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L' amore che cura. La medicina, la vita e il sapere dell'ombra
Per curare il corpo la medicina deve imparare a riconoscere il suo oggetto, la malattia, come inseparabile dalla totalità della vita e della persona.rnrnSpesso si confonde la diagnosi di una malattia con la diagnosi di una persona affetta da una malattia, perdendo di vista il carattere specifico che quella malattia assume in quella persona. Ma la malattia, insediandosi in persone diverse, dà luogo a forme morbose diverse, a quadri sintomatologici diversi e, in ultima analisi, a malattie diverse. La persona, con le sue risorse particolari, le sue difese e le sue fragilità, configura la malattia in maniera assolutamente individuale. E la risposta individuale alla minaccia della malattia incide sulla presentazione clinica dei sintomi, sulla prognosi e sull'adesione alle cure. Incide sul destino della persona malata. Allora, dimostra Giovanni Stanghellini, la persona e la sua irriducibile singolarità non costituiscono solo un'opzione etica, ma un vero e proprio vincolo epistemologico per la buona prassi della cura. Psichiatra e psicoterapeuta, Stanghellini dedica questa sua ricerca all'integrazione tra psicologia, psicopatologia, filosofia e neuroscienze, sulle orme di Karl Jaspers, per il quale ""il trattamento medico deve basarsi sulla vita non compresa"""". E dimostra che, per curare la malattia, la medicina deve cessare di detestare il proprio oggetto. Deve abbandonare l'ossessione per l'astrazione e la classificazione che la vincola alla freddezza di una ragione dicotomica capace di distinguere tra sano e malato, tra esogeno ed endogeno, tra innato e acquisito, tra psichico e somatico, ma impermeabile al carattere specifico della persona e dunque della sua malattia."" -
Marx e la follia del capitale
A duecento anni dalla nascita di Marx, cosa ha da dirci sulla nostra economia globalizzata?rnrnNel corso della sua vita, Marx ha dedicato tutti i suoi sforzi a capire come funzionasse il capitale. Era ossessionato dalle modalità in cui le leggi del movimento del capitale incidevano sulla vita quotidiana delle persone comuni. Senza sosta ha indicato, nello sfruttamento del lavoro e nella diseguaglianza, il cuore e il motore del capitalismo. Voleva capire a tutti i costi perché questo sistema economico fosse così incline alla crisi. David Harvey sa mettersi sulle tracce del pensiero di Marx per ricostruire l'architettura del capitale e aggiornare all'evoluzione tecnologica e industriale degli ultimi centocinquant'anni il classico che ha cambiato definitivamente il modo di pensare l'economia, stravolgendo il destino di popoli e paesi. -
Oltre l'infinito. Storia della potenza dal sacro alla tecnica
La crisi del mondo contemporaneo è giunta a un punto di non ritorno. Ora serve un cambio di direzione.rnrnNel 2008 la società della potenza tecnica, affermatasi a partire dal 1989, è entrata in crisi. L'epoca della globalizzazione e della sua idea di potenza si è arrestata di fronte a un vortice di recessione che, forse, è irreversibile. O meglio, la crisi in corso sta imponendo alla storia una torsione inedita e inaspettata. La potenza tecnica dispiegatasi in modo formidabile in quei vent'anni si trova nella drammatica impossibilità di risolvere i problemi che essa stessa ha generato. Ogni catastrofe, ogni crisi, richiede un cambio di paradigma. Mauro Magatti compie un atto rivoluzionario e ragiona sulla deriva del mondo contemporaneo recuperando un'idea antica: la potenza. Perché la potenza, spiega Magatti, è l'elemento che caratterizza la nostra specie dal punto di vista biologico e sociale. «La vita umana non è mai determinata solo dal dato biologico o storico. Benché vincolata o limitata, la sua forma più caratteristica è quella di essere ""possibilità"""". È qui che si radica la libertà creativa dell'uomo». La potenza è la capacità di sottrarsi all'immediatezza e alla necessità della natura, è la consapevolezza della soggettività, dunque è la facoltà di cogliere l'apertura delle possibilità per imprimere una propria direzione. E da qui si deve partire per uscire dalla crisi del mondo contemporaneo. Recuperare il senso della possibilità in ogni ambito della vita significa rinunciare alla dittatura del presente, cambiare prospettiva, «riflettere sulla potenza che, come singoli e come collettività, siamo diventati capaci di produrre». In fondo, l'obiettivo è uno solo: migliorare il nostro mondo."" -
Il gioco dell'esistenza. De-coincidenza e libertà
