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La personalità giuridica
Una maschera fissa posta su un volto che cambia, da persona a persona e di momento in momento. È proponendo e tenendo ferma questa definizione che Maurice Hauriou tornerà a interrogare, per oltre un trentennio, il concetto di personalità giuridica. E lo fa mostrandone la funzione fondativa nell'ambito del diritto e insieme lo statuto ancillare rispetto alla forza creatrice del sociale, in un continuo corpo a corpo tra le esigenze di ordine dello Stato e l'irriducibile pluralità delle forme di vita che caratterizza la convivenza umana. È così che, in un lungo percorso non privo di sorprendenti quanto illuminanti cambi di prospettiva, il diritto viene profilandosi come una vera e propria forma di riscrittura del reale, un ritaglio che nega determinati tratti dell'esistente al fine di preservarne la struttura d'insieme, una duplicazione del mondo che ha paradossalmente di mira una sua più compiuta unità. Ma c'è dell'altro. Nei tre saggi sulla personalità giuridica che qui si presentano per la prima volta al pubblico italiano e che costituiscono un'imprescindibile integrazione alla più nota teoria dell'istituzione avanzata dal giurista francese, Hauriou procede al contempo a una radicale rifondazione tanto della materia che il diritto è chiamato a trasmutare quanto delle modalità in cui esso opera. La realtà che si schiude allo sguardo giuridico si presenta così come un assetto privo di una forma pre-data, la cui sempre ridefinibile configurazione non può tuttavia mai prescindere dai concreti contesti normativi che gli stessi attori sociali riconoscono come adeguati per la soddisfazione delle loro differenti e plurime esigenze. È a partire da questo sostrato oggettivo che, invertendo la deduzione classica operata da gran parte della giuspubblicistica non solo del tempo, Hauriou intende fondare la soggettività della persona giuridica. Il diritto si fa così arditissima ricapitolazione del reale, secondo un duplice movimento di conservazione e trasformazione che stabilizza e riarticola di continuo i rapporti sociali, in un dramma senza ultimo atto. -
Teorie dell'architettura. Affresco italiano
Il volume è un progetto di Tedea, un’unità di ricerca del Dipartimento di Culture del progetto dell’Università Iuav di Venezia. È dedicato agli strumenti e ai modi della produzione teorica in architettura. Declinandosi al plurale, all’esplorazione e al confronto tra posizioni di critici e progettisti, è pensato per restituire un affresco italiano. Strutturato come dizionario, il volume rimette in campo termini, scritti e illustrati, dimenticati dalla pratica teorica o dei quali è avvertita l’assenza nel territorio reale. La forma del glossario è tesa a produrre una narrazione molteplice e sfaccettata, le differenti voci convergono a rinnovare l’attenzione verso quanto sovente resta sottinteso o sottotraccia del progettornIl ragionamento sulle teorie dell’architettura ruota qui intorno a due cardini: “progetto e teoria” e “teorie e storia”, due coppie di termini, due nodi attorno ai quali è raccolta una costellazione di lemmi per fissare coordinate e strumenti del pensiero e del fare. I termini dell’armamentario teorico-progettuale sintetizzano strategie, raccontano modi di agire e di costruire, fissano posizioni culturali, solidificano salde connessioni tra l’architettura e la realtà. Le parole, quando cariche di un portato teorico, rappresentano legami con “le cose”, quindi con il loro mutare sia in chiave ipotetica (pensiero) che fattiva (architettura). -
Il caso clinico del viaggiatore sonnambulo
Un caso psichiatrico abbastanza insolito e che desta ancora meraviglia, quello di Albert Dadas, che in stato di sonnambulismo viaggia per la Francia e per l'Europa, arrivando semiaddormentato fino a Vienna, a Mosca (nel 1881, dove viene incarcerato come nichilista), a Costantinopoli e ad Algeri. È il suo medico, Philippe Tissié a raccontare i viaggi trascrivendo le parole di Albert, che prende in cura dal 1886 e che definisce sonnambulo diurno; e che ripetutamente metterà sotto ipnosi per indagarne più a fondo la mente, pratica medica allora in voga, di cui la comunità scientifica discuteva, assieme a sogni, sonnambulismo, suggestione, isteria e doppia personalità. La curatrice, Valeria P. Babini, ricostruisce nella postfazione il rapporto stretto tra il medico e il suo paziente, come una storia a due, dove due sono i protagonisti e narratori, inserendo il caso nei dibattiti psichiatrici dell'epoca. -
