petri riesce a rendere universale il particolare - dovere di ogni scrittore quando attinge alla propria vita» - D-la RepubblicarnrnLei è una giovane insegnante alle prese con un lavoro precario, lui uno di quei cani portati a casa per compiacere un bambino subito dopo il rientro dalle vacanze e poi, l'anno successivo, buttato in strada con un collare d'acciaio che nel frattempo si è fatto un po' stretto. In una afosa giornata di settembre, una di quelle che aspettano una pioggia già in ritardo, i due si incontrano. Osac, il cane, è riverso a terra contro il marciapiede, più morto che vivo. Lei, la donna, sta per salire in macchina, ma quando lo nota, si ferma e decide di prenderlo con sé. Il loro incontro sembra scritto nel destino, ma Osac non è un cane come gli altri. Ingombrante, indisciplinato, scontroso e selvatico, è senza mezze misure e sembra arrivare direttamente dal selvaggio Klondike. Non è, tuttavia, un cane da slitta. È uno di quei cani indomabili che vivono sempre fuggiaschi, che sentono il «richiamo della foresta» e faticano a lasciarsi addomesticare. Il terrore dell'abbandono si è riversato nei suoi occhi, dandogli un'aria forsennata, infernale. Un animale primitivo che non riesce ad accettare interferenze nel rapporto esclusivo e assoluto che instaura con la sua salvatrice, amata in modo morboso, senza riserve. Fino a quando la notizia di una gravidanza inaspettata stravolgerà, nuovamente, la sua vita. Dopo aver dato voce alla figura del padre ne """"Le serenate del Ciclone"""", Romana Petri torna a raccontarsi attraverso gli occhi di un altro «gigante» buono: il selvaggio Osac, un cane che, con la sua furia ribelle, sembra uscito da un libro di Jack London."" -
Gli aquiloni
L’incontro infantile con Lila diventa per Ludo una promessa d’amore che la vita deve mantenerernrn«Il romanzo più bello di Gary.» - Eshkol Nevornrn«Roman Gary ha creato una galleria di eroi che sono disposti a morire per la libertà.» - Timernrn«Un romanzo delizioso e straordinario.» - James Laughlinrnrn«Che miniera d'oro!» - Jean-Paul SartrernrnrnÈ un giorno d’ombra e sole degli anni Trenta quando, dopo essersi rimpinzato e assopito sotto i rami di una capanna, Ludo scorge per la prima volta Lila, una ragazzina biondissima che lo guarda severamente da sotto il cappello di paglia. Ludo vive a Cléry, in Normandia, con suo zio Ambroise, «postino rurale» tornato pacifista dalla Grande guerra e con una inusitata passione: costruire aquiloni. Non è un costruttore qualunque. Da quando la Gazette di Honfleur ha ironicamente scritto che gli aquiloni dell’«eccentrico postino» avrebbero reso famosa Cléry «come i pizzi hanno costituito la gloria di Valenciennes, la porcellana quella di Limoges e le caramelle alla menta quella di Cambrai», Ambroise è divenuto una celebrità. Belle dame e bei signori accorrono in auto da Parigi per assistere alle acrobazie dei suoi aquiloni, sgargianti strizzatine d’occhio che il vecchio normanno lancia in cielo.rnAnche Lila vive in Normandia, benché soltanto in estate. Suo padre non è, però, un «postino spostato». È Stanislas de Bronicki, esponente di una delle quattro o cinque grandi dinastie aristocratiche della Polonia, detto Stas dagli amici dei circoli di giocatori e dei campi di corse. Un finanziere che guadagna e perde fortune in Borsa con una tale rapidità che nessuno potrebbe dire con certezza se sia ricco o rovinato.rnL’incontro infantile con Lila diventa per Ludo una promessa d’amore che la vita deve mantenere. Il romanzo è la storia di questa promessa, o dell’ostinata fede di Ludo in quell’incontro fatale. Una fede che non viene meno nemmeno nei drammatici anni dell’invasione tedesca della Polonia, in cui Lila e la sua famiglia scompaiono, e Ludo si unisce alla Resistenza per salvare il suo villaggio dai nazisti, proteggere i suoi cari e ritrovare la ragazzina biondissima che lo guardava severamente da sotto un cappello di paglia. -
Il cielo può cadere