Una nuova chiave interpretativa delle radicirndella cultura occidentale e della sua storia,rncapace di svelare l’origine comune del pensiero,rndell’arte e dell’esistenza.rnrn«Nel paradiso terrestre, Adamo ed Eva ""coincidevano"""": vivevano """"felici"""" (ma lo sapevano?) ma non esistevano. Vivevano in maniera adeguata (in accordo con l'ordine della Creazione) e non ne dubitavano. Neanche immaginavano di poterne dubitare. In questo mondo improntato al perfetto adattamento, senza nemmeno un abbozzo di disgiunzione o dissidenza, Adamo ed Eva non potevano immaginare un Fuori a cui aggrapparsi per tenersi fuori, esistere, avventurarsi. Mangiando la mela, però, hanno introdotto la fecondità di un'incrinatura in quell'ordine stabilito, hanno aperto uno scarto che li estraeva da quel mondo e dalla sua saturazione-soddisfazione». Il concetto di de-coincidenza, di scarto, descrive l'ontologia dell'esistenza, che non risponde alla legge della necessità né a quella del caso, ma procede secondo un caos ordinato che sfugge alla rigidità di qualsiasi sistema di regole. È un processo di apertura che libera risorse inimmaginabili, disfacendo dall'interno ogni ordine illusoriamente prestabilito. E per questo è «un concetto in grado di esprimere la vocazione non solo dell'arte ma anche - in primo luogo - dell'esistenza. Se de-coincidersi implica l'uscita dall'adeguamento a un """"sé"""", dal proprio adattamento a un mondo, allora significa propriamente esistere». In un'analisi aperta a tutti i campi del sapere, dall'arte alla religione, fino alle scienze naturali, Jullien va alla ricerca dei casi esemplari della de-coincidenza nell'esperienza umana. Così formula una lettura originale della figura del Figlio della Trinità divina e dell'incipit del Vangelo di Giovanni, dialoga con la teoria evoluzionistica di Darwin e dà una nuova interpretazione della pittura di Picasso."" -
Riconoscimento. Storia di un'idea europea
Uno dei più grandi filosofi contemporanei, l'ultimo erede della Scuola di Francoforte, racconta la storia dell'idea che ha fondato il pensiero democratico in Europa.rn«Un lavoro di bruciante attualità» - Il VenerdìrnrnrnAxel Honneth dirige l'Istituto per la ricerca sociale fondato da Max Horkheimer e Theodor Adorno e oggi è uno dei maggiori filosofi europei. Dopo «L'idea di socialismo», questo saggio ricostruisce l'idea di riconoscimento nella molteplicità dei significati che ha assunto fin dall'inizio della modernità in Europa. Secondo Honneth, l'idea di riconoscimento ci permette di pensare una società dinamica e conflittuale, capace di ospitare il dissenso e per questo democratica. Così Honneth ci conduce lungo un viaggio tra la Francia, l'Inghilterra e la Germania e disegna i percorsi delle diverse declinazioni di questa idea e delle sue interpretazioni, raccontando ogni volta le sfide politiche e sociali che ne hanno dettato l'urgenza. In Francia Rousseau scrive «Il contratto sociale» e inventa la volontà generale, in Inghilterra David Hume, Adam Smith e John Stuart Mill mostrano che la società è possibile solo se ciascun individuo si misura con gli altri per sviluppare l'esercizio morale di un giudizio normativo del proprio libero arbitrio, in Germania Kant e Hegel vedono nel riconoscimento la chiave per la costruzione della comunità a partire dalla capacità di ogni soggetto di autodeterminarsi. Queste declinazioni dell'idea di riconoscimento affondano le proprie radici nel Diciassettesimo secolo e hanno formato la tradizione culturale europea, interagendo e contaminandosi tra loro fino a oggi. In una società sempre più divisa, il riconoscimento è una risorsa preziosa e necessaria per difendere un'idea di democrazia che non possiamo più dare per scontata. Perché l'idea di riconoscimento, spiega Honneth, è la coscienza di una reciproca appartenenza. -
Le vite ineguali. Quanto vale un essere umano
Oggi le vite umane non si equivalgono. La vita di un migrante non vale quanto quella di un cittadino occidentale. Si può dire qualcosa su cosa sia la vita nella contemporaneità, a partire da come viene trattata?rnrnCome può la vita essere concepita nella sua duplice dimensione del vivente e del vissuto, della materia e dell'esperienza? A questa domanda, la filosofia e, più recentemente, le scienze sociali, hanno portato ogni tipo di risposta, spesso favorendo l'una o l'altra di queste dimensioni: quella biologica o quella biografica. Tuttavia, è possibile pensarli insieme e riconciliare gli approcci naturalistici e umanistici? La scommessa di Didier Fassin è uscire dall'astrazione