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Trattato sul bello
L'eco delle concezioni estetiche di Denis Diderot (1713-1784) fu presso i contemporanei straordinaria. «Ieri mi è capitato sotto gli occhi Diderot,» scrive Schiller a Goethe «che davvero mi incanta e ha scosso profondamente il mio spirito. È come un lampo che illumina i segreti dell'arte, e le sue osservazioni riflettono così fedelmente ciò che l'arte ha di più alto e di più intimo da poter costituire un'indicazione non meno per il poeta che per il pittore». E Goethe risponde: «È davvero magnifico, più utile ancora al poeta che al pittore, anche se a quest'ultimo fornisce un lume possente». Le concezioni estetiche di Diderot trovano una prima compiuta espressione in una voce («Bello») che scrisse per l'«Encyclopédie», e che venne pubblicata a parte nel 1751 e più tardi nelle edizioni delle sue opere con il titolo di «Trattato sul bello». «È bello» afferma Diderot «tutto ciò che contiene in sé qualcosa che possa risvegliare nel mio intelletto l'idea di rapporti». Ma cosa intende Diderot per «rapporti»? Egli prende come esempio una celebre battuta tratta da una tragedia di Corneille. Ora, la «bellezza» di quella battuta dipende dai rapporti che la legano al contesto drammatico. Se il contesto fosse un altro, cambierebbe, insieme con il significato, anche la bellezza, la forza poetica di quella battuta. Il bello, non solo artistico, non è dunque intuizione repentina, frammentaria, non è immobile, indistinta contemplazione di una verità ideale, ma è movimento, progresso nella conoscenza della realtà attraverso i suoi nessi vitali. Un'esaltante passione di conoscenza, in cui il rigore del ragionamento scientifico sembra coniugarsi con la prepotente esigenza di adesione alla natura, e l'ansia profonda di conferire all'arte una nuova dignità, una serietà, un'autorevolezza più alte: ecco ciò che induce Diderot a portare con tanta penetrazione, con tanta passione il suo sguardo sul problema del bello. -
Studi su Rembrandt
«Per quanto le figure di Rembrandt ci appaiano intimamente scosse da una vita profonda, per quanto lunghe siano le fila del destino a cui sono intrecciate, nessuna di esse presenta quell'elemento caratteristicamente enigmatico tipico della «Monna Lisa» o del «Giuliano de' Medici» di Botticelli, delle teste dei giovanetti di Giorgione a Berlino e a Budapest, o del «Giovane inglese» di Tiziano a Palazzo Pitti. Paragonato con essi il modo di concepire e di rappresentare di Rembrandt è incomparabilmente più vibrante, procede nell'indistinto e, per così dire, all'infinito, privo di trasparenza logica; ma nonostante questo l'uomo rappresentato è per noi molto più aperto, più illuminato, un essere che ci è familiare. E questo non dipende per nulla dal fatto che i modelli di Rembrandt fossero uomini meno complessi, più lineari degli italiani del Rinascimento, che erano più differenziati e ricchi di tutte le finezze della cultura. Nasce piuttosto dal fatto che la concezione che Rembrandt ha dell'uomo, più complessa, più ricca di elementi, apparentemente meno chiara, ha reso percepibile nel fenomeno attuale la sequenza spirituale di sviluppi e di destini che lo hanno formato, rendendo possibile quindi il riviverlo e il comprenderlo dall'interno». -
Visione e disegno
«L'emozione estetica è infinitamente lontana da quei valori etici in cui Tolstoj avrebbe voluto confinarla, e sembra essere lontana dalla vita reale e dalle sue utilità pratiche, come la più inutile teoria matematica. Si può soltanto dire che quelli che la provano sentono che essa possiede una qualità peculiare di ""realtà"""" che la rende una questione di enorme importanza nella vita. Ogni tentativo che facessi per spiegare questo fatto mi condurrebbe probabilmente nelle profondità del misticismo. Sull'orlo di questo abisso mi arresto»."" -
