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La cruna dell'ego. Uscire dal monoteismo del sé
La libertà dell'individuo, l'affermazione di sé e dei propri diritti e desideri, punto focale della modernità, è diventata oggi il culto ossessivo dell'identità personale. Un vero e proprio 'monoteismo del sé' che, consumando compulsivamente il mondo e gli altri come puri strumenti della propria realizzazione, finisce per consumare la sua stessa umanità. Il primo santo del calendario post-moderno non è più, come annunciava Marx, Prometeo, che sfidava gli dei in favore degli uomini. È Narciso, che vive dell'amore dell'altro ma non lo riconosce e non restituisce nulla. È un destino segnato per l'umano? Questo dogmatico 'tutto intorno a me' che ormai mostra in molti modi il suo carattere distruttivo - dal ripiegamento narcisistico dell'amore al fanatismo religioso, dallo svuotamento della comunicazione alla soggezione della tecnica, dalla commercializzazione del dono alla burocrazia del diritto - non conosce alternativa? Pierangelo Sequeri dice di no, noi non siamo questo, l'umano non funziona affatto come lo racconta il pensiero unico. E una via d'uscita c'è. Occorre avere il coraggio di disarmare questa pulsione ossessiva che conduce al nulla, andando al meccanismo che la innesca: si tratta, nelle parole di Sequeri, di «rovesciare il tavolo del soggetto moderno». Invece di accanirsi sulla domanda 'chi sono io', alla quale l'individuo non è in grado di dare risposta, guadagnandone solo frustrazione e maggiore aggressività, bisogna imparare a chiedersi 'per chi sono io', un interrogativo capace di aprire il varco verso un'avventura personale e di relazione che ha il sapore della libertà. Rovesciando l'ordine delle sue domande di senso, l'umano trova eccome la sua destinazione, e cambiare rotta non è poi così difficile: «Non si tratta di cancellare la dignità del soggetto libero e consapevole, sacrificandola all'alterità o alla collettività. Si tratta di uscire - mentalmente, anzitutto - dall'incantamento di Narciso, impasticcato e afasico, rompendogli lo specchio e mandandolo a lavorare. Scoprirà di essere migliore, sarà felice. (E anche noi)». -
La resistenza intima. Saggio su una filosofia della prossimità
C'è uno strumento efficace per contrastare le forze disgreganti di questi nostri tempi, per difendersi da un'attualità che banalizza e disperde, e spesso anche dalle proprie derive e dalle proprie paure. È la capacità umana di resistere; anzi: un particolare tipo di resistenza, che in questo libro il filosofo catalano Josep Maria Esquirol chiama 'resistenza intima', un modo di opporsi agli ostacoli e al freddo non solo climatico della vita sviluppando la propria forza nello spazio esperienziale degli affetti. Una resistenza morale, che assomiglia alla virtù della fortezza, capace anche di modestia e di generosità. Non rivela i valori supremi o il senso occulto del mondo, ma guida proteggendo dalla notte cupa, mostra la bellezza delle cose vicine, e conforta. Questa resistenza è 'intima' non perché 'privata', ma, al contrario, perché 'prossima'. La prossimità, dice Esquirol, ci appartiene nel profondo e ha a che vedere con la semplicità e la concretezza del quotidiano contro le complicazioni e le astrazioni del mondo attuale; con il linguaggio degli affetti, che si fa canto e poesia e scaccia la paura del vuoto; con la cura reciproca del corpo e del cuore; con il ritorno a casa, la mensa condivisa, la protezione del riparo... Non si tratta di tornare a un mondo semplice e ingenuo o di rinchiudersi nell'intimismo dei legami: la resistenza intima ha occhi ben aperti e letture attente, vive nel mondo e ne conosce e sperimenta i dolori e le fragilità. Come chiarisce bene un'altra delle metafore potenti di Esquirol, noi siamo come una filza di punti di imbastitura, la cucitura più precaria e debole che esista, che unisce due lembi, due limiti, due provvisorietà. Ognuno di noi è uno di questi fragili punti, che prendendosi cura l'uno dell'altro, accettandosi come diversi nella prossimità, si aiutano a non cedere e nel loro 'congiungimento' sono capaci di unire la terra e il cielo. -