dei concetti filosofici per tentarne una verifica empirica e rivelare quindi qualcosa di concreto, capace di interrogare la sociologia e la politica. Fassin unisce critica filosofica e ricerca etnografica sul terreno e mostra che negli ultimi decenni la vita biologica ha preso un assoluto sopravvento gerarchico su quella biografica. Se oggi si concede facilmente un permesso di soggiorno per ragioni sanitarie mentre è molto più difficile ottenere un diritto d'asilo, è perché della vita si sacralizza la sua dimensione impolitica. Ma non tutte le vite si equivalgono (neri d'America, stranieri e migranti, richiedenti asilo), e lo dimostra empiricamente la differenziazione liberista del valore, cioè del prezzo, che emerge ad esempio nel rimborso delle vittime di omicidi, incidenti eccetera. Una volta assemblati, come in un puzzle, i pezzi di questa composizione antropologica, appare dunque un'immagine: quella inquietante delle vite ineguali. -
L' Europa è ancora cristiana? Cosa resta delle nostre radici religiose
Il passato cristiano dell'Europa è diventato un'arma insidiosa nelle mani della politica populista. Olivier Roy lo libera dal pregiudizio e dall'abuso mediatico per farlo tornare a essere una parte essenziale della storia della società liberale.rnrnPer anni le radici cristiane dell'Europa sono state al centro di un dibattito sull'integrazione politica dei popoli che vi abitano. Esiste dunque un modo laico di vedere nel cristianesimo non un fronte di divisione, ma un elemento irrinunciabile della nostra storia e della nostra cultura. Oggi l'Europa è cristiana? E se lo è, in che modo si esprime questa sua identità? Olivier Roy racconta il lungo processo della secolarizzazione, entra nella storia della Chiesa cattolica e di quella protestante per mostrare che il cristianesimo nell'Europa contemporanea non conta più tanto come religione, ma come un'eredità di grande rilevanza civile, perché ha contribuito a costruire il sistema di valori della società liberale. Eppure, avverte Roy, oggi il cristianesimo sotto forma di identità culturale è anche un facile strumento nelle mani della politica populista, che può usarlo come categoria di esclusione dello straniero. Una delle posture di chi si definisce cristiano è infatti quella nostalgica e autoritaria che ai ""valori del cristianesimo"""" oppone una società troppo laica o un Islam conquistatore. Questo libro spiega in che modo siamo europei rimasti orfani del nostro passato cristiano e ci aiuta a riscoprirne la portata, per sottrarlo alla retorica vendicativa e nazionalista della politica contemporanea."" -
Bauhaus
Per il centenario della fondazione di Bauhaus, una raccolta che restituisce un'epoca rivoluzionaria e insieme ""l'irrinunciabile voglia di cercare, con tutti i mezzi, di dare risposte socialmente e culturalmente innovative alle esigenze della fase storica in cui ci tocca in sorte vivere"""".rnrnUna serie di testi che Tomás Maldonado ha scritto nel corso della sua lunga carriera di docente e studioso, attraverso i quali ha preso, in diverse circostanze, """"posizione nei confronti della 'tradizione Bauhaus'"""". Si tratta in parte di saggi già editi, ai quali si aggiunge il testo «Ist das Bauhaus aktuell?» (È attuale il Bauhaus?) scritto in occasione delle commemorazioni del novantesimo anniversario della fondazione della Scuola e oggetto della sua open lecture a Weimar. Le ragioni di questa ripresa non sono celebrative, ma puntano a testimoniare lo sguardo critico di un protagonista che con l'esperienza del Bauhaus aveva dovuto fare i conti quando nel dopoguerra in Germania aveva avuto, con altri, l'onere di avviare la Hochschule für Gestaltung a Ulm, la nuova scuola di progettazione che ha segnato indelebilmente la storia della formazione in design del secondo Novecento. Guardare ai due modelli, e soprattutto alle discontinuità con il passato che Maldonado ha impresso con il nuovo progetto pedagogico, significa oggi avere materiale per discutere dell'eredità delle due Scuole, ma anche - per usare le parole di Maldonado - per condividere del Bauhaus """"l'irrinunciabile voglia di cercare, con tutti i mezzi, di dare risposte socialmente e culturalmente innovative alle esigenze della fase storica in cui ci tocca in sorte vivere"""". Il volume comprende - oltre allo scambio epistolare con Walter Gropius - alcuni documenti inediti che arricchiscono la conoscenza diretta degli avvenimenti, in particolare il carteggio fra Maldonado e Max Bill."" -
Storia della sessualità. Vol. 4: confessioni della carne, Le.
