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L' immagine come punto interrogativo o il valore estatico del documento surrealista
Il breve saggio approfondisce l'utilizzo delle immagini fotografiche tipico dell'attività dei Surrealisti tra la fine del XIX e inizio del XX secolo. Peculiarità surrealista è la forte preferenza per le immagini funzionali, utilizzate ai fini di documentazione o d'informazione, che venivano utilizzate in arte, decontestualizzandole, con un valore anti-artistico, legato alla capacità di suscitare domande e perplessità. L'uso di queste immagini diventa un gesto surrealista in sé, uno stimolo all'immaginazione e una forma poetica per creare la sorpresa, o l'estasi tanto cara ai Surrealisti. In questo modo queste immagini subiscono una conversione del loro significato acquisendo una forza e una connotazione artistica e contemporaneamente non-artistica. -
Mario Schifano. Una biografia
"Mi conoscono anche quelli che non mi conoscono, quindi inventate quello che volete"""": così Mario Schifano era solito allontanare gli aspiranti biografi che lo assediavano. Attraverso una narrazione a più voci delle persone che lo hanno """"vissuto"""", seguito e sopportato, Luca Ronchi ci offre una possibile biografia di Mario Schifano. Lo scenario del viaggio nel tempo propostoci da Ronchi non può che essere Roma, il """"paesone cosmopolita"""" che durante la guerra accoglie Schifano ancora bambino di ritorno dalle bianche spiagge della Libia. Sotto gli indimenticabili cieli della Città Eterna, sulla terrazza di piazza Scanderbeg che fungeva da studio en plein air, nei primi anni sessanta Mario inizia a dipingere quei monocromi che lo renderanno uno dei protagonisti dell'arte italiana del Novecento. Fonda un gruppo pop-rock; si cimenta in filmati all'avanguardia; frequenta intellettuali e aristocratici; cambia macchine, abiti e televisori con una rapidità sconvolgente; viene arrestato e """"messo alla gogna"""" per il consumo di sostanze stupefacenti. Forse nell'immaginario popolare Schifano resterà sempre l'incarnazione perfetta della concezione romantica che vede nell'artista genio e sregolatezza. Oltre la fama, però, spenti i flash delle cronache mondane c'è un pittore ancora tutto da scoprire che negli ultimi tempi amava citare una frase di Lucian Freud: """"the man is nothing, the work is everything""""." -
Andy Warhol superstar. Schermi e specchi di un artista-opera
"Andy Warhol superstar"""" ripercorre le tappe dell'attività """"su schermo"""" di Andy Warhol, dai film, alla pubblicità fino alle apparizioni televisive. Un percorso che ne ha sancito lo status di divo acclamato dalle folle, preso ad esempio ma anche odiato a tal punto da attentare alla sua vita, un excursus attraverso le varie esperienze e le figure che lo hanno accompagnato e che sono diventate parte integrante dell'immaginario warholiano, prima tra tutte l'attrice e sua musa Edie Segwick. Con sguardo esperto sul mondo del teatro, Luca Scarlini scandaglia i mille volti di Warhol: fobie, contraddizioni e aspirazioni in relazione alla sua immagine e alla produzione di opere per il piccolo e grande schermo. Sullo sfondo del mondo pop e """"camp"""", quello scenario degli anni sessanta e settanta in cui il kitsch regnava sovrano." -
Arte programmata cinquant'anni dopo
A cinquant'anni dalla prima mostra di Arte Programmata (Milano, 1962), l'autore propone una riflessione su ciò che resta di un esperimento di neoavanguardia che ha tentato di coniugare teoria della percezione e produzione industriale. Voluta da Bruno Munari, presentata da Umberto Eco, sponsorizzata dalla Olivetti, l'Arte Programmata non è solo un movimento italiano riconducibile al più vasto mondo dell'arte cinetica, ma un vero e proprio tentativo di definizione del campo dell'arte, ai tempi della società industriale e cittadina, che muove dal nuovissimo concetto - per allora - di ""programmazione"""", attorno a cui ruotava tutto il dibattito interno agli intellettuali vicini alla Olivetti, che proprio in quegli anni era all'avanguardia nel campo dei piccoli processori elettronici. Superato un lungo periodo di oblio e di silenzio, oggi l'Arte Programmata gode di nuovo favore, e di un rinnovato interesse critico, storico e di mercato: perché sta avvenendo ciò? Cosa rende ancora attuale quel movimento? Quale movimento di nostalgia e di """"revival"""" riesce a innescare tutt'oggi?"" -
