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L' onda del porto. Un sogno fatto in Asia
Sembra che in ogni opera di Emanuele Trevi ci sia la consapevolezza del confine. L’idea di un’altra terra dove sia possibile non soltanto ignorare i generi ma forgiarli a proprio modo, fonderli, renderli un’altra cosa, senza mai tradirli: tenendo assieme una scrittura narrativa, un resoconto autobiografico, l’idea del romanzo, il diario, il ragionamento filosofico, senza che nulla venga sacrificato. Sembra che in Trevi il racconto privato finisca per riguardare tutti noi come lo avessimo sempre saputo, che – per esempio – Rocco e Pia di Due vite erano nelle nostre vite, anche se non ne avevamo mai sentito parlare prima. Accade anche con l’Asia de L’onda del porto: la storia di un viaggio, intrapreso d’istinto l’anno dopo la catastrofe dello tsunami del 2004. Un uomo parte per vedere quel che resta di un disastro. Ma senza neppure rendersene conto alla prima tappa rinuncia e si ferma. Quel luogo, che doveva essere soltanto una linea di passaggio, la prima di tante, il preludio a una storia da raccontare su una delle catastrofi più grandi degli ultimi vent’anni, diventa altro. Cosa d’altro? È un restare, un essere trattenuti da qualcosa che non prendendo alcuna forma nitida assume sempre più importanza. -
Arco di Trionfo
È il 1939. Nonostante una legge che gli vieta di eseguire interventi chirurgici, Ravic, un medico tedesco rifugiato che vive a Parigi, ha curato per anni alcuni dei cittadini più elitari della città per conto di due medici francesi poco abili. Vietato il ritorno in patria, e schivando i pericoli quotidiani del carcere e della deportazione, Ravic riesce a resistere, mentre cerca il nazista che lo ha torturato in Germania. Nel frattempo, l’incontro con una giovane donna dotata di un'indole fortemente passionale cambierà la sua vita. -
Emma e l'angelo di Central Park. Storia di un'icona di New York e della donna che la realizzò
L’Angelo delle Acque sulla fontana Bethesda in Central Park è una delle icone di New York e il monumento in assoluto più fotografato dai turisti e citato nei film. Questo libro rivela per la prima volta la sua storia affascinante e misteriosa che è inscindibile con quella dell’artista che l’ha creata 150 anni fa: Emma Stebbins, la prima donna a ricevere la commissione per un’opera d’arte pubblica a New York. Newyorkese doc, Emma ha però vissuto nella Roma dei Papi dal 1856 al 1870 ed è in Italia che si è ispirata per la statua dell’Angelo e l’ha realizzata. La sua vita è speciale, soprattutto per quei tempi: è “sposata” all’attrice Charlotte Cushman, antesignana della lotta per il riconoscimento dei diritti dei gay; e fa parte di quella «strana sorellanza di donne scultrici americane che si erano sistemate sui sette colli come uno stormo (o gregge) marmoreo», così le descrive lo scrittore Henry James. Timida e riservata, Emma ha lasciato pochissime tracce di sé. Per ricostruire la sua vita e quella dell’Angelo, Maria Teresa Cometto ha fatto un accurato lavoro di ricerca fra New York e Roma, riuscendo a parlare con due discendenti della scultrice. Il risultato è anche un ritratto delle due città e getta luce sul filo rosso che legava americani e italiani progressisti di quegli anni: il movimento contro la schiavitù negli Usa e il Risorgimento in Italia. -
La sconfitta
Intorno alla metà degli anni Venti, Pierre Minet, stanco della vita provinciale di Reims, fugge a Parigi. Non ha casa, non ha bagagli, soltanto una cartella con dentro una camicia sporca da lavare nei lavandini dei caffè, un quaderno su cui scrivere poesie e un paio di fazzoletti. Gli abiti sono sdruciti ma le scarpe lucide, giusto per poterle contemplare di tanto in tanto e sentirsi cosí elegante da non pensare alla miseria e alla fame. Trascorre il tempo tra avventure, frequentazione di ricchi personaggi e bizzarre figure dei bassifondi, liaison di ogni tipo e, infine, stringe amicizia con Gilbert-Lecomte, Daumal e Vailland. Minet ha poco piú di quindici anni e Gilbert-Lecomte soltanto qualche anno in piú. Viene anche lui da Reims, ma è già una celebrità a Parigi. Ha fondato con René Daumal e Roger Vailland Le Grand Jeu, la rivista che lascerà il segno nella storia della letteratura francese. Cominciano cosí per Minet «mesi senza nessun fine recondito, nessun calcolo, nessun fine in genere», mesi di poesia totale, di continua meraviglia, uno stato di grazia col quale affrontare la vita col «cuore e l’anima di un bambino». rnCirca venti anni dopo, Pierre Minet pubblica La