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I piccini di Gashlycrumb. Ediz. illustrata
L'alfabeto più nero di Edward Gorey. E, paradossalmente, il suo libro più amato dai bambini. Età di lettura: da 7 anni. -
Atlantico
Per secoli l'uomo si è rifiutato di affrontare il mare grigio, roboante e tempestoso che si estendeva al di là delle Colonne d'Ercole, abitato da mostri terrificanti come le Gorgoni e i Giganti Centimani o da razze bizzarre come i Cimmeri, gli Etiopi e i Pigmei; solo i Fenici, avidi e temerari, osarono sfidare quelle acque alla ricerca di un mollusco da cui estrarre il colore più ambito dalle élite di potere dell'età classica. Oggi l'Atlantico, nella percezione di molti, non è altro che un piccolo inconveniente, che dura giusto il tempo di un paio di film proiettati durante un volo intercontinentale. Fra questi due estremi sono intercorsi duemilacinquecento anni di esplorazioni, guerre, commerci e disastri, attraverso i quali l'oceano ha plasmato le ambizioni e la condotta di marinai, scienziati, mercanti e soldati, venendo visto, a seconda delle circostanze e della sorte, come un alleato o un nemico, una risorsa o un pericolo. Simon Winchester racconta l'ultra millenaria relazione fra l'Atlantico e gli esseri umani - predatori vichinghi e monaci irlandesi, cacciatori di balene e mercanti di schiavi, posatori di cavi e pirati -, mescolando storia e aneddoto, geografia e ricordi personali, scienza e affabulazione. Il risultato è un'epopea del ""mare interno della civiltà occidentale"" maestosa, sorprendente, burrascosa, cangiante - quasi quanto l'oceano stesso. -
Organi vitali. Esplorazioni nel nostro corpo
In un indimenticato film di fantascienza degli anni Sessanta, Viaggio allucinante, un manipolo di scienziati-eroi, sottoposto a un processo di miniaturizzazione che lo riduce a dimensioni microscopiche, intraprende un periglioso viaggio, a bordo di un sottomarino, all'interno di un corpo umano vivente. Qualcosa di simile ci offre questo libro di González-Crussí. E non sarà solo un percorso attraverso i mondi strabilianti della nostra anatomia, ma anche un itinerario, fitto di sorprese, nella storia della cultura - tra medicina e filosofia, letteratura e psicologia -, accompagnati da un autore capace di regalarci a ogni passo aneddoti irresistibili (Spallanzani che per dimostrare la validità delle proprie teorie sui succhi gastrici ricorre all'empirismo più radicale: ficcandosi due dita in gola), racconti ai limiti dell'incredibile (il rude trapper che, quasi sventrato da un colpo di fucile, diventa una preziosissima cavia per l'indagine diretta del processo digestivo), osservazioni sul filo dell'ironia (per almeno cinque secoli i teologi si arrovellarono intorno a questo dilemma: quando il Cristo incarnato assunse la natura umana, proprio tutte le funzioni corporali divennero attributo della divina persona?). -
Minacce di morte e altri racconti
Alla fine degli anni Trenta, pur avendo dichiarato solennemente di non voler più scrivere polizieschi, Simenon, che ha un tenore di vita sempre più dispendioso e non è del tutto soddisfatto dei ritmi e delle tirature con cui il suo nuovo editore, Gaston Gallimard, manda in libreria i suoi romanzi, comincia a essere fortemente tentato dall'idea di richiamare in servizio il commissario Maigret, senza però che questo comprometta l'immagine di ""letterato"" che si sta costruendo. Problema non facile da risolvere. A sciogliere il nodo sarà un evento capitale: la guerra, con l'occupazione della Francia nel giugno 1940 e le crescenti difficoltà nell'approvvigionamento di risme di carta. Lo stesso Gaston Gallimard lo dirà senza mezzi termini a Simenon: gli sarà più facile procurarsela, la carta, se servirà per stampare le inchieste di Maigret. E così, nel 1942, in ""Cécile è morta"" i lettori ritroveranno il commissario tranquillamente installato nel suo ufficio del Quai des Orfèvres, accanto alla celebre stufa di ghisa. I cinque racconti contenuti in questo volume, scritti tra il 1938 e il 1941, appartengono proprio a quel periodo di incertezza: tant'è che se nei primi due Maigret è ancora in pensione e in ""Vendita all'asta"" è diventato, abbastanza incongruamente, capo della squadra mobile di Nantes, negli ultimi due è di nuovo a Parigi, pronto a rimettersi a indagare insieme ai suoi uomini. -