Antonin Artaud. Forsennare il soggettile
«Jacques Derrida legge la vastissima opera di Artaud nel segno del ""superamento"""" della metafisica così come lo intende Heidegger, indicando nello """"stare sul limite"""" il luogo stesso che, rispetto alla storia della metafisica, """"non è né dentro né fuori"""". Leggere Antonin Artaud al di qua di questo desiderio di riappropriazione di sé (di qualsiasi retorica del """"corpo proprio"""") e della condanna di tutto ciò che egli identificava come l'improprio che investe, come si sa, la filosofia, la politica, la tecnica e, più in generale, le protesi, i derivati, i supporti, l'artificiale insomma, contro cui si scaglia in """"Pour en finir avec le jugement de dieu"""". Leggerlo così, allora, ma salvaguardando nel contempo la tensione dell'impossibile che attraversa tutta la sua opera - è questo lo """"stare sul limite"""" in cui si pone Derrida, e beninteso lo spazio rispetto al quale si leva ogni eccesso che l'opera stessa di Artaud sembra essere costantemente sul punto di provocare.» (dallo scritto di Alfonso Cariolato)"" -
Aprire Venere. Nudità, sogno, crudeltà
«Ripensare la nudità oltre gli abiti simbolici di cui si riveste il nudo nella rappresentazione? Ciò significa in primo luogo accostarsi a quella fenomenologia del ""contatto mascherato"""" che Freud richiama giustamente come rovescio bifronte - tocco di Eros e tocco di Thanatos - di ogni idealizzazione, di ogni difesa psichica contro l'attacco, in noi, dei cosiddetti processi """"primari"""". Occorre dunque trovare nella Venere stessa la traccia di questo """"snodo dissimulato"""", inquietante, in cui il tocco di Thanatos si sposa a quello di Eros: passaggio impercettibile, e nondimeno straziante, in cui l'""""essere toccati"""" (essere commossi dalla bellezza pudica di Venere, vale a dire essere attirati e quasi carezzati dalla sua immagine) diviene """"essere colpiti"""" (ovvero essere feriti, """"essere aperti"""" dal negativo che appartiene a quella stessa immagine). Qui nudità fa rima con desiderio, ma anche con crudeltà. Georges Bataille non è molto distante, probabilmente, ma Botticelli? Cercare un simile """"lavoro del negativo"""" o simili """"somiglianze crudeli"""" non vuol dire anche reinventare Venere?»."" -
Corrispondenza. Ediz. ampliata
"Nel mondo corrotto della scultura, Rodin, lei, forse pochi altri, avevate imposto l'autenticità, e questo non si dimentica. Si conserva un ricordo ancora colmo di meraviglia del suo marmo dell'Implorante (fuso da me in bronzo per il Salon del 1904), da taluni considerato il manifesto della scultura moderna. Lei era finalmente «se stessa», totalmente libera dall'influenza di Rodin, grande sia per l'ispirazione che per il mestiere. La bozza della prima tiratura arricchita della sua firma è uno dei pezzi principali della mia galleria. Non posso mai guardarla senza un'emozione indicibile. Mi sembra di rivederla, Camille. Quelle labbra socchiuse, quelle narici palpitanti, quella luce negli occhi, tutto ciò proclama a gran voce la vita in tutto quel che ha di più misterioso. Con lei si lasciava il mondo delle false apparenze per raggiunger quello del pensiero. Che genio! Il termine non è eccessivo. Come ha potuto privarci di tanta bellezza? Un giorno in cui Rodin era venuto a farmi visita, l'ho visto improvvisamente impietrirsi davanti a quel ritratto, contemplarlo, accarezzare dolcemente il metallo e piangere. Sì, piangere. Come un bambino. Sono passati quindici anni da quando è morto. In realtà non ha amato che lei, Camille, oggi posso dirglielo. Tutto il resto - quelle avventure pietose, quella ridicola vita mondana, lui che, in fondo, restava un uomo del popolo - era lo sfogo di una natura eccessiva. Oh! so bene, Camille, che lui l'ha abbandonata, non cerco di giustificarlo. Lei ha troppo sofferto per causa sua. Ma non rinnego nulla di quel che ho appena scritto. Il tempo farà giustizia di tutto."""" (Lettera di Eugène Blot a Camille Claudel, 3.9.1932)" -