Di tutto un pop. Un percorso fra arte e scrittura nell'opera di Mike Kelley
Noto principalmente come artista visivo, Mike Kelley è stato in realtà una figura poliedrica e incontenibile. Oltre a utilizzare i mezzi espressivi più diversi, dal disegno al video, dalla performance all'installazione, egli ha spesso superato i tradizionali confini dell'opera inglobando la scrittura nel processo creativo, per poi giungere alla stesura di statements e testi di varia natura, e soprattutto rompendo il muro che tradizionalmente separa il ruolo del critico da quello dell'artista. Ed è alternandosi su questo doppio binario, azione e parola, e mettendo in evidenza la reciproca capacità di fecondarsi, che il saggio affronta una serie di campi e di tematiche esplorati da Kelley nel corso degli anni: dall'attrazione per la collaborazione rappresentata da liaisons artistiche con Paul McCarthy, e musicali quale membro della art band Destroy All Monsters -, all'interesse per l'estetica ufologica, all'ossessione per gli animali di pezza, all'importanza che per lui rivestono l'autorità e la memoria, fino a quello che può essere considerato uno degli snodi fondamentali della sua opera e del suo pensiero: l'uncanny, cioè il perturbante di freudiana memoria, a cui dedicherà anche un'importante mostra. Musicista della scena alternativa, artista, curatore, scrittore, intervistatore, critico: queste alcune delle personificazioni di uno degli artisti più originali del nostro tempo. -
Programmare l'arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche. Catalogo della mostra
Il 15 maggio 7962 viene inaugurata nel Negozio Olivetti della galleria Vittorio Emanuele di Milano la mostra ""Arte Programmata"""". Il nome si deve a Bruno Munari, ispiratore dell'iniziativa, mentre la teorizzazione di un'arte cinetica come paradigma di """"opera aperta"""" è di Umberto Eco che firma il catalogo edito per l'occasione. Gli artisti sono giovani e giovanissimi: i milanesi del Gruppo T (Anceschi, Borioni, Colombo, Devecchi, Varisco), i padovani del Gruppo Enne (Biasi, Costa, Chiggio, Landi e Massironi), a cui si aggiungono Enzo Mari e lo stesso Munari. Altri arriveranno nel corso della lunga tournée [...] che la mostra compirà per più di due anni a venire. Imballate in casse dipinte di arancione, con il nome Olivetti in beila evidenza, le opere sono un piccolo ma importante simbolo dell'Italia degli anni del boom, del matrimonio virtuoso tra avanguardia artistica e ricerca industriale [...]. Olivetti infatti produce e sponsorizza la mostra - prima azienda in assoluto a porsi come committente - negli anni in cui la casa di Ivrea si lancia nell'avventura dell'elettronica, realizzando con l'Elea 9003 il primo grande computer transistorizzato al mondo. Cinquant'anni dopo non abbiamo soltanto voluto ricostruire la mostra attraverso le opere e i documenti che ne narrano la genesi (compresa la riproduzione anastatica dei catalogo originale), ma anche allargare lo sguardo all'avventura elettronica dell'Olivetti..."" -
Meret Oppenheim. Afferrare la vita per la coda
Donna, artista, outsider, icona: dal fulminante esordio con ""Colazione in pelliccia"""", destinato ad aprirle poco più che ventenne le porte del MOMA, al lungo e impervio cammino intrapreso per liberarsi di ogni etichetta artistica, ideologica e di genere, Meret Oppenheim (1913-1985) è una delle poche figure femminili della storia divenute leggendarie per aver osato sfidare regole e pregiudizi millenari in nome di una vocazione autentica. Una vocazione artistica ed esistenziale che la porterà a scelte e posizioni di rottura tutt'altro che facili, non solo nei confronti della società benpensante dell'epoca ma anche degli insidiosi pregiudizi cui non può dirsi immune lo stesso milieu artistico e letterario del suo tempo. Musa venerata da Man Ray, pupilla irriverente di Breton, complice e lei stessa protagonista delle più grandi sperimentazioni e delle più appassionanti avventure artistiche del Novecento, Meret Oppenheim si muove lungo il secolo con la libertà e l'originalità disinvolta e a tratti sofferta dei purosangue. Dall'avvicinamento alle teorie di Carl Gustav Jung al folgorante incontro con i surrealisti, dalla lunga lotta con la depressione all'attrazione inesorabile che a soli vent'anni la lega fatalmente a Max Ernst, dall'intenso e profondissimo sodalizio artistico con Alberto Giacometti all'amicizia segreta e finora ignota con Marcel Duchamp, Martina Corgnati traccia un accurato ritratto della donna e dell'artista..."" -