Una cena elegante
In questo volume viene riproposta la scelta di testi walseriani, curata e magistralmente tradotta da Aloisio Rendi (Lerici 1961), che segnò la prima apparizione dello scrittore svizzero in Italia. Tuttavia, rispetto a quell'edizione, sono state riprese solo le sezioni dedicate agli Aufsätze (1913) e a Kleine Dichtungen (1914), due libri appartenenti alla fase più felice della produzione di Robert Walser. -
Lingua madre. Ottave 1994-2019
La poesia di Emilio Rentocchini è un evento unico nella storia della poesia italiana del nostro tempo. La sua opera consta essenzialmente di trecento ottave ciascuna scritta per così dire due volte: nel dialetto di Sassuolo e in italiano. Si tratta di ottave perfette secondo la tradizione metrica (ABABABCC) di questa strofe che, dai poemi cavallereschi del Duecento fino al Boiardo e all'Ariosto, appartiene alla poesia epica e narrativa; ma, Rentocchini, con un'invenzione geniale, la strappa dal suo contesto e trasforma ogni ottava in una poesia autonoma di natura essenzialmente lirica. Rentocchini si è calato in questa forma inflessibilmente chiusa fino al punto in cui la costrizione metrica si rovescia in un'inaudita libertà: «non mi sono mai sentito così libero - ha scritto - come quando sono prigioniero dell'ottava». E la versione in lingua non va considerata come una traduzione, ma come parte integrante di una stessa ottava per così dire raddoppiata, «costruita sul labile confine tra le due lingue, con continue incursioni nei due sensi», nelle quali il dialetto e l'italiano «interagiscono e cooperano, talvolta armonizzandosi e talvolta collidendo». Prefazione di Giorgio Agambien. -
La critica viva. Lettura collettiva di una generazione (1920-1940)
"Siamo negli anni Venti del nuovo secolo e millennio. E cent'anni fa cominciava a nascere, nel nostro Paese, una curiosa, distesa, eclettica generazione di personalità critiche che - tra lingua e letteratura, filologia e strutturalismo, teoria e comparatistica, psicanalisi e sociologia, narratologia e semiologia, estetica della ricezione e storia della cultura... - avrebbe tenuto a battesimo una buona parte dei nostri studi letterari, nelle università e non solo, fino a oggi. In circa ventuno anni - dal 24 marzo del 1920, in cui viene alla luce Cesare Cases, al 6 dicembre del 1940, data di nascita di Romano Luperini - abbiamo provato a selezionare cinquantadue temperamenti critici, con Adelia Noferi, Lea Ritter Santini, Delia Frigessi, Lidia De Federicis, Maria Luisa Doglio, Grazia Cherchi, Rosanna Bettarini e Teresa de Lauretis come sole ma eloquenti rappresentanti di un plurale pensiero femminile, capace già - pur in seno a una minore rappresentanza figlia dell'epoca - di passare da una critica più accademica e teorica a una più militante e didattica, capace di dirsi all'università come nell'editoria, tra commento ai testi, impegno civile e studi di genere, tra Italia, Europa e America. Si tratta perciò di un volumetto denso ma abbastanza agile, che forse potrebbe dare inizio a una piccola serie prospettica (1941- 1960, per dire), intesa già qui non solo e non tanto come omaggio, ma come profilo di una politica (fra molte virgolette, ma anche senza virgolette) delle critiche e dei critici nel secondo Novecento e all'alba più o meno sfrangiata e irta del nuovo secolo e millennio che stiamo vivendo. Ecco, il volume che avete fra le mani non è solo un omaggio ai maestri e un profilo dei maggiori critici italiani del secondo Novecento - magari con qualche dimenticanza, di cui chiediamo venia: il canone è tanto provvisorio quanto ampio, e vuole tendere all'oggettività, ma risente (come è inevitabile e tutto sommato giusto) delle passioni, delle curiosità, e forse pure delle idiosincrasie, peraltro diversissime, dei curatori. La critica viva - questo è il punto - ha anche un'ambizione etica e appunto politica, che si dipana tra insegnamento, ricerca e società: contesta il crescente (e sciagurato) abbandono, nelle università, della storia della critica; rende evidente la capacità degli studi letterari di incidere sul discorso sociale, contribuendo - con la loro libertà e diversità - a restituire nel suo insieme più ricca, meno provinciale, più complessa un'intera cultura; rivendica il contributo imprescindibile che le studiose e gli studiosi di letteratura hanno dato al Novecento italiano e (forse) ancora sono in grado di dare." -
Il transito mite delle parole. Conversazioni e interviste 1974-2014
