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Il ciclista prodigioso
Giuliano Scabia è stato un autore inimitabile e poliedrico: ha innovato profondamente il teatro italiano negli anni Sessanta e Settanta portando le sue «azioni teatrali» negli ospedali psichiatrici, nelle fabbriche, nei barconi sul Po, nei boschi; è stato un mitico professore del DAMS che ha forgiato generazioni di studenti; è stato un poeta originale, «cantore delle bestie e delle piante, delle stelle e degli dèi» come ha ben scritto Gianni D'Elia; ed è stato soprattutto un romanziere dalla lingua inventiva, percorsa dalle vene dialettali di quel «pavano» che sentiva come lingua ancestrale, la lingua della sua infanzia ma anche dell'infanzia del mondo. I quattro romanzi del ciclo di Nane Oca sono ambientati in un mondo favolistico in cui la pacifica comunità dei Ronchi Palú deve affrontare scompigli grandi e piccoli. L'altro ciclo, scritto in uno stile più realistico ma sempre attraversato da personaggi fantastici (per esempio l'angelo dagli occhi blu e l'angelo dagli occhi rossi che litigano sempre fra loro), racconta una saga familiare, a partire dal violoncellista Lorenzo (il padre di Scabia era effettivamente un violoncellista), dalle sue due mogli, fino alla figlia Sofia e ora, con quest'ultimo romanzo che esce purtroppo postumo, al figlio Ercole. Ercole, ciclista appassionato (come è sempre stato Scabia), decide di attraversare il mondo in bicicletta per raggiungere i luoghi in India dove il padre era andato a suonare per gli animali della foresta tanti anni prima. Dunque un libro «on the road», ma anche un libro di ricongiungimento col padre, e soprattutto un libro di prodigi, di incantamenti, di poesia. -
Tutto per i bambini
Delphine de Vigan si avventura con coraggio nell'universo tanto complesso quanto affascinante dei social network, restituendo il ritratto di una società - la nostra - in cui non c'è niente che non possa essere messo in scena e in vendita. Persino, e soprattutto, la felicità.«Ritornando ai temi che le sono cari, come l'abuso di potere e la violenza famigliare, Delphine de Vigan si avvale con maestria dei meccanismi del thriller per un'analisi sconvolgente delle derive di un mondo in cui l'esibizione di sé e la finzione sono diventati la norma» – Madame Figaro«Delphine de Vigan mostra l'impatto dei social sulla vita famigliare. Ci racconta dei bambini che mettiamo in mostra, ma anche del bambino nascosto in ognuno di noi» – Le Monde des LivresParigi, 2019. Moglie e madre modello, Mélanie gestisce un canale YouTube che ha milioni di iscritti, Happy Récré, interamente dedicato ai suoi figli, Sam e Kim, di otto e sei anni. I bambini si esibiscono in una recita ininterrotta davanti alla telecamera: Mélanie ha trasformato le loro identità in un bene di consumo. Ma un giorno i riflettori di Happy Récré fanno cortocircuito. Kim è scomparsa. In questo nuovo, acclamatissimo romanzo Delphine de Vigan si avventura con coraggio nell'universo tanto complesso quanto affascinante dei social network, restituendo il ritratto di una società – la nostra – in cui non c'è niente che non possa essere messo in scena e in vendita. Persino, e soprattutto, la felicità.Primi anni Dieci del Duemila. Mélanie, che è cresciuta davanti allo schermo della televisione, ipnotizzata dai reality e dalle loro promesse di notorietà, ha un solo obiettivo nella vita: diventare famosa. Quando supera le selezioni per un nuovo show – seppur non tra i piú noti – Mélanie è al settimo cielo. Ma quell'unica esperienza si rivela disastrosa. Il segno del fallimento è una ferita che non si rimargina. 2019. Moglie e madre modello, Mélanie vive in un lussuoso complesso residenziale nei sobborghi di Parigi e ha creato un canale YouTube di grande successo, Happy Récré, interamente dedicato alla vita quotidiana dei suoi figli, Sam, di otto anni, e Kim, di sei. La formula di Mélanie ha conquistato la rete: il prodotto di quest'anonima madre intraprendente è seguito, ammirato, amato da milioni di iscritti. Sponsor, promozioni, campagne: i bambini si prestano alle richieste delle aziende che passano per il filtro materno; Sam e Kim vivono una recita ininterrotta e le loro identità sono ormai un brand. Ma un giorno i riflettori del mondo di Mélanie fanno cortocircuito: Kim è scomparsa. Della squadra di polizia che conduce le indagini fa parte la giovane Clara, che si appassiona subito al caso. La piccola Kim ha lasciato poche tracce: incontro sbagliato, fuga, rapimento? Non si può scartare nessuna ipotesi, e Clara sospetta che la chiave di tutto sia nascosta dietro le quinte di Happy Récré. Scavando nell'universo dei baby influencer, Clara si rende conto allora che la felicità esibita dagli schermi è un'ingannevole illusione. Perché la realtà in cui si muovono i piccoli Sam e... -
Sono felice, dove ho sbagliato?
