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Azzurro. Stralci di vita
“Mi chiamo Curzio. Mio padre ha voluto questo nome. Un po’ per Malaparte ma soprattutto perché era un nome senza santo.” La Roma allo stadio con un padre scavezzacollo e convinto socialista, l’Eur, un viaggio in Calabria con la 500, il macinino, che era la Niña, la Pinta e la Santa Maria di un’intera generazione. Mancava poco alla fine dell’innocenza e dell’allegria, il 12 dicembre 1969. Era l’Italia del boom, fine boom per essere più precisi. Un Paese ancora ingenuo, spensierato, rivolto al futuro, dove perfino i poveri potevano sentirsi felici. Il sabato era una festa. Andare con la mamma alla Rinascente. Uno spazio enorme, nel pieno centro di Milano. Il profumo di Mariangela Melato. I foulard di seta di Carla Fracci. Armani. I panzerotti del Pugliese. La lotta di classe nella scuola privata al parco Lambro per poter fare il tempo pieno. Studiare al liceo negli anni di piombo. Alle 4 del mattino tornare a casa a piedi da piazza del Duomo a Sesto San Giovanni, perché i mezzi a quell’ora non c’erano. La rivoluzione operaia a Sesto, o meglio un sogno che non si realizzerà mai. Le Br e Walter Alasia. Il Leoncavallo e il Macondo. “Il Male”. “Ridevamo come pazzi e poi con un pensoso e penoso senso di colpa passavamo alle cose serie, la politica, il giornalismo e la cultura ufficiali.” Poi ci fu la tragedia che colpì l’Italia proprio nel momento in cui si poteva fare davvero qualcosa di grande: l’assassinio di Moro nel maggio del ’78. Mettersi in fila per trovare un lavoro in redazione, il giornalismo sportivo. “La Notte”, “La Gazzetta dello Sport”. Paolo Conte. Di Pietro e Mani pulite, l’ultima grande occasione per l’Italia di diventare un grande Paese moderno. New York. Il cinema. “la Repubblica” (il Milan, Berlusconi eccetera) e la Dolce Vita. Bruxelles con Tsipras. Zeno. Uscire solo col cane, durante il Covid. Roman Polanski e Macbeth, un presagio di morte e gli occhi aperti sulla vita. Il racconto di una vita vissuta con grazia e ironia. Dentro c’è tutto il romanzo dell’Italia contemporanea. -
Resta ancora tanto da dire. L’ultima lezione
Il 2 giugno 2018, all’Università di Tel Aviv, Amos Oz tiene la sua ultima conferenza. Gravemente malato e consapevole della sua imminente fine, le sue parole risuonano come un testamento politico. Fervente difensore della pace, invoca la soluzione dei due stati in Medio Oriente, leitmotiv del suo lavoro e delle sue lotte. “Se non ci saranno qui, e piuttosto presto, due stati, allora ce ne sarà uno solo. E se dovesse sorgere qui un solo stato, non sarebbe uno stato binazionale. Sarebbe, prima o poi, uno stato arabo dal Mediterraneo al Giordano.” Amos Oz da sempre mette in evidenza il pericolo per il popolo ebraico di rimanere una minoranza. Perspicace, mostra tuttavia un inscalfibile ottimismo, ed esorta il popolo israeliano a prendere in mano le redini del proprio destino perché, usando un’espressione dello scrittore Yosef Haim Brenner, “resta ancora tanto da dire”. -
Sotto il vulcano. Idee/Narrazioni/Immaginari. Rivista trimestrale. Vol. 7: Sopravvissuti
Al centro di questo numero parliamo di Sopravvissuti, il tema scelto da Paolo Giordano, scrittore e giornalista, vincitore del Premio Strega 2008, insieme a Marino Sinibaldi. A raccontarci le diverse sfumature di una condizione che in quest’epoca sembra improvvisamente riguardare tutti, anche l’Occidente un tempo benestante, sono come sempre scrittori, scienziati, attivisti, poeti, fumettisti e giornalisti attraverso racconti, memoir, riflessioni, graphic novel e interviste. Accanto a loro, le rubriche degli autori che accompagnano la rivista fin dal primo numero. -
Ritual. Storia dell'umanità tra natura e magia