sconfitta. Gilbert-Lecomte è morto. Il suo corpo, voracemente torturato dalla droga, non era finalmente piú d’intralcio allo spirito. Eppure, quella morte assedia, strazia Minet. Rappresenta, infatti, anche la sua fine, la fine del Pierre della libertà, della fame, della «creatura da sogno» della sua giovinezza… La sconfitta è una delle opere fondamentali dell’avanguardia francese. rnUn libro in cui si svela come le posizioni artistiche e letterarie raccolte attorno al gruppo del Grand Jeu non fossero semplici questioni di princípi estetici, ma appartenessero a una vera e propria condotta di vita. Nelle sue pagine sono racchiusi tutti i temi propri di quegli «adolescenti uniti da mille affinità mistiche» (Roger Vailland): condurre l’intera esistenza all’insegna della poesia, espandere le frontiere della percezione, vivere la vita secondo l’intensità che solo l’immaginazione sa dare. -
Un fiore senza paura
L’Avana, 1980. Sono passati quasi trent'anni da quando il 26 luglio 1953, un gruppo di cento guerriglieri, tra cui un giovane avvocato di nome Fidel Castro, attaccò la caserma Moncada segnando l’inizio della rivoluzione che sei anni dopo avrebbe liberato l’isola di Cuba dal despota Fulgencio Batista. Nelle file di quei ribelli, c’erano anche Haydée Santamaria e suo fratello Abel. L’operazione finì in un bagno di sangue: Haydée fu arrestata, Abel orribilmente torturato e ucciso, insieme a Boris Luis, cui la donna era legata sentimentalmente, e altri ottanta prigionieri. Nell’anniversario di quell’atto fondativo, Haydée ormai figura istituzionale del governo cubano, non ha più voglia di festeggiare. Sulla sedia a dondolo, guarda quel tratto di mare che ogni giorno giovani disperati e inquieti affrontano rischiando la morte pur di lasciare l’isola. In realtà anche lei non ha più voglia di vivere, perché le persone che ha amato di più se ne sono andate per sempre portando via con sé quel meraviglioso sogno giovanile di cambiare il mondo. Il giubilo popolare di quell’anniversario non la tocca più, ha perso per lei ogni significato politico per trasformarsi in doloroso disincanto. Il suo tempo è finito e lei andrà a raggiungere le ombre del suo passato. In questo romanzo struggente che ci immerge in una storia diventata leggendaria, Amina Damerdji rende un tributo indimenticabile alla memoria di una figura fondamentale della storia di Cuba, di una donna eroica, la cui estrema scelta del suicidio mise in crisi la fabbrica del mito rivoluzionario cubano. -
Call girl
Seduta davanti a due poliziotti che, con le braccia incrociate e l’aria scettica, soppesano con attenzione ogni sua parola, Laura, vent’anni, sta rendendo una deposizione. Tutto ha avuto inizio il giorno in cui si è presentata in municipio per parlare con Quentin Le Bars, il sindaco. Si è vestita con cura, abitino di maglia sopra il ginocchio, scarpe da ginnastica bianche come qualsiasi ragazza della sua età, consapevole di non aver bisogno di nulla per essere appariscente: Laura conosce da sempre l’effetto che fa sugli uomini.rnÈ appena tornata nella città bretone dove vive suo padre Max Le Corre, ex stella del pugilato nonchè autista del sindaco. È stato proprio il padre a consigliarle di rivolgersi al primo cittadino perchè la aiuti a trovare un posto dove vivere, possibilmente anche un lavoro. Le Bars, che nulla fa in cambio di nulla, decide all’istante che quella bellissima ragazza merita la sua attenzione.rnIn città è risaputo che il potere ha due facce, quella del sindaco e quella del suo amico Franck Bellec, il gestore del casinò, e che i loro affari sono intrecciati, due immense ragnatele aggrovigliate da così tanto tempo che è ormai impossibile distinguerle. Proprio all’interno del casinò, infatti, Laura trova un lavoro dietro il bancone del bar e una sistemazione in una sorta di chambre de bonne, arredata soltanto con un grande letto e uno specchio. Dove, scoprirà, il sindaco si sente di casa. E dove lui ogni volta si farà accompagnare dal suo autista, il padre di Laura, con le parole: Mi aspetti qui, non ci metterò molto.rnTutto cambia il giorno in cui Max Le Corre sale sul ring per combattere un ultimo incontro, da favorito. Da lì, gli eventi precipitano in modo incontrollabile, fino a condurre Laura davanti a quei due poliziotti. -
La materia fiorente. Sulla natura della poesia
