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Il suddito democratico. Libertà e uguaglianza nel pensiero giuridico-politico di Tocqueville
L'immagine di Tocqueville che emerge da questo testo si discosta sia dall'interpretazione liberale classica sia dalla più recente lettura repubblicana e avvicina piuttosto l'autore al filone critico della modernità. Democrazia e dispotismo, i due poli in apparenza alternativi della riflessione di Tocqueville, possono essere, infatti, concepiti come la declinazione di uno stesso fenomeno: la spinta della storia verso la completa realizzazione dell'uguaglianza delle condizioni. Dalle apparenti aporie della Démocratie en Amérique emerge quindi la messa in discussione della modernità, intesa non solamente come fenomeno giuridico-politico, ma anche come paradigma etico-antropologico. La ricostruzione della democratizzazione dell'Occidente coincide infatti con la fenomenologia dell'affermazione di forme inedite di dominio, ancora più oppressive delle tirannidi del passato, perché capaci di modificare più in profondità le condizioni di esistenza. A fronte di uno stato onnipresente che assiste e sostiene, ma anche opprime e tormenta, non vi sarebbe nessuno spazio residuo per la libertà: l'unico valore interamente positivo nella concezione di Tocqueville. -
Gli scritti giovanili di Ludwig Gumplowicz. Questione ebraica e questione nazionale in Polonia (1864-1875)
Benché annoverabile, insieme a Georg Simmel e a Émile Durkheim, tra i pionieri della sociologia europea, Ludwig Gumplowicz risulta oggi un tipico esempio di ""classico dimenticato"""", la cui notorietà resta perlopiù legata alla sua immeritata fama di pensatore razzista. Concepita in funzione di un più complessivo riesame critico della sua opera e della sua figura, questa antologia dei suoi scritti giovanili intende risalire alle premesse della sua riflessione matura e, per questa via, fare anche luce su alcuni dei concetti fondamentali alla base della sua """"macrosociologia del conflitto""""."" -
Logica e razionalità nella ricostruzione giudiziale dei fatti
Le esigenze di imparzialità, di ricostruzione oggettiva dei fatti e di controllabilità razionale dell'operato del giudice, proprie del giusto processo, richiedono un discorso fondato e sviluppato sulla base di schemi di ragionamento ""logici"""" e """"razionali"""", vale a dire certi ed obbiettivi nelle loro premesse, nella scelta della regola di associazione tra premesse e conclusione, nella determinazione del nesso di conseguenzialità e nelle relative conclusioni. Questo è il quadro auspicato e auspicabile, ma la realtà è ben diversa. Se quindi guardiamo alla realtà del processo, in cosa consiste la logica del giudizio di fatto? E la prova, in che termini può essere realisticamente definita razionale? Il saggio si propone di rispondere a queste domande, ed individua come propria del giudizio di fatto, salvi casi particolari, la logica non dimostrativa né deduttiva, bensì la logica che può essere definita empirica, induttiva, abduttiva, argomentativa, dialettico-retorica e opinativa, di cui sono chiariti i caratteri specifici. Mentre il ragionamento probatorio può dirsi razionale quando è linguisticamente corretto, completo, rappresentativo, attendibile, plausibile, coerente e congruo, nei termini del pari specificamente chiariti."" -
Una possibilità del linguaggio. Pierre Menard come metodo
«Le idee più preziose vengono trovate per ultime», scrive Nietzsche. «Ma le idee più preziose sono i metodi». In questi saggi Alfredo Zucchi trae da Pierre Menard - il celebre personaggio di Jorge Luis Borges che, com'è noto, intende riscrivere verbatim il Don Chisciotte - lo spunto per posare uno sguardo paradossale sul segno letterario. Il metodo di Menard instaura infatti tra il soggetto osservante e l'oggetto osservato un'indistinzione esasperata e tuttavia alienante, talché l'uno e l'altro diventino, insieme, prossimi e incolmabilmente distanti. Così, nel saggio che apre il libro, un confronto serrato con il testo di Michel Foucault La follia, l'assenza d'opera mette in luce i legami tra una certa esperienza della follia e la letteratura fantastica d'impronta borgesiana. Questi legami investono il movimento del linguaggio che implica se stesso e si sdoppia, denudando le sue interne e inesplorate cavità. Di associazione in associazione, da Mallarmé a Borges, da Ricardo Piglia a Danilo Kis, da Julio Cortázar a Nietzsche e Furio Jesi, l'indagine dell'autore approda al confronto con l'opera di Roberto Bolaño. L'ossessione del vuoto percorre tutti i saggi e finisce con un congedo umoristico: quando, in Specchio riflesso, Zucchi tenta un consuntivo del metodo di Pierre Menard scopre un conflitto insanabile, comico e tragico al tempo, tra il segno letterario e il soggetto che, enunciandolo, semplicemente lo veicola nell'illusione di esserne l'Autore. -
