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Meditazioni sullo Scorpione e altre prose
Vincitore premio Bagutta 1973Chi, rileggendo per la terza o quarta volta di seguito la pagina appena scritta, se non è affetto da incorreggibile presunzione, può trattenere un moto di nausea?«Queste prose di varia materia e ispirazione, scritte dal 1925 a oggi e che hanno, stando all'avvertenza dell'autore, come filo unitario il loro carattere ambiguo, ""oscillante tra l'asciuttezza dell'aforisma e il pieno abbandono del colore"""", sono senza dubbio, per nitore formale e magia delle illuminazioni che le sorreggono, tra le pagine più belle donate in questi ultimi anni alla nostra letteratura. Bisogna pensare, come modelli, a certe prose di Valéry e di Alain, per ritrovare un uguale gusto di scelta, di invenzione e di stile; bisogna, inoltre, riferirsi a certe """"variazioni"""" di Borges per cogliere un esempio simmetrico di trasparenza linguistica e di calcolate distillazioni di contenuti fantastici e morali». (Domenico Porzio)"" -
I detti di Confucio
Ancora oggi le schegge che compongono la raccolta dei Detti colpiscono con sorprendente precisione. Schegge le quali, tutte insieme, restituiscono un ritratto di Confucio che è fonte di stupore ininterrotto, ben diverso dall'immagine convenzionale che fu creata e venerata nel corso dei secoli, con l'accortezza di neutralizzare al tempo stesso il potenziale sovversivo dei suoi insegnamenti. -
Due Sicilie
«'Il Re delle Due Sicilie', abbreviato nell'uso in 'Le Due Sicilie', era il nome di un reggimento di ulani dell'esercito austroungarico» scrive Sciascia in un'appassionata recensione a questo romanzo «e coloro che vi appartenevano erano ""Sizilien-Ulanen"""", ulani siciliani». Al crollo dell'impero, quel reggimento non esiste più, e il colonnello Rochonville, cinque ufficiali e un sottufficiale sono i soli sopravvissuti. Ma durante un ricevimento nella Vienna decaduta del 1925 uno di loro, Engelshausen, viene trovato prono, la faccia rivolta al soffitto e il collo torto «come notoriamente fa il diavolo quando viene a prendersi qualcuno»: un enigma per i suoi compagni e per la polizia. Altre morti non meno misteriose e all'apparenza irrelate scuoteranno Vienna, e sempre a essere colpiti nei modi più sofisticati e bizzarri saranno gli ultimi dragoni del reggimento «Due Sicilie». Scambi di persona, avventurose vicende parallele, visioni apocalittiche: è il materiale principe per Lernet-Holenia, e lo si trova qui in una versione che spinge questi tratti all'estremo. Thriller di audace architettura e sapienti depistaggi, ora onirico e poetico ora intriso di nostalgia per un mondo inabissato, Due Sicilie ha per Sciascia «un che di labirintico, affascinante e insieme vertiginoso» - una sua «diabolica essenza». E sa calarsi «dentro una conoscenza del cuore umano, dentro introspezioni e descrizioni, di eccezionale acutezza e delicatezza», attingendo uno dei punti più alti dell'epos di Lernet-Holenia."" -
L'esoterismo islamico
«Di un Principio così irraggiungibile, ""vuoto"""", """"oscuro"""", l'uomo può mai ottenere una qualsiasi conoscenza? Si sarà potuto comprendere che l'Essenza suprema non è assimilabile a un oggetto da possedere, a qualcosa che possa essere còlto dall'esterno, perché è un tutto che non lascia nulla all'infuori di sé. Ora, l'unica cognizione possibile del Principio consiste nella negazione che esso possa essere conosciuto. Una celebre sentenza, attribuita ad Abu Bakr, compagno del Profeta, afferma infatti che """"l'incapacità di cogliere la conoscenza, quella è conoscenza"""".»Ancora oggi, in gran parte del mondo musulmano, sopravvive una ricchissima tradizione speculativa - il Sufismo - che interpreta gli insegnamenti del Corano senza fermarsi al loro significato esteriore e più comunemente accettato. Per quanto considerata talvolta una semplice mistica, questa dottrina esoterica propone in realtà una metafisica articolata e rigorosa. Attingendo ampiamente ai testi dei più importanti maestri sufi, Alberto Ventura offre una sintesi accessibile di tale complesso pensiero, ne analizza i concetti essenziali, ne scioglie le formulazioni paradossali e le solo apparenti contraddizioni. E attraverso continui raffronti con altre dottrine - il Vedànta, il Taoismo, il patrimonio spirituale del Medioevo cristiano -porta alla luce la sostanziale unità di un pensiero che, dinanzi a verità universali, si esprime ovunque in un linguaggio quasi identico - collocandosi così nel solco tracciato da René Guénon, secondo il quale tutte le tradizioni poggiano in ultima analisi su un'unica, antichissima Tradizione primordiale."" -