Chi ha detto che la materia è incapace di creare da sé la forma (o le forme)? D'accordo, è stato Aristotele, lo sappiamo. Ma cosa accadrebbe invece se, forzando il maestro di coloro che sanno, troncassimo il legame tra forma e arte perché «mediante un concetto di forma radicalmente altro diventerà possibile una distruzione dell'arte – e, in particolare della poesia – concepita come ambito autonomo, come sfera distinta dalla non-arte, dalla non-poesia oppure come sublime riflessione sull'esistenza. Non sarà che qui si compie una risoluzione dell'arte nella natura?» Non è alla scienza o alla negromanzia tecnologica faustiana che l'autore affida tale compito, ma alla poesia stessa, concepita – secondo un paradigma insieme antico e attualissimo – come la fiorente materia del tutto. Il libro di Sjöberg, scritto in originale con minuscole che aspirano al filo d'erba, ma grondante della rugiada dei grandi – l'autore cita dall'originale i classici italiani della naturalezza poetico-politica e simbolica della lingua, ancora al di là di ogni teologia politica: Dante, Bruno, Campanella (che ha tradotto nella sua lingua), senza dimenticare Folengo e Rabelais – mostra che sarà un passaggio ""naturale"""" e invita a compierlo. A condizione che le differenze linguistiche dettate dai luoghi di appartenenza dei parlanti che li abitano, una volta riconosciute e valorizzate, escano dal labirinto dei simboli e delle culture e si lascino attraversare da un senso per la differenza simpatetico all'intelletto comune di Averroé, atto a pensare l'umano sotto un principio unico di permanente, immediata connessione. Consumata allora la babele dell'incomprensione tra popoli bellicosi, l'aiuola che ci fa tanto feroci troverà finalmente una sua pace, che sarà l'ordine mondiale del """"giardino planetario"""" a garantire. Nel """"comunismo cosmico"""" a esso promesso la forma inoperosa di giardinaggio sarà poetica. Trapianterà, al posto della poesia antropocentrica dedita a una decidua filologia, una sempre rifiorente """"filologia naturale"""" in cui l'umano ridivenuto natura ritroverà alla fine quell'innocenza infantile che, forse, non si ricorderà più nemmeno di aver perso. (Monica Ferrando)"" -
Ultima estate a Roccamare
Ci sono momenti magici in cui scrittori, artisti, critici condividono un luogo. E in quel luogo creano. Alberto Riva ci racconta di una pineta in Maremma a cui dobbiamo tutto. Perché in quel luogo sono stati scritti capolavori che leggiamo e rileggiamo ancora. Avevano casa a Roccamare Italo Calvino e Pietro Citati, Carlo Fruttero e Furio Scarpelli: facevano il bagno, camminavano, si scambiavano visite, cene, libri, parlavano di cinema, stavano in silenzio, si ascoltavano, ridevano, scrivevano. Come fu l’estate del 1985 in cui, lungo quella linea tirrenica, c’erano ancora tutti? L’estate in cui Calvino muore mentre scrive le sue Lezioni americane? Tornare su quella lunga spiaggia, le dune vagamente sahariane a perdita d’occhio fino a Marina di Grosseto, dove il signor Palomar osservava le onde e i seni delle bagnanti, significa ritrovare le tracce di una stagione indimenticabile fatta di amicizie struggenti e segrete corrispondenze: Federico Fellini, Mario Tobino, Milan Kundera, Carlo Cassola, Georges Simenon, Nico Orengo, Cesare Garboli, Fruttero & Lucentini e tanti altri. Dialoghi a distanza tra letteratura, cinema, pittura, musica e le voci di chi ancora ricorda, di chi c’era, di chi ci è passato, di chi ha amato e non dimentica. -
Chet
Fu una vita senza regole, quella di Chet Baker: il genio bellissimo e maledetto del jazz, l'uomo capace tanto di distruggere il proprio corpo con la schiavitù dall'eroina, quanto di far salire fino al cielo le note della sua tromba. E fu una vita tragica quella di Chet, conclusa il 13 maggio del 1988 con un volo da una finestra dell'Hotel Prins Hendrik di Amsterdam. Quasi vent'anni dopo, una mattina del 2006, il protagonista di questo romanzo riceve una telefonata che riapre il mistero su uno dei miti più controversi del Novecento: Chet non è morto, ma vive, come un eremita, nel cuore del Salento. E qualcuno giura di aver sentito la sua tromba suonare ancora. Sulle note di My Funny Valentine, il brano che più di tutti ossessionò Baker, comincia un viaggio che spinge il protagonista a cercare di scoprire se quell'uomo, con il viso segnato da un reticolo di rughe profonde ma la forza e lo spirito di un ragazzo, è davvero Chet. Ad affiancarlo in questa ricerca, le donne che in gioventù conobbero il lato più imprevedibile e ribelle di quel ""James Dean del jazz"""" e che oggi vegliano sul suo segreto. E sarà proprio grazie a Nathalie, americana trapiantata a Parigi, che potrà svelarsi il mistero di un artista straordinario che rappresentò il dolore di un'epoca e che negli ultimi anni della sua