Narratore, saggista, traduttore, poeta, regista: tante sono le facce di Gianni Celati, uno dei maggiori scrittori italiani del XX e del XXI secolo. Ora se ne aggiunge un’altra, quella del parlatore. Sempre disponibile nei confronti dell’avvenimento fortuito, dell’incontro estemporaneo, Celati si intratteneva indifferentemente con studiosi affermati e con perfetti sconosciuti, con estimatori della sua opera e con quanti di lui non avevano mai sentito parlare. Le pagine di questo volume di conversazioni e interviste danno modo di riascoltare la sua voce inconfondibile. Sono sessantasette incontri apparsi su giornali, riviste, libri o registrati nel corso di trasmissioni radiofoniche e televisive. Con lucidità non comune, talvolta occultata in toni bonari e divaganti, Celati espone le sue idee sul lavoro dello scrittore, sulla letteratura, su autori del presente e del passato, sull’arte, sul cinema, sulla musica rock, sulla filosofia e su tanto altro. L’autore più antiletterario della nostra tradizione e insieme il più appassionato cultore della nostra letteratura traccia così la sua rotta all’interno di quella attività artistica che è lo scrivere, da lui concepito come atto artigianale, ricerca senza posa di forme e pensieri imprevisti al riparo da ogni dogma e parola d’ordine. -
Figure e temi nell'architettura italiana del Novecento. Da Gigiot...
Il volume presenta un’originale storia dell’architettura italiana del Novecento organizzata non secondo periodi storici o categorie stilistiche, bensì attraverso quattordici figure emblematiche di questa disciplina, rappresentative di linee di pensiero diverse che, una volta annodate, restituiscono un quadro variopinto, conseguenza della grande varietà di scuole regionali e di idee contrapposte. Le figure sono sia di estrazione provinciale (Gigiotti Zanini, Ettore Sottsass sr, Cesare Cattaneo, Gustavo Pulitzer Finali), sia attive in grandi centri (Giuseppe Terragni, Adalberto Libera, Ignazio Gardella, Federico Gorio, Luigi Figini e Gino Pollini, Luigi Cosenza, Gio Ponti), sia dei solitari (Lina Bo, Giancarlo De Carlo), sia dei grandi accentratori (Vittorio Gregotti). I saggi a loro dedicati però restituiscono i differenti contesti delle loro opere, contesti anzitutto intellettuali. È così che un tema di storia dell’architettura può sfociare parimenti nella storia della cultura in generale, come nota la curatrice Guia Baratelli, sottolineando in particolare il tema dell’«allografia» quindi del superamento di ogni individualismo. Del resto, come rimarca l’autore, essendo l’architettura anche «un’arte oramai indissolubilmente legata all’ingegneria, al calcolo, agli impianti, ai prodotti della tecnica, essa diviene opera collettiva, aperta agli apporti d’ogni genere e ai contributi d’ogni derivazione». La chiarezza stilistica di Giorgio Ciucci e la sua equanimità cosmopolita – agli antipodi della «storia scritta con il pugnale» di Bruno Zevi – sono dunque un prezioso resoconto per nulla manualistico perché procede attraverso biografie anziché per categorie: dopotutto, come suggeriva Eugenio Garin, «le idee camminano sempre sulle gambe degli uomini». -
In cerca di vite già perse. Testo inglese a fronte
Simon Armitage è considerato uno dei maggiori poeti contemporanei di lingua inglese, erede di una grande tradizione e associato spesso ai nomi di Philip Larkin e Ted Hughes, Paul Muldoon e Robert Lowell. Questa antologia racchiude una scelta delle sue poesie più significative. Poesie in cui spicca la forza della voce di Armitage, capace di raccontare il quotidiano in modo imprevedibile, capace di trasformarlo, con una parola, in straordinario. Una scoperta continua per il lettore che rimane colpito, come afferma il curatore della raccolta Massimo Bocchiola, ""dalla vastità e dalla varietà del suo paesaggio poetico, inteso sia come argomenti affrontati sia come strumenti espressivi messi a punto (e dispiegati) con acume e passione"". Il nostro mondo, quello in cui siamo immersi o che conosciamo dai libri, ci svela così sfumature inaspettate, raccontate con un linguaggio solo in apparenza semplice, ma in realtà levigato e perfetto. Dai conflitti mondiali agli attentati terroristici degli ultimi anni, dalla ripresa di classici della letteratura alla presentazione di un mondo nuovo intriso di tecnologia, Armitage ci dà una visione assolutamente originale della realtà, che non è più solo quella ""ufficiale"" ma che si allarga e si moltiplica davanti a noi in interpretazioni illuminanti e impreviste. -
Dove sei stato?