L' età vittoriana nella letteratura
Chi meglio di Chesterton, nato in epoca vittoriana, lucido e pungente come Sherlock Holmes, poteva prendere d'assalto i contrafforti del sistema vittoriano? rnrnG.K. Chesterton era incapace di introdurre anche solo una traccia di moderazione in ciò che faceva – si trattasse di alimentarsi, naturalmente, ma anche di attività per lui ancora più naturali, come leggere, scrivere o parlare. E così quando decise di raccontare attraverso una serie di ritratti – da Bentham a Carlyle, da Dickens a Hardy – l'età vittoriana, di cui lui stesso era una specie di ultimo, umorale testimone, scrisse questo libro unico e prezioso: una grande satira, che è anche un infinito atto d'amore. Una pagina dopo l'altra, l'intelligenza irrequieta e inclassificabile di Chesterton («Il compito dei progressisti è commettere errori; quello dei conservatori è di impedire che vengano emendati») riporta in vita uno dei grandi momenti della letteratura come l'abbiamo conosciuta, e come continuiamo ad amarla: lasciando spesso graffi, se non piccole ustioni, sulla nostra coscienza di vittoriani postumi, benché in larga parte inconsapevoli. -
Il gaucho insopportabile
Cinque racconti tra i più belli dello scrittore cileno.rnrnIl 30 giugno 2003 Roberto Bolaño, gravemente malato (sarebbe vissuto solo altre due settimane), volle consegnare personalmente al suo editore questo libro, che fu il primo ad apparire dopo la sua morte e rappresenta una sorta di testamento spirituale e letterario. Il lettore scoprirà cinque racconti tra i più belli dello scrittore cileno: la storia dell'avvocato bonaerense che abbandona tutto per andare a vivere nel deserto insieme ai gauchos, i bovari della pampa; quella del topo poliziotto (nipote della famosa cantante Josefine del racconto di Kafka) che si aggira nella rete sterminata delle fogne alla ricerca di un feroce assassino; quella dello scrittore argentino che va a Parigi per incontrare un misterioso regista che forse è il suo doppio, e si ritrova a far l'amore con una puttana «come se tutti e due non sapessero fare altro che amarsi» – per citarne solo alcune. Chiudono il volume due conferenze: nella prima Bolaño parla apertamente, e in modo struggente, della malattia e dell'approssimarsi della morte; la seconda è una definitiva resa dei conti, in forma di violento, sarcastico, a tratti irresistibile pamphlet, tra lui e quella «specie di Club Méditerranée» che sono gli scrittori (soprattutto sudamericani) la cui unica dote è la cosiddetta «leggibilità» – ed è al tempo stesso una veemente dichiarazione di amore per la letteratura. -
Acqua viva
Attraverso uno sregolato, impetuoso flusso di coscienza la Lispector ci fa percepire, in modo quasi fisico, impressioni e visioni di travolgente intensità, usando una lingua che sembra inventare continuamente se stessa.rnrn«Da un mistero è venuta, verso un altro è partita. / Restiamo ignari dell'essenza del mistero» scrive Drummond de Andrade di Clarice Lispector. Ed è proprio in un misterioso universo personale – un universo labirintico e lacerato – che il lettore viene come risucchiato dalla voce, visceralmente femminile, che in queste pagine tenta di dire l'indicibile, di entrare in contatto «con l'invisibile nucleo della realtà». Attraverso uno sregolato, impetuoso flusso di coscienza la Lispector ci fa percepire, in modo quasi fisico, impressioni e visioni di travolgente intensità, usando una lingua che sembra inventare continuamente se stessa, il cui fascino risiede nella sua stranezza e le cui ferite sono il suo punto di forza. Testo estremo di un'artista estrema, Acqua viva costituisce il raggiungimento della maturità della sua autrice: un assolo ammaliante, in cui tornano i temi ricorrenti in gran parte dell'opera della Lispector – la natura e i suoi sfaccettati simbolismi, lo specchio e la rifrazione obliqua, il male e la morte, l'incomunicabilità fra amanti – spinti all'incandescenza, senza che mai, ai suoi incantesimi, ci sia dato sottrarci. -
