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La pensée politique de la Rome républicaine et les traités de philosophie politique de Cicéron
Dopo due volumi miscellanei (Recherches sur les lois comitiales et sur le droit public romain, Pavia, 2012 e Rome et le monde grec. Choix d'écrits, Paris 2017), Jean-Louis Ferrary aveva deciso di riunire dieci studi editi tra il 1974 e il 2012, rivisti e aggiornati, concernenti il pensiero politico e filosofico di Cicerone, soprattutto nel De re publica e nel De legibus, e il suo rapporto con Platone. A questi aveva deciso di aggiungere un undicesimo contributo sulle Antiquitates Romanae di Paolo Manuzio, considerate in rapporto con le opere di Gaspare Contarini, Niccolò Machiavelli e Carlo Sigonio. «Les érudits que j'ai étudiés dans cette communication», afferma nell'Avant-propos, «sont donc à l'origine d'une longue réflexion sur la pensée politique de la Rome républicaine, et de Cicéron en particulier». Jean-Louis Ferrary aveva curato una quasi definitiva revisione dei saggi che qui si presentano tenendo conto anche degli appunti recuperati nel settembre 2020 e delle indicazioni che lo studioso aveva comunicato durante la fase di allestimento dell'opera, a partire dal 2017. -
Non siate anime morte... Scritti spirituali inediti
I testi di Gogol', che vengono presentati in questo volume per la prima volta in traduzione italiana, comprendono un gruppo di opere di argomento morale e spirituale dove lo scrittore descrive in maniera piuttosto analitica le passioni che infiammano e agitano l'animo umano - dall'ira al timore, dall'insicurezza all'abbattimento fino alla terribile depressione. Allo stesso tempo l'autore delle «avventure di Čičikov» propone il rimedio che egli indica nel dominio di sé ottenuto mediante la preghiera, la fede e l'affidamento a Dio. Sono scritti significativi proprio del periodo successivo alla pubblicazione de Le anime morte (1842), nei quali emerge la figura di un ""secondo Gogol'"""", impegnato nella costruzione e nel disegno di un personale itinerario della mente che lo avrebbe portato, non senza clamore e stupore nel suo pubblico di lettori, alla conversione incondizionata al Vangelo di Cristo."" -
L'avanguardia in bermuda. La formidabile avventura del Gruppo '63
"Eravamo degli sprovveduti? Per niente. Avevamo ragione? Assolutamente sì. Abbiamo avuto fortuna? Mah. Il successo di pubblico non pensavamo di pretenderlo. I critici letterari? Per un anno li abbiamo sfidati e perfino sostituiti. Avevamo preso il loro posto. Io stesso avevo preso il posto del """"papa"""" Emilio Cecchi sul Corriere della Sera. Non si può insomma dire che la nostra piccola rivoluzione sia stata piccola (…) Noi eravamo sperimentali. Il movimento che in letteratura ha preso il nome di Gruppo '63, questo incendio che per una manciata di anni ha seminato il panico nel mondo della letteratura, terrorizzato i lettori, allarmato Leonardo Sciascia, incuriosito Alberto Moravia e divertito Italo Calvino…"""" (Angelo Guglielmi)" -
Benedetto Croce. Una vita per la nuova Italia
"Che per uno dei massimi protagonisti della cultura europea della prima metà del Novecento sia opportuna una nuova biografia è da tempo giudizio corrente tra gli studiosi. In effetti appare ormai per più versi inadeguata quella pubblicata nel decennale della morte da chi per mezzo secolo fu accanto a Benedetto Croce come collaboratore, segretario e amico. La biografia di Fausto Nicolini, uscita nel 1962, era a monte, e pertanto inevitabilmente ignara, di un imponente lavoro critico e documentario venuto alla luce nel corso dei decenni seguenti, una volta peraltro estinto il vincolo ventennale da Croce imposto alla consultazione del proprio archivio. I sessant'anni trascorsi dalla pubblicazione della biografia di Nicolini non sarebbero stati comunque molti se nel frattempo la figura di Croce si fosse in qualche modo ristretta a un episodio, importante quanto si voglia ma ormai archiviato, del Novecento italiano, come in qualche modo avrebbe potuto far presagire la tenace ostilità a cui essa andò incontro dagli anni Quaranta in poi (di ostilità a dire il vero ne incontrò sempre, ma variamente intonata, e quella del lungo secondo dopoguerra ebbe