Studi caravaggeschi
«Circa trent'anni fa, quando la critica volse nuovamente lo sguardo verso il Caravaggio, questi, salvo che di nome (un nome ancora tutto romanticamente avvolto nell'alone di tempesta delle sue vicende mortali), era uno dei pittori meno conosciuti di tutta l'arte italiana. Inevitabile, perciò, che la ricerca dovesse durar fatiche particolari solo a ritrovar la bussola di un primo orientamento. Per il Caravaggio infatti e per la sua cerchia immediata non si trattava solamente di riparare a un lungo sviamento del gusto; si trattava anche di ricostruire una storia e perciò una critica che, in extenso, non eran mai state scritte; e la ricostruzione veniva a proporre delle esigenze metodiche affatto particolari». Premessa di Mina Gregori. -
I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589
«Nel 1895 Warburg pubblica il celebre saggio ""storico-artistico"""" sui """"Costumi teatrali per gli intermezzi del 1589"""", episodio assai rilevante tanto nella storia del teatro quanto nella storia della musica. Con questo lavoro - che si inserisce nelle celebrazioni fiorentine per il terzo centenario della cosiddetta """"riforma melodrammatica"""" inaugurata a Firenze con l'esecuzione in casa di Jacopo Corsi della """"Dafne"""" di Ottavio Rinuccini (1594) - egli manifestò il proprio interesse per la nascita dell'opera in musica in Italia, ossia per quello che è stato a lungo ritenuto il tentativo moderno di riportare sulle scene l'antica tragedia greca. In alcuni degli """"intermezzi"""" (o per dir meglio, """"intermedi"""", secondo la più corretta definizione musicale) allestiti in occasione delle nozze di Ferdinando de' Medici con Cristina di Lorena, lo studioso riconosceva i primi passi verso il nuovo genere drammatico-musicale dell'opera in musica. Il presente saggio si presta a letture diversificate: oltre all'evidente valore sul piano storico-artistico, per lo studioso delle arti performative esso rappresenta (soprattutto nell'indagine attorno ai disegni e alle macchine ideati da Bernardo Buontalenti) un vero e proprio manifesto fondativo dell'iconografia teatrale; per il musicologo, d'altro canto, esso segna una tappa degna di nota nell'indagine sugli albori dell'opera in musica.» (dallo scritto di Nicola Badolato)"" -
Grünewald
«Grünewald non è discepolo di alcun maestro, ed è giocoforza classificarlo nella storia della pittura come un essere eccezionale, come un barbaro di genio che per mezzo del colore grida invocazioni in un dialetto originale, in una lingua a parte. La sua anima tumultuosa va da un eccesso all'altro: la si sente agitata dalle burrasche, persino nelle sue volontarie tregue e nei suoi torpori, ma si fa straziante quando medita sugli episodi della Passione [...]. Quel Cristo spaventoso, morente sull'altare dell'ospizio d'Isenheim sembra fatto a immagine dei colpiti dal fuoco sacro che lo pregavano, e si consolavano al pensiero che il Dio che imploravano avesse provato i loro stessi tormenti, e che si fosse incarnato in una forma ripugnante quanto la loro, e si sentivano meno sventurati e meno spregevoli. Si capisce facilmente perché il nome di Grünewald non s'incontri, come quelli di Holbein, di Cranach, di Dürer, sulle liste delle commesse e nei conti degli imperatori e dei principi. Il suo Cristo degli appestati avrebbe turbato la sensibilità delle corti; poteva esser compreso solo dagli infermi, dai disperati e dai monaci, membra sofferenti di Cristo». -
Divinazione antica pagana in testi e immagini dell'età di Lutero