A futura memoria (se la memoria ha un futuro)
«E direi che il dato più probante e preoccupante della corruzione italiana non tanto risieda nel fatto che si rubi nella cosa pubblica e nella privata, quanto nel fatto che si rubi senza l'intelligenza del fare e che persone di assoluta mediocrità si trovino al vertice di pubbliche e private imprese. In queste persone, la mediocrità si accompagna ad un elemento maniacale, di follia, che nel favore della fortuna non appare se non per qualche innocuo segno, ma che alle prime difficoltà comincia a manifestarsi e a crescere fino a travolgerli. Si può dire di loro quel che D'Annunzio diceva di Marinetti: che sono dei cretini con qualche lampo d'imbecillità: solo che nel contesto in cui agiscono l'imbecillità appare - e in un certo senso e fino a un certo punto è - fantasia. In una società bene ordinata non sarebbero andati molto al di là della qualifica e mansione di ""impiegati d'ordine""""; in una società in fermento, in trasformazione, sarebbero stati subito emarginati - non resistendo alla competizione con gli intelligenti - come poveri """"cavalieri d'industria; in una società non-società arrivano ai vertici e ci stanno fin tanto che il contesto stesso che li ha prodotti non li ringoia.»Molto infastidiva Sciascia l'essere considerato un «mafiologo»: «Sono semplicemente uno che è nato, è vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone» diceva. Così come lo infastidiva quell'«intuizione di letterato» che, nel migliore dei casi, gli veniva attribuita allorché scagliava taglienti ed eretiche verità contro il «folclore tenebroso» in cui venivano di solito assunti i fatti di mafia. Tirare il collo alla retorica e alla mistificazione, questo gli premeva. E regolarmente i suoi articoli scatenavano furenti polemiche - se non l'accusa, infamante, di fare «il gioco della mafia». Sicché non gli restava che citare l'amato Savinio: «avverto gli imbecilli che le loro proteste cadranno ai piedi della mia gelida indifferenza». Il fatto è - come dimostrano gli interventi qui radunati, fra cui quello sui 'professionisti dell'antimafia' - che Sciascia è lo scrittore italiano cui più che a ogni altro si attaglia l'aggettivo «scomodo»: che prenda posizione sulla morte di Calvi o sull'assassinio del generale Dalla Chiesa o sul caso Tortora o sul maxiprocesso di Palermo e sulle testimonianze di Buscetta e Contorno o, infine, sul rischio che l'antimafia si trasformi in strumento di potere, non potremo che riconoscere fino a che a punto sia rimasto fedele alla definizione che nel 1977 dava dell'intellettuale: «uno che esercita nella società civile ... la funzione di capire i fatti, di interpretarli, di coglierne le implicazioni anche remote e di scorgerne le conseguenze possibili. La funzione, insomma, che l'intelligenza, unita a una somma di conoscenze e mossa - principalmente e insopprimibilmente -dall'amore alla verità, gli consentono di svolgere»."" -
Le battute memorabili di Feynman
Genio scientifico reso celebre dalla felice perspicuità delle sue lezioni e dei suoi scritti – oltre che dalle esplorazioni nel mondo dei quanti che gli valsero il premio Nobel –, Richard Feynman non temeva di sconfinare in territori estranei alla sua materia, mosso da un'insaziabile curiosità fanciullesca e armato di un'intelligenza analitica giocosa e spietata.rnrn A quasi trent'anni dalla morte del padre, Michelle Feynman ha setacciato opere edite, carte personali, registrazioni di conferenze, lezioni e interviste, e ne ha tratto un memorabile florilegio di idee, intuizioni, battute, riflessioni e precetti sempre illuminati dai lampi di un'immaginazione che ammetteva come unico limite la compatibilità con le leggi note della fisica. Ripartiti in ventisette sezioni – da «Giovinezza» a «Arte, musica e poesia», «Natura della scienza», «Tecnologia», «Guerra», «Politica», «Dubbio e incertezza» –, i passi qui raccolti stregheranno il lettore come le vertiginose evoluzioni di un funambolo della ragione applicata al mondo, questo «caos dinamico di cose tremolanti» in cui ci tocca vivere. -
Propizio è avere ove recarsi
