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Il tè dell'Imperatore
Questo libro è stato scritto niente meno che da un imperatore cinese, l'ottavo della dinastia Song, la più elegante, colta e raffinata di tutta la storia della Cina. È uno dei numerosi Libri del tè (più di cento) pubblicati in Cina nel corso dei secoli. L'Imperatore Huizong è un uomo straordinariamente colto, artista e grande mecenate. È anche un grande amante e cultore del tè e, poiché è imperatore, ha a disposizione il meglio della produzione di tè di tutte le province del suo impero e sceglie le migliori qualità. È anche merito suo se l'epoca Song è stata il momento in cui la cultura del tè in Cina ha avuto una straordinaria fioritura, raggiungendo la massima diffusione e le più alte vette di raffinatezza. Con questo suo libro, l'Imperatore fornisce i suoi consigli di esperto della qualità del tè e i suoi suggerimenti di esteta; fra i diversi modi di preparazione consiglia il tè frullato, un metodo di preparazione che richiede - come spiega lui stesso - grande maestria, eleganza dei gesti, senso della misura e sensibilità estetica nella scelta degli accessori. Gli insegnamenti di Huizong hanno avuto particolare successo in Giappone, dove sono alla base della sempre più complessa ritualità della ""cerimonia del tè"""" (cha no yu), ancora oggi iconica rappresentazione dell'estetica e dell'animo giapponese."" -
L' arte dell'aikido. L'educazione etica ed estetica del maestro Yoji Fujimoto
Il volume ricorda e rende viva, con una serie di scritti e di foto, la figura del maestro Yoji Fujimoto (1948-2012), VIII dan, shihan, quale imprescindibile riferimento per diverse generazioni di praticanti, per molti un vero maestro, oltre che di aikido, anche di vita. Vice-direttore didattico dell'Aikikai d'Italia (Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese, di cui è fondatore e direttore didattico il maestro Hiroshi Tada, IX dan, shihan), dagli inizi degli anni Settanta del secolo scorso fino alla sua scomparsa ha contribuito a diffondere con grande entusiasmo e professionalità il messaggio aikidoistico in tutta Italia, soprattutto al Nord, ma anche all'estero (in particolare in Russia e in Sudafrica). Dai contributi presenti in questo volume emergono le sue riconosciute qualità tecniche e soprattutto le sue notevoli capacità metodologico-didattiche, particolarmente evolute e raffinate, nonché una naturale abilità nell'essere riuscito, nel corso dei suoi quarant'anni di insegnamento, a dare corpo a un'etica e un'estetica nell'arte dell'aikido, molto apprezzate dai suoi tanti studenti e vissute da molti come un importante orientamento di vita. Il maestro Fujimoto ha formato molti praticanti con un'abilità educativa senza pari: da sempre ha manifestato un'innata predisposizione a educare la persona nella sua globalità, facendosi implicitamente portavoce di una pedagogia dell'aikido davvero efficace e funzionale. Fervore, passione, serietà, sensibilità, severità, socievolezza, comunicativa, umiltà sono alcune caratteristiche che contraddistinsero il maestro nel suo rendersi totalmente aperto e disponibile alla pratica e alla diffusione del linguaggio aikidoistico, consapevole di avere assunto la responsabilità di una missione, per niente facile, che lo ha reso un samurai della modernità. Il volume è corredato da fotografie, molte a colori, del maestro Fujimoto sia durante le lezioni, gli stage, i momenti anche privati. Il volume è arricchito da una intervista al maestro Hiroshi Tada, dal presidente dell'Aikikai Italia maestro Franco Zoppi. -
L' educazione dell'anima