Cinema & esperience. Le teorie di Kracauer, Benjamin e Adorno
A partire dagli anni novanta i cosiddetti cinema studies hanno subito una tale proliferazione da diventare una vera e propria disciplina accademica. Attualmente, però, il loro oggetto d'indagine sembra dissolversi sempre di più in un flusso di mutevole, globale e globalizzate, cultura dell'immagine: audiovisiva, elettronica, digitale e web. Miriam Bratu Hansen ricomincia dal principio, ovvero dalla perspicace critica della modernità operata da tre pilastri dell'estetica del Novecento, Kracauer, Benjamin e Adorno, incentrata proprio su questo media: non su ciò che il cinema è, ma su quello che fa, ovvero la particolare esperienza sensoriale e mimetica che esso rende possibile negli spettatori. Non un'ontologia del cinema, dunque, ma un tentativo di comprensione, sebbene con prospettive e modalità differenti, del suo ruolo all'interno della modernità in evoluzione. I film, infatti, contribuiscono in maniera sostanziale alla riconfigurazione dell'esperienza intesa nel suo senso più pieno di Erfahrung, ovvero come vita quotidiana, rapporti sociali e lavorativi, economia e politica. La recente apertura della frontiera del digitale e il necessario ripensamento di dispositivi e categorie filmiche fondamentali come il movimento e l'animazione lanciano una nuova sfida, che però non è una minaccia: dopo aver fatto ""saltare con la dinamite dei decimi di secondo questo mondo simile a un carcere"""", il cinema potrebbe riaprire capitoli dell'estetica apparentemente chiusi e riattualizzarli."" -
L' insieme vuoto. Per una pragmatica dell'immagine
Che cos'è un'immagine? Perché le immagini hanno assunto un'importanza così grande nelle nostre vite? Cosa significa avere uno sguardo? Federico Ferrari riflette sulla società delle immagini e sul rapporto ritmico tra immagine e parola, ritmo che forgia il nostro orizzonte, concentrandosi sull'uso delle immagini e sul mondo che esse creano, sulla disseminazione dello sguardo nell'impossibilità di una sola visione del mondo, di una sola misura. L'immagine contemporanea infatti impone oggi una nuova definizione del guardare, che parta dalla singolarità di ogni visione ma sia anche capace di abbracciarne la pluralità. Ed essendo le visioni possibili, per definizione, infinite, ciò che davvero conta è ciò che sottende ed è quindi comune a tutte. Detto con i termini della teoria degli insiemi, è un insieme vuoto che si presenta come un nulla ma che è anche qualcosa: lo sguardo, ciò che ci precede e che resta aperto al di là di ogni visione possibile, di ogni immagine data. L'insieme vuoto dello sguardo è la potenza del vedere. -
One day we must meet. Le sfide dell'arte e dell'architettura italiane in America (1933-1941)
«Il saggio di Sergio Cortesini ricostruisce la macchina della propaganda, più o meno diretta, del regime negli Stati Uniti» - Dario Pappalardo, RobinsonOttobre 1937. A suggello di un fruttuoso colloquio alla Casa Bianca, il presidente Roosevelt rivolge a Vittorio Mussolini l'auspicio di incontrare presto suo padre Benito. «One day we must meet»: sono parole incoraggianti per chi, come il figlio del duce, è inebriato dallo scintillante american way of life ed è lì a rappresentare lo spirito più giovanile e modernista del fascismo. Il ""grande paese"""" è in quegli anni sempre più spesso interlocutore privilegiato, al centro delle fitte trame della cosiddetta """"diplomazia parallela"""". L'arte e l'architettura moderne sono impiegate dal governo fascista come ambasciatrici culturali, in modo pervasivo e tenace, per confezionare miti in grado di sedurre le masse e accattivarsi le simpatie dell'opinione pubblica. Una prassi, questa, che