Da Dublino a New York e Londra, tanti sono i temi, gli sfondi, i personaggi che animano le vicende di questa raccolta di struggenti storie irlandesi, ma sono soprattutto i sentimenti e la difficoltà di viverli nella quotidianità i veri protagonisti. Fra commozione e umorismo nero, squarci di inaspettata poesia e crudo realismo, Joseph O'Connor ridisegna una geometria dell'animo: i sogni infranti della gioventù e il confronto tra generazioni in un'Irlanda travolta dalla crisi economica, l'irrimediabile impotenza di fronte alla vita che sfugge o che d'improvviso si svuota di senso, l'amore che imprevedibilmente si fa strada dove ormai c'erano solo freddezza e diffidenza, la solitudine sempre in agguato, ma anche l'ironia che alleggerisce le situazioni più disperate. La prosa asciutta dell'autore traccia otto affreschi vividi e disincantati, ferite aperte di un'umanità disorientata e confusa, ma più che mai autentica. -
L'arte come terapia. The school of life
Spesso sentiamo dire che l'arte ha un'importanza cruciale; ma di rado ci viene spiegato esattamente perché. Alain de Botton e John Armstrong sono convinti che possa essere di aiuto nel risolvere i nostri dilemmi più comuni: Perché il lavoro spesso non coincide con la realizzazione personale? Come si possono migliorare le relazioni con gli altri? Qual è il senso vero da dare all'amore? Come iscrivere le sofferenze private in un quadro più ampio e sereno? Questo libro introduce un nuovo modo di interpretare e recepire l'arte: non solo oggetto di apprezzamento estetico, ma anche un potente strumento per migliorare la nostra vita. -
Il fiordo dell'eternità. Ediz. illustrata
Nel 1782 Morten Pedersen Falck lascia il suo villaggio norvegese per trasferirsi nella capitale Copenaghen e dedicarsi allo studio della teologia. Pur avviato alla carriera religiosa e alla cura delle anime, il giovane Morten preferisce frequentare i corsi di medicina, affascinato dalle autopsie che si eseguono nelle cantine della facoltà. Si innamora di una ragazza di famiglia borghese, ma nelle bettole di periferia scopre anche un'attrazione ben più ambigua e viscerale mentre, al tempo stesso, un anelito religioso lo spinge, una volta divenuto pastore, a richiedere di essere inviato nella colonia danese in Groenlandia. Gli spazi sconfinati e vergini dell'isola, promessa di libertà e futuro, si trasformano in una prigione claustrofobica e intollerabile. Partito per convertire gli inuit e redimere gli eretici del Fiordo dell'Eternità, a sua volta Morten Falck cade preda del loro incantesimo. Le certezze dogmatiche ma superficiali della teologia vengono spazzate via da una religiosità primordiale e pagana, promiscua e allucinata. Anche il momentaneo ritorno alla civiltà e alla famiglia, che culmina in un grandioso affresco dell'incendio che distrusse Copenaghen nel 1795, non può nulla contro l'attrazione per il vuoto immenso della Groenlandia. -
Il brigante. Ediz. illustrata
In una notte flagellata da un forte temporale, quattro uomini si ritrovano per caso seduti allo stesso tavolo di una taverna sperduta sui monti dell'Appennino pistoiese. Ma spesso il caso non è altro che una delle vesti che usa il destino per celarsi agli uomini: a pochi passi da loro, infatti, dorme sdraiato sopra una panca davanti al fuoco un mitico e sanguinario brigante, Frate Capestro. Nessuno sembra fare caso a lui. Ma la notte è lunga, e bevendo vino i quattro uomini raccontano a turno alcuni episodi delle loro vita: tutti hanno qualcosa da nascondere, nella memoria di tutti giacciono colpe taciute e mai veramente espiate. Il brigante li ascolta in silenzio. E si prepara all'arrivo dell'alba, quando tutti dovranno finalmente fare i conti con lui e con il loro passato. -
Guida rapida agli addii