motivi suoi propri, e già allora se ne poteva avvertire il carattere ideologico più che critico, e soprattutto il tratto provinciale che rimproverava al proprio bersaglio). Sono invece tanti se, com'è appunto avvenuto e a dispetto di quell'ostilità, si è sentito il bisogno di continuare a lavorare intorno alla sua opera e ai molteplici aspetti della sua azione. Cosicché l'interesse complessivo non ha cessato di crescere, affrancandosi in maniera sempre più decisa da una vicenda di adesioni e di ripulse che in nessun caso può più essere la nostra, perché semmai richiede, tale vicenda, di divenire oggetto di una pacata storicizzazione."""" (dalla Prefazione)" -
Le confidenze di un banchiere
Bancor: il sogno di una moneta mitica, il mistero di una firma leggendaria. Nel 1971 comparve sulla stampa italiana un articolo firmato con uno pseudonimo destinato a fare la storia del giornalismo del Paese. Guido Carli, governatore della Banca d'Italia, aveva deciso di partecipare al dibattito pubblico intorno ai principali temi di attualità politica. Si avvalse della indispensabile collaborazione di Eugenio Scalfari; per nascondere la propria identità si ispirò alla moneta immaginata da Keynes per favorire l'equilibrata espansione del commercio mondiale e diffondere il benessere tra i popoli. Essa poggiava sulla fiducia nella razionalità umana e nella cooperazione tra Nazioni quali strumenti concreti per perseguire l'integrale sviluppo dell'uomo. In occasione della prima edizione del Premio Bancor, a cinquant'anni di distanza, ripubblichiamo quegli articoli da cui emerge che il grado di complessità con cui la classe politica e la società italiane si trovarono a fare i conti all'inizio degli anni Settanta non era inferiore a quello con cui esse si trovano a fare i conti oggi. Allora avemmo l'intelligenza e trovammo la forza per venirne fuori: non esistono motivi per non ritenere che anche oggi sia possibile ricavare la bussola che indichi la rotta verso il progresso morale, sociale, economico degli italiani. -
La Banca d'Italia. Un'istituzione «speciale»
Pierluigi Ciocca, una carriera brillante in Banca d'Italia, ripercorre il pensiero e l'azione della Banca dal dopoguerra a oggi. Lo fa sulla scorta delle ""Considerazioni finali"""" con cui i Governatori che si sono avvicendati al vertice dell'Istituto, sin da Einaudi nel 1947, hanno riassunto e concluso la loro annuale Relazione agli azionisti e al Paese. Dalla sintesi di Ciocca emergono le luci e le ombre della vicenda storica dell'Italia lungo tre quarti di secolo: la straordinaria ricostruzione dalla guerra perduta; il miracolo economico e i suoi limiti; gli eccessi salariali, il prezzo del petrolio, il debito della Repubblica e, quindi, l'inflazione; la disinflazione, tuttavia seguita dal ristagno e dalle recessioni che hanno impoverito tanti cittadini lungo i due de-cenni sfociati nel Covid-19 del 2020, nell'inflazione internazionale dal 2021 e nel-le ricadute economiche del conflitto fra la Russia e l'Ucraina del 2022. Emerge altresì, autonoma dalla politica e dal mondo degli affari, la figura istituzionale della Banca d'Italia: le analisi, l'impegno operativo, le proposte per contenere l'instabilità e favorire la crescita dell'economia. Per qualità delle analisi, per intensità e difficoltà dell'impegno, la Banca d'Italia risalta nel mondo delle banche centrali. Se le sue proposte non verranno disattese la società italiana potrà tornare a percorrere la strada del benessere."" -
Valore e valori della comunità nel mondo che cambia
Giovanni Quaglia, già dirigente scolastico e docente di Economia e Direzione delle Imprese presso il Dipartimento di Management dell'Università di Torino, giornalista pubblicista e revisore contabile, è Presidente di Fondazione CRT, della Consulta delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e della Liguria, di REAM SGR S.p.A. e del Comitato di Supporto di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. È stato Sindaco di Genola (CN), Consigliere regionale del Piemonte, Presidente della Provincia di Cuneo dal 1988 al 2004. È stato ed è Presidente, Amministratore e Sindaco di Società, quotate e non, operanti in ambito finanziario, infrastrutturale e trasportistico. È componente di Associazioni culturali e di promozione territoriale. È stato insignito di numerose onorificenze e cittadinanze onorarie. È autore di numerose pubblicazioni. -