La penultima bontà. Saggio sulla vita umana
Penultima bontà: perché quell'aggettivo? Perché 'penultima'? Domanda legittima, persino scontata, di fronte al titolo di questo libro del filosofo catalano Esquirol, la cui risposta si snoda lungo pagine di parole semplici e dense insieme, calde e profondamente vere, scritte con finezza di tessitura letteraria e originalità di pensiero. Abbiamo davvero bisogno di uscire da quell'orizzonte di senso che ingabbia la vita umana tra un inizio perfetto e perduto e una fine ineluttabile e definitiva, perché quello che avvertiamo, con la certezza di un'esperienza che ci percorre continuamente dalla pelle al cuore mentre viviamo qui e ora, è che il mistero della vita non risiede in un paradiso impossibile da cui siamo stati cacciati né nell'ultimità della morte, ma nella penultimità, appunto, della vita che vive e si sente vivere. Questa, ci dice qui Esquirol dialogando con il libro della Genesi, con Platone, con san Francesco e Zarathustra/Nietzsche, con Heidegger, Simone Weil e tante altre voci del pensiero filosofico, è la caratteristica propria dell'umano: sentirsi vivere, essere coscienti di un'esperienza vitale che non si fa rinchiudere, ma vibra e pensa e ama scoprendosi imperfetta, spesso ferita, mai compiuta e sempre penultima, eppure proprio per questo capace di riconoscere la stessa condizione negli altri e di creare comunità. Una comunità fraterna che vive ai 'margini', per usare la bella espressione con cui Esquirol indica il quotidiano, fatto di crepe, di deserto, di fatica, ma anche di prossimità, di resistenza, e soprattutto di cura e di gratitudine. -
Funzionare o esistere?
Solo accettando di andare al di là del semplice 'funzionamento' della macchina e riguadagnando invece la complessità piena di senso dell'umano, si può tornare a considerare senza angoscia la morte come parte dell'esperienza sapida della vita, a guardare la fragilità del corpo e delle emozioni come ricchezza della relazione con gli altri. E recuperare così uno sguardo aperto verso un futuro che sia sempre meno un risultato e sempre più un cammino, a volte facile e a volte difficile come la vita vera.rn«Il pensatore argentino Miguel Benasayag sostiene che la sfera biologica ha una circolarità mentre la funzionalità è invece lineare. Anche la vita ha i suoi automatismi ma non sono quelli delle macchine» - AvvenirernrnAnziani considerati ormai 'vecchi', fuori dal ciclo produttivo e soprattutto da quello del consumo. Giovani che non hanno più il diritto di essere giovani, ma sono inseriti da subito nella giostra delle competenze da acquisire, dei risultati da conseguire, con l'imperativo di essere 'imprenditori di se stessi'. Fragilità umane di tutti noi che vengono stigmatizzate come intoppi nella realizzazione di una felicità del qui e ora, col risultato di impregnarci di angoscia e paura del futuro. Non è lo scenario distopico di un libro di fantascienza, ma il panorama della nostra situazione attuale. Come ci siamo arrivati? Quando abbiamo abdicato alla nostra irriducibilità a una modellizzazione meccanica? Perché abbiamo accettato di diventare un mero 'bilancio di competenze' governato da un algoritmo ottimista, e perché ci siamo lasciati convincere che saremo migliori e più felici se ci lasceremo 'aumentare' dalle macchine? Ma soprattutto: c'è una via di resistenza a tutto questo? Miguel Benasayag, che da sempre si muove all'incrocio tra psicanalisi, biologia e filosofia e che per il suo essere un resistente ha anche pagato un prezzo personale, come racconta più volte in questo libro, raccoglie l'appello di una società impaurita e le propone una scommessa per un futuro diverso: un futuro di persone singolari, ricche delle proprie diversità, delle proprie qualità e incrinature, che vivono in relazione tra loro. -
Gli obblighi della cura. Problemi e prospettive delle etiche del ...