genera occasioni e spazi concreti: da un lato gli imponenti padiglioni nazionali, come quello dell'iconica esposizione internazionale di Chicago del 1933, dall'altro le grandiose mostre dei contemporanei - Casorati, Sironi, Levi, Carrà e de Chirico, tra gli altri - accanto ai celebrati old masters, le cui opere intraprendono avventurose traversate transatlantiche grazie anche all'intraprendenza di personaggi come Dario Sabatello, Mimì Pecci Blunt e Giulio Carlo Argan. Con una felice insistenza sulla ricostruzione dei luoghi e del vivace clima culturale dell'epoca e attingendo a centinaia di documenti d'archivio inediti, Sergio Cortesini ripercorre la parabola dell'arte moderna italiana in America tra il 1933 e il 1941. Dai successi iniziali si assiste così al progressivo deteriorarsi delle relazioni politiche fino al loro definitivo e tragico tramonto, segnato dall'ingresso in guerra dell'Italia. È la fine di tutte le illusioni di grandezza: i padiglioni vengono demoliti e le opere d'arte rinchiuse nei depositi. Per coloro che hanno creduto sinceramente in un italianismo declinabile nelle forme dell'estetica moderna e in una rinnovata potenza comunicativa dell'arte nazionale, la frase di Roosevelt è rimasta una profezia lost in translation."" -
Piero Manzoni. Vita d'artista
6 febbraio 1963: ad appena trent'anni Piero Manzoni viene trovato morto nello studio di via Fiori Chiari, stroncato da un infarto. Da quel momento in poi è la sua fama di personaggio provocatore e scapestrato ad affermarsi, insieme all'opera più dissacrante, la ""Merda d'artista"""", che entra nella leggenda e nell'immaginario collettivo. Ma cosa c'è in realtà prima, dopo e dietro quei trenta grammi di prodotto purissimo d'autore? È ciò che ricostruisce e racconta Flaminio Gualdoni in questa biografia, che traccia il filo rosso della ricerca artistica di Manzoni, mettendo ordine in una congerie di materiali finora frammentari e lasciando da parte qualsiasi ipotesi fantasiosa e non documentata. Le notti di """"dolce vita milanese"""" e le giovanili scorribande in bicicletta, le prime prove sotto il patrocinio di Fontana alla ricerca di una voce personale, il sodalizio con giovani artisti italiani a lui contemporanei, le collaborazioni con i movimenti d'avanguardia internazionali di cui diventa un esponente ricercato e riconosciuto: tutto scorre velocemente, fino a relegare sempre più sullo sfondo il Manzoni privato e a portare in primo piano il Manzoni artista. A imporsi fortemente, pure nel continuo e incessante sperimentare attraverso ogni mezzo - dalla pittura ai progetti per ambienti immersivi -, è infatti il nocciolo duro e compatto di un'avventura estetica attorno all'essenza stessa dell'opera d'arte."" -
Infinity net. La mia autobiografia
Un mare color argento di sfere riflettenti, distese smisurate di candidi falli, una proliferazione di pois che tracimano dalle tele fino a invadere l'intera stanza. Al centro, inghiottita dalla sua stessa arte, una minuta giapponese dai capelli neri come la pece, Yayoi Kusama. Nata a Matsumoto nel 1929 da una famiglia tradizionalista, appena può la piccola Yayoi fugge nelle piantagioni del nonno materno dove, tra nuvole di malvarosa, si abbandona alle più stravaganti visioni che poi fissa su tela. La pittura è l'unico sollievo ai precoci patimenti esistenziali, e Yayoi è decisa a coltivarla fino in fondo, a costo di porre un intero oceano tra sé e chi cerca di impedirglielo. Sbarcata ventottenne a New York, l'inferno in terra, ancora una volta è l'arte a salvarla: supera la povertà e i ripetuti collassi nervosi esorcizzando le proprie fobie con i celebri ""Infinity Nets"""" e le """"soft sculptures"""". Dall'arte """"psicosomatica"""" alle folli performance con orge e """"partouzes"""" il passo è breve: sul finire degli anni sessanta Yayoi cavalca lo tsunami hippie e i """"Kusama Happenings"""" diventano gli eventi clou della rivoluzione pacifista. Raccontate in prima persona con spiazzante sincerità e ricche di momenti autenticamente comici, queste pagine ricostruiscono la parabola di una delle personalità più eccentriche, ambivalenti e incantevoli che l'arte giapponese abbia mai conosciuto."" -
Marcel Broodthaers. Libro d'immagini