Il mondo animale è pieno di riti, ma gli esseri umani sono la specie rituale per eccellenza. Il rito è uno dei fili più antichi e certamente più enigmatici della storia della cultura umana. Presenta un paradosso: le persone attribuiscono la massima importanza ai loro rituali, ma pochi sanno spiegare perché sono così importanti. Cerimonie apparentemente inutili pervadono ogni società documentata, dalle strette di mano alle maledizioni, dalle feste di addio alle parate. Prima che imparassimo a coltivare, ci riunivamo in giganteschi templi di pietra per celebrare elaborati riti e cerimonie. Eppure, sebbene i riti esistano in ogni cultura e possano persistere quasi immutati per secoli, la loro logica è rimasta un mistero, fino a oggi. Dimitris Xygalatas è un antropologo e ha girato il mondo per raccontare le ragioni evolutive del rito. Il rito, infatti, è pratica comune a tutti gli uomini e a tutte le società. Con questo libro ci lasciamo andare a un viaggio lontanissimo nel tempo e nello spazio. Incontriamo scene spettacolari e rivelazioni sulle nostre origini: nel Neolitico la nascita della civiltà, con il passaggio da nomadi a stanziali, non accadde grazie all’agricoltura, ma con le prime forme di aggregazione sociale. I riti, appunto. Dal punto di vista dell’evoluzione, e contrariamente a quello che ci hanno insegnato a scuola, la sostituzione di caccia e raccolta con l’agricoltura ci rese fisicamente più deboli. Fu la coesione sociale innescata dalla ritualità a garantire prima la sopravvivenza e poi lo straordinario sviluppo di Homo Sapiens. Xygalatas attraversa il regno oscuro del comportamento umano e costruisce per noi una nuova potente prospettiva sul nostro posto nel mondo. Nelle feste di compleanno e nelle incoronazioni, nelle preghiere silenziose, nelle passeggiate nel fuoco e nei terrificanti riti di passaggio, in tutta la sconcertante varietà della vita umana, il rituale rivela i meccanismi profondi e sottili che ci legano. -
Troppo neri
C’è una sola regola fra gli immigrati in partenza: “Non si inizia mai un viaggio insieme a un congiunto”. Troppo rischioso per due fratelli, per un fratello e una sorella, impensabile per un marito e una moglie. Per questo i congiunti si separano prima della partenza, dandosi appuntamento solo all’arrivo, raccontandosi delle bugie a cui fingono di credere, pur sapendo che probabilmente non si rivedranno mai più. In Italia solo il 16% degli immigrati è salvato dalle navi delle ONG. Fra loro ci sono donne all’ottavo stupro in due anni di viaggio, alcune si carezzano con violenza una pancia cresciuta senza volontà, ma ci sono anche figli piccolissimi che sono per le madri l’unico bagaglio che valga la pena portare con sé e salvare, in mezzo al mare. Oltre ai migranti che affrontano viaggi spietati e pericolosi, esistono anche le seconde e terze generazioni. Ragazze e ragazzi arrivati in Italia piccolissimi, senza conoscere i Paesi in cui sono nati se non nel racconto delle famiglie, o semplicemente nati sul nostro suolo. Ragazzi e ragazze senza cittadinanza, senza passato, troppo neri per essere considerati italiani, o troppo italiani per essere considerati nigeriani, etiopi o afghani. Ragazze e ragazzi che vanno a scuola con i nostri figli, con loro fanno sport, musica, teatro: con loro giocano e sognano, qualche volta partecipano ai compleanni. A scuola imparano la storia italiana, la letteratura, l’educazione civica, ma non hanno gli stessi diritti dei loro compagni italiani. L’immigrazione ha tanti volti e sono tutte persone. Scardinando i luoghi comuni, così come fa sempre nel suo lavoro di giornalista, e senza mai perdere tenerezza o lucidità, Saverio Tommasi racconta alcune di queste storie vere, drammatiche ma anche piene di vita e di speranza, insieme al fotogiornalista Francesco Malavolta, che accompagna queste narrazioni con le sue fotografie intense, frutto di molti anni di lavoro in viaggio per il mondo. -
Sotto il vulcano. Idee/Narrazioni/Immaginari. Rivista trimestrale. Vol. 6: Conflitti
“Sotto il vulcano” è una rivista trimestrale che, nell’arco di una serie di dieci numeri, si propone di mostrare, documentare, raccontare e re-immaginare la realtà. La scommessa è che da traumi come quelli che stiamo vivendo nascano pensieri e narrazioni nuove. Il proposito è di raccoglierli e, senza promettere risposte, aprire uno spazio in cui le domande più profonde, serie, affascinanti vengano a galla e trovino voce. Nella parte centrale di questo numero, che Francesca Mannocchi, giornalista, scrittrice e documentarista, cura al fianco di Marino Sinibaldi, ci occupiamo dei Conflitti, non solo bellici, che sembrano caratterizzare in particolare gli ultimi anni, e dei dubbi salutari che dovrebbero suscitare. A parlarci di Ucraina, di diritto alla vita e alla morte, di informazione e disinformazione, di democrazia e di generazioni a confronto sono, come sempre, scrittori, filosofi, poeti, giornalisti e disegnatori attraverso racconti, memoir, riflessioni, graphic novel e interviste. -