Codice civile cinese e sistema giuridico romanistico
Il primo gennaio 2021, nella Repubblica Popolare Cinese, il più popoloso Paese al mondo e attualmente la seconda economia mondiale, è entrato in vigore il Codice civile, testo normativo che, come riconosciuto dallo stesso legislatore e dagli scienziati del diritto cinesi, rappresenta un'enciclopedia del diritto privato (una ""????????"""") contenente le norme giuridiche fondamentali riguardanti i rapporti tra privati, inclusi, ad esempio, quelli di natura civilistica, commerciale, alcune tipologie di rapporti di lavoro ecc. Già la scelta della forma e dello strumento 'Codice' mostra come questo risultato raggiunto dal legislatore e dalla scienza giuridica cinese poggi su un dialogo con il sistema giuridico romanistico; dialogo che deve essere tenuto in considerazione al fine di poter comprendere in modo adeguato come le norme dettate nel Codice possano poi essere interpretate e applicate nella realtà senza limitarsi a una sterile lettura del mero dato positivo contenuto nello stesso. Nel presente volume sono raccolti scritti attraverso i quali si cerca di dare contezza, da un lato, della visione da parte cinese che sul Codice (o su alcuni argomenti trattati nello stesso) hanno i più influenti giuristi della Repubblica Popolare Cinese. Le opinioni di questi importanti studiosi hanno certamente svolto un ruolo fondamentale nella elaborazione del Codice civile: essi, infatti, oltre a dimostrarsi affidabili conoscitori delle materie ivi trattate, hanno contribuito alla sua stesura in qualità di membri dell'organo legislativo che ha proceduto alla sua approvazione, oppure quali membri di istituzioni a cui questo si è rivolto per ricevere consigli tecnici. Dall'altro lato, accanto a queste, sono state raccolte le prime riflessioni aventi ad oggetto il Codice espresse in seno alla scienza giuridica italiana."" -
Dal margine al centro? I giovani tra diritto e pratiche sociali
Il volume si propone di ripensare le relazioni tra giovani, diritto e pratiche sociali a partire dalle acquisizioni delle teorie critiche del diritto e del campo interdisciplinare degli Youth Studies, consolidatosi dagli anni Settanta del secolo scorso in vari Paesi. In tale prospettiva, il fine è quello di delineare una possibile critica giovanile del diritto - che porti i giovani dal margine al centro del diritto e della riflessione giusfilosofica e sociologico-giuridica. Il percorso si snoda principalmente attraverso l'analisi dei più significativi documenti internazionali e sovranazionali non vincolanti espressamente dedicati alla gioventù e volti a orientare gli Stati nell'attuazione di politiche che la riguardano, prestando particolare attenzione allo spazio di voce dei giovani nei processi decisionali, nonché alla tutela dei diritti promossa da tali documenti. La riflessione si conclude con la proposta di una ""Convenzione internazionale sui diritti dei giovani"""" quale insieme di indirizzi e strumenti per l'affermazione della loro autonomia e uguaglianza."" -
La figura inevidente
Questo libro propone una riflessione sul rapporto tra retorica e pittura nell'antichità classica, traendo spunto dal celebre aneddoto che racconta come il pittore Timante (v/iv sec. a. C.), impegnato a riprodurre il sacrificio di Ifigenia, velasse il volto di Agamennone nell'impossibilità di restituirne l'estrema sofferenza. Ammirato dagli antichi e variamente commentato dai moderni, l'espediente pittorico dell'enkálypsis (ovvero della velatio capitis) anticipa problemi di grande attualità teorica: i limiti della rappresentazione artistica, la dipintura delle emozioni, il coinvolgimento empatico dell'osservatore. Tutti questi aspetti vengono qui riconsiderati alla luce di un'analogia fra le tecniche artistiche dell'inespresso e le tecniche retoriche della reticenza, cosí da mettere a confronto i meccanismi e gli effetti della «figura inevidente» di un dipinto (in questo caso il volto velato) con i meccanismi e con gli effetti della «figura inevidente» di un discorso e cioè con quelle tecniche della dissimulatio artis che, nascondendo gli artificî stilistici, suscitano un'impressione di immediata naturalezza. -