Questo libro costituisce una sezione del Ravvivamento delle scienze religiose. Secondo al-Ghazâlî la confessione nell'Unicità induce certezza che la Potenza di Dio è all'origine di tutto; di qui nasce la fiducia in Lui e la conformità e l'abbandono totale alla Sua volontà. Il sentimento che «chi ha fatto un grano di bene lo vedrà e chi ha fatto un grano di male lo vedrà» (Corano, 99:7-8) comporta obbedienza a Dio. Tanto più forte sarà nel credente la certezza di quella verità, tanto più grande sarà la cura che egli metterà nel praticare gli atti di pietà e nell'evitare le cattive azioni. Egli indica anche come basilare la coscienza della presenza di Dio che conosce i segreti dei pensieri più intimi. Ogni credente ha questa certezza, ma quando essa diviene convinzione intima che domina il cuore, allora l'uomo, trovandosi solo, ha un comportamento degno in tutti i suoi atti e i suoi pensieri; allora egli si cura di purificare il proprio cuore e di ornarlo sotto l'occhio vigile di Dio, quindi pratica un complesso di virtù e una quantità di atti di ubbidienza di elevata qualità. Per conseguire una fede superiore a quella della gente comune e accedere al grado ideale di conoscenza, la chiave è la lotta spirituale, la resistenza alle passioni, la piena dedizione al ricordo di Dio. Questo grado però varia, dipende dall'applicazione dello spirito e dalla natura del soggetto. Il Maestro qui indica un percorso iniziatico sulla Via dei sufi. -
La scienza sacra. Al-Risàla al-Laduniyya
In questa breve epistola, al-Ghazâlî tratta la delicata questione della Scienza sacra o divina, facendo riferimento a una espressione coranica particolare alla «Gente di Dio», ossia i sufi. Partendo dalla conoscenza della dottrina dell'unicità di Dio, egli prende in considerazione l'anima e lo spirito, la scienza religiosa e quella intellettuale: la scienza dei sufi. La conoscenza umana si acquisisce attraverso l'insegnamento umano o attraverso l'insegnamento divino, ma non tutte le anime acquisiscono gli stessi livelli di conoscenza. Per arrivare a un alto grado di perfezione occorrono rinuncia, disciplina, vigilanza, riflessione. È un cammino che mira a riportare l'anima alla sua purezza originaria. -
Hapkido. L'arte elusiva. Ediz. italiana e inglese. Vol. 1: Filosofia, storia e difese da cintura bianca a nera.
Un manuale bilingue (italiano e inglese) che presenta la prima parte del programma tecnico formativo di Hapkido, illustra la filosofia, la storia e alcuni gruppi di difese da cintura bianca a cintura nera. Nelle parti introduttive sono spiegati i principi filosofici di questa arte marziale coreana, i gradi Kup, i livelli esperti Dan, le qualifiche, le uniformi Dobok, e la nascita e lo sviluppo dell'Hapkido nel mondo e in Italia. Nei capitoli centrali del libro sono descritte dettagliatamente e con fotografie estremamente chiare, le ""Difese da prese ai polsi"""", le """"Difese da prese frontali"""", le """"Difese da avvolgimenti e strangolamenti frontali"""", le """"Difese da pugno alto e da jab"""" e le """"Difese da calcio frontale, circolare e laterale"""". Lo studio e la pratica del programma tecnico deve essere seguito dalle spiegazioni pratiche e dalla guida di un maestro competente e riconosciuto di Hapkido."" -
Storia della guerra di Hogen. Hogen monogatari
La Storia della guerra di H?gen o H?gen monogatari, narra gli antefatti di un altro grande romanzo epico giapponese, Le storie di Heiji (Luni, 2019) ed entrambi rappresentano i massimi esempi di gunki monogatari, cioè ""racconti di guerra"""". Il tema che li accomuna è il conflitto di potere tra le due grandi famiglie degli Heike (in giapponese Taira) e i Genji (in giapponese Minamoto) per il controllo dei posti chiave del governo imperiale, che sfociò nel 1156 in una guerra breve ma spietata e fratricida. Fratelli sono l'imperatore in ritiro Toba, che muore prematuramente e i suoi successori Sutoku e Go Shirakawa, che combattono ferocemente tra loro per salire al trono. Go Shirakawa è sostenuto dagli Heike, ovvero Fujiwara no Tadamichi, figlio maggiore del reggente Fujiwara no Tadazane. Venuto a conoscenza di un complotto fomentato da Sutoku, Go Shirakawa fa assalire nottetempo il suo palazzo scatenando il conflitto mortale. Nello schieramento opposto, all'interno del clan guerriero dei Genji-Minamoto, si trovano in lotta fra loro anche i figli di Minamoto no Tameyoshi: Tameyoshi stesso, con i suoi figli