Ritratti italiani
""Dalla A di Gianni Agnelli alla Z di Federico Zeri, alcune decine di conversazioni, interviste, dialoghi, e magari anche chiacchiere, con illustri contemporanei quali Roberto Longhi, Aldo Palazzeschi, Giovanni Comisso, Mario Soldati, Cesare Brandi, Federico Fellini, Luciano Anceschi, Luchino Visconti, Alberto Moravia. E notevolissimi coetanei, o quasi - da Calvino e Testori e Pasolini, a Parise e Manganelli e Berio -, coi quali ci si ripromettevano lunghe polemiche anziane davanti a un bel camino acceso, con vino rosso e castagne e magari cognac. Invece, la storia girò diversamente. E così, oltre ad alcuni coetanei vitali e viventi, eccoci qui con care e bizzarre memorie evidentemente prenatali: Dossi, Tessa, Puccini, D'Annunzio, e la mia concittadina vogherese Carolina Invernizio, nonna o bisnonna di mezza Italia letteraria."" (Alberto Arbasino) -
I clienti di Avrenos
Una città, Istanbul, ancora avvolta, all'inizio degli anni Trenta, da un'aura di eccitante depravazione. Una giovane donna, Nouchi, candidamente perversa, seraficamente crudele, e capace di sedurre chiunque senza mai concedersi a nessuno. Un uomo non più giovanissimo, distinto ma squattrinato, che si è lasciato irretire, una sera, nel night-club dove Nouchi lavorava come entraîneuse, e che lei manovra a suo piacimento. Un gruppo di sfaccendati-artisti, giornalisti, uomini d'affari, nobili decaduti, viveur di mezza tacca -, che si ritrovano nel ristorante di Avrenos e passano le notti a bere raki e a fumare hashish, e che di Nouchi sono tutti più o meno innamorati. Se Emmanuel Carrère (che ne ha tratto una sceneggiatura televisiva) ha potuto dichiarare: ""I clienti di Avrenos è un capolavoro"", è soprattutto perché di personaggi femminili sconcertanti come Nouchi non se ne incontrano molti nei romanzi di Simenon - e non solo. Non ha ancora diciott'anni, non è particolarmente bella, ha una faccia irregolare e ""due occhi penetranti come punte di spillo""; ed è ben decisa a non conoscere mai più la miseria e la fame che hanno segnato la sua infanzia viennese. A questo scopo giocherà tutte le sue carte - anche le più rischiose. Di Istanbul, dove bisogna soltanto ""accettare la vita come viene"", abbandonandosi ai suoi perfidi incantesimi, Simenon fa la cornice perfetta per le trame ambiziose e svagate della sua incantevole, implacabile protagonista. -
Limonov
Limonov non è un personaggio inventato. Esiste davvero: ""è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio"" si legge nelle prime pagine di questo libro. E se Carrère ha deciso di scriverlo è perché ha pensato ""che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale"". La vita di Eduard Limonov, però, è innanzitutto un romanzo di avventure: al tempo stesso avvincente, nero, scandaloso, scapigliato, amaro, sorprendente, e irresistibile. Perché Carrère riesce a fare di lui un personaggio a volte commovente, a volte ripugnante - a volte perfino accattivante. Ma mai, assolutamente mai, mediocre. Che si trascini gonfio di alcol sui marciapiedi di New York dopo essere stato piantato dall'amatissima moglie o si lasci invischiare nei più grotteschi salotti parigini, che vada ad arruolarsi nelle milizie filoserbe o approfitti della reclusione in un campo di lavoro per temprare il ""duro metallo di cui è fatta la sua anima"", Limonov vive ciascuna di queste esperienze fino in fondo... -
Il liuto e le cicatrici