L'amore può ingolfare una vita, metterla in attesa, in balia degli anni che passano. Tutti conosciamo coppie sfinite da rapporti senza futuro: amori dove i progetti, i desideri e persino i diritti ristagnano. A volte è proprio il legame, il problema. I rapporti di forza, il tempo sul groppone, il presente che dà dipendenza. Poi capita che una mattina la parte debole si svegli e decida che è venuto il momento di fare i conti. È quello che succede nella sesta avventura di Vincenzo Malinconico, l'avvocato delle cause perse ancor prima d'essere discusse, quando Veronica, la sua compagna, gli manda in studio una coppia di amici che gli chiedono d'intentare, con una class action, una causa epocale per l'infelicità di coppia. La pretesa dei due, apparentemente demenziale (ma Malinconico è avvezzo a questo genere di situazioni), si basa su un assunto neanche cosí sbagliato: se esiste un diritto privato, perché la sfera privata dei sentimenti non dovrebbe andare soggetta alla stessa legge che regola i rapporti patrimoniali? Fosse per Malinconico la chiuderebbe lí, anche perché ha altro di cui occuparsi (Alagia che sta per farlo diventare nonno, Alfredo in fibrillazione per il suo primo cortometraggio, uno strano figuro che lo pedina), ma finisce per cedere alle insistenze del suo socio Benny e si ritrova a partecipare con lui agli incontri degli Impantanati. E noi lo sappiamo bene: quando Malinconico si fa trascinare in una situazione che gli sta stretta, sbrocca ma riesce persino a divertirsi. Sicuramente a farci divertire come non mai, in questo che è uno dei romanzi piú mossi e vivi di Diego De Silva. Fra risate, battibecchi, colpi di scena e ordinarie drammaturgie familiari, Malinconico riuscirà ad articolare una stralunata difesa. Ma di se stesso, soprattutto. -
Poesie
Amato da Eliot e Pound, ma anche da Montale, Bertolucci, Giudici, Raboni e altri ancora, Hopkins è diventato un punto di riferimento per la poesia del Novecento. Le ragioni stanno in una tecnica versificatoria che era completamente fuori dai canoni ottocenteschi e che ha potuto essere apprezzata solo da un gusto piú moderno. Il ritmo musicale, quasi contrappuntistico, gli aspetti fonosimbolici, e poi le inversioni sintattiche, la trasformazione delle funzioni «naturali» di nomi, verbi, aggettivi, l'omissione di nessi logici e grammaticali, tutto questo fa della poesia di Hopkins un oggetto non sempre semplice da decifrare, ma la rende sempre sorprendente, con affascinanti accumuli espressivi e di senso. Hopkins è un uomo di fede che, nonostante alcuni momenti di sconforto, ammira la bellezza del creato. E ne ammira soprattutto la varietà. La sua piú intima felicità è data dal fatto che Dio non abbia costruito il mondo in modo uniforme ma che si sia disseminato in mille varianti, anche in quelle piú apparentemente insignificanti. La sua poesia insegue anche formalmente questa divina varietà mostrandone il valore profondo a tutti, credenti e non. -
Gli Effinger. Una saga berlinese
La saga degli Effinger ha inizio con Paul e Karl – figli del capostipite Mathias, orologiaio a Kragsheim – che da un piccolo paese si dirigono alla volta della Berlino cosmopolita per cercare fortuna. Ambiziosi e irrequieti, mecenati talentuosi e sensibili, ardenti patrioti e prussiani, in poco tempo gli Effinger riescono a guadagnarsi la fama di abilissimi imprenditori e a diventare una delle famiglie piú importanti della città. Ma dopo la Prima guerra mondiale, le loro certezze borghesi cominciano a sgretolarsi e piano piano anche le loro splendide feste non possono piú nascondere l’antisemitismo sempre piú dilagante e brutale. Un classico in corso di pubblicazione in tutto il mondo. Prima edizione italiana. -
Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale
«Non abitiamo piú la terra e il cielo, bensí Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre piú inafferrabile, nuvoloso e spettrale».«Byung-chul Han, con una prosa che colpisce per il nitore, affonda la lama del suo pensiero nella carne del contemporaneo» – la Repubblica«Byung-chul Han si fa entomologo e con perizia disseziona la nostra epoca» – Tuttolibri«I suoi libri sono letti e studiati non solo dagli addetti ai lavori nel campo della filosofia, ma in ogni settore disciplinare intento a decifrare con lucidità le caratteristiche del presente» – DoppiozeroAbbiamo perso il contatto con il reale. È necessario tornare a rivolgere lo sguardo alle cose concrete, modeste e quotidiane. Le sole capaci di starci a cuore e stabilizzare la vita umana. Una massa di informazioni ci investe ogni giorno. Come ogni inondazione, anche questa agisce sulle nostre esistenze, spazza via confini, rimodella geografie. Ormai sono i dati e non piú le cose concrete a influenzare le nostre vite. Le non-cose stanno prendendo il sopravvento sul reale, sui fatti e la biologia. E cosí la realtà ci appare sempre piú sfuggente e confusa, piena di stimoli che non vanno oltre la superfice. Con la sua consueta lucidità e veemenza, Byung-chul Han, critico severo ma acuto della contemporaneità, ci offre una peculiare e sferzante riflessione sulla comunicazione, la Rete e il futuro che stiamo costruendo. -
Il primo libro di estetica
Come ci rapportiamo al mondo attraverso il nostro corpo? Perché non ci accontentiamo delle misurazioni quantitative, ma siamo spinti a valutare le nostre relazioni alle cose nelle loro qualità, chiamandole belle, brutte, sublimi, kitsch? Che cosa facciamo quando immaginiamo, giochiamo, fingiamo? Che cosa hanno di speciale quelle cose che definiamo opere d'arte?Questo volume offre una prima introduzione all'estetica, nella sua duplice natura di riflessione intorno alla dimensione della sensibilità e di teoria filosofica delle arti. Rivolte a un pubblico di lettori non specialisti, le venti parole-chiave che lo strutturano prendono le mosse da una situazione particolare, per poi aprirsi in direzione di problemi piú universali. Una volta messa in moto la catena delle domande, ogni voce guarda ai principali modelli teorici che sono stati elaborati per rispondervi e al loro sviluppo storico-concettuale. Senza dimenticare che questa disciplina è, fin dal suo battesimo settecentesco, un territorio di confine, che ha sempre cercato di dialogare con i suoi vicini di casa: la storia delle arti e delle tecniche, la psicologia, l'antropologia, la sociologia, la semiotica, la teoria dei media, le scienze cognitive, le neuroscienze.Che cosa significa «sentire»? Come ci rapportiamo al mondo attraverso il nostro corpo? Perché non ci accontentiamo delle misurazioni quantitative, ma siamo spinti a valutare le nostre relazioni alle cose nelle loro qualità, chiamandole belle, brutte, sublimi, kitsch? Che cosa facciamo quando immaginiamo, giochiamo, fingiamo? Quando estendiamo il nostro fare e trasformiamo il nostro sentire grazie alle protesi tecniche e ai media, o quando ci esprimiamo artisticamente? Che cosa hanno di speciale quelle cose che definiamo opere d'arte? Davvero si possono distinguere dai fenomeni naturali, dagli oggetti ordinari, dagli strumenti? Sono solo alcune delle domande caratteristiche di quel campo della nostra esperienza, specifico e insieme diffuso, che chiamiamo «estetica». -
Tradire i sentimenti. Rossori, lacrime, imbarazzi