minori, primo fra tutti l'invincibile arciere Tametomo, sono alleati di Sutoku, insieme a Taira no Tadamasa. I figli maggiori di Tameyoshi, con a capo Yoshitomo, sono schierati dalla parte di Go Shirakawa, così come Taira no Kiyomori, a sua volta nipote di Tadamasa. Da questi complicati intrecci di alleanze, contro-alleanze e rivalità fra padri, figli, parenti, signori feudali e vassalli si sviluppano in brevissimo tempo, dal 28 luglio al 16 agosto 1156, una serie di vicende sanguinose: battaglie, tradimenti, esecuzioni, condanne all'esilio, suicidi, maledizioni, in un crescendo drammatico reso più tragico dai legami familiari che uniscono fra loro vittime e carnefici. Fratelli maggiori che fanno uccidere i fratelli più piccoli ancora bambini, madri che si tolgono la vita per la disperazione, ex imperatori esiliati in isole remote che impazziscono e muoiono in solitudine... una trama complessa, drammatica e avventurosa, che Shakespeare forse avrebbe trovato congeniale. In poco più di due settimane il destino di tutti i protagonisti precipita in modo inesorabile. Gli eventi si susseguono a ritmo serrato e i dialoghi rivelano in poche frasi taglienti tutta la psicologia dei personaggi: è un romanzo epico di epoca medievale, ma si legge come la sceneggiatura di un film, o, perché no, di un tragico e sontuoso anime."" -
Storia della mia vita. Ediz. integrale. Vol. 1: Abatino 1725-1744, L'.
Scrive Casanova in questo volume: «Passai a Padova un altro anno a studiare giurisprudenza. A sedici anni mi sarei laureato dottore in diritto civile con una tesi sui testamenti, e in diritto canonico sulla possibilità per gli ebrei di edificare nuove sinagoghe. A me sarebbe piaciuto studiare medicina, ma non mi diedero retta; detestavo la giurisprudenza. Mi dicevano ""Con la parlantina che hai, farai fortuna da avvocato"""" (e peggio: """"da avvocato ecclesiastico""""). Se ci avessero pensato meglio, mi avrebbero dato retta e sarei diventato medico: la ciacola del ciarlatano rende ancor più soldi di quella dell'avvocato. Risultato: non praticai né da avvocato né da medico. Dirò di più: evito di litigare in giudizio, come evito le cure mediche. I litigi rovinano le famiglie, le cure ammazzano più malati di quelli che guariscono. Sbarazzarsi di quelle due categorie renderebbe il mondo migliore». Il manoscritto delle memorie di Casanova. Eccolo qui allegro e spettinato, con voce limpidissima, in barba alle alterazioni editoriali, alle condanne capitali, o alle lodi reticenti dei censori che ha subito per due secoli. Fa un effetto curioso: emerge dalle nebbie come un grande della nostra narrativa. Il maggiore del suo secolo e di alcuni altri, prima e dopo."" -
Amori e cortigiane del mondo fluttuante
"Nessuno riesce a passare una sola giornata in una casa di appuntamenti dicendo la verità. È il mestiere delle cortigiane dire ciò che non è... Gli intrattenitori fanno i buffoni. La sorvegliante si esercita ad apparire terribile. Le apprendiste fanno finta di non stare dormendo. La tenutaria si costringe a ridere... Per quanto riguarda il padrone, l'unica cosa a cui pensa è la situazione finanziaria del cliente"""". Fin dalle prime pagine non c'è da farsi illusioni, frequentare il mondo delle cortigiane di lusso vuol dire essere circondati dalla finzione: ognuno deve recitare una parte per sopravvivere in quel microcosmo della società giapponese antica, così mitizzato, fastoso, ma anche intriso di squallore e di nascosta violenza. Ognuno è allo stesso tempo sfruttatore e sfruttato, carnefice e vittima - le cortigiane, vere e proprie schiave del tenutario, che devono tenere legato a sé il cliente raccontandogli bugie e facendosi pagare a peso d'oro; i clienti, che devono continuamente dimostrare la loro ricchezza, spendono esibizionisticamente cifre da capogiro e si illudono perfino di essere veramente amati dalla loro cortigiana preferita; le sorveglianti, ex cortigiane sfruttate e vessate, che finalmente possono rifarsi maltrattando le ragazze più giovani che le hanno rimpiazzate