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Mary
Ginevra, maggio 1816. Una giovane donna si sveglia nel cuore della notte, assediata dagli incubi del suo passato e dalla gelosia per la sorellastra, Claire, che sembra cogliere qualsiasi occasione per insidiare suo marito Percy. Lei è Mary Shelley, née Wollstonecraft, e suo marito è Percy Shelley, poeta inglese celebrato e amatissimo, che Mary ha seguito per tutta Europa fino a giungere, insieme a Claire, in quel luogo di villeggiatura sulle sponde del lago di Ginevra. Sono in cinque in vacanza a Villa Diodati, compresi John Polidori e Lord Byron detto Albe, e il 1816 è l’«anno senza estate», quando l’eruzione di un vulcano in Indonesia ha oscurato il cielo in tutto il mondo e impedito al calore del sole di allietare le loro giornate. Così, la compagnia trascorre tutte le sere di pioggia di fronte al fuoco, a bere vino e laudano e a raccontarsi storie di fantasmi. Ma i fantasmi dei racconti non sono gli unici ad abitare quella grande casa. Mary ha solo diciannove anni ma alle spalle tutta una vita vissuta, di sentimenti e avventure. E, nonostante il piccolo William sia la sua gioia, non riesce a dimenticare la figlioletta morta che ogni notte, all’ora delle streghe, la sveglia con l’eco remota di un pianto disperato. Ma soprattutto Mary non riesce a dimenticare gli eventi di quattro anni prima, in Scozia, quando a Dundee ha conosciuto Isabella Baxter e l’affascinante ma sinistro Mr Booth. Isabella, riccioli scuri e pelle chiarissima, un’adorabile fossetta sul mento, è per Mary una creatura di irresistibile fascino; Mr Booth è untuoso, e dei pomeriggi passati in casa sua con Isabella spesso Mary non ha alcuna memoria. Quegli enigmatici eventi monteranno nell’immaginazione della futura scrittrice, fino a esplodere in un vortice in cui verità e finzione si mescolano senza soluzione di continuità. Ed è da quei ricordi misteriosi che, nelle lunghe sere ginevrine, Mary partorisce un incubo che abiterà le notti del mondo per i secoli a venire: il mostro di Frankenstein. -
Non leggete i libri, fateveli raccontare. Sei lezioni per diventare un intellettuale dedicate in particolare ai giovani privi di talento
Nel 1966 Luciano Bianciardi si era già trasferito a Milano, era stato assunto e licenziato da Feltrinelli, aveva scritto la tetralogia del dissenso, rifiutato una collaborazione fissa con il «Corriere della Sera», quando pubblicò su «ABC», il settimanale in bianco e nero sostenitore delle grandi battaglie civili dell'epoca, sei lezioni a puntate, pensate per i giovani – ma non tutti i giovani, solo quelli particolarmente privi di talento. Norme chiare, precise, efficaci, a uso di coloro che avessero deciso di diventare intellettuali. Si va dai consigli su come vestirsi, dove andare in vacanza o con chi accasarsi, alle frasi-cerotto – che sembrano dire, ma non dicono assolutamente niente – «per salvare i giovani mediocri (ma anche agli altri, i cervelloni, i geniali e i genialoidi) da un'esistenza mediocre, avviarli alla scalata dell'Elicona». Non leggete i libri, fateveli raccontare è un piccolo, provocatorio e irriverente capolavoro: a cinquant'anni di distanza, in un'epoca in cui la superficialità sembra ormai l'unica via sicura per il successo, riscoprire Bianciardi è un modo per ridere con intelligenza di quello che in fondo siamo sempre stati, ben prima dei social network. -
La nipote
Kaspar ha circa 70 anni e fa il libraio a Berlino. È ancora in lutto per la morte di sua moglie Birgit, con cui, negli ultimi anni, ha avuto un rapporto burrascoso. Autodistruttiva, Birgit beveva e si era ritirata completamente in se stessa. Presumibilmente, stava lavorando su un romanzo. Quando un editore chiede i suoi testi, Kaspar inizia a cercare nel suo computer. Trova dei frammenti, una raccolta di diari, dai quali apprende il grave segreto che sua moglie ha celato per oltre vent’anni. Birgit era infatti fuggita dall'Est per raggiungerlo a Ovest, lasciando dietro di sé una figlia avuta da un funzionario della DDR. Kaspar parte così alla ricerca della figliastra, Svenja. E lì trova sua nipote Sigrun. -
I demonî