«Nello stesso modo in cui i fenomeni celesti venivano circoscritti entro sembianze umane per limitare il loro potere demoniaco almeno attraverso l'immagine, così si voleva sottomettere un uomo demoniaco come Lutero alle leggi astrologiche mediante un collegamento quasi totemistico della sua nascita a una coppia di pianeti. Così si cercava di trovare nell'immagine di una entità superiore, cosmica, che dalla divinità prendeva nome, la causa di una potenza che altrimenti si sarebbe detta sovrumana e pertanto incomprensibile. Il ruolo che in questo ebbe la rinascita dell'Antichità demoniaca è dovuto alla memoria delle immagini, che funziona, per così dire, per empatia sebbene in modo ambivalente. Siamo nell'età di Faust, nella quale lo scienziato moderno, oscillando fra pratica magica e matematica cosmologica, cerca di conquistare nello spazio del pensiero la distanza fra se stesso e l'oggetto. Per questo occorre sempre di nuovo salvare Atene da Alessandria. Da questo punto di vista le immagini e i testi qui esaminati - e sono solo una piccola parte di quello di cui avremmo potuto disporre - sono da considerarsi all'incirca come documenti sino ad ora mai letti della tragica storia della libertà di pensiero dell'uomo europeo moderno. Al tempo stesso doveva essere mostrato, mediante una indagine positiva, come si possa perfezionare il metodo della storia della civiltà collegando tra loro storia dell'arte e scienza delle religioni». -
De immundo
«Lontano è il tempo in cui san Bonaventura predicava la delectatio. Docere et delectare: a lungo l'arte ha avuto come fine di arricchire lo spirito e di deliziare i sensi. L'arte contemporanea sembra aver cambiato completamente registro. L'età del disgusto è subentrata all'età del gusto: esibizione e desacralizzazione del corpo, svilimento delle sue funzioni e delle sue forme visibili, morphings e deformazioni, mutilazioni e automutilazioni, fascinazione per il sangue, gli umori corporali e gli escrementi, coprofilia, coprofagia... Da Lucio Fontana a Louise Bourgeois, da Orlan a Serrano, da Otto Muehl a David Nebreda l'arte si è impegnata in una strana cerimonia dove il sordido e l'abiezione scrivono un inatteso capitolo della storia dei sensi. Già Platone, nel ""Parmenide"""", affermava che il sudiciume e i peli sono cose per le quali non esiste alcuna Idea. Cos'è dunque accaduto dal Bello ideale platonico a ciò che si potrebbe definire - da aisthesis, sensazione, e da stercus, escrementi - un'estetica dello stercorario? Negli anni Trenta del Novecento, gli scritti di Bataille e di Sartre, sotto il segno di un sacer ambiguo, annunciavano questa involuzione. E il pessimismo di Freud, che considerava impossibile conciliare le rivendicazioni della pulsione sessuale e le esigenze della civiltà, sembra trovare conferma in ciò che si presenta oggi ai nostri occhi. Si pone tuttavia un problema: quale interesse hanno i responsabili delle più importanti istituzioni culturali, a Kassel, a Londra, a New York, a Parigi, a Venezia, nel consacrare questa ritualità con cui si celebra la nuda fisiologia dei corpi?» (Jean Clair)"" -
Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne
«Questa intervista ha provocato fin dalla sua prima pubblicazione reazioni contraddittorie - alcune perfino indignate - sia per le parole di Marcel Duchamp, sia per lo stile con cui ho ritenuto opportuno condurre il nostro dialogo. Tali reazioni si spiegano con il fatto che molti presumono di detenere la verità esclusiva su Duchamp, e così lo riducono, a loro uso personale, a una mummia asettica e muta. Tutto questo ha dato come frutto articoli, persino interi libri, spesso astrusi, oscuri, tesi a interpretare un particolare di un'opera, una frase, un atteggiamento; e questo divertiva molto Duchamp, sebbene in genere non si desse la pena di leggere quel che si scriveva