".. .mi sono chiesto se non potevo vendere qualche cosa e avere successo nella vita. E già diverso tempo che non combino niente. Ormai ho quarant'anni... Alla fine mi è venuta l'idea di inventare qualche cosa d'insincero e mi sono messo subito al lavoro."""" (Marcel Broodthaers) In soli dodici anni di carriera, il belga Marcel Broodthaers (Bruxelles 1924-Colonia 1976) ha prodotto più idee di quanto di solito non si faccia nell'arco di un'intera vita. Dopo essersi dedicato per vent'anni alla poesia, nel 1964 abbandona questa forma espressiva per firmare un patto con un universo, le arti visive, dai valori opposti. Muovendosi con disinvoltura fra i più diversi media - dall'installazione alla scultura, dal libro d'artista al video e alle scritte impresse su pannelli e targhe di alluminio - Broodthaers si pone come artista """"post-mediale"""" per eccellenza, per il quale ogni mezzo può essere utilizzato al servizio di un'idea. Tra quelle che animano la sua opera vi è la critica alle istituzioni (di cui è stato un pioniere), la demistificazione dell'arte e gli enigmi visivi. Concepito e curato da Marie-Puck, figlia di Broodthaers, questo volume offre una vasta selezione di fotografie inedite, due importanti saggi critici, una cronologia completa delle mostre e una bibliografia selezionata. Con le sue trecentocinquanta immagini a colori è la più importante e autorevole monografia mai pubblicata su Marcel Broodthaers." -
Elogio di «Funny Guy» Picabia, inventore della pop art
"Elogio di 'Funny Guy' Picabia, inventore della Pop Art"""" prende spunto dal ritrovamento postumo di un corpus di dodici disegni di Francis Picabia risalenti al 1923 realizzati a inchiostro su carta per illustrare le copertine della rivista """"Littérature"""", fondata e diretta da André Breton. Per questi disegni, rimasti inediti, Picabia si appropria delle immagini pubblicitarie di una rivista o della brochure di un grande magazzino, le copia e fornisce nome e prezzo esatto di vendita di ciascun articolo. Semplice materiale pubblicitario su cui Picabia appone le proprie iniziali, per ironizzare forse sulla sua scarsa capacità di vendersi e forse anche per sdrammatizzare l'insuccesso della sua mostra alla galleria Dalmau di Barcellona, di cui Breton fu testimone. Essi rappresentano una svolta stilistica e tematica rispetto ai progetti realizzati fino a quel momento dall'artista. Picabia usa per la prima volta una strategia commerciale come strategia di sovversione artistica; eleva cioè la volgare propaganda commerciale a opera d'arte. Così facendo inventa la Pop Art e diventa precursore di Warhol, Lichtenstein e Rosenquist." -
Arte in tv. Forme di divulgazione
Nell'ormai lunga storia della tv italiana l'arte ha avuto fin da subito uno spazio preciso, se si pensa che il 3 gennaio 1954 non solo segna il debutto delle trasmissioni RAI ma anche la messa in onda del primo approfondimento culturale, Le avventure dell'arte. E di avventura si è trattato: le estreme potenzialità comunicative del nuovo mezzo, che portava letteralmente nelle case degli italiani per la prima volta argomenti elitari, si scontravano presto con la diffidenza, per non dire l'ostracismo, di una parte consistente di critici e intellettuali. A distanza di sessant'anni lo scenario e i protagonisti di questo racconto sono decisamente cambiati, con la presenza delle emittenti private prima e della pay tv poi, e quindi con il deciso ampliarsi dell'offerta. Ma se il contesto muta, le questioni attorno a cui il rapporto arte-tv si gioca rimangono le stesse, in primis quella della legittimità di un medium a vocazione popolare a veicolare un contenuto alto, e soprattutto quella riguardante le funzioni che il piccolo schermo svolge nei confronti dell'arte, a partire dalla divulgazione che, pur nelle sue varie tipologie, è considerata storicamente la principale e più ovvia declinazione del mezzo. Proprio a quest'ultimo aspetto in particolare è dedicata la serie di saggi raccolti nel presente volume, sia che si muovano dal campo specifico della comunicazione televisiva sia che scelgano di privilegiare l'ambito artistico. -
Frammenti di vita etrusca. Pitture tarquinesi da una collezione privata