Aforismi
In questo libro viene offerta una raccolta di aforismi di Marina Cvetaeva, tratti dal volume in due tomi di Inediti, in cui sono raccolti quindici taccuini della poetessa russa che coprono un arco di tempo che va dal 1913 al 1939. Si tratta molto spesso di materiali di natura intima e privata che restituiscono un'immagine ben definita della sua anima tormentata e complessa e al contempo rendono una chiara testimonianza della sua personale ricerca di verità e di autenticità portata avanti con coraggio e con lucidità durante il corso di tutta la sua esistenza. -
Arpa e cannone
Dal primo numero (maggio 1959), per circa quattro anni, Gian Carlo Fusco (1915-1984) tenne una rubrica a tutta pagina sul mensile ""Successo"""", fondato e diretto da Arturo Tofanelli: un periodico di grande formato e forti ambizioni editoriali che radunava tutte le grandi firme dell'epoca. Fusco era allora in stato di grazia e all'apice della carriera: corteggiato, oltre che dai giornali, da cinema, teatro e televisione. Era conteso per il suo estro, per le inesauribili doti di umorista e affabulatore, per la leggerezza della scrittura. Qualità che si ritrovano al completo in questa silloge. Tutte le puntate di quella rubrica, qui raccolte per la prima volta in volume, si offrono al lettore come piccoli spettacoli di varietà in cui l'autore sciorina tutti i temi e registri del suo celebrato repertorio di columnist. Fusco scruta l'Italia del miracolo economico con la stessa sagacia e lo stesso sorridente disincanto con cui rilegge il nostro, non lontano, passato postrisorgimentale."" -
Dante e il suo secolo. Scritti danteschi 1853-1904
Da Madesimo, il 14 agosto 1904, Giosue Carducci scriveva a Cesare Zanichelli in occasione della pubblicazione del saggio su Tre donne intorno al cor mi son venute: ""Sono oggimai quarant'anni, o Cesare, ch'io co 'l discorso delle Rime di Dante posi il piè fermo nel campo dello scrivere italiano; ed ora stanco ne lo ritraggo con questo saggio su la più nobile canzone di Dante: da lui cominciai, con lui finisco"""". La dedizione a Dante fu per Carducci il centro della sua biografia intellettuale. Dal tema dantesco, scritto per l'accesso alla Scuola Normale di Pisa, al saggio sulle Rime del 1865, dai discorsi sulla Varia fortuna e su L'opera di Dante fino al saggio del 1904, il dantismo carducciano si dispiegò tra erudizione e storia, rievocazione poetica e analisi saggistica, polemica civile e politica, tra recensioni e commenti, tra memoria domestica e impegno civile, insomma tra culto interno, com'egli diceva, e culto esterno: la lunga fedeltà al poeta della Commedia - per coerenza, per varietà e rigore - viene ora riproposta al lettore in tutta la sua latitudine, nelle pagine che Carducci gli dedicò in vita: testimonianza plurima di chi volle essere e fu un """"dantista dantesco""""."" -
Avvedimenti politici. Aforismi
La virtù è fra due vizii opposti; il giusto mezzo de' libertini moderati è fra il vizio e la virtù; tiene dell'una e dell'altro. Condizione assurda: la virtù non s'amalgama col vizio, il bene col male. Chi usa la libertà della stampa a danno della Società o degli individui non esercisce un diritto, viola molti doveri. La ribellione contro l'autorità legittima non è lecita mai; i popoli giudicati da questa non hanno il diritto di giudicarla. -
Giulio Cesare. Dialogo con un'ombra
Nella primavera del 1921, mentre scrive Le Songe e medita per la «Revue hebdomadaire» un articolo a favore dell'Œuvre dell'Ossuaire di Douaumont, Henry de Montherlant compone un dialogo à la Montesquieu in cui all'ombra di Giulio Cesare oppone un giovane i cui lineamenti e le cui aspirazioni ricordano quelli dell'eroe del Songe, se non dell'autore stesso. Questo dialogo, rinvenuto presso la Bibliothèque nationale de France da Pierre Duroisin, è rimasto in forma manoscritta, avendo probabilmente ritenuto lo scrittore che duplicasse l'una o l'altra pagina del suo romanzo o del suo articolo per la rivista. Ma alla fine l'opera non manca di interesse, sia che la si prenda per una pietra miliare sulla strada che conduce al ""Chant funèbre pour les Morts de Verdun"""" (1924) sia che vi si riconosca l'autoritratto di un uomo meno a suo agio in pace che in guerra."" -