nella professione. I quartieri di piacere sono un teatro dove tutti portano una maschera e lo sanno, ma non possono sfuggire alla propria condizione. Saikaku racconta le loro vicende con realismo e ironia, tenendosi sempre in equilibrio tra una visione disincantata degli esseri umani e la comprensione per le loro debolezze, le loro difficoltà, i loro fallimenti, senza giudicarli. È lucido, però, non vuole nascondere nulla rivelando i retroscena per niente glamour di una società che rincorre il lusso e la fama, basata sull'edonismo, l'ostentazione del denaro, il privilegio e l'ossessione per bellezza e la giovinezza... Il Giappone del 1600 in questi racconti ha lo strano gusto della contemporaneità." -
Viaggiatori arabi medievali
Che cos'è il viaggio se non scoperta e incontro? Anche quando si adempie a un obbligo religioso come il pellegrinaggio alla Mecca, che comporta spostarsi, percorrere lunghe distanze, vedere luoghi sconosciuti, incontrare genti di fedi diverse, si può voler lasciare una traccia delle proprie esperienze e dunque informare e condividere. Questo è quanto hanno fatto molti viaggiatori arabi medievali che dal IX al XIII secolo, attraverso le loro testimonianze scritte, ci hanno fornito una straordinaria documentazione storica, geografica, artistica e culturale. Itinerari marittimi solcano l'Oceano indiano fino alla Cina, quelli terrestri, attraverso l'Asia centrale, salgono fino alla Russia, percorrono il nord Europa e la congiungono, in un arco, con l'Andalusia. Poi c'è il Mediterraneo: Roma, la Sicilia e Costantinopoli. I nostri autori raccontano popoli e città, usi e costumi, meraviglie, in qualche caso svelandoci qualcosa di un passato che non potremmo conoscere se non avessero fissato su pagine i loro percorsi, incontri e avventure di viaggio. I nomi di questi viaggiatori sono entrati a pieno diritto nelle nostre cronache. Tra di loro ricordiamo: Ibn Fadlàn, che si recò nel Nord Europa, Al-Muqaddasì che frequentò la Palestina e Gerusalemme, Ibn Giubayr che descrisse la Sicilia e Ibn Battùta, forse il più famoso di tutti, del quale qui seguiamo il suo viaggio in Russia. Ma molti altri sono ricordati in questo libro. Al tempo dei nostri viaggiatori, le loro gesta, che venivano cantate e riportate in documenti scritti, hanno permesso a intere generazioni di sognare, conoscere e contribuire alla crescita del nostro mondo. -
Desideravo diventare un'oca
Konrad Lorenz è considerato il fondatore dell'etologia, la scienza del comportamento comparato, studio cui si dedicò instancabilmente per tutta la vita. In questi due brevi testi scritti in occasione del ricevimento del Premio Nobel per la medicina nel 1973, Lorenz ripercorre la sua storia personale e quella delle sue osservazioni iniziate fin da bambino e che lo portarono, intorno ai vent'anni, giovanissimo appassionato di biologia, a porre le basi di quella che sarebbe in seguito diventata l'analisi comportamentale comparata degli animali e dell'uomo. Lo studio del comportamento animale ebbe sempre per Lorenz significativi punti di contatto con la filosofia, la psicologia e la sociologia, portandolo a chiarire non soltanto molti aspetti di quello umano ma progressivamente a definire una nuova interpretazione del rapporto tra l'uomo e la natura, una visione organica che lo rese uno dei pionieri della moderna ecologia. L'aspirazione a diffondere un'idea più armonica e rispettosa della convivenza tra gli esseri umani e il mondo naturale sono alla base della sua opera scientifica che è divenuta un vero e proprio messaggio di moderno umanesimo. Questi scritti autobiografici sono un'occasione per scoprire, o riscoprire, lo scienziato che ha cambiato per sempre il nostro sguardo sul mondo animale. -
Il mondo segreto dei warli. I dipinti senza tempo di un popolo dell'India