Care, cura, responsabilità, attenzione, simpatia sono concetti e disposizioni che la filosofia, e in particolare la filosofia morale, avrebbe relegato alla sfera dei rapporti affettivi o semplicemente ignorato. Le etiche del care si fondano sull’idea che il riconoscimento delle cure ricevute sia indebitamente sminuito nonostante siano assolutamente centrali per la mera sopravvivenza delle persone: come potrebbero rimanere in vita un neonato, una persona anziana, un malato se non ci fossero delle persone che si occupano di loro, che ne soddisfano i bisogni elementari, che li sostengono e li sorreggono in situazioni di grande vulnerabilità e dipendenza? Con un gesto le cui valenze sono morali e politiche, le etiche del care si propongono di ribaltare questa situazione mettendo al centro delle loro proposte teoriche tutti quei concetti e quelle pratiche che strutturano la cura e la responsabilità nei confronti degli altri. Ma queste teorie sono capaci di mantenere la promessa, particolarmente ambiziosa, di costituire un ambito strutturato su concetti alternativi a quelli dell’etica tradizionale e quindi di relegare quest’ultima allo stato di reperto archeologico? Una morale e una politica articolate sul care sono veramente in grado di produrre quella rivoluzione culturale e sociale presentata con tanta convinzione dai suoi teorici? Il volume si propone di rispondere a queste domande analizzando i presupposti metaetici, l’antropologia e la proposta normativa delle etiche del care, lasciando largo spazio allo studio delle conseguenze pratiche e dei comportamenti concreti fondati sulla cura e sulla responsabilità. -
Il piccolo libro delle grandi domande
Il poeta della mistica dei sensi ci insegna a formulare le giuste domande. C'è un momento in cui ci rendiamo conto che sono le domande (non le risposte) ad avvicinarci al punto vero delle questioni. Sappiamo che le risposte sono utili, sì, e ne abbiamo sempre bisogno - ma la vita trasforma le risposte stesse in domande ancora più grandi. La spiritualità deve essere un'occasione di incontro con domande fondamentali, anche se sono sempre messe da parte in una vita quotidiana che ci disperde e allontana dall'essenziale: «Chi sono io? Da dove vengo? Dove sto andando? A chi appartengo? Da chi o perché posso essere salvato?». Forse abbiamo organizzato la religione troppo rapidamente dal lato della risposta - e dimenticato le grandi domande che non ha mai mancato di affrontare. Guidati da uno dei più importanti saggisti cristiani di oggi - un poeta, un pensatore, con una grande esperienza di ascolto degli altri - in questo libro sapido si è come invitati a un viaggio di reinvenzione di noi stessi. Sulla scia delle sue fortunate opere precedenti - teologiche, filosofiche, letterarie -, il portoghese José Tolentino Mendonça apre qui le pagine di un libro singolare e coraggioso: una piccola via, quasi un percorso, delle grandi domande sulla nostra vita. -
Il capitalismo e il sacro
Dall'homo oeconomicus al capitalismo, da Dio al dio-denaro. È sempre esistito un profondo intreccio tra economia e religione, tra mercato e spirito, ed esiste ancora, anche se abbiamo perso la capacità di vedere la dimensione religiosa dentro la vita economica e sociale. Nella formazione dei nuovi economisti e scienziati servirebbe molta più antropologia e scienze umane, che invece si stanno riducendo drasticamente nei corsi di studio delle nostre università. L'homo oeconomicus - cioè lo sguardo sul mondo e sui rapporti sociali tipico dell'economia - è molto più antico della scienza economica, e se l'homo oeconomicus nella modernità si è potuto affermare come ideologia universale è perché la sua logica era molto antica e radicata nell'esperienza umana. Ben prima dell'economia, è stata infatti la religione ad inventare l'homo oeconomicus. In particolare, la logica sacrificale è alla radice dell'esperienza religiosa. Nella sua essenza il sacrificio non è altro che una moneta, una forma di scambio mercantile che gli uomini hanno applicato al loro rapporto con la divinità. Il primo commerciante è stato l'uomo primitivo, e il primo creditore è stato Dio. Se non partiamo da questo dato arcaico, non capiamo né il capitalismo né l'umanesimo occidentale. La dimensione religiosa, o meglio, idolatrica del capitalismo informa l'intera vita economica contemporanea, ma è particolarmente evidente e rilevante nella cultura delle grandi imprese globalizzate che con i loro riti, liturgie e dogmi, assomigliano sempre più a delle chiese. -
Il welfare in azienda. Imprese «smart» e benessere dei lavoratori