su di lui. Com'era dunque possibile, in presenza di queste glosse complicate, di queste sapienti decifrazioni che propongono chiavi di lettura sempre nuove e sempre divergenti e contraddittorie, tollerare che Duchamp, ""l'uomo più intelligente del XX secolo"""" secondo Breton, abbia potuto dare delle sue opere, nella nostra intervista, """"spiegazioni insignificanti, piattissime motivazioni""""? Com'era possibile ammettere che avesse detto, concludendone la lettura, """"Tutto è chiaro come il sole""""? Avrebbe significato accettare che Duchamp avesse posato sulla sua opera e sulla sua vita uno sguardo lucido, dando delle sue """"cose"""" spiegazioni semplici, concise, spogliandole da complessi pensieri riposti o da segrete intenzioni.» (dalla postfazione di Pierre Cabanne)"" -
L' arco di Costantino o della decadenza della forma
«La condizione ideale, per chi voglia condurre una indagine sulla decadenza e la rinascita delle arti figurative, sarebbe di studiarle in un ambiente storico-geografico nel quale l'evoluzione si sia prodotta simultaneamente in ogni parte. Questa situazione ideale poté forse verificarsi in età remote - così remote che né caratteristiche locali né tanto meno genialità individuali potevano avere un peso. Ma anche lo studio delle arti preistoriche - aurignaciane, maddaleniane, solutreane, e quanti altri nomi si danno alle fasi aurorali dell'umana civiltà - ci è precluso. Malgrado dunque il desiderio d'investigare il problema della decadenza e rinascita delle arti in astratto, prescindendo da contingenze storiche, dobbiamo rassegnarci a studiarlo in concreto, in un periodo abbastanza vicino a noi, perché la storia ci sia più generosa in quantità e qualità di materiale superstite. E un tale periodo lo possiamo trovare nei dodici secoli circa di arte eurasiatica che vanno da Costantino il Grande a Carlo V. Le nostre ricerche si appunteranno perciò su questo lasso di tempo. Volta a volta, cominceremo con l'esaminare gli elementi decorativi dell'opera d'arte, e durante tale esame ignoreremo la storia - materiale, spirituale, politica e sociale - del suo tempo. La nostra attenzione non si fermerà, se non fuggevolmente, su questioni tecniche e su interpretazioni etiche o metafisiche. Ci dedicheremo interamente ad appurare la successione dei mutamenti che ebbero luogo nella produzione artistica dei dodici secoli sopra indicati. Quando tale successione sembri promettente, faremo qualche incursione in regioni o epoche diverse, per controllare se anche là si verifica la medesima evoluzione. In caso affermativo, potremo lasciarci tentare a concludere che certe sequenze tendono a ripetersi secondo un medesimo ordine in qualsiasi luogo». -
Per un'architettura totale
«Le mie idee sono state spesso interpretate come l'esaltazione della razionalizzazione e della meccanizzazione. È una visione assolutamente erronea di tutti i miei sforzi. Ho sempre insistito sul fatto che l'appagamento dei bisogni dell'animo umano è più importante del benessere materiale, e che il raggiungimento di una nuova visione spaziale è più significativo dell'economia strutturale e della perfezione funzionale. Lo slogan ""funzionalità uguale bellezza"""" è solo parzialmente vero. Quando consideriamo bello un viso umano? Ogni viso è funzionale nelle sue parti, ma solo quando proporzioni e colori perfetti si fondono in un'ideale armonia, esso merita l'epiteto di bello. Lo stesso accade in architettura. Solo la perfetta armonia delle sue funzioni tecniche e delle sue proporzioni può approdare al bello. È precisamente questo a rendere il nostro compito così articolato e così complesso. L'autentica architettura dovrebbe essere la proiezione della vita stessa, e questo implica una conoscenza intima dei problemi biologici, sociali, tecnici e artistici. E tuttavia questo non basta. Per rendere unitari tutti i diversi rami dell'attività umana è indispensabile una forza di carattere che i mezzi educativi possono solo rafforzare, non creare. La nostra meta più alta deve comunque esser quella di formare uomini in grado di tendere alla totalità, anziché chiudersi entro gli angusti limiti della specializzazione. Il nostro secolo ha prodotto il tipo dell'esperto in un'infinità di esemplari: facciamo ora in modo che nascano uomini dall'ampia visione». Con uno scritto di Manlio Brusatin."" -