Scoperte dal mondo dell'arte solo negli Anni Settanta del Novecento, le pitture monocrome della cultura warli sono basate su motivi geometrici e figure di forma triangolare e si distinguono dalle pitture popolari policrome della tradizione indiana. Il bianco che si staglia sulla superficie delle pareti di fango rosso-bruno, all'interno delle abitazioni, sembra abbagliare come per magia l'ambiente durante la stagione dei matrimoni. L'interno del chavuk, il quadrato magico, si anima di paesaggi dove si intersecano e moltiplicano figure umane e animali in continuo movimento sincronico, sciamani e streghe, alberi fantastici ed elaborati motivi decorativi: al centro, la figura della Dea Madre che attribuisce alle donne warli poteri particolari, perché generatrici di vita. La pittura warli con la sua esuberanza e vitalità è un flusso ininterrotto, le cui origini sono rintracciabili nel tempo remoto della storia dell'Uomo: sono infatti singolari le continuità culturali e iconografiche con le pitture rupestri mesolitiche dell'India centrale; ma è al tempo stesso un'arte inesauribile e in grado di reinventarsi, proiettata nel futuro e fonte di ispirazione per l'arte contemporanea. Roberta Ceolin, studiosa e collezionista, ha visitato per i suoi interessi storico-artistici, archeologici e antropologici molti Paesi dell'Asia, compiendo ricerche sul campo sulle popolazioni indigene del subcontinente indiano. Ha pubblicato svariati articoli su riviste specialistiche e organizzato mostre sull'argomento in Italia e all'estero; ha collaborato con enti culturali e tenuto lezioni e conferenze in diversi atenei, tra cui Università Ca' Foscari di Venezia, Università La Sapienza di Roma e Università degli Studi di Milano. Le sue collezioni del mondo tribale indiano sono state ospitate anche in prestigiose sedi museali; ultima, in ordine di tempo, al Museo del Gioiello di Vicenza. -
Le arti marziali tradizionali cinesi in epoca moderna. Ignoranza e decadimento
«Questo tipo di ignoranza culturale-marziale, ormai tramandata e consolidata da oltre un secolo, è la causa dell'inefficacia di tali tecniche, e quindi il decadimento di quelli che oggi sono definiti erroneamente stili tradizionali, i quali, assurti ormai a verità assiomatiche, rendono estremamente difficile invertire questa tendenza alla mediocrità». Così questo libro annuncia l'oggetto delle sue pagine: la diffusione dell'ignoranza e della mediocrità all'interno delle scuole di arti marziali tradizionali cinesi e non solo. La trattazione che ne segue è una sorta di genealogia di questa involuzione che, nella prosa spesso scanzonata di De Angelis, tocca campi differenti, dalla politica, all'educazione, dalla filosofia e religione, alla stessa vita sociale, offrendo paragoni e differenti riflessi da Oriente a Occidente, dal passato al presente e viceversa. Tuttavia, per l'autore, questa involuzione è iniziata diversi secoli fa, quando l'arte marziale ha avviato un processo di alienazione dalle tecniche militari, quando l'abilità ha ceduto il posto all'esteriorità, la pratica reale all'idealizzazione del movimento, la competenza alla mediocrità. De Angelis, ripercorrendo delle tappe importanti della cultura cinese, analizza e spiega nel dettaglio i concetti e le teorie marziali più rilevanti, dandone la giusta connotazione in un mare di credenze impeccabilmente false. -
La vera storia di Turandot e del principe Calà
Epiche battaglie e atti di eroismo, vili tradimenti e vendette spietate, fughe e peregrinazioni attraverso le steppe dell'Asia centrale, ospitalità misericordiosa e colpi di fortuna, gesti di lealtà, sacrifici e ricompense, accompagnano il principe Calaf verso l'incontro fatidico con Turandot. Inizia così una storia ormai nota a tutti, quella di Turandot, la bella principessa della Cina, gelida e spietata, vinta solo dalla forza dell'amore e del coraggio di un principe temerario e innamorato che, sostenuto dalla sua cultura e dalla sua passione, risolve i famosi inestricabili enigmi. Una storia resa indimenticabile dalla versione che il genio musicale di Giacomo Puccini ha portato alla ribalta in tutti i teatri del mondo. Ma Puccini non ne racconta che una parte, il cuore. -
L' inizio della retta guida