Dopo più di trent'anni di attesa, esce una pietra miliare del pensiero occidentale: il quarto volume della Storia della sessualità.rnrnFoucault cominciò a scrivere il quarto volume della «Storia della sessualità» già nel 1976, subito dopo «La volontà di sapere», e lo lasciò incompiuto a causa della sua morte prematura. «Le confessioni della carne» è l'ultimo atto, quello che ci permette di seguire la direzione del pensiero di Foucault alla fine della sua vita. Scritto fino a pochi giorni prima di morire, questo libro segue «L'uso dei piaceri» e «La cura di sé», ma anche i corsi al Collège de France, nella ricerca sulla costituzione del soggetto nel mondo antico. Qui l'attenzione si sposta alle regole e alle dottrine elaborate durante i primi secoli del cristianesimo. I protagonisti sono quindi i Padri della Chiesa, che tra il Secondo e il Quarto secolo posero le basi dell'etica cristiana. La sessualità della prima trattatistica cristiana deve essere compresa secondo le regole e le dottrine dello stoicismo e della tarda filosofia platonica, perché il suo sistema prescrittivo non è altro che un retaggio dell'autodisciplina elaborata dai filosofi greci e latini dell'antichità classica e tardo-antica. Si trova espressa qui l'idea di soggettività che dominerà l'etica cristiana dei secoli successivi e poi tutta la storia dell'Occidente. -
Selfie. Sentirsi nello sguardo dell'altro
Nell'epoca dei selfie riusciamo ad essere sicuri della nostra identità solo attraverso lo sguardo degli altri: sono visto dunque sono. Un'analisi allarmante di come sta cambiando il nostro rapporto con il corpo e con l'immagine di noi stessi.rnrnCiascuno di noi ha due corpi, forse addirittura tre. Noi possiamo avere un'esperienza diretta e immediata del nostro corpo, possiamo ""sentirlo"""": la carne è l'oggetto di questo sentire. Ma possiamo fare esperienza del nostro corpo anche """"vedendolo"""" dall'esterno, come quando ci guardiamo in uno specchio oppure rappresentati in una fotografia. L'equilibrio fra queste due modalità garantisce una buona esperienza del nostro corpo e quindi una buona base per costituire la nostra identità. È grazie a questa proporzione che possiamo sentirci, e soprattutto possiamo sentire le nostre emozioni, che ci radicano in noi stessi e nel mondo. Esiste anche una terza modalità di fare esperienza del nostro corpo: sentirlo quando è oggetto dello sguardo altrui. È quello che succede quando scattiamo un selfie. L'equilibrio va in pezzi e, improvvisamente, abbiamo bisogno di una mediazione esterna per assicurarci della nostra identità. A garantirla è il pubblico: solo l'altro, colui che si trova altrove, può esserne il testimone. 'Videor ergo sum' - sono visto dunque sono. Giovanni Stanghellini dimostra che il selfie è il sintomo di un'epoca in cui omologazione culturale, sociale, identitaria e corporea vanno di pari passo. Sviluppare un rapporto diretto, singolare e necessariamente complesso con il nostro corpo, con la carne, è sempre più difficile. Così cediamo a un rapporto mediato e posticcio con l'immagine di noi stessi che ci restituisce uno sguardo estraneo, che valutiamo molto più del nostro."" -
L' apparizione dell'altro. Lo scarto e l'incontro
«Si esiste solo in quanto si può incontrare: se smetto di incontrare, la mia vita si esaurisce.»rn«L'incontro con l'altro non è l'incidente di percorso di una vita che dovrebbe magicamente compiersi da sola, ma fa parte della nostra natura: per trovare l'altro basta quindi essere disponibili ad aprire un varco in ciò che troppo superficialmente consideriamo banale e familiare e iniziare a vederlo nella sua vera identità» - Giuseppe Bonvegna, AvvenirernSe c'è qualcosa che accomuna tutti i giorni di una vita è la ricerca di qualcosa che manca. C'è un desiderio, un impulso che spinge a riempire una mancanza strutturale, che fa parte di noi. Quello che, per così dire, la nostra natura ci invita a cercare imbattendoci nell'insoddisfazione e nell'inquietudine di mille vicoli ciechi è l'altro. Non dobbiamo però aspettarci di trovarlo laggiù da qualche parte, come se fosse un fantasma lontano, perché in questo modo il pensiero si attorciglia su se stesso e non trova nulla. François Jullien ci svela che l'altro si trova vicino a noi, a portata di mano, in ciò che pigramente consideriamo già nostro. L'inaudito, il diverso, non cade magicamente dal cielo, ma si trascina in modo spensierato nei momenti più banali. L'altro non è ciò che è opposto e contrario. Ciò che è contrario è posto di fronte, è inerte e ordinato, e non ha bisogno di affrontare l'ignoto. Cercare l'altro è possibile soltanto aprendo un varco in ciò che consideriamo simile e familiare, vicino, apparentemente già noto. L'incontro con ciò che ci manca è possibile se mettiamo in discussione quello che crediamo di possedere. Così scopriremo che la nostra ricerca quotidiana ci spinge incessantemente a smascherare l'ignoto in ciò che già ci appartiene. Pensare all'altro: non è questo che può far rivivere la filosofia e, soprattutto, darci l'accesso all'esistenza? -