Una fondamentale via di accesso al laboratorio dell'autore, e soprattutto un appassionante autoritratto involontario.«Il fatto è che sino a pochi anni fa mi sembravano di una imperdonabile e piatta volgarità la presenza invadente di Balzac nei suoi libri, i suoi commenti, le sue opinioni su tutto - spesso bizzarre, qualche volta idiote - e la sua petulante presunzione. Invece in questo momento (ma l'ago della bilancia può ancora tornare a pendere dall'altra parte) trovo piatti e - in un modo loro caratteristico, più velato e di conseguenza più imperdonabile - volgari gli illustri scrittori di stretta obbedienza flaubertiana, ossessionati dall'impersonalità e dalla perfezione formale di libri che si reggono solo sulla forza dello stile.»«Propizio è avere ove recarsi» è una delle risposte che fornisce, quando lo si interroga, l'I Ching, l'antico libro oracolare cinese. Seguendo questa preziosa indicazione, Emmanuel Carrère è partito innumerevoli volte, con una meta e uno scopo sempre diversi (e non necessariamente scelti da lui): è andato nella Romania del dopo Ceausescu sulle tracce del conte Dracula, nei tribunali della «Francia profonda» a seguire processi per atroci delitti, nella Russia di Putin a immergersi nell'infinito caos del postcomunismo, al Forum di Davos a «chiacchierare» con i potenti della terra, nel Nord dello Stato di New York a incontrare il fantomatico «uomo dei dadi» - imbattendosi non di rado in storie e personaggi sorprendenti, e a volte sconvolgenti, che avrebbero offerto materia a L'Avversario, Un romanzo russo, Limonov. Negli stessi anni faceva anche altri viaggi, per così dire, attorno alla sua mente: inventando soggetti di film che non avrebbe mai girato, riflettendo sul proprio modo di fare letteratura, scoprendo libri folgoranti o rileggendone altri immensamente amati. Questo, e molto altro, è ciò che troviamo nei testi qui raccolti, molto diversi tra loro eppure legati da un tono riconoscibilissimo e peculiare - a riprova di quanto Carrère ha sempre sostenuto, ossia che gli sembra vano contrapporre letteratura e giornalismo, e quel che gli importa è scrivere un reportage nello stesso modo in cui scrive i suoi libri: «alla prima persona, menando il can per l'aia e raccontando le cose in maniera un po' sinuosa». -
Il germe d'oro. Un'introduzione al simbolismo indiano
Guidato da un mirabile intuito per le immagini e da una rara familiarità con le fonti iconografiche e letterarie, Bosch ricostruisce la cosmologia che plasma non solo ogni forma dell'arte e dell'architettura indù e buddhista, ma anche la religione, il mito, la nozione stessa dell'uomo e della vita propri dell'India antica.«...nella concezione indiana del mondo la creazione è un processo di genesi e sviluppo sostanzialmente identico a quello di un organismo vivente, un albero che germoglia, cresce, fiorisce e fruttifica. Dal momento quindi che per la mente indiana il sistema della creazione e l'albero sono identici, siamo indotti a pensare che la Forma Base, così come l'abbiamo dedotta dalle opere d'arte, sia all'origine della creazione e di tutte le cose create; che questa forma, per così dire, rappresenti l'immutabile piano divino secondo cui la Vita assolve regolarmente al suo compito creatore tanto nel microcosmo quanto nel macrocosmo, nel mondo materiale e in quello spirituale.»Muovendo dallo studio dei rilievi del prodigioso tempio giavanese di Barabudur (IX secolo), Bosch ci accompagna, attraverso una lussureggiante selva di richiami simbolici, fino al cuore della concezione indiana del mondo: Hiranyagarbha, il Germe d'oro del Rgveda, il principio unico della vita. Emerso dalle acque primordiali come pianta di loto, partecipe delle essenze opposte di Soma e di Agni, Hiranyagarbha diviene l'albero cosmico rovesciato, asse dell'universo, nel quale scorre il rasa, l'Acqua della Vita che anima e accomuna tutti gli esseri - animali, uomini e dèi. Così, i motivi che ai non iniziati potevano sembrare decorativi si rivelano carichi dei più profondi significati metafisici e religiosi. -
Luce dei tantra. Tantraloka