Il welfare aziendale si è imposto in pochi anni come una delle più profonde e significative novità nelle relazioni industriali del nostro Paese. Abbiamo assistito a un vero e proprio Big Bang, un'esplosione che ha generato una lunga accelerazione ancora oggi in corso. Da fenomeno di nicchia si è ormai trasformato in un mercato maturo. Per dar conto degli sviluppi più recenti, a tre anni dalla sua uscita in libreria, la seconda edizione del volume di Luca Pesenti si ripresenta al lettore con molti aggiornamenti, profonde modifiche e ampie aggiunte tematiche. Se resta intatta la valenza culturale di questo fenomeno, tra valorizzazione di logiche di shared values e strategie evolute di HR management, molto è cambiato in termini di contesto, numeri, dinamiche, qualità e quantità degli attori coinvolti. Per questo, temi solo accennati o del tutto assenti nella precedente edizione vengono qui sviluppati in modo ampio e originale, alla luce delle esperienze di ricerca e consulenza vissute dall'Autore in questi anni: lo sviluppo tumultuoso del mercato dei provider, il ruolo tutto da definire dei soggetti di terzo settore che hanno deciso di accettare la sfida del welfare aziendale, l'esperienza ancora interlocutoria delle reti di welfare, le alterne fortune del Premio di Risultato, l'esperienza di utilizzo dei servizi attraverso la mediazione dei portali (digital welfare), le discusse conseguenze (reali o presunte) sul welfare pubblico, e altro ancora. Nel complesso, una riflessione più che mai necessaria su un fenomeno che richiede di essere compreso pienamente per essere meglio sviluppato e governato. -
Elogio del rischio
Fare l'elogio del rischio in un'epoca che cerca prima di tutto la sicurezza, l'azzeramento dell'incertezza e ci inonda di previsioni, calcoli delle probabilità, scenari politici e finanziari, valutazioni psichiche, sondaggi...sembra un'impresa impossibile, controcorrente, destabilizzante. Ma proprio questo fa Anne Dufourmantelle: rimette, si può dire, le cose a posto, restituendo al rischio la sua valenza di occasione per riattivare la libertà di decidere, per aprire una linea d'orizzonte nuova e trovare una dimensione del tempo e della relazione non più schiava del controllo e della dipendenza. Perché il rischio di cui parla in questo libro non è certo la temerarietà, la scossa adrenalinica di chi gioca a dadi con la vita, ma, nelle sue stesse parole, una «piccola musica», un «meccanismo segreto» in grado di condurci davanti alla notte, all'ignoto, al desiderio, per riconquistare la vita vera. È il rischio di affrontare e riconoscere le nostre «passioni negative», le esperienze critiche che ritmano la nostra esistenza, di fronte alle quali di solito indietreggiamo, e un po' moriamo. Perché spesso, per volerla proteggere troppo, finiamo per perderla, la vita. Quella vera, ricca di senso, di amore, di gioia. In brevi capitoli, con una scrittura che è la sua cifra personale, poetica e profonda, lancinante e delicata, Anne Dufourmantelle affronta «crisi» tra le più consuete e le più impegnative - la tristezza e la paura, la dipendenza, i traumi familiari e l'omologazione sociale, la solitudine e l'abbandono, i rimossi, le nevrosi - ben consapevole che superarle positivamente non è affatto facile. Ma, alla fine, prendersi il rischio della libertà interiore è prendersi il rischio di amare e di amarsi, di assaporare la vita come un dono quotidiano e aperto all'incognito, all'insperato. -
Piccola metafisica della luce. Una teoria dello sguardo
Il discorso sulla luce è sempre stato appannaggio della fisica, al cui interno essa viene considerata come radiazione, onda elettromagnetica, energia, e di conseguenza letta e interpretata in un universo semantico definito da angoli, rette, campi, onde... Eppure, non appena la luce attraversa e abita quel 'corpo' che è il soggetto umano, ecco che la fisica si trova presa in un intrigo di riflessi e riflessioni, speculazioni e pulsioni, fantasie e fantasmi, dove lo spazio si curva e la retta si intreccia, il punto esplode e si dissemina. Per questo insieme aggrovigliato e sorprendente la fisica non mostra alcun interesse. Costretti ad abbandonare lo spazio misurabile e quieto della geometria, troviamo allora il soccorso della metafisica, che conosce l'arte di avvicinare l'eccedenza dell'umano, di schiudere le porte del luogo in cui la luce è abitata dallo stupore come dall'invidia, dallo sguardo di appropriazione come da quello idolatrico, financo dal baratro della tenebra. -
Un' identità minore. Percorsi sull'abitudine fra letteratura e fi...