Aaron, giovane vedovo ancora sconvolto dalla perdita della moglie Dorothy, comincia a riceverne le visite. Per strada, al mercato, al lavoro, Dorothy lo affianca silenziosa nei mesi del lutto. Per Aaron, balbuziente, leggermente zoppicante, soffocato per tutta la vita dalle attenzioni di donne troppo premurose - dalla madre apprensiva alla sorella invadente, alle fidanzate votate più ad assisterlo che ad amarlo - l'incontro con Dorothy era stato una liberazione. Finalmente una donna diretta, pratica, quasi asociale ma per nulla sentimentale e soprattutto refrattaria a ogni pietismo, una donna che lo trattava come un uomo e non come un bambino da accudire. Insieme si erano costruiti un rifugio, vivendo in una simbiosi assoluta che portava ciascuno a coltivare le proprie idiosincrasie e ad amplificare quelle dell'altro. Ma ora che lei non c'è più, tranne che nelle sue brevi apparizioni, Aaron è costretto ad avventurarsi di nuovo in un mondo dove i vicini di casa lo foraggiano ogni giorno con abbondanti provviste di cibo; la sorella insiste per ospitarlo; i colleghi fanno di tutto per rendergli la vita più facile e qualcuno già cerca di combinargli un incontro con una giovane vedova altrettanto sola e bisognosa d'affetto. Con tono leggero e divertito, e la consueta capacità di tratteggiare i personaggi, Anne Tyler descrive il percorso tortuoso che dallo smarrimento della perdita conduce alla scoperta di nuove, infinite possibilità, sfociando in un inno alla vita e alla sua stupefacente varietà. -
Romàns
La sofferta vicenda di un giovane prete della campagna friulana, che cerca con la forza sincera della sua vocazione di realizzare un processo di redenzione sociale attraverso l'istruzione. Ma la sua volontà si scontra con i suoi impulsi più profondi...rnrnLa vicenda di «Romàns» si svolge negli anni del secondo dopoguerra e ha per sfondo la pianura friulana tra le rive del Tagliamento e i bastioni delle Prealpi. È la storia di un giovane prete, del suo arrivo in uno sperduto paesino del Friuli, e del drammatico processo interiore che lo porterà alla consapevolezza di una realtà sociale che il suo apostolato non riesce ad assorbire del tutto, e anche dell'insanabile contrasto tra la visione del proprio ruolo e gli impulsi più naturali, che lo spingono all'amore per un ragazzo. A «Romàns», che si configura quasi come un breve romanzo autonomo, si accosta «Un articolo per il ""Progresso""», un racconto ""che vede una volta ancora in azione la 'meglio gioventù'"" (così Nico Naldini nell'introduzione), e «Operetta marina», narrazione emersa «da una raccolta di carte, frutto di un complesso e mutevole disegno narrativo che ha come oggetto il mare» e che è compresa sotto il titolo «Per un romanzo del mare». Nella sua dimensione di ""leggenda personale"" essa viene a completare e a chiudere il libro esemplare di una felicissima stagione. -
Tutti i racconti
Come dice Cortàzar, «nel combattimento che si scatena fra un testo appassionante e il lettore, il romanzo vince sempre ai punti, mentre il racconto deve vincere per knockout». Ed è forse nel racconto, scrive Bruno Arpaia nell'introduzione, «che Sepùlveda dà il meglio di sé, grazie al suo gusto per le immagini pennellate con estrema cura, alla sua capacità affabulatoria ed evocativa che gli permette di stilizzare con semplicità e leggerezza calviniane i personaggi e gli eventi più complessi. Avere sotto mano, in un unico volume, tutte le sue narrazioni brevi consente dunque al lettore di apprezzare ancora meglio queste sue virtù, viaggiando con maggiore comodità nei suoi microuniversi... negli scenari più remoti e diversi, dalla Patagonia al Nicaragua, da Amburgo al Cile, da Parigi a El Idilio, l'immaginario villaggio del Vecchio che leggeva romanzi d'amore. Percorrendo d'un fiato questi paesaggi, ci si renderà anche conto dell'evoluzione dell'autore cileno, fino ai racconti più recenti, in cui la voce di Luis Sepùlveda diviene inconfondibile e imperiosa come un marchio di fabbrica.» -
Ave Virgilio. Carme. Testo tedesco a fronte