Critica della ragione digitale
Da duemila anni la tecnologia, dalla scrittura alla stampa alla rete, ci trasforma. Oggi ci troviamo al centro di un cambio di paradigma: è il momento di chiederci come cambiano la nostra identità e la nostra postura nel mondo.rnrn""La pena per chi non conosce (e non vuole conoscere) il senso filosofico delle sue scelte di vita è vivere quelle scelte da vittima invece che da protagonista.""""rnrnInternet ci rende stupidi? Abituati alla velocità con cui accediamo alle informazioni, viene meno in noi la pazienza richiesta da un libro o da un articolo lungo e complicato. Dopo una pagina o due ci innervosiamo, perdiamo il filo, avvertiamo l’esigenza di occuparci d’altro, di cambiare attività. La concentrazione nella lettura ci è divenuta estranea. Oggi l’umanità è totalmente connessa. E quindi: che fare con la novità rappresentata dalla rete, e in generale dalla civiltà digitale? Accettarla o rifiutarla? Per rispondere a questa domanda dobbiamo compiere un viaggio di duemila anni. Ermanno Bencivenga ci accompagna lungo questo cammino nella storia del pensiero occidentale: Platone è la nostra guida, Kant la stella polare. Così scopriamo che la nostra identità è stata messa in discussione da ogni rivoluzione tecnologica. Ciascun cambio di paradigma sconvolge l’universo delle nostre consuetudini e dei nostri desideri.Ogni giudizio di valore è interno e intrinseco a una particolare fase del tempo, del mondo e della Storia. Allora, la questione va riformulata: internet non ci rende più stupidi o più intelligenti, ma cambia profondamente la nostra postura nei confronti di noi stessi e del mondo. E ogni cambio di paradigma è un’occasione preziosa e insostituibile per chiederci chi siamo."" -
Sullo Stato. Corso al Collège de France. Vol. 2: 1990-1992.
Un grande pensatore della sociologia contemporanea esplora la genesi dello Stato e svela il mistero della sua finzione collettiva.rn“Lo Stato si costituisce progressivamente come una vera e propria banca centrale del capitale simbolico.”Definire lo Stato richiede, secondo Pierre Bourdieu, il coraggio di sfidare un'impresa folle e smisurata. Ma tentare l'impossibile è il mestiere e l'ambizione del sociologo. Da un'immensa quantità di dati si tratta di costruire un modello, cioè un insieme di proposizioni sistematicamente connesse e verificabili che spieghi un insieme di fatti storici il più ampio possibile. Solo allora si potrà dire cosa sia lo Stato. I corsi che Bourdieu tenne al Collège de France tra il 1989 e il 1992, di cui questo volume raccoglie la seconda parte, mettono in scena questa formidabile impresa. «Bisogna rompere con le grandi teorie, come si deve rompere con il senso comune e diffidare della comprensione immediata.» Così facendo, sarà possibile «riappropriarsi delle categorie del pensiero di Stato che lo Stato ha prodotto e inculcato in ciascuno di noi». Lo Stato inteso come autorità sovrana esercitata su un certo popolo e territorio è un enorme feticcio, una vera e propria «banca del capitale simbolico». Ogni istituzione, spiega Bourdieu, per avere successo deve esistere «nelle cose e nei cervelli», grazie a regole riconosciute e condivise, dunque deve avere consenso. E, soprattutto, deve promuovere l'oblio della propria genesi. Queste lezioni ci invitano a non dare per scontato quello che il nostro senso comune considera naturale e necessario. Con un'analisi genetica della nascita dello Stato Bourdieu dimostra che l'invenzione più duratura della modernità, dotata di autorità e del potere di garantire l'ordine pubblico attraverso l'esercizio della violenza legittima, fisica e anche simbolica, è una potentissima illusione. -
Le età del desiderio. Adolescenza e vecchiaia nella società dell'eterna giovinezza