L'ape
L'Ape, periodico londinese redatto da Oliver Goldsmith nell'autunno del 1759, è una raccolta di saggi, recensioni, traduzioni, racconti e poesie che si presentano al lettore come i frammenti della personalità di un aspirante scrittore di origini irlandesi ancora perso in quel sottobosco di anonimi ""scribacchini"""" di cui la cupa e caotica Grub Street, strada di Londra brulicante di editori, redattori e locandieri, è diventata nel corso del XVIII secolo il simbolo più eloquente. L'Ape, però, è anche (e forse principalmente) un canto strozzato, incompiuto come la sua Fantasticheria sulla fama letteraria e malinconico come il canto del cigno di una tradizione saggistica saldamente ancorata agli ideali estetici dell'epoca augustea e al loro intrinseco senso morale, ma sempre più lontana dai modelli definiti dai suoi più grandi maestri, Joseph Addison e Samuel Johnson. In Goldsmith, autore la cui fama è legata al romanzo intitolato Il vicario di Wakefield, si avvertono i prodromi di una nuova forma di scrittura, più moderna e introspettiva, i cui primi frutti includono alcuni degli articoli più belli del suo periodico, da Miscellanea a Notturno urbano."" -
L'ultimo ministro dei lavori pubblici che disse: no al ponte sullo Stretto sì al Mose di Venezia
Dopo i racconti sulla famiglia Olivetti e su altre strutture del capitalismo italiano, Nerio Nesi dedica un libro al periodo del suo incarico al Ministero dei Lavori Pubblici e alla città di Venezia in particolare. L'opera è divisa in due parti: la prima parte è dedicata al Ministero dei Lavori Pubblici di cui egli è stato responsabile per circa un anno e mezzo, portando avanti in poco tempo opere come l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, la variante di valico Bologna-Firenze, il rafforzamento e la messa in sicurezza della Torre di Pisa, la difesa dell'isola di Torcello; la seconda parte è il racconto del ""MoSE"""", acronimo di Modulo sperimentale elettromeccanico. Il progetto """"Mose"""" ebbe una vita e un percorso pieno di difficoltà: per il suo costo e per l'incertezza del suo risultato ed ebbe molti e potenti oppositori. Proprio per questo Nesi lo difese a costo di creare intorno a sé un insieme di interessi che si batterono affinché egli, Ministro dei Lavori Pubblici, si arrendesse di fronte ad una ipotetica impossibilità di realizzarlo. Ma Nesi non lo fece e fino alla fine del suo mandato ministeriale, che coincise con la fine della Legislatura, lo portò avanti, anche se venne completato molti anni dopo. Questo libro è la storia delle sue vittorie e delle sue sconfitte e le ripercorre con ricchezza di particolari per far conoscere fatti ed episodi a chi non li ha vissuti ed ignora cause ed effetti di tante battaglie per dare all'Italia strumenti idonei per difendere il suo territorio e le sue città. E tra queste il patrimonio più prezioso: Venezia. E lo fa con la convinzione, che sempre lo contraddistingue, di non aver fatto abbastanza, che si poteva fare di più. Ma con la consapevolezza che all'Italia servono uomini che non abbiano timore di schierarsi dove è scomodo farlo. È di pochi mesi fa, la notizia, riportata dai più autorevoli giornali italiani ed esteri, che l'acqua del Mar Mediterraneo, a Venezia, la cosiddetta """"acqua alta"""", è stata fermata grazie finalmente alla piena messa in funzione del Mose."" -
Fedeltà a Croce
Nell'imminenza del centenario dalla nascita di Benedetto Croce (1866-1952), Raffaele Mattioli - benché refrattario alla frenesia di ogni genere di celebrazioni - pensò a varie iniziative per invitare a comprendere la personalità del filosofo e il suo fondamentale apporto allo sviluppo della 'cultura' italiana. Già nel 1951, presso la casa editrice Ricciardi, aveva fatto pubblicare Poesia, filosofia, storia, una silloge di scritti scelta dall'autore stesso, di oltre 1200 pagine, che inaugurava la collezione dei classici de ""La Letteratura Italiana. Storia e Testi"""". Alla morte del filosofo, Mattioli gli subentrò nella presidenza dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, che aveva contribuito a creare nel 1946, allo scopo di allevare le nuove leve della classe dirigente. In quella sede aveva pronunciato i primi due interventi qui ripubblicati, soffermandosi sul valore della storia e sul senso della 'continuità storica' - fondamentale architrave della coscienza e della convivenza civile. Il volumetto Fedeltà a Croce - composto nel 1966 dalla Stamperia Valdonega di Verona per l'editore Vanni Scheiwiller - accolse un terzo contributo, una rassegna sui rapporti di Benedetto Croce con la cultura francese, da poco presentata all'Istituto Italiano di Cultura di Parigi. La strenua difesa del pensiero e della memoria di Croce continuò senza sosta negli anni del maggiore oscuramento della sua figura: Mattioli non cessò mai di trasmetterne il magistero e l'esempio, grato per aver appreso e condiviso con lui la difesa dell'autonomia della cultura dagli irrigidimenti accademici e dalla prepotenza del potere"" -
Bogre. Film eretico e indipendente
Bogre racconta la migrazione di un'idea. Dalla Bulgaria dei Bogomili la ""grande eresia"""" si spostò alla Francia di lingua d'oc (Occitania) e di lì all'Italia del Nord e alla Toscana. Alla base del pensiero dei Bogomili e dei Catari sta un dualismo di origine presumibilmente iranica, che contrappone lo spirito alla materia: divino il primo, diabolica la seconda. La testimonianza del teologo cattolico Enrico Riparelli centra con precisione il punto nodale della riflessione che angoscia qualsiasi religione monoteistica: unde malum? Se Dio è perfetto, di dove viene il male? Giorgio Placereani - critico cinematografico. Fin dalle prime immagini, Bogre abbandona la rassicurante orizzontalità del cammino in avanti, rinuncia da subito ad un narratore onnisciente ed esterno che tende a un fine da raggiungere, sia esso un'idea o una tesi da enunciare. Alla stabilità della linea retta, il film preferisce l'apparente immobilità della figura circolare, meglio ancora, preferisce il lento discendere verso il basso della forma a spirale. Per questa ragione Bogre a un primo livello di lettura racconta la storia di un'eresia medievale sconosciuta ai libri di storia e alla maggior parte delle persone. Più in basso diventa un film politico, soprattutto quando si interroga su come e perché quel """"potere"""" che nella sua natura implica """"potenzialità"""", """"forza"""", """"virtù"""", possa ammalarsi e diventare """"dominio"""", ovvero sottomissione passiva dell'altro fondata sulla paura. Ancora più a fondo Bogre è un film filosofico: perché la morte? Qual è l'origine del male? Da dove tanta sventura? Perché viviamo? Paolo Bertini."" -
Cose chiuse fuori
Un mondo fantasmale, i cui abitanti - fantasmi - si condensano reattivamente in oggetti, dove la physis è psiche, e ci balza incontro. Una sezione geologica di nostro - di ognuno, di tutti, di chi scrive - passato che sembra reinventare una forma di cinema nel senso primario di narrazione per luci e ombre, con luci e ombre trattate in un cut up, come se fossimo all'inizio dell'uso del mezzo, in un territorio di sperimentazione, anch'essa, primaria. E la parola narrazione non stoni, ma sia anzi intesa nel senso più vasto, dilatato e sfrangiato possibile: come sinonimo di allucinazione. Già autore in questa stessa collana di Maniera nera, uscito nel 2015, qui Marco Giovenale riparte da testi precedenti e li riassembla, e nel farlo, li riscrive attraverso il loro posizionamento, e il posizionamento, attraverso la scrittura, dei corpi nel tempospazio. Non è un segreto che Giovenale sia in realtà più autori in uno, e qui forse uno di questa moltitudine interiore giunge a fine e compimento: lo stesso autore di Shelter (Donzelli 2010), che qui mette in campo una partita con sé stesso. Ciò che era protetto, racchiuso, separato, ora è sparso e all'aperto, irrimediabilmente senza dimora, se tutto è all'esterno, e da questo esterno si irraggia e irradia, si dilania. Con un sentimento di riverbero che resta con chi legge, se il colore che viene dopo il nero, o che si oppone al nero, non è in realtà il bianco della pura assenza, ma il grigio cenere di ciò che ostinatamente resta, rimane, non si perde nella perdita non muore nella morte. -