vita """"ufficiale"""" si avvicinò agli insegnamenti di un mistico e filosofo armeno, Georges Ivanovic Gurdjieff, che sconvolse la vita di tutti coloro che lo conobbero. L'incontro con Gurdjeff segnò per il musicista e l'uomo Chet Baker il principio di un percorso iniziatico dagli esiti sconcertanti e radicali. Questo romanzo (uscito per la prima volta nel 2011 con il titolo """"E nemmeno un rimpianto""""), si immerge nella vita di un mito del jazz: raccontando i suoi successi, l'antagonismo di sempre con Miles Davis, la sua fragilità umana. Con una scrittura intima, sussurrata e al tempo stesso vibrante e suggestiva, Roberto Cotroneo riesce a dare voce al non detto, indagando il mistero di un genio disperato e maledetto. «C'era il genio in quelle note cristalline, rarefatte, quelle note che gli hanno fatto conquistare il mondo intero»."" -
Autobiografia della gaffe
«A vent'anni si è così poco sé stessi da non poter essere altro. È l'età della gaffe: il momento della vita in cui la verità non ha fatto ancora in tempo a mascherarsi». Si immagini dunque l'autore giovane, in un pomeriggio d'inizio estate, in una sala gremita di pubblico e autorità locali, esibirsi in un convegno su ""La letteratura e i giovani"""" utilizzando come metafora la perdita di un braccio. Si immagini poi, seduto in prima fila, accanto al Sindaco, un editore leggendario che si agita alle sue parole, voltandosi a destra e sinistra in preda a un nervosismo e un disappunto crescenti. Nell'anima accecata del giovane autore si fa strada l'idea che nulla è meno visibile di ciò che sta molto vicino e così si accorge che, seduto in prima fila accanto all'editore, il Sindaco è privo di un braccio. Tuttavia è a quel punto che accade l'inimmaginabile: invece di concludere il suo discorso e tacere per sempre in preda all'onta, il giovane autore precipita in un gorgo ineluttabile di ignobili riflessioni sulla scrittura come arto mancante e amputazione primaria. Tanto che, quando gli interventi cessano, l'editore leggendario gli sussurra in un orecchio: Sei così bravo in materia che dovresti scrivere un libro sulla gaffe. Questo libro nasce per adempiere quel lontano suggerimento."" -
Una minima infelicità
Una minima infelicità è un romanzo vertiginoso. Una nave in bottiglia che non si può smettere di ammirare. Annetta racconta la sua vita vissuta all’ombra della madre, Sofia Vivier. Bella, inquieta, elegante, Sofia si vergogna del corpo della figlia perché è scandalosamente minuto.rnUna petite che non cresce, che resta alta come una bambina. Chiusa nel sacrario della sua casa, Annetta fugge la rozzezza del mondo di fuori, rispetto al quale si sente inadeguata. A sua insaputa, però, il declino lavora in segreto. È l’arrivo di Clara Bigi, una domestica crudele, capace di imporle regole rigide e insensate, a introdurre il primo elemento di discontinuità nella vita familiare. Il padre, Antonio Baldini, ricco commerciante di tessuti, cede a quella donna il controllo della sua vita domestica. Clara Bigi diventa cosí il guardiano di Annetta, arrivando a sorvegliarne anche le letture.rnLa morte improvvisa del padre è per Annetta l’approdo brusco all’età adulta. Dimentica di sé, decide di rivolgere le sue cure soltanto alla madre, fino ad accudirne la bellezza sfiorita. Allenata dal suo stesso corpo alla rinuncia, coltiva con ostinazione il suo istinto alla diminuzione.Proposto da Leonardo Colombati al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:rn«Ho avuto la fortuna di seguire la materializzazione di Anna e Sofia – la figlia e la madre protagoniste del libro – da idee a compiuti personaggi letterari, con la sensazione che queste figure così sapientemente ritagliate abbiano tutte le caratteristiche per diventare come i geni delle favole arabe, così ingombranti e vitali da dover per forza uscire fuori dalle loro bottiglie: è il destino dei personaggi riusciti, più grandi delle opere che li contengono, a partire – dall’alto – da gente come Falstaff per finire, appunto, alla piccolissima Anna.rnTalmente piccola Anna, che deve per forza guardare tutti dal basso in alto: il che è un’ottima cosa per una macchina narrativa. Anche perché, per meritare lo sguardo della propria madre, Anna deve affinare il suo, concentrandosi proprio su sua madre come unico soggetto. È una scelta, una necessità, un atteggiamento che – senza svelare troppo le carte – ha a che fare con la letteratura: se, come io credo, il romanzo è l’arte di mettersi nei panni degli altri, quello di Carmen è un romanzo perfetto, per l’attenzione, mai giudicante, con cui la figlia posa gli occhi sull’oggetto del suo amore.rnLa migliore letteratura è quella che, sotto traccia, trova anche il modo di riflettere su sé stessa. Carmen, con il suo stile elegante, ne è un esempio. Spero per il libro che trovi la sua strada. Carmen di sicuro l’ha già trovata. Mi auguro comunque che questa sua prima prova incontri il vostro interesse.» -