Non c'è area del pensiero indiano che susciti tanta curiosità e al tempo stesso tanti equivoci come il tantrismo. Ciò innanzitutto per le componenti scandalose ed estreme della dottrina, in particolare le pratiche sessuali. Ma forse ancor di più per una inadeguata conoscenza dei testi. Di fatto, solo negli ultimi decenni sono apparse edizioni autorevoli dei grandi testi tantrici: primo fra questi, per la sua fondamentale importanza, il ""Tantraloka"""" di Abhinavagupta (X-XI sec.), maestro principe del tantrismo. L'opera si presenta come una gigantesca summa del sapere esoterico, in cui si tratta diffusamente di ogni possibile aspetto della via tantrica alla liberazione."" -
Nuova enciclopedia
Savinio è un profugo, un favoleggiatore, un esule, un estraneo: questa affollata Nuova Enciclopedia è un libro desolatamente solitario, felicemente solitario.rnrn«Elusivo, inafferrabile, frivolo e coraggioso come Ulisse, Savinio è un profugo, un favoleggiatore, un esule, un estraneo: questa affollata Nuova Enciclopedia è un libro desolatamente solitario, felicemente solitario. Ilarità e angoscia inseguono il profugo, lo incalzano, vogliono che egli racconti. All'infinito, di voce in voce, da Giostra a Libertà, da San Sebastiano a Travestimento, l'enciclopedico divaga. Il suo universo è discontinuo, senza approdi, soprattutto senza destinazione. Non si troverà mai il cosmo, non si indagherà mai il significato. Non esiste profondità, ma solo una infinita serie di superfici. Il mondo è una liscia pelle che nasconde altre pelli lisce: all'infinito ... Prosatore di una mobilità, una grazia, una tenerezza straordinarie, questo classico surreale, tra Apollinaire, Anassagora e Agnolo Firenzuola, sta ritornando nella nostra letteratura, in questo lento squallore del tardo Novecento, con la sua dimensione provocatoria, e insieme la sua gentilezza, l'oltraggiosa delicatezza del suo gesto di scrittore». rnGIORGIO MANGANELLI -
La troga
«[Nella Troga] si intravedono tanti di quegli elementi che appartengono alla storia italiana dell'ultimo mezzo secolo che si finisce col leggerlo come se quella storia appunto fosse stata reiventata in una sfera surreale, metafisica: da sogno, da incubo ... il lettore ne ha come un senso di sdoppiamento: mentre segue con divertimento il vertiginoso ritmo della vicenda ""inverosimile"""" ne va riscontrando nella memoria i particolari """"veri"""" ... tutta la cronaca della corruzione italiana di questi anni confluisce nel libro, vi si amalgama, vi si esalta: con feroce allegria, con allegra ferocia.» (Leonardo Sciascia»)"" -
La ricerca del leone
Un padre, Jachin-Boaz, che disegna mappe preziose per tutte le esigenze. Un figlio, Boaz-Jachin, che vuole una mappa con almeno una zona vuota, ed è proprio la mappa che il padre non può dargli. Un leone, in un mondo dove tutti i leoni sono ormai scomparsi. Con questi tre elementi Russell Hoban ha costruito un romanzo - una favola? una parabola? un'allegoria? - che ha ricordato ai critici le grandi opere di Tolkien e di C.S. Lewis. -
La vita delle immagini
È «come un tavolo sul quale disponiamo oggetti interessanti trovati durante una passeggiata: un ciottolo, un chiodo arrugginito, una radice dalla forma strana, l'angolo strappato di una fotografia»: così Simic spiega, nel saggio ""Note su poesia e filosofia"""", da dove scaturisca la sua poesia, prima che il tempo e la riflessione intervengano a illuminare associazioni e significati. È la stessa poetica della giustapposizione impiegata nelle arti visive da Giorgio de Chirico e Joseph Cornell: una poetica talmente versatile da prestarsi anche alla forma saggistica, come dimostra questa raccolta di quarantuno prose - stralunate, indocili, nitide, sottili - scritte negli ultimi trent'anni, che spaziano dai ricordi di guerra alla lode della salsiccia, dall'elegia per una madrepatria in frantumi all'insofferenza verso la poesia bucolica, dal disprezzo per gli «specialisti dell'orgoglio etnico» a un'eclettica galleria di profili (Buster Keaton, Odilon Redon, Roberto Calasso, Emily Dickinson)."" -
Scritti di Rodez