Pubblicato per la prima volta nel 1873, I demonî, uno dei romanzi che appartengono a pieno titolo al canone della letteratura occidentale, segue di non molti anni alcune opere fondamentali di Dostoevskij quali Memorie dal sottosuolo, che risale al 1864, e L’idiota apparso nel 1869, ed è lontano dal Sosia che il grande scrittore russo diede alle stampe nel 1846, all’età di venticinque anni. Eppure senza quest’opera giovanile, I demonî e le altre opere citate sarebbero davvero impensabili. Ciò che, infatti, svela il protagonista del Sosia – il consigliere titolare Goljadkin che, dopo una notte di tregenda, si imbatte in un altro sé stesso –, la verità che attesta la sua figura, che l’uomo, cioè, è un essere doppio, costantemente capace di essere altro da ciò che è, l’unico in grado di arrivare persino alla negazione di sé stesso, è il pensiero che alimenta i grandi romanzi successivi di Dostoevskij e, in particolare, I demonî. È nota a numerose generazioni di lettori la vicenda narrata nei Demonî: il racconto dell’avvento di uomini nuovi, i demonî del titolo, privi di ogni fondamento e principio; avvento inevitabile dinanzi al quale il vecchio mondo dei cultori del libero pensiero, i «liberali» rappresentati nel romanzo dalle figure di Stepan Trofimovič e di Karmazinov, appare del tutto impotente. Alle anime belle come Trofimovič, e ai letterati prigionieri della loro fatuità come Karmazinov, la verità di Stavrogin resta, infatti, irrimediabilmente oscura. Bellissimo, ricco, fascinoso, intelligente demonio dalla «natura unicamente cerebrale e sterile» (Serena Prina), il terribile protagonista dei Demonî, che in una pagina del romanzo afferma «Di tutto si può discutere all’infinito, ma da me s’è riversata fuori soltanto negazione», annuncia l’epoca in cui tutti i princípi supremi, tutte le sostanze eterne sono miseramente naufragati e il destino del mondo è nelle mani dell’uomo come essere separato, distaccato da tutto ciò che è. In Stavrogin, questo distacco si traduce nella distruzione e nella negazione dell’esistente. In lui, piú che in qualsiasi altro terribile personaggio della letteratura occidentale, si svela il tempo della definitiva fuga degli dèi dal mondo come età del nichilismo e dell’avvento dei demonî. -
Il fiume che voleva scrivere
Sotto il nome di Progresso, di Tecnica, abbiamo depauperato la Terra. Se i fiumi, le montagne, le foreste, gli oceani, i ghiacciai e le terre, dopo millenni di soprusi, potessero esprimersi, che parole userebbero? Nella rivendicazione dei loro diritti fondamentali, gli elementi della natura troverebbero ascolto presso quei «soggetti» umani, unici responsabili di quella sistematica prevaricazione? Questo è un libro-percorso, con un fine preciso: pensare una «rivolta giuridica della Terra», a partire dai nostri luoghi qui in Europa, per dare strumenti a chi in futuro vorrà impegnarsi nella trasformazione di un certo modo di scrivere le leggi. Per attribuire, dunque, lo statuto di persona giuridica a quegli elementi della natura, arbitrariamente considerati «oggetti» in quanto non umani. Un cambiamento profondo nei nostri sistemi legislativi che invita gli assenti al tavolo dei negoziati e che porta con sé la speranza di un risarcimento. Una nuova ontologia dove fiumi, laghi, mari, specie animali, vegetali potranno sostenere le proprie ragioni e scrivere, assieme a noi umani, i termini della vita comune. Un libro raccontato da Camille de Toledo con le voci di Frédérique Aït-Touati, Bruno Latour, Virginie Serna, Bruno Marmiroli, Jacques Leroy, Jean-Pierre Marguénaud, Catherine Larrère, Catherine Boisneau, Valérie Cabanes, Matthieu Duperrex, Gabrielle Bouleau, Sacha Bourgeois-Gironde, Marie-Angèle Hermitte... -
L'elezione e la sua ombra. Il cantico tradito
«Bruna sono ma bella, / o figlie di Gerusalemme, / come le tende di Kedar, / come i padiglioni di Salma»: così i versi del Cantico dei Cantici (I, 5-6). Perché questa bellezza bruna piena di mistero è stata ripudiata? Nel Cantico dei Cantici, uno dei testi più enigmatici e profondi della Bibbia, l’elezione di Israele a Sposa di Dio avviene attraverso dei versi profondamente erotici che ne cantano l’avvenenza «bruna, ma bella, come le tende di Kedar, come i padiglioni di Salma». Perché questa bellezza bruna piena di mistero è stata ripudiata? Perché la poesia del Cantico, invece di stagliarsi come impenetrabile testimonianza di un’elezione “erotica”, quella di Israele da parte di colui che diverrà il suo Dio, è stata sostituita da una teologia dell’elezione avanzata da un’altra religione? Queste sono le domande da cui muove questo agile libro in cui Monica Ferrando mostra come il crescente dominio economico-tecnologico del mondo, non solo del mondo umano ma anche di quello naturale, è avvenuto attraverso un capovolgimento del paradigma biblico dell’elezione. Un capovolgimento in cui il paradigma teologico della predestinazione, dell’imperscrutabilità dell’elezione divina, ha permesso ai gruppi dominanti dei Cristiano-Protestanti, Luterani e Calvinisti, di vantare un preteso primato su Ebrei e Cristiani greci e latini. I prescelti sono divenuti gli appartenenti a un certo tipo umano (bianco) e a una certa classe (alta) i quali, grazie a un estorto messianismo fondato sul privilegio di razza, di censo e di cultura, hanno edificato un sistema tecnico-economico che si arroga il diritto sovrano e patriarcal-maschilista di decidere al posto della divina varietà dell’umano e dell’umanità nel suo complesso. -
In cerca di guai. Avventure di una reporter di guerra