Le sei narrazioni qui raccolte, a cui si aggiunge un breve scritto, ""A e B"", che funge quasi da metafora ed ""epilogo lirico"" per l'intera opera di Kis, sono state ritrovate dopo la morte dello scrittore fra i manoscritti inediti. Alcuni testi, come il racconto che dà il titolo al libro - l'unico di ambientazione belgradese -, sono autobiografici, altri fanno rivivere personaggi celebri della letteratura centroeuropea, intrecciando vicende immaginarie con fatti storicamente attestati, secondo il modello del ""documento-finzione"". Emergono così da un passato più o meno recente le figure di Odón von Horvath e di Endre Ady (Il senza patria), di Ivo Andric (Il debito), di Piotr Rawicz (Jurij Golec), mentre l'ombra di Sinjavskij si allunga sul racconto-sogno del ""Maratoneta"". Le storie di questo libro, molte delle quali inizialmente destinate all'""Enciclopedia dei morti"", come suggerisce Mirjana Miocinovic nelle note critiche, nascono sotto il segno dei drammi epocali del secolo XX, quelli che hanno profondamente segnato Kis ispirandone l'opera: l'oppressione dei regimi totalitari, i destini delle vittime - immersi nell'oblio -, l'amarezza dell'esilio, lo sradicamento e la tristezza di chi sopravvive a tragedie silenziose, l'amore angoscioso per gente senza nome e senza tomba. Ma su tutto incombono i due temi privilegiati da Kis - quello della morte e quello della scrittura, strettamente congiunti. -
Lettere dalla Russia
""Il libro più intelligente che sia stato scritto sulla Russia da uno straniero"": così Aleksandr Herzen definì la raccolta delle lettere di Astolphe de Custine, pubblicate nel 1843 e immediatamente tolte dalla circolazione in tutto l'impero per volontà dello zar Nicola I. Cento anni dopo, lo stesso giudizio veniva espresso dalla Società editrice dei detenuti ed esiliati politici, che ne aveva promosso una nuova traduzione - ancora una volta clandestina: giacché il libro, fugacemente riapparso dopo la rivoluzione, era stato subito vietato da un altro regime, quello sovietico. Un'opera decisamente pericolosa, dunque, ma che non ha mai smesso di circolare sottobanco: perché, come scrive lo storico francese Pierre Nora, l'autore ""sembra aver anticipato di un secolo la critica del bolscevismo, dicendo tutto quello che occorreva dire, o quasi tutto"". In queste pagine il lettore troverà una descrizione della società russa di una perspicacia stupefacente, di una chiaroveggenza profetica e di una vivida forza narrativa. Davanti ai nostri occhi si dispiega, con la potenza di un dipinto di Goya, la tirannide zarista con caratteri che coincidono in modo impressionante con quelli del totalitarismo staliniano e dei suoi epigoni post-perestrojka: un'oppressione che si traveste da amore per l'ordine, la segretezza che presiede a ogni cosa, il fanatismo dell'obbedienza, i millantati progressi - in breve, ""il governo della menzogna, dell'inganno, della corruzione"". -
Il richiamo del corno
Quando Alan Querdilion, un ufficiale della Marina britannica, si risveglia nel letto di uno strano ospedale sono passati centodue anni, il mondo non è più lo stesso e lui si ritrova imprigionato in un incubo. I nazisti hanno vinto la seconda guerra mondiale e regnano incontrastati. I prigionieri-schiavi vengono allevati e trasformati nella selvaggina di un feroce sovrano. Un terrore remoto e indicibile si impossessa lentamente di Alan: è ""il terrore che si prova ad essere cacciati"". Qualcosa di notte si muove nella foresta e brama sangue. Lo sente avvicinarsi da lontano, preceduto dal suono di un corno. Sono note isolate, appena avvertibili, separate da lunghi intervalli, ""ognuna così solitaria nel buio e nel silenzio assoluto, come un'unica vela su un vasto oceano"". Poco dopo la fine della guerra, e ben prima che il genere distopico infuriasse fra i lettori di tutto il mondo, un diplomatico inglese estremamente discreto, che passava da una sede all'altra del Medio Oriente, scriveva questo piccolo romanzo, che fa pensare a un racconto di Wells, e dove all'immagine di un futuro alternativo governato dai nazisti si sovrappone ben presto la terrificante visione di un mondo capovolto e arcaico, regolato dalla caccia fine a se stessa. Ossessione ricorrente da varie migliaia di anni fino a oggi, e forse oggi più che mai. -
Sender Prager