Lo scoiattolo sulla Senna. L'avventura di Calvino a Parigi
Italo Calvino visse a Parigi per tredici anni, dal 1967 al 1980. Fu un periodo per lui fondamentale sul piano personale e su quello letterario. La conoscenza approfondita della cultura francese di quegli anni (Parigi era la capitale della Nouvelle vague, degli intellettuali engagés, dello strutturalismo, della psicoanalisi), e in particolare gli stretti legami con il gruppo dell’Oulipo (di cui facevano parte Raymond Queneau e Georges Perec) e con Roland Barthes, hanno impresso una svolta fondamentale al suo lavoro e alla sua visione della letteratura. In quegli anni nascono ""Le città invisibili"""", """"Il castello dei destini incrociati"""" e """"Se una notte d’inverno un viaggiatore"""", romanzi molto innovativi, che suscitarono non poche discussioni sull’evoluzione “francese” dello scrittore. Per Calvino Parigi era al contempo un rifugio, un luogo d’esilio e di creazione letteraria, come si legge nel suo """"Eremita a Parigi"""". Per certi versi, la capitale francese diventa anche una fonte d’ispirazione. E non a caso se ne ritrovano le tracce in alcune delle sue opere, ad esempio nei racconti di """"Palomar"""". Fabio Gambaro si concentra su questo periodo della biografia di Calvino, per far luce su un’esperienza essenziale ma ancora poco conosciuta dell’autore del """"Barone rampante"""". Senza dimenticare che gli anni parigini di Calvino evocano il mondo culturale parigino, quando ancora la Ville Lumière era la capitale mondiale della cultura. In questa prospettiva lo sguardo dello scrittore italiano sulla città e sulla sua cultura risulta ancora oggi acuto e stimolante."" -
Chimere. Sogni e fallimenti dell'economia
Cos’hanno in comune il sogno libertario delle criptovalute, quello tecnocratico dell’indipendenza delle banche centrali, la finanziarizzazione del sistema economico, l’abolizione della fatica attraverso la tecnologia, la globalizzazione e un mondo senza barriere, l’illusione della crescita infinita e l’idea che, tagliando le tasse ai ricchi, tutti staranno meglio, come con la flat tax? Sono sette grandi sogni immaginati e concretizzati da riformisti visionari, uomini e donne con la volontà di cambiare il mondo. Eppure, il confine tra sogno e utopia è spesso sottile, e tante idee geniali, messe a confronto con la realtà, hanno preso la direzione sbagliata: qualcosa è andato storto. Nelle vicende umane, del resto, i percorsi possono diventare accidentati, le cose possono sfuggire di mano, e i risultati rivelarsi deludenti o implicare effetti collaterali indesiderati. Carlo Cottarelli chiama quelle visioni “chimere” e le racconta in questo libro, spiegando al grande pubblico qual è la consistenza dei sette sogni e qual è la posta in gioco del loro successo o fallimento. Sono questioni che riguardano noi e le generazioni future, perché dovremo affrontare il problema di una crescita compatibile con i vincoli ambientali, la necessità della stabilità monetaria, le conseguenze di un’eventuale deglobalizzazione. “Stiamo sognando troppo a lungo e, nel mentre, non facciamo quello che sarebbe necessario per rendere il sogno una realtà. C’è ancora tempo, è vero, ma dobbiamo renderci conto che sognare non è abbastanza.” Perché grandi visioni riformiste si sono spesso rivelate pericolose chimere? -
Atlantolario. Spalancare il mondo a parole