Nel 1938 Virginia Cowles, inesperta ventiseienne di Boston, sbarca in Spagna in piena guerra civile con cappello, abito su misura, giacca di pelliccia e tacchi alti, portando con sé una macchina per scrivere e una valigia con tre abiti di lana. Non ha alcuna esperienza come corrispondente di guerra, avendo scritto prevalentemente di cronaca mondana. Ha dalla sua, però, una curiosità e una determinazione tali da trasformarla in breve tempo in uno dei pochissimi reporter in grado di coprire la guerra civile da entrambi i fronti. Dimostrando una grande abilità nello scucire informazioni a chiunque, e una buona dose di quel tipico dono del giornalista di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, Virginia Cowles incontra tutti i personaggi chiave dell’epoca: a Norimberga partecipa a un tè in onore di Hitler, dove assiste alla bizzarra amicizia di lui con l’ereditiera Unity Mitford; a Roma intervista Mussolini a pochi giorni dall’invasione dell’Abissinia, sorbendosi la predica del duce sul diritto dell’Italia a possedere un impero; a Madrid pranza con Hemingway e diventa amica intima di Martha Gellhorn; con Churchill va a caccia di pesci rossi, viene invitata a vedere i suoi dipinti e accoglie le sue lamentele su Chamberlain. Cowles girerà in lungo e in largo in un’Europa sull’orlo della guerra, vedendo le luci oscurarsi in un paese dopo l’altro: dalla Polonia alla Romania, dalla Finlandia alla Francia, fino all’Inghilterra. Coraggiosa con leggerezza, pur correndo rischi pesantissimi, lascia dietro di sé una considerevole eredità: se oggi a corrispondere dalle zone di guerra ci sono tante donne quanti uomini, lo si deve proprio a figure come Virginia Cowles, che hanno aperto la strada. Pubblicato nel 1941, In cerca di guai divenne immediatamente un bestseller, ispirando intere generazioni. -
Il libro blu di Nebo
Nel giardino in cui Dylan ha piantato un orto, un tempo si aggirava il signor Thorpe, un tipo alto, con i capelli bianchi e un paio di occhiali che riflettevano sempre un po’ di luce, di modo che era impossibile guardarlo negli occhi. A parte il giardino e qualche albero che il ragazzo ha tagliato per procurarsi legna da ardere, la casa è esattamente come i coniugi Thorpe l’hanno lasciata. Un tempo per le strade di Nebo camminavano donne che Dylan vede ora soltanto sulle copertine dei libri: con labbra rosse e carnose, pelle liscia e bianca come il latte, capelli morbidi e ben pettinati. Un tempo lui festeggiava il compleanno con la torta e le candeline insieme con altri bambini, di cui ormai non ricorda più nulla se non il nome, Freddie, Dewi, Ned, Ella. Un tempo… prima della Fine. Dylan se la ricorda la Fine, arrivò all’improvviso mentre lui era a scuola e la madre al lavoro. Rowenna faceva la parrucchiera, tagliava i capelli a bambine e vecchiette nel negozio in cui un giorno annunciarono alla radio sempre accesa che erano state bombardate alcune grandi città americane. Prima della Fine, portava i capelli corti e se li tingeva di biondo, ora li ha neri come la notte. Nella zona morta in cui abitano insieme con la piccola Mona, un posto sperduto dove non viene piú nessuno, madre e figlio si aggirano nelle case abbandonate alla ricerca di piccole cose: libri, fiammiferi, trappole per topi, qualche quaderno, come quello blu che Rowenna ha regalato a Dylan per scriverci sopra, visto che, avendo letto un bel po’ di libri, sa scrivere bene. Dylan lo ha intitolato il Libro blu di Nebo, ricordando i libri in cui gli antichi narravano la loro storia: il Libro nero di Carmarthen, il Libro rosso di Hergest. Il ragazzo scriverà della sua storia, la storia di un sopravvissuto a una catastrofe nucleare. Ma anche Rowenna vi annoterà i suoi pensieri, consegnando al Libro blu di Nebo i ricordi della sua vita, la vita prima della Fine in cui nessuno avrebbe mai immaginato che il mondo sarebbe diventato una terra desolata. -
Il nome e la voce. Per una filosofia dell'inno
La scoperta davvero inedita di Nicoletta Di Vita è che un legame segreto unisce fin dalle origini l’inno alla filosofia dell’Occidente, che esso è stato cioè per il mondo classico la forma per eccellenza del pensiero. Una rigorosa inda¬gine archeologica, che scavalca le false barriere fra le discipline – dalla storia letteraria all’antropologia, dalla linguistica alla scienza delle religioni – mostra cosí non soltanto che Empedocle, Aristotele, Cleante, Proclo e lo stesso Socrate hanno composto inni, ma che l’inno è, insieme al lamento, il luogo in cui l’uomo compie l’esperienza originaria del suo essere parlante. Nella nominazione del dio non è, cioè, semplicemente in questione un genere letterario, che ha caratteri costanti dagli inni omerici ai tardi inni di Hölderlin, ma l’evento stesso del nome, cioè di quell’elemento del linguaggio di cui Saussure diceva che non è possibile fornire una definizione. rnIl lettore che avrà seguito l’appassionante ricerca di Nicoletta Di Vita scopre alla fine che l’inno e il lamento sono ancora oggi le due vocazioni fondamentali dell’essere parlante, in cui l’uomo celebra e custodisce il suo stesso linguaggio, prova a dire lo stesso rapporto – sempre problematico e rischioso – fra le parole e le cose. L’inno è per questo «il piú prezioso esempio di filosofia». g.a. -