Maniere diverse per formare i colori
"La pittura veneziana del Settecento non ama dare informazioni sui colori e sulle tecniche che sono serviti a renderla grande: i suoi segreti e le sue ricette - quasi impossibili da mettere in pratica senza l'ausilio dei maestri - rimangono in gran parte celati nei quadri. Qui si presenta una raccolta dei segreti per i colori tratta dalle memorie manoscritte di Rosalba Carriera, considerata la più grande ritrattista del Settecento anche da artisti suoi contemporanei quali Jean-Antoine Watteau, Sebastiano e Marco Ricci, Antonio Pellegrini. In lei, e nelle sorelle Giovanna e Angela, la tecnica del pastello si è infatti trasformata da arte minore in «arte maggiore», a somiglianza della stampa a colori realizzata dal circolo degli Zanetti, ad esse vicino. Tutto questo nel nuovo senso del gusto che accompagnerà il disegno e la manifattura di oggetti artistici verso «l'utilità che piace». La pubblicazione del presente ricettario, ampliato da un ricco glossario dei termini utilizzati, spiega come si preparava «la cucina» della pittura che è riuscita a conferire un volto alla moltitudine di personaggi del Settecento che ancora ci guardano da quelle opere immortali"""". (Manlio Brusatin)" -
Lettere
«Due stati d'animo di uguale intensità dominano le lettere di Sironi: una sofferenza immutabile e un'immutata tensione creativa. L'una e l'altra non trovano pace, né forse la cercano. Il giovane che a diciotto anni dichiara di aver già avuto ""molte prove della malignità del destino""""; l'uomo che nel '35 sente """"il peso del destino inumano"""" e nel '61, poco prima di morire, si augura solo di trovare """"dopo tanto bestiale soffrire un po' di pace e silenzio"""", è lo stesso che lavora per decenni con inalterata concentrazione e si dedica all'arte con tutte le sue forze. La vita non ha risparmiato a Sironi le esperienze drammatiche: prima la perdita del padre a tredici anni, le ricorrenti crisi di nervi, la guerra; poi la povertà, la contrastata vicenda familiare, le aspre polemiche sulla sua pittura; con la caduta del fascismo il crollo di tutti i suoi ideali politici, un'esecuzione sommaria evitata in extremis, l'emarginazione; infine la perdita della figlia Rossana, che si uccide a diciotto anni nel 1948. Eppure leggendo le sue lettere, che ricompongono tutta la sua vicenda biografica (e che qui sono ordinate per la prima volta in modo organico), si ha l'impressione che la sua sofferenza non nasca soltanto dalle circostanze esterne, ma abbia un'origine più misteriosa, più segreta. La sua sensibilità getta un'ombra cupa sullo spettacolo delle cose. D'altra parte tanta esperienza dolorosa non allenta mai la tensione espressiva dell'artista. E come nei suoi paesaggi urbani occorre cogliere, oltre l'aspetto tragico, quello propositivo e classico, così nelle sue lettere non si possono registrare le espressioni di dolore senza notare le orgogliose risposte alla sfida.» (Elena Pontiggia)"" -
Il paradiso di Cézanne