La mia vita se ne stava - Un fucile carico
My Life had stood - a Loaded Gun è il primo verso di una delle più intense e discusse fra le oltre 1700 poesie postume di Emily Dickinson, riassunto fulmineo di una vita che ha ricevuto la grazia di una missione e vocazione: amorosa, religiosa, poetica. Rivela la capacità di questa grande poeta statunitense di esprimersi direttamente con metafore semplici e ardite (la vita come un fucile carico in attesa che il ""padrone"""" la trovi), parlando in prima persona di un'esperienza immediata ed esemplare che i lettori possono fare propria, comunicando l'esaltazione e lo sgomento del vivere. Dickinson unisce magistralmente un tono narrativo di ballata western a invenzioni lessicali degne dei poeti metafisici del Seicento. Racconta la vita e si sofferma in conclusione sull'incognita della fine con un auspicio: che la vita si spenga non prima della visione che l'ha retta. In Italia Dickinson ha conosciuto una fortuna che non ha eguali, e My Life had stood - a Loaded Gun fu tradotta degnamente fin dal 1947 e in seguito ha attirato traduttori e poeti, fra cui Mario Luzi. Il confronto fra le traduzioni rivela come il testo di Dickinson è stato letto e sentito dal dopoguerra agli anni '60-'70 ad oggi, con maggiore e minore aderenza all'uso tutto personale che Dickinson fa di punteggiatura e ortografia, e le ragioni di fondo di tali scelte. Questo studio dettagliato di un piccolo capolavoro alla luce della sua ricezione offre un'occasione unica di misurare su pochi versi l'arte e la visione di una delle maggiori voci poetiche di tutti i tempi."" -
L' adorabile rossa
Rispetto all'immediata e duratura popolarità di Alcools (1913), l'ultima raccolta poetica di Apollinaire, Calligrammes (1918), è stata a lungo gravata da sospetti e rifiuti da parte della critica e del pubblico. Fin da subito, anche i suoi amici e ammiratori più fervidi non solo hanno visto negli indeogrammi lirici un futile gioco infantile ma hanno condannato la passione bellicista delle poesie di guerra contenute nella silloge. Solo a partire dagli anni Cinquanta, grazie agli interventi di Décaudin, Butor, Debon, la critica ha potuto restituire a Calligrammes tutta la sua ricchezza e la pienezza del suo valore. La jolie rousse, collocata da Apollinaire alla fine della raccolta, invita senz'altro il lettore a considerarla un testamento e un manifesto di poetica, anche per il tono a tratti riflessivo e per alcuni giudizi di ordine estetico. Tuttavia, una lettura approfondita di questo celeberrimo componimento, attraverso quella fondamentale esegesi che si basa sullo studio delle sue traduzioni, rivela una molteplicità di sensi che impediscono di costringere e limitare La jolie rousse nei confini di un genere. La questione centrale, all'epoca delle nascenti avanguardie, è costituita dalla lunga querelle dell'ordine e dell'avventura, della tradizione e dell'invenzione su cui il poeta, che si sente giunto al culmine della sua maturità esistenziale ed estetica, ritiene di poter giudicare. Ne risulta però l'impossibilità di poter prendere parte per l'una delle due polarità e sulla base di una incrollabile fiducia nel potere cretivo della poesia viene affermata una inedita sintesi che schiude nuovi itineari estetici. -
Pixel. Letteratura e media digitali
Costantemente circondati da schermi composti di pixel, siamo oggi sempre più portati a concepire l'interfaccia digitale come naturale finestra sul mondo. Anche le scritture letterarie si sono ritrovate a fare i conti con questa evoluzione tecnologica: da una parte, il display può essere utilizzato per riprodurre la pagina cartacea, che acquisisce così uno statuto ipermediale; dall'altra, tecniche e procedimenti mimetici del display sono sperimentati sulla pagina stessa, per restituire a chi legge l'esperienza percettiva dello schermo. Di fronte alle molteplici e variegate intersezioni tra letteratura e media digitali che lo scenario odierno ci propone, questo volume prende corpo dall'esigenza di monitorare le esperienze recenti in cui autori e autrici si cimentano in produzioni sempre più interattive e performative, dando vita a reticoli testuali aperti e potenzialmente infiniti. Dalla letteratura alle serie tv, dalla poesia al fumetto, dai social network alla retorica visuale: i contributi qui raccolti mostrano la ricchezza di approcci disciplinari e metodologici che è possibile adottare per analizzare le scritture letterarie che continuano a mettersi in gioco nella costruzione di immaginari all'interno del panorama mediale contemporaneo. All'interno i saggi di Filippo Pennacchio, Corinne Pontillo, Marilina Ciaco, Nicola Dusi, Giovanna Santaera, Giorgio Busi Rizzi, Emanuele Broccio, Isotta Piazza, Beatrice Seligardi, Stefano Calabrese e Valentina Conti. -