""'Col tanfo di caseificio, col chiasso degli zoccoli io sono, ingiustificatamente, la polvere delle ossa dei miei indebitati vicini...' Composto verso il 1960, pubblicato nel 1981, e definito dallo stesso Thomas Bernhard come un testo di assoluta pregnanza all'interno della sua produzione narrativa, 'Ave Virgilio' rappresenta l'esito di due tendenze stilistiche apparentemente contraddittorie. Riflessione teorica e concrezione corporea, teologia negativa e ossessione materica, proiezione simbolica e décor regionalistico convergono nella stesura di un manufatto nero ed oracolare. Infatti, benché il libro rechi le tracce di due soggiorni all'estero (Gran Bretagna e Italia), il suo vero cuore sta nel lacerante sentimento di attrazione e odio che l'autore nutre verso la propria terra: 'Il mio sapere ce l'ho dai solchi nei campi di patate, dall'oscurità del porcile ho appreso cielo e terra, nel rotolio dei mucchi di mele ottobrine ho il mio salmo incessante...' Osti, parroci, sindaci, mastri birrai, arcivescovi, scrivani comunali, contadini e sposi, figure dell'autorità o del martirio (il Padre contro il Figlio) insieme a baluginanti santi intercessori quali Catullo, Dante, Pascal, o Virgilio, compongono il quadro di un inferno bucolico fatto di sangue, cunei nella carne, mattatoi. Lo si vede ad esempio nell'allucinato 'Canto del figlio del macellaio'."" (Valerio Magrelli) -
Il cuore avventuroso. Figurazioni e capricci
Nei racconti del Cuore avventuroso si intrecciano le due anime di Jünger: quella lucida e assorta del contemplatore e quella infiammata e penetrante del visionario. Dal suo sguardo, confinante spesso con l’allucinazione, sorgono visioni che si vorrebbe fossero soltanto sogni: fiabe crudeli in cui una giovane bionda è straziata da una sorella bruna; magici sobborghi di Berlino che si aprono ad avventure verso l’ignoto. A queste scene buie si alternano momenti di luce accecante, in cui Jünger enuncia con formule memorabili le geometrie dell’universo, dai cristalli ai petali di rosa, tracciando bellissime descrizioni della natura, degli animali e degli insetti. Uno dei libri più folgoranti di un autore che ha attraversato da protagonista un secolo di storia contemporanea. -
Cento haiku
""Gli haiku saettano come smussate freccioline che c da un mondo simile a quello di Alice, ma dotato di una sottile, intricata coerenza che non è soltanto il rovescio dello specchio delle nostre coerenze. Sono spiragli da cui filtra qualcosa di accecante e insieme di carezzevole, sono cuspidi elastiche di qualcosa che deve restare sommerso, per noi (e forse per tutti), ma che pure sentiamo necessariamente nostro. (...) Gli haiku hanno quasi l'aria di ""scusarsi"" dell'esserci, se l'esserci comporti una qualche violenza sull'essere-puro e sul lettore-puro, se comporti una seduzione troppo viscosa per darsi come eleganza, un giro logico che voglia catturare, vincolare, piuttosto che aprirsi appena in sollecitante enunciato, in ammiccante moto di palpebra."" (Dalla presentazione di Andrea Zanzotto) -
Il meglio di P. G. Wodehouse
Nei racconti di questa raccolta il lettore trova un'ampia scelta per una lettura piacevole e di sicuro divertimento: dalle vicissitudini nel castello di Blandings del povero Lord Emsworth, sempre in balia della tirannica sorella Lady Constance, alle vivaci storie con cui il signor Mulliner intrattiene gli avventori dell'Anglers' Rest, alla comicità delle situazioni in cui si vengono a trovare i frequentatori del Drones Club, fino alle arguzie che il maggiordomo Jeeves mette in atto per togliere dai guai il suo giovane signore. Il tratto che accomuna queste storie è, naturalmente, lo strepitoso, irresistibile umorismo, che ha conquistato intere generazioni di lettori; ma non si apprezza a fondo Wodehouse se non se ne colgono la qualità stilistica e l'inventiva lievemente surreale, capace di creare un mondo delizioso quanto vitale.