Casa Silvermoor
Yorkshire, estate 1897. È l'ultimo giorno di scuola, e Tommy Green si attarda in classe dopo il suono della campanella perchè spera che Latimer, il maestro, gli consigli di proseguire gli studi. Come il nonno, il padre e i fratelli prima di lui, a dodici anni il ragazzo è destinato a passare il resto dei suoi giorni nel ventre della terra a estrarre carbone. Una sorte fatta di spaventosa fatica, cunicoli soffocanti e polvere nera. Un destino nefasto che ha ucciso suo fratello Dan a diciassette anni, e che lega tutti gli abitanti di Grindley alla miniera di proprietà dei Sedgewick di Silvermoor. La risposta di Latimer è perentoria e raggelante: chi si crede di essere quel ragazzo di Grindley? È il più bravo a scuola, e allora? Lo è solo perché gli altri sono più ignoranti. Non c'è futuro per gente come lui se non il carbone. Ognuno è nato nel posto che gli compete, come tuona il predicatore Tawney ogni domenica dal pulpito. rnTrascorre quasi un anno, e la primavera successive Tommy conosce Josie Westgate, della rivale cittadina mineraria di Arden. A differenza di Tommy, Josie non ha mai pensato a un destino diverso da quello di moglie di minatore e madre di minatori. Per questo l'incontro con lo spilungone riccio dagli occhi verdi, che sogna di andare in Africa a domare i leoni, è per lei di quelli che cambiano la vita. Ma mentre lui è cresciuto in una famiglia affettuosa, Josie combatte da sempre contro l'incomprensibile disprezzo della madre ed è in balìa, insieme ai suoi compaesani, della crudeltà dei Barridge, padroni spietati con un pezzo di carbone al posto del cuore. Il nuovo secolo però è alle porte e già si annunciano grandi rivolgimenti sociali. Sempre insieme di fronte alle avversità, l'uno a sostegno dell'altra, Tommy e Josie abbracceranno il vento del cambiamento e della rivolta. Verranno a conoscenza di un oscuro segreto che riguarda Heston Manor, la dimora dei Barridge abbandonata in seguito alla tragica morte del primogenito. Un segreto che stravolgerà la loro vita e quella della loro comunità. -
La vita che vive
Una stessa sensazione, la più semplice, elementare sensazione di essere vivi, può generare la più intensa felicità o può essere, piuttosto, oggetto di paura e di infelicità. Spinoza ha dato a questa sensazione – che ci è familiarissima, ma resta per lo più impercepita e quasi addormentata durante la nostra vita quotidiana – il nome di conatus: una tensione che attraversa il nostro corpo e la nostra mente, e da cui dipendono ogni virtù e ogni vizio. Tutto nasce qui: le paure e i desideri, il fatto che si viva o che si sopravviva. Che cosa fare di questo conatus? È possibile fondare l'etica proprio su questa esperienza elementare? Il saggio di Emanuele Dattilo, scandito in brevi, densi capitoli, cerca di definire questa fondamentale nozione spinoziana, avvicinandola obliquamente, da varie prospettive. Così il conatus si rivela centrale non solo all'interno dell'Etica di Spinoza, ma nell'immediata dimensione etica della nostra vita. Anna Maria Ortese racconta, in un suo articolo, la profonda rivelazione che ebbe, un giorno, calpestando all'improvviso un fiore. Una rivelazione che espresse con meraviglia attraverso le parole: la vita è viva. Riconoscere in ogni gesto il conatus, la vita che vive, significa entrare in una regione totalmente eterogenea a quella delle superstizioni e delle convenzioni morali, una dimensione in cui, secondo Spinoza, la nostra forma si accresce, si intensifica, e apprende a «desiderare direttamente il bene». -
La cartoleria Tsubaki