Nel corso dei secoli il patrimonio storico-artistico italiano è stato trafugato e molte opere, dei più svariati generi, hanno alimentato un fiorente mercato spesso illegale di opere d'arte antica. A volte, fortunatamente, pezzi della nostra storia riescono a tornare in patria per via ufficiale andando a ricostruire tasselli di un grande tesoro. Il recupero di sette frammenti di affresco etruschi, che oggi fanno parte della collezione Rovati, è all'origine di questo volume che analizza e ricontestualizza i reperti per trovarne la collocazione all'interno della vasta produzione etrusca. La curatrice, archeologa e ricercatrice, Silvia Menichelli delinea il contesto di riferimento delle opere presentando la società e la produzione artistica etrusca, in particola la pittura, tecnica che più di altre ha saputo tramandare fino ai nostri giorni immagini della storia di un popolo. Attraverso l'analisi di documenti, riproduzioni a disegno e ad acquarello e resoconti di scavi Menichelli procede per parallelismi con le pitture tombali conosciute per ricollocare storicamente i sette affreschi (età tardo-antica databili attorno al 500 a. C), interpretarne l'iconografia e trovare un possibile luogo di origine di questi pregevoli manufatti. -
Mezzo secolo di arte intera. Scritti 1964-2014
Se sappiamo quello che sappiamo sulla straordinaria rivoluzione artistica della seconda metà degli anni sessanta, di arte povera, arte concettuale, arte processuale e land art; se oggi riconosciamo in Boetti, Pistoletto e Zorio alcuni tra i più importanti esponenti della loro generazione; se conosciamo le ultime dichiarazioni di Lucio Fontana o avevamo già letto di figure recentemente riscoperte come quelle di Agnetti, Baruchello, Dadamaino, Mulas e Griffa, lo dobbiamo anche alle cronache, alle recensioni, ai saggi, all'opera editoriale e educativa di Tommaso Trini (Sanremo, 1937). Questa antologia colma una lacuna durata troppo a lungo e contribuisce a disegnare una mappa più accurata del panorama critico italiano, al di là di un consunto schema bipolare. Attraverso un'attenta opera di ricerca e di confronto condotta da Luca Cerizza in dialogo con l'autore, il volume raccoglie per la prima volta una selezione dell'ampia produzione critica di Trini: dai testi pionieristici dedicati ai futuri protagonisti dell'Arte Povera, alla serie di approfondite letture di altre figure cardine del dopoguerra, fino alle cronache e le analisi che - tra le prime a livello internazionale - definiscono in tempo reale le caratteristiche dei movimenti artistici postminimalisti che agitavano la seconda metà degli anni sessanta. Attraverso questi scritti, Trini si rivela rapido testimone e allo stesso tempo acuto lettore di molta dell'arte m di questo mezzo secolo. -
Il cinema degli architetti
Questa è una storia di dialoghi mancati, di approdi differiti. Un'avventurosa vicenda, che non era ancora mai stata ricostruita nella sua ricchezza. Ne sono protagonisti, tra gli altri, Le Corbusier e Walter Cropius, Charles e Ray Eames e Yona Friedman, Bruno Munari e Frank Lloyd Wright, Giancarlo De Carlo e Ludovico Quaroni, Emilio Ambasz ed Ettore Sottsass, Gaetano Pesce e Mario Bellini, Michele De Lucchi e Aldo Rossi, Superstudio e Andrea Branzi. Pur diverse, le loro esperienze sono accomunate da una profonda fascinazione per il cinema, medium moderno per eccellenza, straordinaria ""arte di vedere lo spazio"""", strumento per aderire alle architetture e per descriverne dall'interno la sintassi e i vuoti, dispositivo per visualizzare la metropoli contemporanea. Poco disposti a misurarsi con le regole dell'industria cinematografica e a cogliere la specificità del linguaggio filmico, gli architetti-registi concepiscono la settima arte come territorio della libertà, geografia in cui muoversi senza rispettare consuetudini e rituali, luogo delle più sfrenate sperimentazioni. In questo originale volume, curato da Vincenzo Trione, incontreremo tanti architetti per i quali il cinema, per riprendere le parole di Giulio Carlo Argan, non è """"puro e semplice sistema di conoscenza"""", ma """"sistema significativo di nuova istituzione"""": tra le tecniche artistiche, """"la più strutturante""""."" -
Che cos'è l'arte?