Sono tutte in lacrime, le cameriere ebree del Praga, alla vigilia delle nozze del padrone: certo, hanno sempre saputo che lui andava a letto con tutte, ""eppure ognuna era convinta in cuor suo che con lei si sarebbe comportato in modo diverso ... l'avrebbe portata via dalla cucina per sistemarla dietro al bancone e metterla alla cassa a contare il denaro"". Ora, però, che nell'annuncio affisso in vetrina c'è scritto, nero su bianco, che ""in onore del felice e fortunato matrimonio del proprietario di questo ristorante, Sender Prager, con la sua fidanzata, Edye Barenboim"" i poveri del quartiere riceveranno un piatto di crauti e salsicce, hanno perso ogni speranza. Si è fidanzato all'improvviso, ""quell'uomo solido e vigoroso, dagli occhi lucenti e dai capelli neri impomatati"": perché all'improvviso, a quarantaquattro anni, ha avuto paura della vecchiaia e della solitudine. Così, lui che delle donne non si è mai fidato, si è lasciato indurre dal suo rabbi a sposare quella ragazza di buona famiglia hassidica che ha la metà dei suoi anni e lo guarda ""con i suoi grandi occhi neri impauriti"". ""Dio del cielo,"" implorano le cameriere ""fagli pagare la nostra umiliazione..."". Al lettore scoprire, in questo magnifico e crudele racconto lungo del fratello ""più talentuoso"" di Isaac B. Singer (come ha scritto Harold Bloom), se Colui che tutto può le ascolterà. -
Lettere alle amiche
A sei donne incontrate fra il 1932 e il 1935, quasi tutte sue amanti occasionali, sono indirizzate queste lettere di Céline, dove sempre risuona la petite musique del suo stile. Sei donne che Céline continua a seguire e proteggere: e, se si guarda bene dal parlare d'amore, non lesina consigli su come usare gli uomini nel modo migliore, cioè ""per il piacere e per i soldi"". Ma soprattutto, lettera dopo lettera, con una generosità che rende lacerante la violenza autodenigratoria (""Già vecchio, depravato, non ricco, malmesso insomma. Tutt'altro che un buon partito. Battona e malfido"") , non cessa di illuminare per barbagli, a loro beneficio, il mondo. In fondo, scrive a Evelyne Pollet, ""Crepare dopo essersi liberato, è almeno questa l'impresa d'un Uomo! Aver sputato ogni finzione..."". -
Il racconto della serva Zerlina
Nell'interno aristocratico e decaduto che rinserra tre donne, si sdipana il monologo della serva Zerlina: storia di una passione demoniaca e di una feroce sete di rivalsa, confessate in un parossismo d'odio al giovane affittuario A. Con foga implacabile, Zerlina racconta una vendetta di raffinata perfidia nei confronti del Signor von Juna, fatuo avventuriero che già nel nome ricorda il Don Giovanni - così come la stessa Zerlina e la padrona Elvira. Ma il suo furore finirà per travolgere tutto e tutti, anche l'impostura della rispettabilità coniugale in un'Austria alla mercé della rovina, dove i presunti non-colpevoli ""affondano"" per dirla con Broch ""nella colpa etica, in una colpevole non-colpevolezza"". -
Come vivere in modo più confortevole
""Balzac sembra un oste, Joyce il contabile di un'impresa di pompe funebri, Eliot il direttore di una clinica psichiatrica, e Heinrich Mann un farmacista che abbia appena deciso di avvelenare i suoi concittadini senza eccezione"": sono le considerazioni suggerite alla Szymborska dalla lettura di un Piccolo dizionario degli scrittori di tutto il mondo. O meglio: dall'apparato iconografico, giacché è su quello che si è concentrata tutta la sua attenzione. Difficile immaginare un recensore più idiosincratico, inaffidabile, parziale. E più irresistibile. Le sue, d'altro canto, non sono neppure recensioni: piuttosto, letture ""non obbligatorie"", rapporti di un'impagabile lettrice amatoriale. Che ad ogni libro che le capiti fra le mani - libri che altri disdegnerebbero, del genere Il Guinness dei primati del cinema - sa guardare da un'angolatura che ci spiazza e ci conquista. Chi se non la Szymborska ammetterebbe, con disarmante franchezza, di aver colto, nei Sette stati della materia, solo qualche frase, e saprebbe poi trasformare la sconfitta in una geniale riflessione sullo snobismo di chi coltiva ""l'antica aspirazione a sapere tutto, sia pure a grandi linee""? -