«Spesso non siamo degni dei nostri sentimenti o li tradiamo con versioni edulcorate degli stessi; ma sono i sentimenti che ci tradiscono, escono fuori di noi, incapaci di contenerli. Si manifestano, insomma, ""per i fatti loro"""" e ci guardano dal di fuori. Diventiamo cosí scomodi a noi stessi.»«La Cecla offre una chiave, finalmente non pigra né ideologica, per interpretare il presente e qualche barlume di futuro. Attraverso l'imbarazzo, quasi senza menzionarli, si arriva a capire la macchina moraleggiante dei social, l'euforia e il dolore telecomandati della tv, lo scontro vax e novax, la questione del gender e perfino il ghosting e i turbamenti sentimentali dei Millennials.» – Filippo Ceccarelli, Il Venerdì - la Repubblica«Tradire i sentimenti», questa bellissima espressione italiana, significa sia che spesso non siamo degni dei nostri sentimenti o che li tradiamo con versioni edulcorate degli stessi; ma vuol dire inoltre che sono i sentimenti a tradirci, escono fuori di noi che non siamo capaci di contenerli. Si manifestano """"per i fatti loro"""" e ci guardano dal di fuori. Ci tradiscono con chi abbiamo intorno, estranei e non. Il risultato sono rossori, lacrime, sospiri, imbarazzi, sudori, brividi e pelle d'oca. Insomma, accade che diventiamo scomodi a noi stessi. E di tale scomodità parla Franco La Cecla, in questo libro che, forse, vi darà un qualche fastidio, una irritazione per quanto passeggera, una sensazione di imbarazzo."" -
Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza
L'idea che la bellezza sia qualcosa di oggettivo e naturale è una superstizione moderna. Infatti non è mai esistita un'epoca in cui non convivessero estetiche e sensibilità diverse. Il culto della bellezza è diventato una prigione solo di recente: quando le coercizioni materiali verso le donne hanno iniziato ad allentarsi, il canone estetico nei confronti del loro aspetto è diventato rigido e asfissiante, spingendole alla ricerca di una perfezione irraggiungibile. Qui sta il punto: l'idea di bellezza ha subito con la società borghese uno spostamento di significato, da enigma a modello standardizzato che colonizza il tempo e i pensieri delle donne, facendole spesso sentire inadeguate. Il risultato è che viviamo in un tempo in cui le persone potrebbero essere finalmente libere, ma in cui, al contrario, ha valore e dignità solo ciò che risponde a determinati parametri. Ripensare la bellezza al di là dell'indottrinamento e del consumo significa coglierla come percorso di fioritura personale, lontano da qualunque tipo di condizionamento esterno. In questo libro Maura Gancitano racconta la storia di un mito antico quanto il mondo e ci fa vedere come le scoperte della filosofia, dell'antropologia, della psicologia sociale e della scienza dei dati possano distruggere un'illusione che ci impedisce ancora di ascoltare e seguire i nostri autentici desideri e di vivere liberamente i nostri corpi. -
Lo stretto sentiero del profondo Nord
La nostra fame di spirito, di vastità, può trovare in Bashō una bussola, dentro gli stretti sentieri della vita messa a nudo, la sua asciuttezza, la sua sobrietà ma soprattutto l'incantevole parità del suo sguardo sul mondo.«Il diario di viaggio di Bashò è un bambino che dorme, è i semi dei carpini cullati dal vento, è un'onda di pace. Le sue parole sono incanto.» – Maria Luisa Colledani, Domenica - Il Sole 24 Ore«La bellezza dei paesaggi del luogo è condensata in questi versi. Aggiungere anche solo una parola sarebbe inutile come avere un dito in piú».Un racconto di viaggio può essere molte cose diverse: un semplice rapporto, un portolano, un promemoria, un romanzo di formazione, un taccuino di appunti, magari in forma di disegni, una raccolta di incontri con volti e persone, un reportage, la cronaca di una fuga, persino un canzoniere. Questo di Bashō, è un pellegrinaggio e nel contempo il ritratto piú preciso e profondo del Giappone e del suo spirito, che incontra la lingua italiana nella magia della traduzione di Chandra Candiani e Asuka Ozumi. Siamo nel 1688, Bashō è forse il piú grande poeta contemporaneo. Il percorso narrato, in realtà solo parte di un itinerario piú lungo, dura circa centocinquanta giorni in un territorio all'epoca quasi selvaggio, comunque pericoloso: «ho [...] intrapreso questo pellegrinaggio in terre remote nella consapevolezza della vacuità di tutte le cose, pronto a rischiare la vita»... La scrittura del viaggio, tuttavia, si prolunga per