In un originale dialogo fra i capolavori della modernità e le filosofie novecentesche, Federico Bellini ricompone un discorso unitario che vede nel concetto di abitudine un elemento cruciale della nostra identità di uomini. Ecco che Bergson e lo spiritualismo francese gettano luce sulle rappresentazioni della routine in Proust e Beckett; The Way of all Flesh di Butler è letto quale riflesso letterario delle eterodosse teorie lamarckiane dell'autore; la nozione di habitus di Bourdieu offre una chiave di lettura de Il deserto dei Tartari di Buzzati; la rappresentazione della dipendenza ne La coscienza di Zeno di Svevo converge con il tardo pensiero di Freud; la poetica dell'OuLiPo e l'opera di Perec anticipano le teorie dell'antropologia filosofica dell'esercizio di Sloterdijk. La costellazione così composta disegna uno sforzo trasversale di ripensare l'esperienza umana sotto il segno di un'identità minore, spogliata di ogni pretesa autarchica ma non per questo polverizzata o liquefatta. -
Umano, più umano. Un'antropologia della ferita infinita
Domande all'apparenza semplici quali «come va?» o «da dove vieni?» o «come ti chiami?», se colte nel loro senso più profondo, ci conducono al centro della nostra anima, là dove - ci spiega il filosofo catalano Josep Maria Esquirol nel saggio Umano più umano - siamo toccati da quattro realtà fondamentali con cui abbiamo a che fare per tutta la nostra esistenza: la vita, la morte, il tu e il mondo. L'incontro con questi «infiniti essenziali» segna una «ferita», un'apertura inesauribile che sottrae a ogni pretesa di autosufficienza e che ci costituisce nella nostra umanità. Imparare a vivere è imparare ad accompagnare queste ferite, non a suturarle. Esse infatti sempre ci sorpassano con il loro eccesso e chiedono la pazienza di continue risposte. Risposte da cercare non nell'oltre postulato dalle odierne tendenze transumanistiche, ma restando dentro questa condizione, intessuta di vulnerabilità e debolezza. -
Psicologia del personal branding
Si pensa che il personal branding riguardi soprattutto i prodotti di consumo, il packaging, il marchio, le tecniche di vendita, ma questo approccio è limitato. Il personal branding è anche un processo di consapevolezza e valore, il cui scopo è definire e dimostrare la propria identità in un modo che rappresenti accuratamente i nostri successi, le nostre qualità, i nostri punti di forza. Integrando la prospettiva della psicologia positiva con le ricerche più recenti nell'ambito del marketing, Psicologia del personal branding ci aiuta a scoprire, a valorizzare e a comunicare efficacemente i nostri talenti e le nostre potenzialità. I capitoli del libro, partendo dall'indagine sul sé, raccontano la costruzione della propria personalità online, attraverso la comprensione delle emozioni, dei processi volitivo-decisionali, del marketing 3.0, per creare uno storytelling accattivante, coinvolgente e appassionante. -
D'amore, di silenzio e d'altre follie. Incontri nell'Italia della...
«Ci sono forze spirituali diffuse e persistenti nel nostro Paese - scrive Eraldo Affinati nella Postfazione a questo volume -, quasi sempre invisibili, che agiscono nel profondo senza pretendere udienza né riconoscimenti». Ed è proprio lungo le tracce di «emozioni soddisfatte», «inquietudini risolte» e «crisi superate» che si snoda l'itinerario proposto da Roberto Italo Zanini nel libro D'amore, di silenzio e di altre follie. Un viaggio in Italia diverso da tutti gli altri, perché qui le tappe sono rappresentate da eremi e monasteri, da comunità di famiglie e da angoli della metropoli trasformati in luoghi di raccoglimento. Un'indagine inedita sui riferimenti di una spiritualità alternativa, ma che rimanda all'essenzialità della fede: una nuova geografia del credere, appunto, troppo poco rappresentata e nello stesso tempo vivacissima. Si compone così una galleria di testimoni che vivono la loro esperienza al confine tra mistica e impegno, tra l'azione e il silenzio. -
L' ombra delle «colonne infami». La letteratura e l'ingiustizia d...