La triomphante
Questo libro è la storia di una bambina nata ad Alessandria d'Egitto, dove ha vissuto un'infanzia felice esplorando con sagace curiosità un universo in cui il ""vento della Storia"" coesisteva con ""l'odore di putrefazione, la lebbra che corrode i muri, i fiori selvatici che spuntano alla rinfusa, le risate libere e impertinenti, l'allegro fatalismo""; una bambina che, a differenza delle sue coetanee, amava le battaglie navali e ""conosceva a menadito la differenza tra i cannoni da 36 libbre e quelli da 32"" - e il cui eroe era Lawrence d'Arabia. Ma è anche la storia di un'avventuriera: quella in cui ha saputo trasformarsi la protagonista dopo essere stata costretta ad abbandonare la luce della sua terra e il profumo del suo mare, lasciandosi alle spalle un Oriente fantasmatico e partendo alla ricerca di un Occidente che lo era almeno altrettanto. Ed è soprattutto la storia di una donna che, soffocando la tentazione vana della nostalgia, ha affrontato a testa alta, come una sfida del destino, le umiliazioni dell'esilio e gli inevitabili rischi che comporta l'essere, sempre e ovunque, la straniera; e che è riuscita, con le sole armi della tenacia e dell'ironia, a diventare, in qualche modo, ciò che sognava di essere: un ammiraglio - e a portare a termine, al pari di Ulisse, il proprio viaggio. Senza tuttavia mai perdere - come ha detto l'autrice stessa in un'intervista - ""quella malinconia, tipica dell'esule, che la induce a chiedersi in ogni momento se è davvero al posto giusto"". -
Des mois
«A quel tempo vivevo solo, per mia beatitudine e tormento. Insoddisfatto di me e d'ogni mia intrapresa, a una cert'ora scendevo in cortile; lei era lì sempre, e i nostri occhi s'incontravano. Io la guardavo un poco ontoso, e lei mi rendeva uno sguardo grave, cupo a dispetto dell'attonimento che sembra connaturale ai loro occhi chiari e sgranati, leggermente interrogativo, anche avido; e tutto era detto tra noi. In verità il gatto è forse il solo animale che conosca la noia umana, ossia di tipo umano; noia vera e non pretesa, da votezza e non da esuberanza o almanaccamento, noia sconsolata, nell'esercizio e nella pena del quale sentimento esso può dar dei punti perfino all'uomo.»Luogo deputato a radunare ""le deiezioni dell'anima"", il diario è il più degradato, il più ""gloriosamente abietto"" dei generi: ma in Landolfi, ha scritto Manganelli, subisce una radicale metamorfosi. Anziché catalogo di eventi ed emozioni quotidiane, diventa un'invenzione retorica dove passato e futuro si fondono in un ""perituro istante"" e il tempo risulta annullato; anziché documento privato, diventa, nella sua instabile tessitura di temi, rifiuto di sé. Mutevolmente, in ""Des mois""- terzo pannello dopo ""La bière du pécheur"" e ""Rien va"" - Landolfi trascorre infatti dalla particolare coloritura delle immagini di sogno, irriproducibili dalla parola, alla segreta fraternità con una gatta (i gatti sono per lui i soli animali che conoscano la noia umana, quella legata al vuoto, al ""tempo senza fondo""); dal conflitto tra la ""lusinga dei miei vizi"" (cioè il richiamo della vita) e la mediocrità borghese (cioè l'abiezione) allo stile, che nei grandi scrittori è distanza, capacità di considerare frasi e parole meri strumenti e non già ""sacri arredi""; dal naturale stato di sottomissione agli eventi che ci impedisce di adattarci alla desiderata e aborrita libertà al rapporto con i figli, che, usciti dal ""malevolo nulla"", lo sfidano con la loro presenza miracolosa e accusatrice, lasciandolo lacerato tra ""una tragica sollecitudine e la coscienza della metafisica inanità di qualsiasi affettuoso intervento"". Centro di questo simulato e veritiero diario è del resto - sono ancora parole di Manganelli - ""il sacrilegio, la violazione, la violenza per diniego, la clandestina e blasfema celebrazione di una irreparabile impurità, una fessura che ferisce il mondo da parte a parte, e ne annuncia la vocazione catastrofica"". -