La venticinquenne Hatoko discende da una genía di illustri calligrafe che, a partire dall’epoca Edo, hanno svolto funzioni di scrivane pubbliche. Questo, almeno, è ciò che le ha sempre raccontato la nonna, con cui la ragazza è cresciuta. Alla morte della nonna, Hatoko si ritrova a prendere il suo posto, sebbene a differenza di un tempo ora il mestiere consista – nella migliore delle ipotesi – nel tracciare in bella grafia un nome sulla busta per un dono in denaro, un’epigrafe in memoria di un defunto o il nome di un nuovo nato oppure, ancora, l’insegna di un negozio, il motto di un’azienda o una semplice dedica. È dunque una calligrafa tuttofare, con il pennello e l’inchiostro sempre a portata di mano, nonostante all’apparenza figuri solo come la proprietaria di una piccola cartoleria di quartiere. La cartoleria Tsubaki è un negozietto di articoli di cancelleria e il servizio speciale di scrivano non è mai stato pubblicizzato in via ufficiale. Eppure, grazie al passaparola, sono in tanti a varcare la soglia della cartoleria con le richieste più sorprendenti: Hatoko si trova quindi a redigere eleganti biglietti d’auguri, a compilare telegrammi di condoglianze per la morte di una scimmia, a comunicare la fine di un amore, tutto rigorosamente scritto a mano e senza mai dimenticare che il suo lavoro è molto importante, perché contribuisce alla felicità altrui. La nonna, del resto, le ha sempre ripetuto che essere uno scrivano al servizio degli altri significa agire nell’ombra, come una controfigura, per aiutarli a comunicare emozioni anche molto profonde. Un giorno, alla cartoleria Tsubaki si presenta un giovane sconosciuto che parla un giapponese alquanto stentato. Con sé ha un sacchetto di carta pieno zeppo di lettere con un indirizzo italiano e vergate nell’elegante, inconfondibile grafia della nonna di Hatoko. Lettere capaci di sovvertire tutto quello che Hatoko ha sempre creduto di sapere non solo sul suo passato, ma anche su quello della cartoleria Tsubaki. -
La ragazza invisibile
Saffyre Maddox, diciassette anni, vive in un condominio di Alfred Road, a Londra. È di fatto sola al mondo. Tutti quelli che ha amato l'hanno abbandonata, più o meno volontariamente. Saffyre è bella, e sa di esserlo dal modo in cui gli altri la guardano. Ma non se ne cura. La bellezza non le rende certo lieve la vita. Roan Fours, il dottore da cui è in cura da tre anni, è l'unica persona che le permette di affrontare in qualche modo il male di vivere, ma anche lui la ha abbandonata. La terapia è tecnicamente finita, le ha detto. Ma per Saffyre è la sua vita che è tecnicamente finita senza il dottore. Per questo si apposta fuori dal suo studio, lo segue da lontano, gira attorno a casa sua quando fa buio, e apprende più di quanto sia lecito sapere. Anche l'esistenza di Owen Pick è una catastrofe, soprattutto da quando lo hanno sospeso dall'insegnamento perché accusato da alcune studentesse di condotta impropria. Proprio lui che, nel quartiere benestante di Hampstead, se ne sta sempre solo nella grande casa vuota di sua zia. Lui che a trentatré anni ancora aspetta la donna con la quale perdere la verginità. Come difendersi da quelle accuse? Cercare nella rete in cui c'è un intero mondo di gente come lui, gli incel, i celibi involontari? E chattare magari con YourLoss, che, stando a quello che scrive, potrebbe davvero diventare suo amico? A Hampstead vivono la loro inquieta esistenza anche i Fours. Cate Fours, che è a metà della vita, non è più sicura di niente, nemmeno del suo matrimonio. Roan si occupa dei figli degli altri e la cura della famiglia grava soltanto sulle sue spalle. Una sera Georgia, la figlia adolescente, le dice che il vicino l'ha seguita dalla metropolitana fino a casa. C'è da preoccuparsi, visto che nel quartiere si sono verificate delle aggressioni e l'allarme è ormai diffuso in ogni casa. Un allarme che si muta in vero e proprio panico quando, in una gelida notte di San Valentino, Saffyre Maddox svanisce nel nulla... Adolescenti a rischio, famiglie disfunzionali, misoginia tossica e deep web si intrecciano nel nuovo thriller di Lisa Jewell che, dopo i successi di Ellie all'improvviso e La famiglia del piano di sopra, torna a narrare delle paure del nostro tempo, penetrando nell'anima dei suoi personaggi per metterne a nudo il lato oscuro. -
I sette monumenti. Miti, verità e misteri dell'Antica Roma
C'è un solo modo, vivo e palpitante, di conoscere Roma antica ed è attraverso i suoi monumenti, testimoni muti di un passato glorioso che svolgono il ruolo fondamentale di memoria del tempo da cui provengono. Vi siete mai chiesti quante persone ha visto morire il Colosseo fra le sue strutture? O quanti tramonti e albe ha vissuto il Foro Romano? O quanta gente ha guardato a testa in su la Colonna Traiana che se ne sta lì nella sua maestosità dal 113 d.C.? Conoscendo i segreti e le vicende di queste splendide costruzioni, tutto si illumina e loro diventano la rappresentazione reale, fisica e tangibile, di un passato solo apparentemente lontano. Protagonista di questo libro non è solo la storia di Roma antica: è tutto quello che ruota attorno a essa, alle date e ai personaggi che l'hanno fatta (anche