altri cinque anni, durante i quali Bashō, poeta e maestro di poeti, Maestro zen, inquieto e instancabile viandante, ricorda, probabilmente affina e precisa, forse aggiunge, o elimina, un verso, uno haiku, una parola. Insomma, modifica la cronaca diaristica fino a farne opera, composta tanto dal viaggio in un territorio concreto, fatto di natura incontaminata non meno che di monumenti lasciati dagli uomini e di sterminate reminiscenze letterarie, quanto dal racconto del viaggio dentro un'anima. Lo stretto sentiero del profondo Nord – scrive Asuka Ozumi nella sua prefazione – viene considerato il «capolavoro assoluto» di Bashō. «I mesi e i giorni sono eterni viandanti, e cosí gli anni, che vanno e vengono, sono viaggiatori. Per chi trascorre la vita su una barca, per chi invecchia tirando il morso del cavallo, ogni giorno è viaggio, e il viaggio è la sua casa […] Io pure, da chissà quando, sono stato preso dalla brama di errare, invogliato da una nuvola sperduta sospinta dal vento, e ho vagato per le coste». -
Mille lune
Da bambina Winona ha perso tutto, e se non fosse stato per Thomas e John non sa quale sarebbe stato il suo destino. John ha sempre insistito perché imparasse l'inglese correttamente. Per un nativo americano – e John lo sa bene, visto che lo è per un terzo – è già abbastanza difficile sopravvivere nella società chiusa e intollerante del Sud, in cui picchiare indiani e neri non è considerato un crimine, e parlare inglese è uno dei pochi modi per ottenere un po' di rispetto. Winona lavora come contabile per l'avvocato Briscoe, ed è molto brava. In città ha conosciuto il commesso Jas Jonski, che si è innamorato di lei e ha intenzioni serie. Winona non è sicura di voler sposare Jas, che non ha mai nemmeno baciato, e non sa davvero se le piacciono gli uomini. Ma a parte i dubbi del cuore e le difficoltà che derivano dall'essere una donna, e per giunta indiana, la vita di Winona scorre tranquilla, almeno fino all'ennesimo evento che sconvolge la sua esistenza travagliata: un giorno viene aggredita e stuprata. Se all'inizio non ricorda nulla, in seguito crudeli frammenti di memoria le suggeriscono che il colpevole è proprio il suo fidanzato Jas. Winona non se la sente di accusarlo subito apertamente: vestita da ragazzo per sottrarsi alle sue attenzioni, allora, Winona asseconda la sua sete di giustizia e decide di condurre un'inchiesta personale al cuore della società maschilista di Henry County. Tra turpi misteri e segreti inconfessabili, per Winona la verità sembra allontanarsi sempre piú; la forca, invece, è a un passo: come spesso accade, per chi ha il potere è facile trasformare le vittime in colpevoli. Raccontato dalla fiammeggiante prosa di Sebastian Barry, Mille lune è il potente ritratto di una donna e della sua determinazione di decidere il proprio futuro, di vivere e di amare. -
Le grandi terre del largo
Trentatre anni fa Kirsten, appassionata di magia e affini, ha avuto una figlia. Un'altra, l'ha vinta con un tiro di monete e l'I Ching; quale delle due sia l'una e quale l'altra non ha mai voluto rivelarlo. Ora Livy e Cheyenne delle sue storie fumose sono arcistufe: scorgendo la possibilità di scoprire la verità sulle loro radici, le due donne salgono in macchina, pronte ad attraversare gli Stati Uniti da Seattle a Boston alla volta del Tempio del fiore di fuoco. Comincia cosí l'avventuroso romanzo di Vanessa Veselka, un on the road al femminile in cui la storia personale di tre donne diversissime si intreccia alla dura realtà di una nazione che attira stranieri da tutto il mondo, abbacinandoli con il mito del sogno americano, e intanto lascia indietro i suoi, costretti a rimandare a tempi migliori persino una visita dal medico. Presto le strade delle due sorelle si dividono: Livy, piú quadrata, va in Alaska a sudarsi un po' di sicurezza economica pescando salmoni e granchi; Cheyenne, piú mistica, continua da sola la sua ricerca di risposte e, benché ancora non ne sia cosciente, di pace interiore. Kirsten, nel frattempo, è a casa ad affrontare i suoi problemi a testa alta, come ha sempre fatto. Per fortuna anche tra chi tira la cinghia c'è gente generosa: quando le cose si mettono davvero male, Livy trova un sostegno nella volontaria idealista di un centro antiviolenza, Cheyenne nel fratello avviato a diventare marine e Kirsten nell'ostetrica battagliera che anni prima l'ha liberata dai condizionamenti di un coercitivo mondo a tinte pastello. -