Il bilanciere di Leibniz. Riflessioni a partire dalla dottrina dell'equilibrio politico europeo
Il volume mira a fornire una genealogia del concetto di equilibrio europeo attraverso il pensiero politico di Leibniz. La trattazione si sviluppa attraverso i passaggi che hanno maggiormente scandito la storia dell'Europa e dell'intero emisfero occidentale, da Metternich a Wilson, mettendo a fuoco l'idea di ""pace perpetua"""" elaborata da Kant sino alle più recenti teorie cosmopolitiche. Una domanda cruciale emerge dalla disamina delle critiche all'idea di equilibrio europeo, da Rousseau a Schmitt: quale sarebbe la forza in grado di evitare l'insorgere della guerra e, allo stesso tempo, promuovere un equilibrio dell'umanità che non si fondi sul concetto di pace perpetua? È proprio Leibniz a fornire un ausilio in tal senso, introducendo una diversa ricostruzione dell'idea di giustizia, incentrata sulla benevolentia generalis. I due significati che sono associati nella lingua tedesca alla parola Unruhe, bilanciere e inquietudine, aiutano a cogliere l'attualità della sfida con la quale il filosofo tedesco affronta i problemi politici del suo tempo. Il bilanciere di Leibniz diventa così l'immagine evocativa dell'optima respublica in cui le tensioni individuali alla benevolenza convivono in un equilibrio generale il cui cardine è dato dalla giustizia come processo dinamico."" -
Le parole del male. Materiali per un lessico della violenza
Non sempre la violenza viene percepita come tale. Spesso si nasconde alle spalle di teorie capaci di legittimarla, altre volte si accompagna a retoriche in grado di celarla. E così viene accettata, normalizzata, alimentata. Scavando nella storia sociale e politica e nella struttura semantica di alcuni termini chiave, i saggi raccolti in questo libro esemplificano la pericolosa ambiguità di pratiche e parole utilizzate, in passato come oggi, in queste strategie dell'inganno. E suggeriscono l'urgenza di una sistematica ricognizione critica dei nostri lessici. -
Lessico giuridico di Lucio Anneo Seneca
L'idea di redigere un lessico giuridico di Lucio Anneo Seneca nasce dalla constatazione dell'esiguo impatto delle opere dell'autore latino nella produzione letteraria della giusromanistica. Dall'analisi dell'opera complessiva di Seneca emerge come questi abbia impiegato spesso termini giuridici di uso corrente, per spiegare meglio certe affermazioni e per essere maggiormente compreso dai suoi contemporanei. La scrittura di Seneca è pertanto ricca di traslati e analogie tratti dall'esperienza giuridica. Ne risulta un linguaggio innovativo e incisivo che permette di ricostruire in maniera precisa ed esatta la terminologia giuridica del suo tempo. -
Livio Paladin costituzionalista della Res publica
Ci salva la memoria. Il ricordo dei testimoni di una vita nobile e retta. Uno di essi è Livio Paladin. Chi gli è stato collega nell'Università - Gaspare Falsitta - ha colto in lui «la personalità di un uomo eccezionale, che in ogni momento della sua esistenza ha dato prova di gentilezza, generosità, rettitudine, adesione vissuta alla pari dignità delle persone». Chi ha condiviso l'esperienza di giudice costituzionale - Leopoldo Elia - gli ha riconosciuto una «superiorità argomentativa» e un'«impronta mitteleuropea, non sempre presente nella prassi italiana. Questa capacità di essere effettivamente super partes». Chi è stato ministro nel medesimo governo - Franco Gallo - ne ha ricordato la singolare autorevolezza. Mentre chi ha frequentato le sue lezioni, da studente, si è espresso così: «Lei, professor Paladin, ci ha mostrato che si possono trattare con la stessa serietà gli alti incarichi istituzionali, le lezioni in Facoltà, il ricevimento di uno studente e la preparazione di