Accade un giorno alla Scuola Holden: ci sono un bel po’ di studentesse e studenti e, in mezzo a loro, c’è Jovanotti. Lui si racconta con generosità e intelligenza, loro chiedono, parlano, si espongono: un crepitare di energia che mette addosso la voglia di rivedersi. Di scoprirsi. Alla fine è chiaro a tutti che quell’energia non può andare dispersa, perché l’energia che si sprigiona da ogni singola parola ha il potere di ridisegnare la mappa di quel che conosciamo. Questo libro nasce da qui: dalla vertigine di esplorare il potere delle parole perché oggi, più che mai, il mondo è fatto di parole. Anzi, questo libro nasce dalla possibilità di dire un po’ del mondo per illuminarlo da un’altra prospettiva. Dunque non poteva che essere un atlante vocabolario, un atlantolario, perché è una mappa fatta di parole. Ispirati dal carisma e dall’immaginario di Jovanotti, i ragazzi della Scuola Holden hanno infatti scelto parole in grado di dare un nome a ciò che oggi ci entusiasma, ci fa innamorare, ci fa ballare, ciò che colora e dà ritmo alla vita: all’energia che ci tiene insieme anche se abbiamo età diverse. In un certo senso, questo libro è una fotografia che ci fa stare tutti nella stessa inquadratura. Che ci dà un posto – un mondo – da abitare. Perché condividere certe parole, e ciò che custodiscono, è il modo di ricordarci sempre l’umanissima tribù a cui diamo forma insieme, più potente di qualunque realtà geografica. L’ombelico del mondo è l’insieme dei nostri ombelichi, è un’infinità di linee nomadi – migranti – che quando entrano in contatto creano un unico, enorme, spettacolare ammasso di energia che si condensa, si concentra, lascia traccia di sé. -
Il soffio della vita. Corrispondenza con Evgenjia (1921-1931)
Le lettere di Boris Pasternak alla sua prima moglie Eugenija Lur'e aprono una porta segreta su ""scene da un matrimonio"""" dove l'amore viene lentamente sovvertito dal bisogno impellente dei due protagonisti di affermare il proprio istinto creativo. Il nucleo centrale dello scambio epistolare coincide con i dieci anni del matrimonio con la giovane pittrice, conosciuta nell'estate del 1921, poco prima che i genitori del poeta lasciassero la Russia."" -
Il mondo estremo
Agli estremi confini del mondo conosciuto, fra le tempeste e i ghiacci del Mar Nero, c'è una città selvaggia e poco abitata, Tomi, il luogo dell'esilio di Publio Ovidio Nasone. Ai giorni nostri, in un sovrapporsi di piani temporali, giunge a Tomi un amico di Ovidio, Cotta, determinato a trovare tracce del poeta e del suo capolavoro incompiuto, le ""Metamorfosi"""". Esiliato da Augusto, o dalla sua corte di oratori e politici, dopo aver tenuto un discorso meraviglioso per l'inaugurazione di un nuovo stadio senza però rendere il consueto e doveroso omaggio all'imperatore, Ovidio pagherà con gli anni della solitudine la sua denuncia di scandali politici e, forse, la libertà erotica dei suoi versi."" -
Inventario
La storia si svolge a Tel Aviv e ha inizio, come altre opere di Shabtai, con una morte. Il primo di aprile muore il padre di Goldman, uno dei protagonisti, e l'intera vicenda occupa un tempo breve, dalla morte del padre di Goldman al suicidio di quest'ultimo, il primo di gennaio: da un torrido inizio estate a un fangoso inverno. Gli altri due protagonisti, lsrael e Cesar, compaiono all'inizio dell'opera, in pagine grottesche e surreali: inseguono di cimitero in cimitero, alveari brulicanti di folla, il funerale del padre di Goldman e intanto, nella luce accecante, nell'aria arida, sotto il sole cocente di quell'inizio di aprile, pensano al defunto. Perché, per esempio, uccise all'improvviso il cane ""Nuit sombre"""", il cane nero della Kaminskaia?"" -
Senza mai fermarsi. Un'autobiografia
Paul Bowles nasce figlio unico di una coppia appassionata di musica e buone letture. Fin da bambino il protagonista manifesta le proprie passioni: scrive giornalini, diari di personaggi immaginari, progetta e descrive grandi, fantastici viaggi inventati. Da studente si dedica all'apprendistato della musica, alla pittura, alla poesia, finché approda all'Università di Charlottesville, dove aveva studiato Poe. Gli incontri di questi anni, da Eliot a Cole Porter (ma anche l'acquisto del primo grammofono), risulteranno determinanti per la sua formazione intellettuale. Nel 1931 parte, senza un dollaro in tasca, per l'Europa. Rimane per un periodo a Parigi, ma si muove anche verso la Svizzera, il Belgio, la Germania... Una biografia punteggiata da personaggi noti quali Gertrude Stein, Truman Capote, Allen Ginsberg, André Gide, W.H. Auden. -
Diario. Vol. 2: 1959-1969.