Fronte Ucraina. Dentro la guerra che minaccia l'Europa
«La prima esplosione scuote il silenzio delle cinque. Un tonfo sordo, lontano. Che precede i latrati cupi delle antiaeree, fa scattare gli allarmi delle auto. L'impensabile ci butta tutti giù dai nostri sonni. Fa morire i sogni all'alba, le illusioni di ieri e soprattutto le vite». La guerra in Ucraina è la catastrofe che non ci aspettavamo. Nel cuore dell'Europa, si sta consumando un dramma dagli esiti imprevedibili che già stravolge la nostra vita quotidiana e segnerà la storia dei prossimi anni. Il ritorno d'uno scontro fra i blocchi, Est russo contro Occidente, che credevamo d'avere archiviato con la fine della Guerra fredda. Un'immensa trincea che ci riporta agli incubi dei bombardamenti indiscriminati, delle fosse comuni, delle città assediate. Mariupol come Aleppo. Kiev come Sarajevo. Ma era davvero imprevedibile, questo fronte? Come mai non ci siamo accorti, in questi anni, d'una miccia accesa che stava per far esplodere la Terza guerra mondiale? E perché abbiamo lasciato che Vladimir Putin diventasse un pericolo per tutta la comunità internazionale? Francesco Battistini, che si occupa di Ucraina dalla Rivoluzione arancione ha vissuto sul campo e giorno per giorno l'escalation di questa crisi. Ha seguito i mesi delle truppe russe che si ammassavano al confine, della paura che cresceva nel Donbass, della diplomazia inconcludente. Viaggiando in lungo e in largo per tutta l'Ucraina, da Leopoli a Kharkiv, da Chernobyl a Odessa, per mesi ha raccontato sul Corriere della Sera un fronte che di ora in ora si scaldava. Fino all'esplosione del 24 febbraio. L'inizio dell'invasione. I raid, i rifugi sotto - terra, le sirene e le bombe a Kiev. L'Undici Settembre dell'Europa. E dunque: potevamo aspettarcelo? La risposta è sì. Perché questa guerra viene da crisi lontane, il crollo del Muro e la fine dell'Unione sovietica, e da quel che ne è derivato: l'espansione della Nato a Est, le ambizioni imperiali di Mosca, l'ansia di libertà d'una terra di con - fine e di dolori, da sempre spaccata in due. Questo libro è un viaggio negli ultimi mesi dell'Ucraina, attraverso grandi e piccole storie, protagonisti di primo piano e personaggi solo apparentemente minori: gli oligarchi amici di Putin, i pope col mitra, i mercenari invisibili, la caccia al cibo, le babushke con le molotov, le fughe verso la Polonia e la Moldavia, i leader misteriosamente avvelenati, i cacciatori di reliquie russe, i reduci del fronte traumatizzati dalle stragi, i funerali dei primi caduti... Battistini ci racconta tutto in presa diretta, alternando le vicende del passato alle tragedie presenti. Con l'emozione e la compassione di chi c'era anche allora, ci riporta a quel che è accaduto prima, per capire meglio che cosa sta succedendo adesso: l'indipendenza del 1991, le tre rivoluzioni di Maidan, il massacro degli «eroi celesti», l'invasione e l'annessione della Crimea, il fenomeno Zelensky. Questo è un libro d'impressioni e d'analisi. Una testimonianza scritta stando da questa parte della storia: il Fronte Ucraina. -
Tre sorelle
Nate e cresciute a Manhattan, le tre sorelle Geller hanno davvero poco in comune: Beck, la maggiore, è una giornalista freelance il cui matrimonio assomiglia più a un legame tra fratelli che a un’unione appassionata. Nonostante i suoi successi come cardiologa pediatrica, Claire, la figlia di mezzo, si è sempre sentita la pecora nera della famiglia: è divorziata da poco e l’amore non corrisposto per l’uomo sbagliato la sta lentamente distruggendo. E poi c’è Sophie, la minore, la cui vita da influencer è una folle girandola di viaggi extralusso, incontri con personaggi famosi e sponsorizzazioni di prodotti di alto livello con cui a stento riesce a coprire le spese delle carte di credito. Dopo la morte della madre Marti, le tre sorelle si trovano a fare i conti con uno strano lascito testamentario. Poiché i testamenti servono a tirare le fila che nella vita non hai potuto o voluto tirare, e giacché Marti non aveva alcuna intenzione di confessare, sul letto di morte, il segreto che l’ha sempre perseguitata, ha trovato un modo per riavvicinare le figlie e svelare loro il suo passato: entro un mese dalla sua morte Beck, Claire e Sophie dovranno riunirsi a Mount Desert Island, nel Maine, per vendere l’amato cottage di famiglia. Quello che Marti non ha potuto prevedere, però, è che in quello stesso mese di febbraio l’ex detenuto C.J. Reynolds, un uomo il cui passato ha diverse zone d’ombra, ha deciso di ricostruire la sua esistenza partendo proprio da Mount Desert Island, dove il suo destino si intreccerà in maniera inaspettata a quello delle sorelle Geller. -