loro malgrado); è quel filo invisibile che non si è mai spezzato fino a oggi. Buona parte di ciò che siamo, pensiamo, percepiamo si può rintracciare in ciò che accadde a partire da ventotto secoli fa in quell'anonimo centro rurale formatosi attorno a qualche colle vicino a un guado sul Tevere. I sette monumenti scelti (Foro Romano, Circo Massimo, Colosseo, Pantheon, Colonna Traiana, Terme di Caracalla e Arco di Costantino) diventano l'occasione per narrare gli aspetti meno noti dell'antico mondo romano, le curiosità meno conosciute, i vizi, le debolezze e le grandezze non solo dei personaggi più celebri ma anche della gente comune, le invenzioni, gli spettacoli, i divertimenti, le terme, la vita sociale e i suoi protagonisti, i numeri e i record di un impero vastissimo. Muovendoci in uno scenario reale (troppo spesso travisato da film e romanzi) si può cogliere l'essenza dei nostri antenati, l'ingegno, la furbizia, la sagacia, i sentimenti, ma anche i difetti e la loro (per noi sconcertante) crudeltà. Ma perché sette monumenti? Perché bastavano a ricostruire la vita quotidiana di tutto il millennio romano-antico, e perché sette era un numero dalla profonda simbologia nel superstiziosissimo mondo romano: sette i colli (eppure Roma nelle immediate vicinanze del centro presenta anche altri colli oltre ai sette antichi), sette i re (che quasi certamente non furono sette)... Questo numero ha giocato, nella storia e nella cultura della città, un ruolo determinante. -
La mia fuga da Kabul. Diario dei cinque giorni che mi hanno ridato la libertà
Il 15 agosto 2021 i talebani occupano Kabul. È una tragedia che coinvolge e fa vergognare tutto il mondo occidentale. Asmā ha 23 anni, è una ragazza di buona famiglia, suo padre è l'architetto che da anni progetta l'ammodernamento della capitale ed è stato amico di Massoud, il ""Leone del Panjshir"""" fatto uccidere da Osama bin Laden due giorni prima dell'attentato alle Torri gemelle. Asmā è laureata in Scienze politiche, ha frequentato un master in Relazioni inter – nazionali a Pechino e uno online di un'università romana. Per lei i talebani sono solo un racconto, dei genitori e di sua sorella maggiore, di anni lontani quando ancora lei doveva nascere. Da qualche mese è fidanzata con un ragazzo di Jalalabad, Wahid, ed entrambi sono in attesa di un visto per l'Italia dove dovrebbero frequentare un master. La mattina del 15 agosto escono insieme da casa. Sembra un giorno come gli altri: funzionano i mezzi pubblici, le scuole sono aperte, la gente va al lavoro. Nel pomeriggio però i talebani entrano nella capitale. Tutti i progetti della ragazza che sognava un futuro in Italia sembrano crollare come un castello di carte. Ma insieme al fidanzato decide di non arrendersi. Questo è il diario di cinque giorni vissuti pericolosamente, di azzardi che sembrano la trama di un film d'azione hollywoodiano. Tutto parte dall'e-mail del professore italiano con cui aveva studiato che le chiede, un po' ingenuamente da una località di vacanza (è Ferragosto), se ha bisogno d'aiuto. Comincia così una fitta corrispondenza via e-mail e via WhatsApp, in cui gradualmente vengono coinvolti anche il ministero degli Esteri, della Difesa e degli Interni italiani. Per partire insieme i due ragazzi fanno benedire la loro unione da un imam, poi vengono guidati lungo il pericolosissimo per – corso verso l'aeroporto di Kabul, dove metà della popolazione cittadina sta cercando di entrare. Giunti ai cancelli vengono più volte picchiati e respinti dai talebani. Seguono ore drammatiche, scandite minuto per minuto, dove tutto dipende da un tele - fonino, quasi totalmente scarico: Asmā non può perdere il contatto con gli italiani. Quando tutto sembra perduto, per i due ragazzi si apre la via verso la libertà."" -
Tutta colpa di Venere
Attrae molto la sventurata storia dell'astronomo francese Guillaume Le Gentil de la Galaisière, nato nel 1725 e morto nel 1792. Le Gentil, come tutti gli scienziati di quel tempo, fu un eccentrico, erudito e avventuroso. L'anno cruciale è il 1761, quando Le Gentil decide di osservare il transito di Venere davanti al Sole, evento astronomico ritenuto fondamentale per il calcolo delle dimensioni dell'universo, e di andare a farlo a Pondicherry, una colonia francese in India. Ma da quel momento la sorte comincia ad accanirsi contro di lui. Bufere, guerre, naufragi sfiorati, tiranni ostili: tutto sembra cospirare contro l'astronomo, trasformando la missione piú importante della sua vita in un «pot-pourri di disdette». Ma Le Gentil non fu solo uno degli