La letteratura moderna, in particolare nei capolavori, tra gli altri, di Manzoni, Camus, Steinbeck presi in considerazione nel presente volume, con la capacità di iscriversi nelle coscienze che è propria della grande narrativa, ha posto sotto gli occhi e dentro la mente del lettore le crudeli devastazioni della antica e perversa dinamica alla base della costruzione del capro espiatorio e dei riti sacrificali. Specie di quelli che rivestano le pratiche persecutorie col manto legittimo e rispettabile del diritto e del processo penale. Dinamica che in René Girard ha trovato uno dei suoi massimi diagnosti e di cui il libro invita a fare dolente ma salutare esperienza, calandosi negli abissi più oscuri dell'animo umano, non senza riemergerne con possibili prospettive di giustizia e antidoti culturali e regolativi idonei a portare alla luce, contrastare o almeno contenere la formidabile spinta alla ricerca di vittime su cui illusoriamente scaricare colpe e nodi irrisolti da individui, istituzioni e collettività. Nella Storia della colonna infame di Alessandro Manzoni, da cui non a caso si è tratta ispirazione per il titolo del volume, il meccanismo del capro espiatorio trova il suo unico punto di rottura nella figura di Gasparo Migliavacca che, come Cristo in Girard, rifiuta di espandere la furia sacrificale evitando ulteriori chiamate di correità. Senza il suo esempio - come si legge nel libro - l'uomo sarebbe costretto a negare la Provvidenza o ad accusarla, cioè si troverebbe vincolato all'interno di un dualismo incapace di dare una risposta al problema dell'esistenza del male. -
Neuroscienze, corporeità ed espressività
Le neuroscienze ci insegnano che l’essere umano è un’unità biologica di mente e corpo e si rapporta nell’ambiente attivando il sistema senso-motorio, che ci mette in relazione con tutti gli esseri viventi. Attraverso un’accurata dissertazione sulle scoperte più significative delle neuroscienze, questo testo propone una prospettiva innovativa orientata a promuovere la dimensione espressiva dell’esistenza, valorizzata dalla corporeità e da tutte quelle dimensioni creative generate dalla plasticità del cervello. Quest’ultimo è in grado di attivare ‘percorsi sinaptici alternativi’ adatti ad affrontare i problemi guardando oltre l’ordinaria visione delle cose per trovare soluzioni vantaggiose per noi e l’ambiente in cui viviamo. Il corpo non è ‘cosa altra’ ma estensione del cervello e, sapendolo ascoltare, è in grado di difenderci e sostenerci anche in sforzi ambiziosi come quello di preservare l’ambiente e la nostra specie. -
Sulla consolazione. Trovare conforto nei tempi bui
Consolare: trovare conforto insieme, cercare di condividere la sofferenza di qualcuno o di sopportare meglio la nostra. È un'esperienza che accompagna tutti, donne e uomini, da sempre. Ma se un tempo si contava sull'aiuto delle promesse religiose o delle convinzioni filosofiche, oggi ci ritroviamo sempre più muti e inermi, e sempre più soli. Da questa esperienza comune di spaesamento, paura, solitudine di fronte al dolore, portata ancor più a fior di pelle dalla pandemia, parte Michael Ignatieff, storico di fama internazionale, per chiedersi se sia possibile imparare qualcosa dalle ricerche di consolazione del passato. Oggi che il mondo ha smarrito i significati profondamente radicati nelle tradizioni religiose, che il premio della consolazione ha perso ogni attrattiva per una cultura che insegue il successo, è possibile trovare affinità e suggestioni in quei vissuti così lontani e così dolorosamente simili ai nostri? Trovare parole antiche e nuove per ciò che sembra non avere più parole? La risposta di Ignatieff è questa serie di ritratti, disposti in ordine storico, dedicati ciascuno a un personaggio che, trovandosi in condizione estreme, si è rivolto alle tradizioni che aveva ereditato per cercare consolazione: dagli autori dei Salmi, da Giobbe e san Paolo, passando per le lacrime di Cicerone e la depressione di Hume, il balsamo della filosofia, dell'arte, della musica, fino ad arrivare agli eroi della testimonianza civile, come Anna Achmatova o Primo Levi, e all'accudimento della dignità di una vita vicina alla fine tenacemente perseguito da Cicely Saunders, la fondatrice del Movimento Hospice. Raccontata con il rigore dello storico ma anche e soprattutto con la verve avvincente del bravo narratore, una lunga sequela di persone ancora capaci di ispirarci oggi. «Che cosa abbiamo da imparare per questi tempi bui? Qualcosa di molto semplice: non siamo soli, e non lo siamo mai stati». -