Majakovskij. Una vita in gioco
Nessuno scrittore ha avuto un'immagine pubblica plasmata in modo così drammatico come Vladimir Majakovskij. Nato nel 1893 e morto suicida nel 1930, visse con un'intensità estenuante i suoi brevi trentasei anni, colmandoli di poesia, teatro, politica e passioni. Personaggio paradossale, incarnò l'avanguardia politica ed estetica dei primi decenni del Novecento. Al tempo stesso, fu un artista al servizio della Rivoluzione. Il suo destino fu segnato dalla tumultuosa relazione con Lili Brik. Il momento decisivo di tutta la sua esistenza è infatti rintracciabile in quel giorno del luglio 1915 nel quale lesse la sua Nuvola in calzoni nell'appartamento di Lili e Osip Brik. Da quella sera in poi, Majakovskij, Lili e Osip divennero inseparabili. Per quindici anni vissero insieme una delle relazioni più straordinarie. Negli anni Venti, la costellazione Majakovskij-Brik divenne l'incarnazione stessa della provocazione letteraria e di una nuova moralità: Vladimir, ovvero il principale poeta della Rivoluzione; Osip, uno dei massimi critici culturali; Lili, il simbolo della donna moderna liberata dalle catene morali della società borghese. Negli ultimi anni, Majakovskij si rese conto di non avere più un ruolo: non c'era più posto per lui nella società che stava prendendo forma, nella quale la letteratura e la politica letteraria erano dominate da individui le cui «qualità» non erano letterarie. Era l'epoca in cui Stalin terrorizzava il milieu degli artisti e dei dirigenti di partito con le sue purghe. Bengt Jangfeldt ricuce la vita e l'opera del poeta alla luce delle drammatiche turbolenze del tempo: dalle innovazioni estetiche dell'avanguardia prerivoluzionaria alle rigidità del realismo socialista, dalla tragedia della Prima guerra mondiale alla violenza e alla speranza nella Rivoluzione bolscevica, dall'avvento del terrore stalinista alla crescente disillusione per il comunismo russo che portò il poeta a togliersi la vita. L'autore ha fatto riemergere dagli archivi dei servizi segreti sovietici, britannici e francesi documenti e immagini inediti e per decenni ha raccolto di prima mano le testimonianze di persone che conobbero «dal di dentro» Majakovskij, prima tra tutte Lili Brik. Questa biografia è stata definita, nelle varie edizioni all'estero, un capolavoro per stile del racconto e per la luce che pone finalmente su una figura tanto controversa. Bengt Jangfeldt offre la prima biografia completa di Majakovskij, rivelando un uomo travagliato, più sognatore che rivoluzionario, più politico romantico che comunista. Un libro che ci svela un poeta affascinante, contraddittorio e frustrante, con una vita che si concluse drammaticamente: il proiettile che penetrò nel cuore di Vladimir Majakovskij fece a pezzi anche il sogno del comunismo e segnò l'inizio dell'incubo stalinista degli anni Trenta. -
Nel silenzio dei boschi
Senza elettricità, senza famiglia, senza legami con il mondo esterno. È cosí che Cooper e sua figlia Finch vivono ormai da anni, in una casetta immersa nel silenzio dei boschi sugli Appalachi settentrionali. I loro unici mezzi di sussistenza sono un piccolo pollaio sul retro e, soprattutto, Jake, un ex commilitone di Cooper che ogni inverno li raggiunge con il suo prezioso carico di provviste. Cresciuta in quella casa, la piccola Finch, otto anni, ha pochi libri a disposizione, anche se è capace di recitare a memoria poesie di Emily Dickinson e Walt Whitman. La vita di padre e figlia è solitaria e selvaggia, a tratti anche brutale, ma, per Cooper, appartata e lontana com’è dagli occhi del mondo, è in grado di tenerli al sicuro. Al sicuro da una famiglia d’origine che non cessa di rivendicare a sé la bambina; al sicuro dalle intenzioni poco limpide del mondo circostante; al sicuro anche dai ricordi dolorosi che si affollano nella sua mente: innanzi tutto il ricordo della prematura scomparsa di Cindy, la giovane moglie perduta per sempre, e poi degli orrori della guerra in Afghanistan. L’inverno, tuttavia, in cui Jake manca il suo appuntamento annuale, la quiete propria di quel luogo selvaggio viene infranta di colpo. I confini di quell’isola felice diventano labili quando, di lí a poco, una ragazza dai capelli rossi compare nei pressi della loro casa per poi svanire nel nulla. In quei boschi improvvisamente affollati, Cooper è allora costretto a decidere: continuare a nascondersi o affrontare il mondo per liberarsi dei fantasmi del passato che gravano sulla sua anima? Con il rischio di perdere la piccola Finch? -