Elvira
La prima volta che assiste a una proiezione, Elvira Notari si innamora del cinema. E incontra Nicola, che invece si innamora di lei. Dopo una fuga romantica e il matrimonio, lavorano insieme alla coloritura delle pellicole, in una piccola casa nei vicoli. Elvira fatica a conciliare i doveri di moglie e madre con i suoi sogni. Cosí, quando resta per la terza volta incinta e dà alla luce Maria, la lascia alle suore. La scelta la marchia per l'intera esistenza, ma è l'unica strada per diventare quello che lei desidera. Elvira ce la fa: la sua casa di produzione realizza film che riscuotono successo in patria e spopolano negli Stati Uniti. Tuttavia l'ambientazione nei bassifondi, l'allusività erotica e le protagoniste sanguigne si scontrano con la mentalità patriarcale del regime fascista. Elvira non vuole piegarsi alla censura, ma la stessa ostinazione che le ha permesso di conquistare il mondo, sacrificando persino l'amore di una figlia, la costringe a pagare un prezzo troppo caro. -
Contro Pinocchio
«Eppure amavo la legna, i pezzi di legno, i bastoni. Adoravo martello e chiodi. Ci volevo fare croci e spade. Epperò Pinocchio non mi ha mai chiamato. Lo leggo solo ora; e l'unica cosa che mi piace sta scritta alla fine della prima versione di Collodi (Pinocchio che resta un pezzo di legno; che non è sgravato nel futuro con la carne e il sangue dei bambini, dunque degli umani). Godo quando lui s'impicca. Un burattino che si impicca. Dovrebbe fare ridere. E farsi mandare affanculo. Invece la catramosa metafisica (ho sentito nei reticolati dei capillari) si squarcia nelle parole: Oh babbo mio! Se tu fossi qui! Ecco allora che l'impiccagione sembra una crocifissione». Nessuno scrittore è come Aurelio Picca. Nessuno scrive con tanta ferocia e tanto candore, con tanta vocazione allo spreco di sé e insieme con una fedeltà quasi classica alle parole. Ricordando l'Aurelietto che aveva «visto gli ultimi invalidi di guerra con gli arti di legno e le stampelle di legno (altro che Pinocchio)», in questo libro Picca si domanda perché abbia disdegnato fin dall'infanzia il personaggio del burattino, e spiega perché, oggi che finalmente ha letto la favola di Collodi, preferirebbe strapparla: Pinocchio non ha carne, mai diventerà adulto, mai attraverserà la vita con le sue vittorie e sconfitte. Bisognerebbe ritornare a leggere Cuore e I ragazzi della via Pàl. Il capolavoro di De Amicis può riportarci al senso di comunità, non è servo del nuovo capitalismo che isola gli individui, ma vi si trovano le antiche differenze sociali, e questo prepara a crescere. I ragazzi della via Pàl è una storia eroica di amicizia. È il sogno puro degli adolescenti che ancora hanno il loro mondo, che del mondo non sono ostaggio. Memoir, pamphlet, in definitiva romanzo, Contro Pinocchio parte dalla letteratura per arrivare alla vita, e viceversa, perché per il suo autore fra letteratura e vita non c'è distinzione. -
Dove sono? Lezioni di filosofia di un pianeta che cambia
Partendo dalla pandemia, Bruno Latour, il piú importante filosofo francese contemporaneo, ci indica il disegno piú ampio sotteso a ciò che sta accadendo intorno a noi: il Nuovo Regime Climatico. Il suo è un appello appassionato e poetico a ripensare il piccolo spazio in cui viviamo, a percepirne la bellezza e l'unicità. -
La restanza