"L'inizio della Retta Guida"""" tratta le cose più importanti che un musulmano aspirante alla perfezione deve apprendere e praticare, e precisamente, nella prima parte gli atti di culto da eseguire; nella seconda parte, i peccati da evitare, sia quelli del cuore sia quelli delle membra; nella terza e ultima parte, le norme da osservare nelle relazioni sociali. Ma il lettore non si lasci ingannare: non si tratta di una sequela di precetti da seguire, ma è bensì una raccolta di istruzioni spirituali. L'autore raccomanda la Bidayah al-Hidayah in quanto la hidayah - direzione - frutto della scienza e corrispondente alla pietà, ha un principio - bidayah - che è l'aspetto esteriore della pietà, e un punto d'arrivo - nihayah, - che invece è l'aspetto in-teriore della stessa pietà. Il libro, dunque, è d'introduzione alla nihayah, la quale comprende «segreti, profondi misteri, conoscenze e rivelazioni», segno evidente che l'autore intende parlare a persone elette, dedite allo studio, desiderose di perfezione e dedite a un determinato metodo di vita." -
Yukio Mishima. Enigma in cinque atti
«Spero di trovare una morte conforme al mio sogno di sempre, una morte degna del rivoluzionario e del reazionario che sono», così ha lasciato scritto il francese Pierre Drieu La Rochelle, suicida nel marzo del 1945, sul finire della seconda guerra mondiale. In quello stesso anno, in estremo Oriente, agli antipodi dell'Europa, sopravvissuto ai bombardamenti americani, il ventenne Kimitake Hiraoka diventava definitivamente Yukio Mishima, il quale venticinque anni dopo avrebbe saputo darsi una morte spettacolare e scandalosa, in perfetta aderenza alla figura di rivoluzionario reazionario con cui aveva nel frattempo inteso costruirsi anima e corpo. Secondo l'antico rituale samurai del seppuku, il 25 novembre del 1970 si uccideva uno dei più grandi scrittori del Novecento. Ponte culturale tra Oriente ed Occidente, Mishima è stato l'artefice e il carnefice della propria gloria letteraria. Poche altre scritture scuotono e percuotono, affascinano e respingono, inquietano ed esaltano in misura così intensa, offrendo il proprio contenuto composto da una carica esplosiva, urticante, dentro la forma cristallina di una prosa elegante e sempre controllata. Il pensiero poetante e letterario di Yukio Mishima è un corto circuito tra il medioevo più feudale, gerarchico e guerriero, ed una modernità talmente avanzata da anticipare il postmoderno. Fuori da ogni stereotipo, la ricerca di Danilo Breschi propone una completa analisi della vita e dell'opera dello scrittore giapponese. Il suo enigma è circumnavigato ed interrogato attraverso autori affini per gusto e destino, da Kierkegaard a Dostoevskij, da Burke a Rilke, da Pirandello a Camus, da Baudelaire a D'Annunzio, da Nietzsche a Kundera, da Proust a Cioran, da Wilde a Miller. Questo libro intende restituire Mishima alla sua grandezza, originalità e insanabile contraddizione di artista. -
Gobetti. Un'idea dell'Italia
«Nella mia vita Gobetti è stato l'inalterabile punto di riferimento, il costante termine di paragone, nelle convergenze, nelle discussioni, negli approfondimenti, anche nelle revisioni». Così scrive Giovanni Spadolini nella prefazione al volume. Il libro raccoglie tutti gli scritti su Gobetti e il gobettismo sparsi nel corso di mezzo secolo di immutabile fedeltà gobettiana dell'autore. Nessun italiano di questo secolo ha avuto una così alta idea dell'Italia e nessuno ha insieme scrutato quanto fossero profonde le crepe, gli squilibri, le eredità negative della vita e del costume italiano fino a giudicare, con spietatezza rivelatrice, lo stesso fascismo come «l'autobiografia della nazione». Ricordare Gobetti vuol dire guardare a un'altra Italia, quella in cui egli credette e per la quale si sacrificò intero, «perché dalla nostra sofferenza nascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso». Contro tutti i compromessi tradizionali della storia italiana, Gobetti richiamò al coraggio dei propri ideali, all'assunzione