Amore nero
Quando la protagonista atterra nel 1981 in Alto Volta, quello che oggi si chiama Burkina Faso, non è la prima volta che vede l’Africa. Ci è già stata in precedenza, e ora è tornata per salutare l’amico e batterista Azou. L’Africa da tempo le pare «una grande periferia dove si accumulano i materiali» del mondo che qui sono ancora mobili e non circoscritti, malleabili, carichi di potenzialità infinite e capaci di ricomporsi in infinite varianti. È una terra di sterminata savana e polvere rossa, dove i bambini stanno seduti a grappoli e le donne preparano insieme il tô, una sorta di polenta dura che è la base del pasto quotidiano. Ma anche una società che ha sempre sacrificato l’individuo a sé stessa, liquida, dove i rapporti fra uomini e donne, vecchi e bambini, scorrono come un flusso ininterrotto. La protagonista osserva tutto con l’occhio dell’antropologa, affascinata da quanto le sta intorno e dal proprio modo di reagire a quello, per farne poi un piccolo diario che, ritornata in Italia, affida alle mani di un grande editore. Il quale le conferma che sí, si tratta di un libro, un libro vero, e non solo di un diario senza pretese, e tale che, pubblicato nel 1984, vince nello stesso anno il Premio Viareggio Opera Prima. rnNeri Pozza ripropone oggi quel libro, l’esordio di Maria Pace Ottieri: un volume che contiene un mondo, narrato con una lingua attenta e precisa anche quando è metaforica, in cui lampi di riflessione e consapevolezza si fanno largo tra la fitta descrizione di paesaggi, avvenimenti, villaggi o città, cortili interni o chiese cattoliche. Una dichiarazione d’amore per l’Africa, racconto di un viaggio in quel vasto continente ma soprattutto di un modo di percepire l’altro, di entrare, col cuore prima che con la testa, nella sua cultura. Nelle parole dell’autrice stessa: «Li guardo vivere, mi piace cercare di capire dalle forme, come un disegno di cui si possano leggere solo i contorni, togliere ogni giorno sottili strati di mistero». -
Tra l'oro e l'oblio. Lettere 1959-1970
Il poeta e il critico letterario, Paul Celan e Peter Szondi, si conobbero a Parigi nel 1959. Fino alla morte di Celan, avvenuta nel 1970, si scambiarono, da Zurigo, Berlino, Gottinga, Parigi, oltre cento tra lettere, cartoline, dediche, telegrammi che in questo epistolario sono raccolti integralmente e commentati per la prima volta. Paul Celan, di origini romene poi naturalizzato francese, fu colui che rese nuovamente possibile la «poesia dopo Auschwitz», scrivendo in tedesco, la lingua «dei nostri assassini», come ebbe a dire lui stesso; «un uomo affascinante e impossibile, feroce, ma con accessi di mitezza», come lo definì Emil Cioran, che pur amandolo molto lo evitava «per paura di ferirlo, poiché tutto lo feriva». Peter Szondi, di origini ungheresi naturalizzato tedesco, fu uno dei maggiori teorici, filologi e critici del Novecento. Entrambi scampati alla Shoah, il poeta traduttore di poeti e lo studioso di estetica si scambiarono per anni riflessioni feconde, tra l’altro, sulla letteratura e la poesia, sulle comuni radici ebraiche, sui drammi personali. L’affaire Goll, che vide il poeta coinvolto in una mortificante accusa di plagio e il critico prendere con decisione le sue parti; l’ebraismo di entrambi, identità profonda plasmata dalla sopravvivenza allo sterminio; la depressione di Celan e la comprensione intima della sua poetica da parte del critico, ma soprattutto le istanze etiche che stanno alla base dell’ermeneutica letteraria di Szondi: tutto questo si trova nelle pagine della presente edizione critica. Un epistolario tra due grandi del Novecento alimentato da un legame che si nutrì di solidarietà oltre che di poesia. Una affinità che si protrasse fino al tragico epilogo: Paul Celan si suicidò nella Senna, un anno prima che Peter Szondi cercasse la morte nelle acque di un lago berlinese. -
A Venezia lucean le stelle. Personaggi e storie di una romantica invasione
Nel diciannovesimo secolo la Repubblica non c’è piú ma Venezia c’è ancora e continua a splendere. Questa volta però a illuminarla non è piú lo splendore della sua eccezionale civiltà: la luce proviene da fuori, direttamente dai grandi astri internazionali dell’Ottocento che fanno di Venezia la loro seconda patria ma anche dai grandi veneziani, uomini e donne che lottano per la sopravvivenza della città e, di fatto, la mantengono in vita nonostante il giogo delle potenze straniere che ora la possiedono. Venezia riflette tutte queste luci stellari e le moltiplica: Zorzi la racconta in una serie di storie affascinanti. Giustina Renier Michiel ama cosí tanto la sua patria caduta da affrontare a muso duro uno scettico Chateaubriand e addirittura irridere Napoleone. Lord Byron, che ama Venezia e vorrebbe diventare veneziano, brucia il suo amore nella