La «restanza» è un fenomeno del presente che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. È questo un tempo segnato dalle migrazioni, ma è anche il tempo, piú silenzioso, di chi ""resta"""" nel suo luogo di origine e lo vive, lo cammina, lo interpreta, in una vertigine continua di cambiamenti. La pandemia, l'emergenza climatica, le grandi migrazioni sembra stiano modificando il nostro rapporto con il corpo, con lo spazio, con la morte, con gli altri, e pongono l'esigenza di immaginare nuove comunità, impongono a chi parte e a chi resta nuove pratiche dell'abitare. Sono oggi molte le narrazioni, spesso retoriche e senza profondità, che idealizzano la vita nei piccoli paesi, rimuovendone, insieme alla durezza, le pratiche di memoria e di speranza di chi ha voluto o ha dovuto rimanere. La restanza non riguarda soltanto i piccoli paesi, ma anche le città, le metropoli, le periferie. Se problematicamente assunta, non è una scelta di comodo o attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro che restano ad abitarlo."" -
Il partito degli influencer. Perché il potere dei social network è una sfida alla democrazia
Le opinioni espresse sui social sono in vendita. Tutti noi possiamo diventare influencer, costruirci un pubblico, e poi mettere all'asta la nostra reputazione, per promuovere vestiti, ristoranti, cosmetici o magari un partito politico. Se diventa impossibile distinguere contenuti autentici e spontanei da pubblicità e propaganda, il nostro spazio pubblico digitale è a rischio. Quando pochi individui possono indirizzare milioni di follower là dove richiesto dal committente, anche la democrazia viene messa in discussione. I social network, nati per la condivisione, sono in realtà aziende pubblicitarie che possono trasformarsi in piattaforme di manipolazione di massa, a beneficio di aziende e governi. Questo non è un libro contro gli influencer, ma l'analisi di una trasformazione che ridefinisce le nostre interazioni, digitali e non solo. L'unico modo per sfruttarne le potenzialità e ridurre i rischi è che gli utenti siano consapevoli di come funziona il sistema degli influencer. -
La sfilata di moda come opera d'arte
Guardare, guardarsi, essere guardati... Che cos'è davvero una sfilata di moda? Aggancia, su un suo palcoscenico ""unico"""", l'arte, il cinema, il teatro, la danza, la fotografia, il simbolo e il racconto, la politica persino e l'informazione. E legge ininterrottamente il mutare della contemporaneità, ovvero non finisce mai di rispondere alla domanda di tutti e di ognuno: «Chi davvero siamo diventati, ora?» Moda e sfilata di moda («È un po' come se la sfilata – Miuccia Prada ne conviene – fosse la mostra per il mondo dell'arte») sono riti sociali esclusivi, certo, ma le risposte che tentano ci riguardano tutti, in modo emotivo, spettacolare, leggero, splendidamente inutile. «Una sfilata di moda è uno spettacolo, è intimità, è intensità. Ed è completamente senza significato: perciò ha tanto successo», dice René Célestin, fondatore di una delle maggiori case di produzione di sfilate. Ma in ballo c'è sempre il significato della modernità, ed è per questo che, da Baudelaire in poi, se ne occupano fra gli altri anche Walter Benjamin, Roland Barthes, Jean Baudrillard... Claudio Calò ne ha uno sguardo dall'interno, che è ad un tempo in presa diretta e critico. Ci racconta di Giorgio Armani, di John Galliano, di Ralph Lauren, di Karl Lagerfeld, di Gianni Versace, di Alexander McQueen o di Antonio Marras come delle supermodel degli anni '90, e ci conduce per mano dalle vere e proprie bambole che venivano usate nel Settecento in Francia per far conoscere la moda di corte in provincia, fino agli spettacoli planetari e virtuali – avatar al posto di modelle al posto di bambole... – attraverso cui la moda ha dovuto evolversi, spinta fra l'altro dalla pandemia a trovare un nuovo equilibrio e forse una nuova forma. Calò la chiama transmoda: una moda «orizzontale e decentralizzata, veloce e atomizzata, ironizzante e collaborativa». Attraverso scenari planetari e racconti di singoli eventi o incidenti raccolti spesso dalla viva voce dei protagonisti – come la storia del termine mannequin o il segreto della camminata di Naomi Campbell – Calò disegna l'affresco di quel mondo sconosciuto che è sotto gli occhi di tutti."" -