«Tanti sono i pittori che amo, ma nessuno mi emoziona, senza un motivo evidente, come Cézanne. Cerco ogni volta di spiegarmi questa emozione distaccata, violenta. Mi sembra che si tratti della stessa emozione del pensiero al di là di ogni rappresentazione. La devozione religiosa di Picasso e di Matisse nei confronti di Cézanne mi pare doverosa. ""Cézanne, è Dio"""". Sì, ma quale? Non un dio nascosto, comunque. """"Vicino e difficile da cogliere, il dio"""" dice Hölderlin. Molto vicino. Infinitamente vicino. E per questo tanto più difficile da cogliere»."" -
La danza della morte
Intorno al 1522, Tommaso Moro riflettendo sulla Danza della Morte della cattedrale di Saint Paul concludeva che nell'immaginazione dello spirito del credente nulla è più potente della sua stessa fantasia: «Se la parola morte non soltanto si ode, ma la si lascia penetrare nei nostri cuori con fantasia e profonda immaginazione, percepiremo così che l'osservazione della Danza della Morte dipinta in Saint Paul ci ha procurato una commozione mai provata prima, sentendoci toccati e sconvolti dall'impressione di quell'immagine nei nostri cuori. E nessuna meraviglia. Perché quei dipinti esprimono soltanto la figura raccapricciante dei nostri corpi morti fatti di ossa e di carne corrotta. Pensiero davvero spaventoso. Tuttavia né la loro visione, né quella dei teschi nell'ossario, né l'apparizione di un vero fantasma generano la metà del terrore rispetto alla nostra radicata fantasia della morte nella sua natura, alla vivida immaginazione coltivata nel nostro stesso cuore». Dinanzi a osservazioni come quelle di Tommaso Moro, Hans Holbein rivendicava il valore spirituale dell'arte. La sua ambizione fu soprattutto quella di ideare nuovi mezzi figurativi per ispirare una profonda pietà. E il suo ciclo di incisioni della Danza della Morte dimostra che riuscì nell'intento. Con un commento di Ulinka Rublack. -
Memorie
«Il significato di una parola non ha per me la stessa precisione di quello di un colore. Colori e forme hanno la capacità di affermare in un modo più definito rispetto alle parole. Lo dico perché, con le parole, sono state fatte operazioni strane su di me. Spesso mi è stato detto cosa dipingere. E spesso sono rimasta allibita di fronte alle parole, scritte e parlate, con cui mi si diceva cosa avevo dipinto. Intraprendo questo sforzo di scrittura poiché nessuno, oltre a me, può sapere come nascono i miei quadri. Dove sono nata e dove e come ho vissuto è irrilevante. È quello che ho fatto dei luoghi e dei modi in cui sono vissuta che dovrebbe suscitare interesse». -
Quaderno di schizzi pedagogici
«La prima edizione del ""Pädagogisches Skizzenbuch"""" di Paul Klee fu redatta nel 1924, e apparve l'anno successivo come secondo volume della collana Bauhausbücher curata da Walter Gropius e László Moholy-Nagy. Una riedizione seguì poco dopo, nel 1927. A Gropius e Moholy-Nagy doveva esser chiaro fin dall'inizio che queste """"premesse fondamentali"""" come venne detto alla presentazione del libro """"di una parte dell'insegnamento teorico allo Staatliches Bauhaus di Weimar costituivano una componente essenziale della concezione artistico-didattica di Klee e dell'istituto"""". Il Pädagogisches Skizzenbuch viene qui riprodotto integralmente. La sua veste non è dovuta solo a Paul Klee, autore dei disegni e delle riflessioni teoriche, ma anche al progetto grafico di Moholy-Nagy, che si può considerare pionieristico. Si pone il problema (sollevato anche allora) se la soluzione adottata da Moholy-Nagy risponda appieno alle esigenze della spiritualità del pensiero e del disegno di Paul Klee, o se la spiccata personalità dell'artista tipografico non contribuisca a suggerirne un'interpretazione diversa. Va peraltro ricordato che Klee autorizzò questa forma. Dunque il libro si presenta anche come un prodotto di quella cooperazione di """"forze di diverso indirizzo"""" che fu una caratteristica del Bauhaus insistentemente affermata da Klee come potenziale di feconda dialettica interna e di produttività.» (dalla premessa di Hans M. Wingler)""