passione per fin troppe veneziane. Richard Wagner vi sbarca per comporre e morirvi; il dissoluto scrittore Frederick Rolfe, meglio noto come Baron Corvo, consuma la sua vita pur di non abbandonare la città che adora. Poi naturalmente John Ruskin che odia la modernità, mentre D’Annunzio la pilota verso l’azione e Marinetti la invoca. Nella Venezia del XIX secolo, in Piazza e nei palazzi si incontrano scrittori, musicisti e artisti, regnanti detronizzati e pretendenti al trono, grandi dame e grandi provocatrici, acuti osservatori e cinici turisti di rango, soldati che diventano poeti e poeti che diventano soldati, nuovi padroni ed ex padroni e tantissimi altri da ogni parte del mondo, in una colta e raffinata onda che sceglie di fondersi nei canali e talvolta di infrangersi sulle pietre della ex Serenissima. -
Segnali di fuoco
2010, Pennsylvania. Un’antica quercia maestosa si staglia contro la notte stellata di Division Street, nell’elegante sobborgo di Avalon. L’albero magico, lo chiamano da generazioni; col suo tronco immenso, le radici nodose, i grovigli di fiori selvatici ai suoi piedi, domina il suo personale pezzetto di giungla in mezzo alle aiuole pettinate del distinto quartiere. Sotto la quercia sono seduti Ben Wilf, un medico in pensione, e Waldo Shenkman, un ragazzino solitario e geniale, che gli sta mostrando le sue stelle preferite nel cielo nero. Per Waldo, fragile creatura sensibile alla bellezza del mondo, le stelle non sono astri distanti e implacabili, ma amiche, compagne di viaggio che gli illuminano il cammino, segnali di fuoco nella sconfinata oscurità del suo futuro. Waldo non può ricordare che in una notte di dieci anni prima lui e Ben si sono già incontrati; sente tuttavia che parlare con quel signore gentile placa il suo divorante senso di inadeguatezza. Non può nemmeno sapere che continueranno a cercarsi negli anni che verranno, nel tempo e nello spazio, in un destino che li tiene uniti come un filo. In una sera di fine estate di venticinque anni prima, davanti a quella stessa quercia è accaduto un fatto terribile. Da allora, un segreto tormenta il dottor Wilf e i membri della sua famiglia, un segreto di cui non faranno piú parola, nemmeno tra di loro, creando un silenzio che ingoierà per sempre ogni possibile felicità. Anche gli Shenkman, la giovane coppia in attesa di un figlio trasferitasi nel sobborgo molti anni dopo, portano con sé il loro fardello di cose non dette. rnSotto il cielo di Division Street, il tempo corre e i destini delle due famiglie si intrecciano, divergono e poi ancora collidono esplodendo come stelle nelle galassie. Tutti si trovano a fare i conti con i vecchi segreti che affiorano inesorabili e i nuovi che chiedono di essere celati, mentre la vita assegna a ciascuno la sua quota di smarrimento e di perdita ma anche di stupore e speranza, di dolore ma anche di infinita bellezza. -
La fine di tutto. I cinque modi in cui l'universo può finire
Nel corso della storia, la domanda su come finirà il mondo è stata oggetto di speculazione e dibattito tra poeti e filosofi. Oggi, grazie alla scienza, sappiamo la risposta: nel fuoco. Tra circa cinque miliardi di anni, il Sole si espanderà entrando nella sua fase di gigante rossa, inghiottirà l'orbita di Mercurio e forse di Venere, e trasformerà la Terra in una roccia bruciacchiata, senza vita e coperta di magma. Ma il mondo non è che un romantico granello di polvere perso in un universo vasto e vario. Quello che interessa alla cosmologa Katie Mack è una domanda più grande: come finirà l'universo? L'unica certezza che abbiamo, sull'universo, è che ha avuto un inizio. Ma cosa verrà dopo? Cosa succederà alla fine della storia? Alla morte di un pianeta, o anche di una stella, in linea di principio si può sopravvivere. La morte dell'universo, invece, è definitiva. Che cosa significa per noi, per le cose, se tutto giunge a un termine? In questo libro vengono esplorate cinque possibili modi in cui l'universo può finire, scelti in base alla loro rilevanza nei dibattiti in corso tra cosmologi professionisti. Ogni scenario prevede un modello molto diverso di apocalisse, con differenti processi fisici a governarla: dal Big Crunch, lo spettacolare collasso dell'universo che avrebbe luogo se l'attuale espansione cosmica cambiasse direzione, alle apocalissi dovute all'energia oscura, in virtù della quale l'universo si espanderebbe per sempre, diventando lentamente sempre più vuoto e buio, oppure si squarcerebbe semplicemente; dal decadimento del vuoto, ossia la generazione spontanea di una bolla quantistica di nulla che divora il cosmo, alla cosmologia ciclica, che comprende teorie con dimensioni alternative, nelle quali il cosmo potrebbe distruggersi più e più volte a causa delle collisioni con universi paralleli. Esplorando l'evoluzione delle nostre moderne conoscenze sull'universo e sul suo epilogo finale, La fine di tutto approfondisce alcune questioni legate alla nostra vita quotidiana: dove stiamo andando, cosa significa tutto questo e cosa possiamo imparare sull'universo in cui viviamo mentre ci poniamo queste domande. -