Chiamo i miei fratelli
Un'auto è esplosa nel centro di Stoccolma. Parole come «attentatore suicida» e «terrorista» lampeggiano dai telegiornali e si installano nella testa delle persone. Amor vaga per le strade di una città surreale. Ha una missione – deve andare a comprare per la cugina un ricambio per il trapano – ma è scosso da questa nuova città paranoica dove la polizia riempie le strade. Non farti notare, agisci normalmente, si dice. Ma cosa significa normale? Chi è un potenziale sospettato? E non sembra anche a voi che tutti gli occhi siano puntati su di lui? Nel corso di ventiquattro intense ore, vediamo il mondo attraverso gli occhi spaventati e ansiosi di Amor. A volte è difficile sapere cosa sta realmente accadendo e cosa è solo la creazione della mente sempre piú febbrile di Amor. Chiamo i miei fratelli è un romanzo breve ma potentissimo su ciò che accade quando la paura e la paranoia ci entrano dentro, come individui e come società, e ci fanno vedere noi stessi e gli altri in modo diverso. Scritto con uno stile elettrico e coinvolgente, Chiamo i miei fratelli costringe il lettore a confrontarsi con il nostro impulso a dividere il mondo in «noi» e «loro». Ma loro chi sono? E chi siamo noi? E se la nostra paura, la paura per cui siamo pronti a tutto, fosse una profezia che si autoavvera? -
Le meraviglie
Anche ora che è finalmente in pensione María non ha abbandonato la lotta. Da Carabanchel, il quartiere operaio di Madrid in cui vive da quando è arrivata alla fine degli anni Sessanta dall'Andalusia, ha assistito alle trasformazioni radicali del suo Paese dopo la dittatura di Franco, e da qui si batte per i diritti delle donne di questo nuovo secolo. È forte, e sola, e stanca forse, María: ha sempre lavorato duramente al servizio di persone piú ricche di lei, sopportando la fame, la fatica, cercando di non pensare agli occhi della bambina a cui non ha potuto fare da madre. E senza mai riscatto, né perdono. Alicia lavora nella stazione di Atocha, «in un negozio di panini e caramelle, quello che sta vicino ai bagni», specifica quando si presenta. Si è trasferita dal Sud a Madrid per studiare cinema – proposito presto dimenticato – alla vigilia della crisi economica del 2008, e da allora si accontenta di qualsiasi attività remunerata, matrimonio tedioso incluso. Alicia prova spesso invidia, in particolare nei confronti della persona che avrebbe potuto essere. È nata ricca, Alicia, figlia fortunata del titolare di un piccolo impero della ristorazione: il suo futuro si annunciava luminoso. Ma le cose sono andate in maniera diversa, e lei si è rassegnata a fare i conti ogni giorno con gli incubi piú neri. María e Alicia non si conoscono, eppure sono nonna e nipote. Nella città che riluttante le ha accolte si sono sfiorate una volta, e forse molte altre, per caso. A legarle in modo invisibile un'assenza, quella di Carmen, figlia e madre, ombra silenziosa del passato. E ad affliggerle, gli stessi interrogativi: come sarebbe stata la loro vita se fossero nate in un altro luogo, in un'altra epoca, in un altro corpo? Dalla periferia metropolitana, tra appartamenti in affitto, autobus lenti e affollati, bar modesti comunque troppo cari, in mezzo a chi deve lavorare per sopravvivere. È dal cuore pulsante della realtà che Elena Medel scrive, tracciando il ritratto implacabile di un'Europa segnata dal precariato, e dal patriarcato, attraverso la voce di due donne dallo sguardo disilluso, ma che in fondo non smettono di sperare in un mondo in cui non siano i soldi, o la loro mancanza, a definirle.