Ogni età deve rinegoziare le cose col mondo, con gli altri, col corpo alle prese con le proprie trasformazioni esterne e interne. Solo lo sguardo reciproco tra genitori e figli, maestri e allievi può frenare l'irruenza della vita e «renderla materia di studio e di ispirazione artistica, scenario di sogni e fantasie, paesaggio interiore.»«Se agli occhi dell’adulto appaiono come le stagioni più fragili dell’esistenza, adolescenza e vecchiaia sono in realtà le due età dell’uomo che più hanno a che fare con il nucleo profondo di noi stessi, con l’affermazione alla vita. Ma sono anche età drammatiche perché devono accogliere i cambiamenti del corpo, (ri)costruire un’identità sociale» - Jessica Chia, la Lettura «Il primo esercizio vocale della nostra storia è stato un grido. Urlare alla vita nel momento della nascita significa farle da subito opposizione, resistere a quella realtà traumatica che si abbatte contro di noi. La vita continuerà a mantenere i suoi tratti di insostenibilità», perché a ogni età ci costringerà a crescere e a trasfigurarci. Ciascuno, infatti, nel corso della sua esistenza attraversa per due volte una trasformazione che rompe tutti gli equilibri. Questi due momenti sono l'adolescenza e la vecchiaia, le età per eccellenza della vita, le età del desiderio, nelle quali l'esperienza del proprio corpo e del mondo cambia completamente e si traduce in un nuovo sentimento delle cose. Essere adolescenti significa sperperare per poter ereditare ed essere vecchi significa imparare l'arte di tramontare. Adolescenza e vecchiaia, mostra Francesco Stoppa, «sono le età in cui dire di sì alla vita, nel primo caso salendo sulla scena, nel secondo sapendo uscirne». Come si può trovare salvezza? Come si affronta l'assoluta insostenibilità della metamorfosi che ci coglie necessariamente impreparati? Da questa prospettiva del tutto inedita scopriamo un significato nuovo nel rapporto tra le generazioni, perché esiste un vuoto che solo lo sguardo reciproco tra un genitore e un figlio, un maestro e un allievo può riempire. Con una lingua suggestiva e con l'aiuto di alcuni struggenti riferimenti clinici, Stoppa esplora gli enigmi, le contraddizioni e le sfide che animano ogni passaggio generazionale. -
Heidegger e il nuovo inizio. Il pensiero al tramonto dell'Occidente
Noi abitiamo ancora la Terra o unicamente la Tecnica? Oggi la tecnica è molto di più che uno strumento nelle mani dell'uomo: è l'ambiente in cui l'uomo vive. Umberto Galimberti ha scritto una nuova guida alla lettura di Heidegger, la cui opera arriva fino a oggi e illumina il mondo contemporaneo.«Una nuova guida alla lettura di Heidegger, la cui opera arriva fino a oggi e illumina il mondo contemporaneo» - Quotianpost.itrnLa metafisica, inaugurata da Platone, secondo Martin Heidegger ha messo in circolazione un'unica forma di pensiero: il pensiero calcolante, che ha trovato nell'economia e nella tecnica l'espressione più alta e organizzata. «Tutto funziona,» scrive Heidegger, e «questo è appunto l'inquietante.» La tecnica è infatti la realizzazione compiuta dell'intenzione segreta della metafisica, la più idonea a garantire non solo la disponibilità di tutte le cose, ma anche la loro riproducibilità. Eppure, la razionalità imposta dalla tecnica, che esige di raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi, finisce per mettere fuori gioco la condizione umana. Ciò che fuoriesce da questa razionalità, per la tecnica è solo un elemento di disturbo e dunque deve essere eliminato. Accade però che l'uomo non sia solo razionalità, ma anche irrazionalità. Infatti irrazionale è la fantasia, l'immaginazione, l'ideazione, il desiderio, il sogno. E se questi aspetti vengono ridotti o soppressi, abbiamo ancora a che fare con l'uomo? Umberto Galimberti ci conduce nella riscoperta del pensiero di Heidegger e fa un fondamentale passo in avanti. Al tempo di Heidegger la tecnica poteva ancora essere considerata uno strumento nelle mani dell'uomo. Oggi non lo è più: è diventata l'ambiente in cui l'uomo vive, e l'uomo stesso è diventato un oggetto della tecnica. «Questo libro,» scrive Galimberti, «è una guida alla lettura di Heidegger e, come ogni guida, conduce da un ""primo inizio"""" a un """"altro inizio"""", come lo chiama Heidegger, per giungere al quale occorre attraversare l'intero pensiero occidentale, che è stato governato dalla metafisica inaugurata da Platone.»"" -
Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi
Negli ultimi cinquant’anni si è compiuta una gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri, dei governanti contro i governati. Insorgere contro questo dominio sembra ormai una stramberia patetica. E tale resterà se non impariamo da chi continua a sconfiggerci.rn“Il lavoro da fare,” scrive d’Eramo, “è immenso, titanico, da mettere spavento. Ma ricordiamoci che nel 1947 i fautori del neoliberismo dovevano quasi riunirsi in clandestinità, sembravano predicare nel deserto, proprio come noi ora.”rnDai birrifici del Colorado alle facoltà di Harvard, ai premi Nobel di Stoccolma, Marco d’Eramo ci guida nei luoghi dove una guerra è stata pensata, pianificata, finanziata. Di una vera e propria guerra si è trattato, anche se è stata combattuta senza che noi ce ne accorgessimo. Lo ha riconosciuto uno degli uomini più ricchi del mondo, Warren Buffett: “Certo che c’è guerra di classe, e la mia classe l’ha vinta. L’hanno vinta i ricchi”. La vittoria è tale che oggi termini come “capitalisti”, “sfruttamento”, “oppressione” sono diventati parolacce che ci vergogniamo di pronunciare. Oggi “ci è più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo”.rnLa rivolta dall’alto contro il basso ha investito tutti i terreni, non solo l’economia, il lavoro, ma anche la giustizia, l’istruzione: ha stravolto l’idea che ci facciamo della società, della famiglia, di noi stessi. Ha sfruttato ogni crisi, tsunami, attentato, recessione, pandemia. Ha usato qualunque arma, dalla rivoluzione informatica alla tecnologia del debito. Ha cambiato la natura del potere, dalla disciplina al controllo. Ha imparato dalle lotte operaie, ha studiato Gramsci e Lenin. Forse è arrivato il momento di fare lo stesso e di imparare dagli avversari. -
L' inaudito. All'inizio della vita vera
Il filosofo è colui che si fa carico della stranezza del mondo. In un'epoca che pretende dati e certezze e che tuttavia ogni volta si scontra con la loro inaffidabilità, Jullien spinge al limite la sua esplorazione della realtà e dell'alterità.È attorno all'inaudito che, senza saperlo, continuano a ruotare e ad avvolgersi le nostre vite. Solo l'in-audito, in fondo, è degno di interesse, in quanto ciò che è già ""udito"""", registrato e assimilato, non ha, in realtà, niente da apportare, se non qualche aggiustamento e sistemazione. Sul punto, forse non è il caso di continuare a ingannarci. Al contempo, visto che l'inaudito è ciò che in sé sfugge, ne consegue che ciò che di esso si lascia normalmente captare e cogliere sia innanzitutto deludente. La radicale estraneità e stranezza, non essendo pienamente liberata, si volge in banalità e familiarità. Quando non sono all'altezza dell'inaudito, mi annoio: mi stanco di quello che ho appreso o, piuttosto, di ciò che non ne ho appreso. Incontrare l'inaudito, al contrario, sbatterci improvvisamente contro, significa spostare in maniera smisurata la frontiera del possibile, sempre troppo stabile, e la morte stessa, commensurata all'incommensurabile e al vertiginoso dell'inaudito, si ritrova all'improvviso sottratta al suo isolamento. L'immaginazione, come la scienza e la fede, fa tanti sforzi per integrare la morte nella vita, per iscriverla nel suo metabolismo, per assimilarla allo scopo di giustificarla. Ma che ne è di quanto essa conserva di """"inaccettabile"""", come si è soliti dire, ossia di non integrabile da parte del soggetto? Non resta che ricorrere alla categoria riferita a ciò che non si integra, a ciò che è fuori categoria: l'inaudito – meglio che l'""""Infinito"""", la categoria spesso invocata per rendere conto di quel debordare – può finalmente mordere quanto di più refrattario risulta per il pensiero."" -
Liberalismo inclusivo. Un futuro possibile per il nostro angolo di mondo
La Grande Crisi Finanziaria e la pandemia hanno provocato la crisi della narrativa neoliberista. Esiste una strada per una nuova narrativa in grado di rafforzare la democrazia, ridurre le diseguaglianze e tenere assieme la libertà economica e il benessere dei cittadini? Per Salvati e Dilmore questa strada esiste ed è quella di un liberalismo inclusivo. Espressione insolita nel mondo della sinistra, anche se l'obiettivo che indica è ben noto: l'aspirazione a tenere uniti gli aspetti più desiderabili di una concezione liberale e di una socialista.La crisi economica del 2008 e poi la pandemia hanno destabilizzato la società e il sistema economico neoliberisti. Ci siamo così ritrovati a vivere in un interregno. E, come scrisse Gramsci nei Quaderni dal carcere, in un interregno nel quale il vecchio è moribondo, ma il nuovo non riesce a nascere, possono verificarsi i ""fenomeni morbosi più svariati"""": per esempio l'ascesa di forze e movimenti etno-nazionalisti quali il trumpismo. Secondo Salvati e Dilmore, recenti sviluppi politici, economici e culturali stanno (forse) creando le condizioni per porre termine a questo interregno e aprire una nuova fase nella storia del capitalismo nei Paesi avanzati. Come per altre fasi stabili del capitalismo, i confini tra stato e settore privato, tra efficienza/inefficienza dei mercati e sostenibilità sociale e ambientale dovranno essere ridefiniti per fornire una risposta alla tensione permanente, ora sotterranea, ora esplosiva, fra la libertà economica e l'esigenza di assicurare al più gran numero di cittadini le migliori condizioni di benessere. Questa tensione ha definito tutta la storia del capitalismo nei regimi politici liberaldemocratici e ne ha articolato le grandi narrative. Davanti a noi abbiamo un nuovo decennio e la responsabilità di trovare una nuova narrativa per una nuova era. Questo è un libro politico scritto da due economisti e ha l'urgenza di una scommessa che può essere vinta."" -