Papaveri di fuoco
Delan ha ciglia nere sulle guance pallide, capelli scuri, selvaggi, lunghi, con qualche precoce striatura di grigio che gli conferisce una certa raffinatezza, una cicatrice sull'occhio a forma di antica penna d'oca. Delan è come la terra in cui è nato, indomito e rumoroso come il Kurdistan. Quando lo ha conosciuto, Olivia sedeva alla scrivania di un giornale in cui, benché corrano gli anni Settanta, anni di rivolte e ribellioni, le donne sono ancora «mogli prestate all'ufficio», impiegate per ordinare fiori e spedire regali. Il destino le avrebbe certamente riservato il triste «privilegio» di diventare anche lei la segretaria di qualcuno, la moglie di qualcuno, la madre di qualcuno se non avesse incontrato Delan in una casa malandata nel cuore di Hollywood, un luogo di feste per artisti e attori che, come Delan, si pagano i conti lavorando per la televisione, la pubblicità e in piccole parti di film. Olivia cercava l'amore, quello che ti divora, che ti porta con la mente altrove, e le è bastato un solo sguardo di quell'uomo per capire di averlo trovato. Cercava anche qualcuno che potesse comprendere il sogno che coltiva con ostinazione: diventare una fotoreporter capace di scattare fotografie importanti, diverse da quelle del paesaggio appena fuori dalla porta dell'ufficio. E anche in questo Delan si è rivelato come l'uomo del destino. L'inaspettato invito al matrimonio del cugino Ferhad, eccellente suonatore di flauto e fedele compagno d'infanzia, è l'occasione giusta per scattare foto da mozzare il fiato, nel cuore selvaggio del Kurdistan iracheno. Olivia immaginava di trascorrere notti sotto un cappello scuro pieno di stelle, di addentare fichi ancora tiepidi sugli alberi e percorrere i sentieri affollati di un bazar. Una volta nel Kurdistan, scopre un paese splendido, fatto di visioni e profumi inebrianti, di innocenza non ancora compromessa, di piccoli e inattesi atti di gentilezza, ma anche un mondo violento, dilaniato dalla guerra, dove un singolo gesto di un giorno qualunque può fare la differenza tra la vita e la morte. Un mondo in cui ogni cosa prende un significato più vero e profondo: il coraggio, la gentilezza e l'amore, ma anche la paura, il tradimento, il dolore. Un mondo, infine, in cui catturerà l'immagine di un evento tragico e sconvolgente che segnerà la sua vita per sempre. -
L' idea russa. Da Dostoevskij a Putin
Un'idea percorre la storia della Russia e attraversa i secoli per giungere fino a noi, da Dostoevskij fino a Putin: l'idea dell'eccezionalità della Russia, di un Impero che non è né Occidente né Oriente e che, perciò, può congiungere i due mondi in nome di una sua peculiare forza morale e spirituale. «È ora che io passi alla storia» ha dichiarato Putin a un giornalista russo nel lontano settembre 2013. Non vi sono dubbi che l'obiettivo di Putin sia ricostituire l'Impero russo. Su quali basi, su quali idee, però, si fonda questo disegno, oltre che, naturalmente, sulla forza delle armi? La risposta sta, secondo Bengt Jangfeldt, uno dei maggiori studiosi internazionali di letteratura russa, nelle idee sull'identità nazionale russa formulate da filosofi e scrittori sin dalla metà del xix secolo. In Fëdor Dostoevskij, il grande autore di indimenticabili capolavori della letteratura, che scrive: «C'è una sola verità, e solo un popolo può avere un vero Dio. L'unico popolo portatore di Dio è il russo». In Nikolaj Danilevskij, l'autore di Russia ed Europa, che afferma: «La Russia può conquistare un posto nella storia degno di sé e dei popoli slavi solo ponendosi a guida di un sistema indipendente di Stati e agendo da contrappeso all'Europa in tutte le sue manifestazioni». In Nikolaj Trubeckoj, l'inventore del movimento politico-filosofico chiamato eurasismo per il quale il «mondo russo» è uno spazio che comprende Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. E naturalmente in Aleksandr Dugin e il suo sogno della Grande Russia eurasiatica. Attraverso un agile excursus storico, Bengt Jangfeldt mostra come, formulata circa due secoli fa, all'epoca di Nicola I, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, e in particolare nell'era di Putin, l'idea che la Russia sia una civiltà a sé abbia conosciuto «una straordinaria rinascita al punto che, sotto il nome di patriottismo, sia arrivata a sostituire il comunismo come ideologia di Stato». L'«idea russa», la chiamava Dostoevskij. A quest'idea sono dedicate le pagine che seguono, indispensabili per capire realmente che cosa è in gioco nella «terra di frontiera» chiamata Ucraina.