Che cos'è l'arte? È questo l'eterno interrogativo sul quale il filosofo e critico Arthur C. Danto ritorna in un saggio che è insieme dissertazione filosofica e riflessione autobiografica. Prendendo le distanze da chi vorrebbe ridurre l'arte a ciò che è considerato tale in un contesto istituzionale o da chi addirittura la ritiene indefinibile, l'autore individua alcune caratteristiche che le restituiscono contorni netti: l'arte ha una sua permanenza ontologica nelle forme pur variabili in cui si manifesta. A determinare un'opera d'arte è la capacità di dare corpo a un'idea, di esprimerla per mezzo di un ""fare artistico"""" che traduce il pensiero in materia nel modo più efficace, travalicando le contingenze. Ma ciò non basta. Essa deve incarnare qualcosa di impalpabile, che la accomuni a un sogno a occhi aperti e che conduca il fruitore a uno stato emotivo e sensoriale nuovo. Danto approda così a conclusioni lontane dal relativismo che per decenni gli è stato attribuito: per capire l'arte non ci vuole un concetto aperto, ma una mente aperta. Nel guidare il lettore tra i grandi nomi del pensiero filosofico e dell'arte di ogni epoca (in particolare Michelangelo, Poussin, Duchamp e Warhol), l'autore traccia un ambizioso percorso che dalle teorie platonica e kantiana prosegue analizzando le innovazioni - prospettiva, chiaroscuro, fisiognomica e nascita della fotografia - che hanno segnato il progresso dell'arte occidentale, fino al suo apparente esaurimento..."" -
Mario Sironi. La grandezza dell'arte, le tragedie della storia
«L'arte non ha bisogno di riuscire simpatica, ma esige grandezza» ha scritto Sironi. Sono parole che si attagliano anche a lui, pittore di periferie inospitali eppure imponenti come cattedrali moderne. Futurista a partire dal 1913, Mario Sironi (Sassari 1885 - Milano 1961) negli anni venti ha espresso l'aspetto più duro della città e della vita contemporanea, ma insieme ha dato ai suoi paesaggi urbani la forza delle architetture classiche e alle sue figure la solennità dei ritratti antichi. Di una classicità moderna, è stato infatti uno dei maggiori protagonisti tra le due guerre: prima con il movimento del Novecento Italiano, che si forma a Milano nel 1922; poi con il sogno visionario di una rinascita dell'affresco e del mosaico. Amico personale di Mussolini e fascista della prima ora, Sironi ha dato forma nella sua pittura murale degli anni trenta alla dottrina nazionalistica e sociale del regime - non alle leggi razziali che non ha mai condiviso - ma il suo desiderio di ritornare alla Grande Decorazione antica gli era nato già durante la giovinezza trascorsa a Roma, quando, come diceva, passavano davanti ai suoi occhi «gli splendidi fantasmi dell'arte classica». Del resto la sua arte, potente e dolorosa, non diventa mai un'arte di Stato. La vita non ha risparmiato Sironi: la perdita del padre a tredici anni, le crisi depressive, la guerra; poi la miseria, la contrastata vicenda familiare, le polemiche sulla sua pittura, i ritmi di lavoro massacranti che gli minano la salute; la caduta del fascismo, il crollo dei suoi ideali politici e un'esecuzione sommaria evitata in extremis (grazie all'intervento di Gianni Rodari, partigiano ma suo estimatore); infine la perdita della figlia Rossana, suicidatasi a diciotto anni nel 1948. Tuttavia la sua pittura oppone alle tragedie dell'esistenza e della storia un'ostinata volontà costruttiva. Almeno fino alla stagione ultima quando Sironi, svaniti sogni e illusioni, dipinge città frananti e visioni dell'Apocalisse.