Per una Costituzione della Terra. L'umanità al bivio
«Una Costituzione della Terra è diversa da tutte le altre carte costituzionali, perché deve rispondere a problemi globali sconosciuti in altre epoche, e tutelare nuovi diritti e nuovi beni vitali contro nuove aggressioni, in passato impensabili. Non è un'utopia. È l'unica strada per salvare il pianeta, per affrontare la crescita delle disuguaglianze e la morte di milioni di persone nel mondo per fame e mancanza di farmaci, per occuparsi del dramma delle migrazioni forzate, per difendersi dai poteri selvaggi che minacciano la sicurezza di intere popolazioni con i loro armamenti nucleari.»«È una grande utopia necessaria in questo momento, l'utopia di un mondo in cui i poteri selvaggi del mercato sono messi a freno.» - Valentina Pazé per MaremossoEsistono problemi globali che non fanno parte dell'agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell'umanità. Il riscaldamento climatico, il pericolo di conflitti nucleari, le disuguaglianze, la morte di milioni di persone ogni anno per mancanza di alimentazione di base e di farmaci salvavita e le centinaia di migliaia di migranti in fuga segnano il nostro orizzonte presente e futuro. In gran parte dipendono dall'assenza di limiti ai poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali. Tuttavia, secondo Luigi Ferrajoli, un'alternativa istituzionale e politica è possibile e la sua stella polare è una Costituzione della Terra. Non si tratta di un'ipotesi utopistica. Al contrario, è la sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che Thomas Hobbes affrontò quattro secoli fa: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica basato sul divieto della guerra e sulla garanzia dell'abitabilità del pianeta e perciò della vita di tutti. La vera utopia, l'ipotesi più inverosimile, è l'idea che la realtà possa rimanere così come è: l'illusione cioè che potremo continuare a fondare le nostre democrazie e i nostri tenori di vita sulla fame e la miseria del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente insostenibile delle nostre economie. Solo una Costituzione della Terra, che introduca un demanio planetario a tutela dei beni vitali della natura, bandisca le armi a cominciare da quelle nucleari e introduca un fisco e idonee istituzioni globali di garanzia in difesa dei diritti di libertà e in attuazione dei diritti sociali di tutti può realizzare l'universalismo dei diritti umani, assicurare la pace e, prima ancora, la vivibilità del pianeta e la sopravvivenza dell'umanità. -
Obama. Una storia della nuova America
Nessuna vicenda è più significativa nella storia americana di questo secolo del successo di Barack Obama alle elezioni presidenziali, e questo libro lo racconta indagando in maniera esaustiva le circostanze, le esperienze di vita e l'ambizione che lo hanno portato alla Casa Bianca. David Remnick presenta il ritratto di un giovane alla ricerca di sé e di un politico in ascesa determinato a diventare il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Un completo resoconto della sua storia fino alla vittoria: la tragica esistenza del padre, un brillante economista che ha abbandonato la famiglia e ha concluso la sua vita da sconfitto; la madre Stanley Ann Dunham, che ha avuto un figlio quando era ancora ragazzina e poi ha fatto carriera come antropologa vivendo e studiando in Indonesia; la serie di scuole elitarie in cui Obama ha iniziato a forgiarsi una propria identità; l'esperienza come coordinatore di comunità a Chicago, che ha influenzato la sua decisione di darsi alla politica, e che gli ha dischiuso le porte della Harvard Law School, dove si è delineato per lui il senso della grande missione da compiere. Grazie a interviste con amici e insegnanti, mentori e avversari, i familiari e lo stesso Obama, Remnick consente di capire come abbia fatto un giovane senza radici e inesperto a reinventarsi come leader politico. Quello del presidente non è solo un percorso individuale, ma il tragitto emblematico di una nazione il cui destino è plasmato da individui disposti a immaginare un futuro.