delle proprie responsabilità, all'eroismo del proprio impegno: vero esempio di eroe borghese - come lo definì Eugenio Montale, che disse di lui: «il compagno di strada, eguale a noi, migliore di noi, l'uomo che fu cercato invano da una generazione perduta, l'uomo che noi ci ostiniamo a cercare ancora nella parte più profonda di noi stessi». In Gobetti dominava un fondo di idealismo tragico. La pugnace laicità liberale di Gobetti si riassume per noi in queste parole: «La sicurezza di essere condannati - la crudeltà inesorabile del peccato originale per usare forme mitiche di espressione - è la sola che possa dare l'entusiasmo dell'azione, con la responsabilità, con il disinteresse». Quasi un Ecclesiaste laico. -
Scritti danteschi
Questi scritti raccolti e presentati a distanza di cento anni dalla loro prima pubblicazione e praticamente inediti, ci mostrano un Pirandello attentissimo studioso dell'opera di Dante: dimostrano come il Maestro siciliano conoscesse alla perfezione le terzine dell'Alighieri. L'ultimo scritto, ""La commedia dei diavoli"""" e """"La tragedia di Dante"""", è il testo, riveduto e ridotto in forma di saggio, di una lettura tenuta da Pirandello in Orsanmichele il 3 febbraio 1916, pubblicato nella Rivista d'Italia (settembre 1918) e mai raccolto in volume. A mero titolo di esempio della profondità con la quale Pirandello affronta le Cantiche dantesche, e della meravigliosa """"penna"""" con la quale riusciva a dare ai suoi pensieri forma esatta, compiuta e magistrale, egli scrive: «Vediamo per effetto del suo passaggio in mezzo all'eterno di questo mondo, a mano a mano destarsi una vita momentanea che la potenza dell'arte fissa in atteggiamenti eterni, e non pensiamo più che questo transitorio nell'eterno, divenuto per potenza d'arte a sua volta eterno, non è certamente per il poeta com'è per noi. Noi vediamo il fatto - così eternamente fissato - dov'egli vedeva e sentiva ancor nuova e calda la sua fattura; cioè, noi vediamo il sentimento del poeta - divenuto quasi realtà fuori di lui - consistere nella rappresentazione ch'egli ne ha fatto; ma questa consistenza con un carattere d'eternità che il sentimento oggettivato del poeta ha per noi, non poteva averla per lui che vedeva ancora invece l'atto del crearla a mano a mano che la materia gli consisteva dentro, quand'era ancora caldo quel sentimento momentaneo per cui, ad esempio, Farinata - proprio ora - in quel gesto gli si levava dall'arca «dalla cintola in su», o Francesca e Paolo gli s'appressavano al grido affettuoso per narrargli i loro dolci sospiri»."" -
Vita di Napoleone raccontata da lui medesimo
La figura di Napoleone Bonaparte è di tale complessità che la sterminata letteratura e ricerca storica fiorita su di lui e la sua epoca non si è ancora esaurita dopo più di duecento anni. Eppure, questo breve libro sotto forma di autobiografia, da solo potrebbe bastare per capire la parabola straordinaria di quest'uomo. Nel 1817 a Londra l'editore Murray pubblica il testo con un titolo intrigante, Manoscritto giunto da Sant'Elena in maniera sconosciuta e senza precisare l'autore... Tutti o quasi credettero che fosse stato scritto da Napoleone, che dal 1815 viveva relegato su quell'isola inaccessibile dell'Atlantico, immaginando che fosse riuscito a far giungere in Europa clandestinamente la storia delle sue imprese. Il successo fu clamoroso e nello stesso anno il libro fu ristampato da Murray ben quattro volte. Fu tradotto in inglese, pubblicato a Bruxelles e a Francoforte, mentre in Francia fu proibito. Come sempre avviene, la proibizione rese l'opera ancora più interessante e presto cominciò a circolare clandestinamente, mentre i lettori continuavano a chiedersi se Napoleone ne fosse veramente l'autore oppure no. Con il suo stile sobrio e vigoroso, ripercorre tutte le tappe della sua ascesa, dalle folgoranti vittorie della giovinezza, alla presa del potere con il Consolato, fino ai trionfi imperiali e alla partenza per l'esilio definitivo dopo i Cento Giorni. Una sintesi magistrale che restituisce al lettore tutta la passione e il genio di un grande della storia dell'umanità. -