una tesi di laurea. Ci ha stupito l'umanità con cui incontrava ciascuno di noi, senza ostentare mai una superiorità di conoscenze, di carriera, di prestigio». La sua intensa operosità ha lasciato, ovunque, tracce significative. I suoi scritti conservano intatta la freschezza, la puntualità e il rigore di chi è stato un eccelso tecnico del diritto e un sapiente interprete delle trasformazioni sociali ed istituzionali. Nell'adeguarsi, la Costituzione deve essere continuamente riletta ed aggiornata, senza mai tradirne il testo, abbandonandosi ad interpretazioni che - soprattutto in tema di fonti - gli sono apparse, e non ha evitato di definire, «assai lassiste». -
Canti per il popolo
I ""Canti per il popolo"""" di Giovanni Prati mai sono stati fatti oggetto, fino ad oggi, di un commento integrale: solo pochissime delle più note poesie in essi comprese (Campagnuoli sapienti, soprattutto) sono state accolte in questa o in quell'antologia, e, in quella sede, rapidamente illustrate. Eppure, l'opera ha inciso non superficialmente nella letteratura italiana dell'Ottocento, anche perché Prati operava in due direzioni. Da una parte si proponeva di educare il popolo, trasmettendo messaggi di natura etica, dall'altra di rassicurare i borghesi. Per tale motivo accanto a moduli espressivi semplici, si riscontrano raffinatezze, echi letterari non facilmente avvertibili da un pubblico disavvezzo alla letteratura. La presente edizione è così corredata di preziosi strumenti esegetici: un'Introduzione in cui si fa luce sulla poesia pratiana, una puntuale Cronologia, una ricca Bibliografia. Preziosi per l'esegesi e il commento i cappelli introduttivi e le note, ampie e dettagliate, alle singole poesie che illustrano la maestria di un poeta oggi ingiustamente quasi sconosciuto al grande pubblico."" -
Chiose e annotazioni ai Trionfi di Petrarca
Nella lunga fedeltà di Carducci nei confronti di Petrarca c'è una zona d'ombra che riguarda i Trionfi. In un arco cronologico di quasi cinquant'anni, sono infatti rari gli affondi di Carducci sul poema italiano di Petrarca: non a caso, mentre nel 1896 usciva a Firenze l'edizione di Canzoniere e Trionfi dovuta a Giovanni Mestica, nel 1899 Carducci e Severino Ferrari pubblicavano le sole rime del Canzoniere. Eppure, nella Casa-Museo di Bologna si conservano due fascicoli di carte che trasmettono il suo commento, sino ad ora rimasto inedito, a cinque capitoli trionfali: un commento avviato nei primi anni Sessanta dell'Ottocento e abbandonato da Carducci in uno stato ancora provvisorio dopo il 1893, ma già fornito di un impianto storico ed erudito, fondato sulla tradizione esegetica precedente, volto all'esatta comprensione della lettera e integrato da annotazioni filologiche, linguistiche e stilistiche proprie del Carducci maturo. Questa edizione critica propone quindi per la prima volta il testo del commento di Carducci ai Trionfi, rispettando il più possibile lo stato degli autografi. Il testo è corredato di un apparato critico che dà conto degli interventi dell'autore sulle carte (emendamenti, aggiunte, cassature) e accompagnato da alcune note orientate a valorizzare la carducciana ""arte del commento""""."" -
La felicità pubblica tra diritti inviolabili e doveri inderogabili
«È un fatto strano,» secondo Hannah Arent «e naturalmente spesso notato, che mentre Jefferson stava abbozzando la Dichiarazione d'Indipendenza, abbia cambiato la formula corrente con la quale venivano elencati gli inalienabili diritti umani da ""vita, libertà e proprietà"""" in """"vita, libertà e ricerca della felicità""""». È proprio su questo fatto strano (tale perché determinò la recessione del binomio Liberty and Property a favore del Pursuit of Happiness) che si sviluppa la presente riflessione, diretta a rimettere a tema, nel dibattito culturale, la dimenticata nozione di 'felicità pubblica'. Questa nozione, che nel Settecento è stata propria sia del processo costituente americano che di scuole economiche italiane dello stesso periodo, comporta una forte rivalutazione della dimensione relazionale della persona. Richiama, quindi, in questa prospettiva, lo stesso clima di valori che condusse in Assemblea costituente a porre in stretta correlazione diritti inviolabili e doveri inderogabili. Questa correlazione oggi è spesso ignorata, con un enorme perdita di capitale sociale. Tornare a mettere a tema la felicità pubblica, cioè un sentimento di felicità che, per riprendere l'espressione della Arendt, «non è possibile acquistare da nessun'altra parte», riveste allora un valore strategico. Consente, infatti, di non cadere, a differenza di certi accenti della retorica mazziniana, nella trappola (in cui a volte inciampano anche oggi molti dei più convinti sostenitori della correlazione tra diritti e doveri) di contrapporre felicità e doveri."" -