Concetti fondamentali della filosofia aristotelica
L'interesse di Heidegger per Aristotele, testimoniato da questo corso universitario che il filosofo tenne nel 1924, si colloca nel periodo cruciale dell'elaborazione dell'analitica ontologico-esistenziale di Essere e tempo. rnrnIn particolare, nell'analisi della Retorica aristotelica compaiono già, in nuce, alcuni ‘concetti fondamentali della filosofia heideggeriana' – come Dasein (esserci), In-der-Welt-sein (essere nel mondo) e Befindlichkeit (il sentirsi situato, la situatività, e anche la situazione emotiva) – destinati a lasciare un segno indelebile nella filosofia del Novecento. Ma, soprattutto, Heidegger si impegna qui – come raramente in seguito – in una brillante fenomenologia dei páthe, delle «passioni», e del ruolo determinante che esse svolgono nella vita e nell'esistenza dell'uomo. La messa in questione del tradizionale privilegio accordato agli atti intellettivi superiori che questo implica suggerisce l'idea che siano costitutivi dell'uomo, allo stesso titolo della ragione, anche gli elementi ‘inferiori’, quali la sensibilità, le affezioni e le passioni. -
L' ordine del tempo
Come le Sette brevi lezioni di fisica, che ha raggiunto un pubblico immenso in ogni parte del mondo, questo libro tratta di qualcosa della fisica che parla a chiunque e lo coinvolge, semplicemente perché è un mistero di cui ciascuno ha esperienza in ogni istante: il tempo. rn«Pensiamo comunemente il tempo come qualcosa di semplice, fondamentale, che scorre uniforme, incurante di tutto, dal passato verso il futuro, misurato dagli orologi. Nel corso del tempo si succedono in ordine gli avvenimenti dell'universo: passati, presenti, futuri; il passato è fissato, il futuro aperto... Bene, tutto questo si è rivelato falso»«Nuovi orizzonti si aprono di fronte al lettore - il quale non ha bisogno di conoscere la fisica quantistica o le complicate formule matematiche che comunque può trovare nelle ultime pagine - per apprezzare quest'opera.» - Lisa Cardello per MaremossoE un mistero non solo per ogni profano, ma anche per i fisici, che hanno visto il tempo trasformarsi in modo radicale, da Newton a Einstein, alla meccanica quantistica, infine alle teorie sulla gravità a loop, di cui Rovelli stesso è uno dei principali teorici. Nelle equazioni di Newton era sempre presente, ma oggi nelle equazioni fondamentali della fisica il tempo sparisce. Passato e futuro non si oppongono più come a lungo si è pensato. E a dileguarsi per la fisica è proprio ciò che chiunque crede sia l'unico elemento sicuro: il presente. Sono tre esempi degli incontri straordinari su cui si concentra questo libro, che è uno sguardo su ciò che la fisica è stata e insieme ci introduce nell'officina dove oggi la fisica si sta facendo. -
Una visita di Orsetto
Dove Orsetto va dai nonni e Nonna Orsa gli racconta la storia di un piccolo pettirosso e Nonno Orso quella di un folletto. Età di lettura: da 5 anni. -
La dittatura del calcolo
Perché la scienza non ha potuto prescindere dagli algoritmi, e da quanto tempo il calcolo è entrato prepotentemente in ogni settore della nostra vita? Che cosa può e che cosa non può essere automatizzato? La matematica possiede sempre e comunque le qualità che le sono generalmente attribuite, come l'utilità, l'armonia o l'efficacia in ogni sua applicazione? Questo libro offre una risposta penetrante e articolata a domande che appaiono oggi ineludibili. Zellini le affronta con un rigore e con una misura che fanno emergere con evidenza tutto l'interesse scientifico del pensiero algoritmico, come pure il carattere virtualmente apocalittico di ciò che appare ormai un dominio incontrastato del calcolo digitale. Se non si vogliono ignorare i princìpi di libertà e di responsabilità, non si può rimanere estranei o indifferenti alla diffusione di una scienza che si ispira a un criterio di effettività e di efficienza meccanica, ultimo fondamento e pietra angolare del calcolo, ma anche causa di inevitabili pregiudizi e travisamenti.