Discomparse
«Un'altra grammatica in cui non esiste l'articolo, con segni diversi in cui entrano vento, gelo e suoni gutturali, suoni sciti, ritmi lontani»: così, alla prima uscita, Antonella Anedda presentava quel piccolo classico contemporaneo che è La scolta. Da questa stazione - abitata da una «Signora» ridotta a «un sacco di ossa e respiro», e da una «non italiana» che «la bada» - comincia, dieci anni dopo Italics, il nuovo percorso di Gian Maria Annovi. Nella loro varietà sorprendente, le voci che abitano Discomparse danno parola agli «svociati, gli sfigurati del margine, che i discorsi dominanti negano, cancellano, dimenticano». Così se nella Scolta si confrontano, in un teatro della crudeltà dove la tragedia classica incontra Bergman, due inverse inibizioni della lingua (la vecchia «che traduceva il greco» ma della quale ora leggiamo solo i pensieri, e la «scolta» venuta dall'Est con «una lingua che pare / calcata da un grosso bove»), in Visita alla città di Sodoma un allegorico «deserto» è punteggiato da lapidi d'invenzione, in ricordo di coloro che persero la vita per la propria sessualità (come «PIER PAOLO», che «LASCIA LA MADRE / E IL MONDO STUPENDO E / MALEDETTO»). La stessa geografia, in Antiscoperta dei monti, consente la «discoperta» di «cose che non son cose», per dirla con Leopardi, «ma sono comunque». Quelle «discomparse» sono presenze che la preterizione consegna al desiderio o al rimpianto: come nelle parole-singhiozzo rivolte da Lear, in Cor, al corpo straziato di sua figlia. O come le figure dei neri riscattate dagli Estratti, invertendo il «naufragio di voci» di una tradizione che li emargina, per segnare a dito l'altra scomparsa, in mare, che sfregia il nostro tempo. La parola si «squaglia» e si «diplasma» - ma solo per «innascere». Una lingua che prenda atto della propria costitutiva partizione è una lingua non (ancora) nata, che nondimeno parla. Come quella «che s'innova e che / scalcia», dalla «Signora» indovinata in quella barbarica della «scolta»: prima o poi destinata a «scalzare dal nostro domani / questo paralizzato italiano». Se tornerà possibile un dialogo, allora, finalmente potremo dire di essere nati. Andrea Cortellessa -
Gilles de Rais. La stregoneria nel Poitou
In quella pietra miliare della letteratura comparata che è La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Mario Praz accenna in più occasioni alla controversa figura di Gilles de Rais - il celebre pluriomicida noto come Barbablù, già compagno d'armi di Giovanna d'Arco -, ora in rapporto al marchese de Sade, ora al personaggio della diabolique Hyacinthe di Là-bas di J.-K. Huysmans. E proprio in Là-bas, in cui si esplorano «le province più tenebrose e remote del satanismo e del sadismo, [...] le messe nere moderne che rinnovano i fasti del sabba», Huysmans abbozza il ritratto - poi rivisitato in altra sede, nel 1897, e qui offerto al lettore in traduzione - di quello che Praz definisce non a torto il «satanico contemporaneo di Giovanna d'Arco»: Gilles de Rais. -
Non lasciarmi cadere
Sobborghi di Stoccolma, due quartieri separati da una strada, due mondi diversi. Billy, una moltitudine di fratelli in un buco di casa a Våringe e Dogge, figlio unico, padre e madre espressione della buona società scandinava nella loro bella casa di Rönnviken. Potrebbe essere l'inizio di una storia semplice, di integrazione e buoni sentimenti, è invece il prologo di una tragedia. Perché Dogge non sa come reagire all'indifferenza e all'assenza di amore in cui viene cresciuto e trova in Billy l'unico spiraglio di calore umano. Mentre Billy, che di umanità trabocca, è sommerso dall'urgenza quotidiana di vivere in un quartiere difficile, dove l'unica espressione possibile sembra essere quella della violenza e della sopraffazione. Presto i due amici provano a giocare un gioco nuovo, da grandi, capace di farli sentire più potenti. Un gioco fatto di regole crudeli: furti, droga, alcol, una banda criminale. Sarà una spirale senza scampo, sotto la neve che cade insensibile, non meno della società che non fa nulla per evitare la loro rovina, nonostante i tentativi di Farid, il poliziotto che li ha visti crescere. Ma non c'è salvezza quando è la propria anima il paese più freddo.