Nel settembre del 1937 Antonin Artaud venne arrestato a Dublino, dov'era andato per restituire agli irlandesi il Bastone di San Patrizio. Espulso come «straniero indigente e indesiderabile», sbarcò la settimana dopo a Le Havre già in camicia di forza, pronto per marcire in manicomio a tempo indeterminato. Nel febbraio del 1943, grazie agli sforzi del poeta Robert Desnos, venne trasferito nel territorio di Vichy e assegnato all'istituto di Rodez, diretto da Gaston Ferdière - vecchio sodale dei surrealisti parigini, poeta dilettante, seguace dell'arteterapia, nonché pioniere della «terapia per convulsioni elettriche», ovvero l'elettroshock. A Rodez, dove rimase sino al maggio 1946, dopo anni di silenzio Artaud ricominciò a scrivere, soprattutto lettere: agli amici - Jean Paulhan, Roger Blin, André Gide, Arthur Adamov -, alla madre, ai medici che lo avevano in cura, in particolare il dottor Ferdière, suo salvatore e suo aguzzino. Sono pagine incandescenti, dove Artaud parla della fame, delle privazioni che è costretto a subire e degli orribili effetti di spossessamento e torpore causati dagli elettroshock, ma non solo: parla di mistiche e di santi, di teatro e di poesia, della Alice di Carroll e dei libri di Guénon, del rifiuto della sessualità in nome dell'aspirazione a un'assoluta castità e dell'«affatturamento» di cui si ritiene vittima, della famiglia mitica che si è costruito e dei demoni che lo martirizzano. E soprattutto rivendica il suo essere un poeta veggente che anela - ed è un anelito tutt'altro che delirante - a una verità metafisica. -
Volevo tacere
Il grande romanziere delle Braci ci consegna in queste pagine una appassionante testimonianza, che abbaglia per il modo in cui unisce la malinconia del ricordo alla precisione e all'acutezza delle analisi storiche.rnrn«Volevo tacere. Ma il tempo mi ha chiamato e ho capito che non si poteva tacere. In seguito ho anche capito che il silenzio è una risposta, tanto quanto la parola e la scrittura. A volte non è neppure la meno rischiosa. Niente istiga alla violenza quanto un tacito dissenso»: sono le parole che Márai incide sulla soglia di questo libro bruciante. Un libro di cui nel suo diario dice: «Non voglio che questa triste confessione, questo atto d'accusa nei confronti della nazione ungherese, venga letto anche da stranieri». Tant'è che si era deciso a pubblicarne solo una parte (la seconda: Terra, terra!...), e solo nel 1972. Un «testamento tradito», dunque? Non c'è dubbio. Come non c'è dubbio che (non diversamente che in altri, notevolissimi casi) ne sia valsa la pena: perché qui – in uno stile asciutto ed efficace, che non cela tuttavia l'amarezza di fondo – Márai racconta gli anni che vanno dall'Anschluss (quando lui era ancora un autore e un giornalista famoso) al giorno in cui i carrarmati tedeschi varcarono i confini ungheresi nel marzo 1944, e spinge lo sguardo fino ad altri giorni ferali: l’arrivo dei sovietici nel 1945, la scelta dell’esilio nel 1948. In quegli anni «una sorta di nebbia gialla era calata sugli occhi di una società in preda all'amok», una società che continuava a cullarsi in una «speranza autoingannatoria» senza rendersi conto di vivere «su un pantano ribollente sotto cui gorgogliava un vulcano». -
Maledetti toscani
Perché, di fronte a un toscano, tutti si sentono a disagio? Risposta ovvia, per Malaparte: di gran lunga più intelligente degli altri italiani, e libero – la libertà dipende dall'intelligenza –, il toscano è spregioso, disprezza tutti gli esseri umani per la loro stupidità. Per di più è sboccato, insolente, crudele, fazioso, cinico e ironico. -
Quasi leggera morte
«Chi potrà mai dirci da dove è arrivata fino a noi la divina armonia che chiamiamo ""poesia di Mandel'stam""""?» si chiedeva Anna Achmatova. Se lo chiederà anche il lettore di queste Ottave, un ciclo di liriche prodigiose nate in gran parte nel novembre 1933, e dunque quasi contemporaneamente al celebre epigramma contro Stalin, «il montanaro del Cremlino», dove parlavano la rabbia e l'orrore del suddito. Solo così, dopo aver pagato il tributo a un presente in cui il potere non si limita ad asservire, ma pretende anche di spiare nelle menti degli schiavi, Mandel's?tam è libero di inoltrarsi nel non-tempo e non-spazio della lirica pura. In un'epoca che promette e celebra il «radioso futuro», le Ottave di Mandel'stam («poesie sulla conoscenza» le definiva) portano il lettore indietro, sempre più indietro, in un universo incorporeo, rarefatto, dove la creazione si sta ancora compiendo - e coincide con la nascita della parola poetica.""