astronomi piú sfortunati della storia. I suoi viaggi, le sue esplorazioni e la sua brama di conoscenza tratteggiano un racconto d'avventura coinvolgente e sorprendentemente attuale, capace di parlare al lettore moderno attraverso il linguaggio universale della curiosità. A partire dalla ricostruzione della vicenda di Le Gentil, Leonardo Piccione ha messo a punto una narrazione piena di riferimenti, divagazioni, invenzioni e molta ironia. Narrazione della quale si trova ben presto a essere co-protagonista, uomo del XXI secolo inaspettatamente sollecitato dalle vicissitudini di uno stravagante astronomo vissuto piú di duecentocinquant'anni prima. Liberata dalle riduzioni macchiettistiche e innalzata ad allegoria contemporanea, la storia di Le Gentil diventa cosí il prototipo di ogni ostinazione quando non conduce al successo, il punto cruciale di ogni avversità, il paradosso della fortuna che si rovescia di continuo. Tutta colpa di Venere è un libro denso ed emblematico. Perché niente può farci capire meglio la realtà quanto quel raro tipo di sventura che diventa tentativo di comprensione del mondo in cui viviamo. -
Il prezzo della pace. Economia, democrazia e la vita di John Maynard Keynes
John Maynard Keynes è l'economista che ha rivoluzionato il pensiero politico ed economico del Novecento, e seguita ancora oggi a suggerire soluzioni ogni qual volta le crisi economiche e le relazioni internazionali minacciano le democrazie. Il suo nome perciò ricorre spessissimo nelle discussioni politiche e nelle dispute economiche odierne, soprattutto quando il mondo si inceppa. È noto che fu lui a comprendere per primo che il trattato di pace firmato alla fine della Prima guerra mondiale avrebbe generato un nuovo conflitto planetario per le condizioni troppo umilianti imposte alla Germania. Fu lui a suggerire le politiche economiche che consentirono all'Occidente di uscire dalla grande crisi del 1929. E fu ancora lui a immaginare il sistema monetario internazionale che avrebbe dovuto favorire la rinascita economica dell'Europa rasa al suolo dalla Seconda guerra mondiale. La sua eccezionale esperienza umana e intellettuale è, tuttavia, conosciuta da pochi. Molti, infatti, ignorano che Keynes era anche un fine intellettuale, cresciuto nella Cambridge tra fine Ottocento e inizio Novecento, amico dei personaggi più eccentrici dell'epoca, da Bertrand Russell a Ludwig Wittgenstein, da Virginia Woolf a Lytton Strachey, e propugnatore di idee economiche democratiche ispirate alla giustizia sociale. Fu il primo vero lib-lab della storia. Tra gli animatori della sofisticata enclave londinese di Bloomsbury, ebbe una vita intensa e «spericolata». Omosessuale quando nel Regno Unito era ancora un delitto, alla soglia dei quarant'anni si innamorò di una ballerina russa «scandalizzando i suoi amici». Questa biografia, brillante e appassionata, ricostruisce la parabola intellettuale dell'uomo e, al tempo stesso, fornisce un vivido spaccato delle società britannica ed europea tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento. -
Il naufragio di Sostakovic. Arte e cultura sovietica negli anni del terrore staliniano
La mattina 28 gennaio del 1936 Dmitrij Šostakovič – che in quel momento si trova ad Archangelsk – sfoglia febbrilmente l’edizione della Pravda. A pagina tre c’è un editoriale non firmato dal titolo Caos invece di musica. Per la maggior parte dei lettori quel titolo non vuol dire nulla. Per lui invece è una pietra tombale sulla sua carriera di enfant prodige della musica sovietica. Due giorni prima era andata in scena a Mosca al teatro Bol’šoj una replica dell’opera che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Si tratta di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, quattro atti ispirati all’omonima novella di Nikolaj Leskov. Allo spettacolo del Bol’šoj sono presenti Molotov, Mikojan e Ždanov, l’arbitro dell’ortodossia culturale comunista. Ma soprattutto è presente Stalin, incuriosito da quella musica che tutto il mondo onora. Inaspettatamente, al terzo atto Stalin abbandona il palco. Non era mai accaduto prima. È un naufragio, ma Šostakovič lo capirà due giorni più tardi. L’editoriale della Pravda è spietato e nessuno dubita che sia stato vergato dallo stesso Stalin, che la musica la ama e che preferisce Mozart e Beethoven alle astruserie della modernità: «Fin dalle prime battute il pubblico è assalito da un’ondata di sonorità volutamente confuse e discordanti, un formalismo che accarezza il gusto morboso del pubblico borghese con una musica inquieta e nevrastenica».