Charles de Foucauld. Il vangelo viene da Nazareth
Che cosa suscita l'interesse, se non la passione, di un teologo raffinato come Sequeri verso la figura di un monaco che ha speso la sua vita tra i Tuareg del deserto algerino in un nascondimento che si è spinto fino all'inutilità di una morte violenta e casuale? «de Foucauld mi appare come uno dei profeti dell'esilio meno chiassosi e più incisivi che siano stati destinati da dio alla nostra contemporaneità ecclesiale» scrive Sequeri. La vita di fratel Carlo ha infatti evidenziato in maniera nitida lo splendore del mistero di Nazaret. L'esistenza nascosta che Gesù vi passò per trent'anni, prima del suo ministero pubblico, ha una densità e un significato pregnantissimo: la radicale condivisione della condizione umana nella sua feriale ordinarietà da parte di Dio. Essa già da sola è vangelo, buona notizia. E contiene in nuce la croce, con la sua gloria. -
Segni dei luoghi. Vivere lo spazio, abitare il senso
Dal deserto alla città, dalla strada al giardino, dalla porta alla tomba, dalla casa alle cose, l'uomo è incessantemente chiamato a interpretare, insieme ai «segni dei tempi», anche i «segni dei luoghi»: gli spazi, infatti, non costituiscono un mero ‘scenario' dell'esistere e dell'agire, ma sono una traccia eloquente e una scuola per imparare a vivere in questo mondo. I luoghi non sono un fondale neutro, sul quale si proietta la sequenza dei nostri giorni, come un film su una parete: «Lo spazio è qualcuno per me», come scriveva Pessoa. Spesso, però, i luoghi noti, familiari, quotidiani finiscono per passare inosservati, come se l'occhio – per consuetudine e assuefazione – avesse ormai perso la capacità di contemplarli e di percepire il silenzioso farsi evento dello straordinario nei confini e negli spazi dell'ordinario. Ma l'uomo diviene umano anche grazie allo spazio dell'abitare, del dimorare, del viaggiare, grazie ai luoghi che visitiamo o che scegliamo come nostra casa. In queste pagine il lettore viene preso per mano e invitato a volgere lo sguardo ad alcuni luoghi dell'esistenza, per cercare di entrare in essi in punta di piedi, ad occhi aperti e al ritmo del pulsare del cuore che batte. Un itinerario biblico, spirituale e letterario sul senso dell'abitare la vita e del vivere i luoghi dell'umano e del divino. -
Segni dei tempi. Figure profetiche e cifre apocalittiche
Le profezie sono rimaste lungamente ai margini degli studi storici. Testi spesso oscuri, estranei al lessico scolastico e universitario, presuppongono tradizioni dottrinali e letterarie complicate, intessute di lettere, numeri e simboli dai significati ambigui e mutevoli. Per cercare di comprendere storicamente visioni e rivelazioni, oracoli e sibille, occorre lasciarsi coinvolgere in giochi di pazienza le cui soluzioni sono difficili e restano spesso controverse. Nella prima parte il volume presenta sette saggi che mirano a chiarire trasformazioni e utilizzi, fra Medioevo centrale e Prima Età Moderna, delle principali retoriche profetiche, riguardanti Anticristo, papa angelico e sovrano messianico dei tempi ultimi. Diversamente da quanto si è spesso creduto, le profezie non circolano solo entro cerchie marginali di fanatici, ma innervano conflitti polemici tra papi e imperatori, nutrono ambizioni di cardinali in ascesa, magnetizzano intellettuali come Arnaldo di Villanova e Dante. Elementi fondamentali di legittimazione dinastica e di propaganda politico-ecclesiastica, esse contribuiscono a modellare il linguaggio pubblico, tramutando le nostalgie in speranze, i desideri in promesse, i racconti mitici in attualità storica. La seconda parte comprende cinque saggi riguardanti studiosi europei del Novecento che, confrontandosi a fondo con le questioni poste dal modernismo, hanno rinnovato gli studi biblici e le ricerche di storia intellettuale dell'Occidente medievale: i domenicani francesi da Marie-Joseph Lagrange a Marie-Dominique Chenu, Beryl Smalley, Herbert Grundmann, Arsenio Frugoni, Tullio Gregory.