Il furente Giovannino. Vita e vitaccia di Guareschi
Scrive l'autore nella premessa: «E c'è questo mio libro. Libro? L'ho scritto perché anche le mie radici sono affondate nella Bassa, sulla stessa riva del grande fiume, dove abbiamo tutti quest'animaccia comune che ci spinge avanti, annodando un fiato all'altro. Perché Guareschi ha lasciato su questa riva tante e poi tante di quelle cose sue, che è quasi come se ci fosse ancora, in carne, ossa e baffi. Ora, non mi si chieda di dare definizioni su quanto ho scritto: ho raccontato di Guareschi, ma anche di me, anche di noi, la gente qualunque, la gente amica. Non mi si dica che è una biografia: mi metterei a ridere. Questa è una pedalata sull'argine quando si fa sera. Respiri forte l'aria del tramonto, non ce l'hai alfine con nessuno e, se una campana rintocca lontana, ti pare di ascoltare i preludi della Traviata. I ricordi sono carezze. So già che quanto ho scritto non piacerà a certa cultura e ancora meno sarà gradito a certa politica. Non m'importa, perché anche Guareschi, prima di me, rifiutò sempre, ovunque e con chiunque, i guinzagli di certa cultura e di certa politica. E quando il gran pettine che, da quarant'anni a oggi, pretende di dividere i pidocchi buoni da quelli cattivi lo spiaccicò proprio tra quelli cattivi, lui, lo stesso, mantenne liberi cervello e anima. Restò umile con gli umili e arrogante con i potenti e pagò di persona la sua libertà fino all'ultimo fiato. Morì di malinconia, di delusione, di rabbia, non di cinismo. Che poi non è ai politicanti che debbo rendere conto con queste pagine, né ai bacchettoni della cultura postbellica, né solo al giornalista Guareschi o solo allo scrittore, disegnatore, contadino Guareschi. Io devo unicamente rendere conto all'Uomo Guareschi, ai suoi ventitré lettori e al ventiquattresimo, che sono io. Questo ho fatto. E l'ho fatto usando anch'io un vocabolario che conta, sì e no, duecento parole, le stesse che adopera ogni giorno la gente comune per comprendersi e sopravvivere in questa Torre di Babele dove sono stati inventati milioni di parole per cancellare i fatti». -
Vita di G.B. Bodoni. Con uno scritto di Giovanni Mardersteig
Come si può entrare nella storia dell'umanità esercitando il semplice mestiere di tipografo? Quanti ce ne sono stati prima di Bodoni e quanti dopo? Incalcolabile il numero. Ma del par suo, la storia della tipografia e dell'editoria degli ultimi secoli ne conta pochissimi. E di questi, ancora meno hanno raggiunto fama eterna e sono diventati degli esempi da imitare: per estensione del lavoro e creatività generale, possiamo accostare a Bodoni solo un altro genio della stampa, Aldo Manuzio. Bodoni si è occupato di libri straordinari, ha inventato e disegnato un carattere tipografico che ha preso il suo nome, si è occupato di alfabeti ""lontani"""" e ha compilato il più interessante e perfetto dei """"campionari"""", il Manuale tipografico, pubblicato postumo dalla """"vedova"""" nel 1818 in quella Parma che gli aveva dato i secondi natali e nella quale potè costruire il suo genio. Per apprezzare appieno la maestria di Bodoni bisogna avere avuto la fortuna di sfogliare i suoi libri, averne toccato la carta che """"crocchia"""", bianchissima, in contrasto furibondo con il nero timbrato del carattere """"bodoni"""", che nella pagina di ampie dimensioni trova la sua naturale spettacolarità visiva. Colpisce dei libri stampati da questo maestro della tipografia, la marginatura perfetta della pagina, il timbro del carattere assolutamente inconfondibile e un rapporto tra la gabbia del testo e il margine bianco della pagina così meravigliosamente esatto da lasciare storditi. Questo libro racconta la vita di Bodoni negli aspetti più sconosciuti e in quelli che hanno costellato di successi il suo lavoro, facendoci entrare timidamente nella sua tipografia per uscirne a braccetto insieme a lui, affascinati e innamorati.""