Storia, natura, ecologia. Scritti per Manlio Iofrida
La ricchezza straordinaria delle ragioni del percorso di studio di Manlio Iofrida è ciò di cui testimonia questa raccolta di contributi, progettata da studiosi amici e allievi per tentare di restituirne l'ampiezza e la profondità. In quest'ottica, i rimandi alle parole-chiave della sua ricerca - ""storia"""", """"natura"""", """"ecologia"""" - consentono di cogliere alcune linee fondamentali lungo le quali prendono corpo questi scritti. Grazie alla attenzione filologica verso le tematiche affrontate e, al tempo stesso, alla condivisione in spirito di amicizia dei suoi risultati, Iofrida ha realizzato un'impresa intellettuale mai fine a se stessa; essa è fortemente tonalizzata in senso etico e politico in un modo per niente scontato e originale. Con scritti di: Charles Alunni, Prisca Amoroso, Andrea Michele Angelini, Valentina Antoniol, Mita Arici, Stefano Berni, Giuliano Campioni, Marco Ciardi, Marco Ciaurro, Marco Dal Pozzolo, Gianluca De Fazio, Ubaldo Fadini, Giulia Gandolfi, Alice Giarolo, Alfonso Maurizio Iacono, Alberto Lorenzini, Arianna Mazzotti, Diego Melegari, Paolo Missiroli, Igor Pelgreffi, Nicola Perullo, Silvano Petrosino, Benedetta Piazzesi, Stefano Righetti, Paolo Savoia, Marco Tronconi, Matteo Villa, Caterina Zanfi."" -
Portogallo
Una completa guida alle bellezze del Portogallo dove, addolciti dal Porto, si può scoprire la raffinatezza degli ""azulejos"""" e la profondità delle poesie di Pessoa. Tra le mete più belle da visitare città barocche, montagne disseminate di castelli medievali, le spiagge selvagge dell'Alentejo. Per poi perdersi nelle notti di Lisbona, illanguidendo con le note del fado e provando """"saudade"""", la inimitabile nostalgia portoghese."" -
Il pensiero e l'ordine del mondo. Schizzo di una teoria della conoscenza
Clarence Irving Lewis (1883-1964) è stato uno dei padri della logica «non classica» moderna, e un deciso assertore della formulabilità e legittimità di sistemi di logica alternativi rispetto a quello classico. Con la ""Survey of symbolic logic"""" (1918) e soprattutto con la """"Symbolic logic"""" (1932), scritta in collaborazione con C.H. Langford, egli mostrò come fosse possibile costruire sistemi matematicamente ineccepibili, in cui la relazione di implicazione aveva proprietà parzialmente diverse da quelle classiche. Ma, forse più ancora che alla pura e semplice formulazione di sistemi di logica, Lewis era interessato alle conseguenze filosofiche dell'esistenza di una pluralità di logiche alternative: e con """"Lo spirito e l'ordine del mondo"""" (1929), egli intese trarre esplicitamente queste conseguenze, per quanto riguarda la teoria della conoscenza. L'insieme degli strumenti concettuali mediante i quali l'esperienza viene organizzata (l'«a priori») non poteva più essere considerato come unico: ci si trovava piuttosto in presenza di una pluralità, in linea di principio illimitata, di schemi concettuali alternativi di pari legittimità matematica, la scelta tra i quali andava affidata essenzialmente al criterio dell'efficacia nell'organizzazione dell'esperienza. È questo il «pragmatismo concettuale» teorizzato da Lewis, sulla scorta di James e Dewey, ma soprattutto di Peirce: lo schema concettuale da preferirsi è quello la cui applicazione nella costituzione dell'esperienza consente previsioni più attendibili, perché sistematicamente verificate. La rigidità dell'a priori kantiano si frantuma in un dialogo ininterrotto tra sistemi di costrutti, elaborati mediante una pura analisi concettuale, dati d'esperienza più o meno strutturati, e previsioni più o meno esattamente verificate. La conoscenza scientifica è il risultato - provvisorio, e in un certo senso relativo - di questo dialogo, la cui sede non è tanto un'ideale comunità di scienziati, quanto la concreta comunità umana, mossa - non senza conflitti interni - da un bisogno vitale di organizzazione dell'esperienza in vista della sopravvivenza.""