Un thriller mozzafiato che, servendosi di due differenti punti di vista, opposti tra di loro, narra di un caso criminale apparentemente impossibile da risolvere.rn«Il cielo può cadere è un mistery teso e avvincente che mi ha fatto volare tra le pagine.» - Laura Mchughrn«Eskens ha scritto un romanzo dall’anima nera: è una storia tesa, intelligente, che esplora i luoghi più oscuri della psiche umana.» - William Kent KruegerrnIn un tormentato mattino in cui i ricordi tornano puntualmente a fargli visita nell’anniversario della morte di sua moglie Jenni, il detective Max Rupert del dipartimento di polizia di Minneapolis viene spedito in un vicolo della West 21st Street dove è stato avvistato il cadavere di una donna bianca. Attraente, atletica, con un fitto groviglio di capelli rossi che le avvolge il viso e una ferita sul lato destro del collo, la donna è nuda e senza alcun oggetto o segno che possa consentirne l’immediata identificazione, eccetto un paio di orecchini.rnRisalendo all’acquisto di quegli orecchini il detective non tarda, tuttavia, a scoprire la sua identità: è Jennavieve Pruitt, quarantacinquenne moglie di Ben Pruitt, avvocato d’assalto privo di scrupoli che, come Rupert ha potuto sperimentare in passato, non esita a esibire nelle corti dei documenti falsi pur di salvare i suoi assistiti. Pruitt, inoltre, vive in una splendida casa trofeo, ricavata da un unico blocco di pietra, una dimora che un avvocato del suo livello di regola non si potrebbe assolutamente permettere.rnL’inchiesta porterà Max Rupert alla convinzione della colpevolezza di Pruitt e poi, in un’aula del tribunale di Minneapolis, a misurarsi con Boady Sanden, l’amico di sempre che, oppresso dal senso di colpa per la morte di un cliente, ha rinunciato da tempo alla professione di legale per passare in un minuscolo ufficio al primo piano della Hamline University School of Law. Per il caso Pruitt, tuttavia, Boady è disposto a rimettersi in gioco, mosso dal desiderio di riscattare gli errori del passato. Anche se questo significherà minare le basi della sua amicizia con Max Rupert.rnCon una prosa serrata, dal ritmo vertiginoso, Il cielo può cadere è un thriller mozzafiato che, servendosi di due differenti punti di vista, opposti tra di loro, narra di un caso criminale apparentemente impossibile da risolvere. -
Il segretario di Montaigne
Scritto con una prosa sicura e di rara eleganza, il romanzo prende spunto dal Diario di viaggio in Italia di Montaigne e dona al lettore un impeccabile affresco storico e, al contempo, il ritratto del filosofo che, nel XVI secolo, ha aperto le porte alla modernità.rnrn«La bravura di Luca Romano sta proprio nel darci la Storia – quella alta e quella bassa, quotidiana – sapientemente mescolata alla trama del romanzo» – Il Corriere della Serarnrn«Già con ""L'angelo egoista"""" Luca Romano aveva dimostrato di saper usare la forma della biografia per accedere al romanzo» – La RepubblicarnrnFrancia, XVI secolo. In piena guerra fra cattolici e calvinisti, Jean-Marie Cousteau, un ex capitano di cavalleria leggera, chiede ospitalità a un castellano. Da giorni viaggia senza cavalcatura, lo stomaco dilaniato dai crampi a causa dei fichi acerbi con cui si è nutrito e una brutta ferita alla tempia rimediata nello scontro con due banditi. A riceverlo è un uomo interamente abbigliato di bianco e nero, con un pizzetto ben curato e uno sguardo intelligente e curioso: è il filosofo e scrittore Michel de Montaigne. Da quindici anni, Cousteau non vede che battaglie e massacri da cui non ha guadagnato nulla, se non il disgusto per l’insensata violenza delle guerre di religione. Deciso a chiudere per sempre con il passato, implora Montaigne di prenderlo come contadino o come guardia. Al filosofo non serve un contadino, né tantomeno un guardiano: al suo castello si tengono porte e cancelli aperti e le uniche sentinelle a vegliare sono le stelle in cielo. Gli occorre, piuttosto, un bravo, onesto e leale segretario che si occupi, sotto dettatura, delle pagine dell’opera cui sta lavorando, i Saggi. L’ultimo valletto che gli ha reso quel servizio è scomparso con alcuni fascicoli che sperava di rivendere a un editore disonesto, un’esperienza che Montaigne non desidera rinnovare. È invece disposto a fidarsi di Cousteau, che da quel momento ricambia la generosità dimostratagli con la più totale devozione: se il filosofo chiama, lui si precipita. Se non lo sente, si preoccupa che stia male o sia ricaduto in una delle sue ricorrenti melanconie che gli impediscono di alzarsi al mattino. Ed è proprio per sollevarlo dai suoi tormenti che Cousteau, un giorno, propone al suo Signore di intraprendere un viaggio verso Roma. Un viaggio fatale, in cui gli eventi segneranno profondamente il rapporto tra i due uomini.""