Con questo secondo volume, 1959-1969, con un'Appendice che raccoglie i testi di Contro i poeti e Sienkiewicz, si conclude la prima edizione italiana integrale del Diario di Gombrowicz che copre un arco cronologico di oltre un quindicennio, dal 1953 al 1969, dal lungo ""esilio"""" in Argentina al ritorno in Europa, prima a Berlino poi in Francia, a Parigi e a Vence. Il Diario è una straordinaria composizione saggistico-fìlosofica che registra come un sensibilissimo sismografo ogni oscillazione del fragile e incerto 'Io' dell'autore. Essendo un emigrante dalla Polonia e dall'Europa, Gombrowicz fu contemporaneamente un emigrante dalla modernità. La sua lucidità di sguardo gli derivava proprio dalla distanza e dall'avere il privilegio di esser fuori dalle tragedie e dai conflitti del suo continente d'origine: """"Argentina: ventiquattro anni di liberazione dalla Storia"""". Questa Forma, e il suo equilibrio personale, entrano però in crisi con il ritorno di Gombrowicz, nel 1963, in Europa. È certamente un Gombrowicz più forte e maturo, perché """"distante"""" da quel mondo e da se stesso, rispetto a quello che attraversò il mare in senso contrario nel 1939, ma, allo stesso tempo, è un uomo, che percepisce lucidamente la fragilità dell'equilibrio raggiunto e l'inquietudine e l'incertezza della nuova sfida con l'Europa. E Gombrowicz reagisce attaccando. Si pone come un guastafeste argentino paracadutato nel cuore dell'Occidente e che vede con lucidità le contraddizioni della """"Forma europea""""."" -
Romanzi: Requiem-Sostiene Pereira-La testa perduta di Damasceno Monteiro
Lisbona e il Portogallo sono teatro decisivo dell'immaginazione letteraria di Antonio Tabucchi. Con Lisbona Tabucchi firma un patto ideale attraverso l'amato Fernando Pessoa e il lavoro assiduo, durato tutta una vita, sull'opera del poeta. A Lisbona è legato dall'amore per la moglie Maria José De Lancastre e della realtà portoghese è stato, sempre, appassionato lettore. È lì, in questo Portogallo vissuto ma anche trasfigurato dall'invenzione letteraria, che rifluiscono le sue storie, i suoi fantasmi, la memoria del tempo storico e la memoria del tempo interiore. ""Requiem"""" (1991), """"Sostiene Pereira"""" (1994) e """"La testa perduta di Damasceno Monteiro"""" (1997) testimoniano con straordinaria evidenza una stagione felicissima di scrittura e di impegno civile. Siamo di fronte a tre storie che, lette in sequenza, disegnano la trasparente complessità di motivi che danno forma e spessore all'avventura letteraria di Antonio Tabucchi. L'allucinato destarsi di figure che vengono, attraverso il sogno, a chiedere conto, il riscatto di un uomo mite messo dinnanzi all'urgenza di scegliere, il mistero di un delitto che suscita nuova ansia di giustizia in un uomo sconfitto ma non rassegnato. Con qualche libertà potremmo chiamarla """"trilogia portoghese""""."" -
Deviazione
Lucia è una giovane donna di origini borghesi, figlia di un sottosegretario della Repubblica di Salò, che è vissuta in Francia e ha alimentato, attraverso la lontananza, i miti del fascismo dentro i quali è cresciuta. Non solo, ora è convinta che fra le menzogne sul nazifascismo ci siano anche le crudeltà dei campi di lavoro. Decide di verificare in prima persona e si reca, come volontaria, nei Lager, sicura di poter smentire quelle che ritiene calunnie sulle modalità di trattamento dei ""lavoratori"""" da parte del grande Reich di Hitler. È allora che comincia una discesa agli inferi, complessa, violenta, che legge l'orrore, lo assume in sé e sembra addirittura """"scontarlo"""". Luce d'Eramo ripercorre con Lucia un tracciato di formazione che è stato il suo, un tracciato che tuttora, soprattutto ora (accecati da ogni sorta di revisionismo), suona come avventura della coscienza, testimonianza e grido di allarme. Deviazione è una storia che guarda in faccia il Male e l'orrore, e che disegna, attraverso una struttura e una lingua saldamente governate, un destino non ancora concluso, tutto ancora confitto nella violenza liberatoria di ogni possibile """"deviazione"""". Con una introduzione di Nadia Fusini."" -
Di tutto resta un poco. Letteratura e cinema
"Di tutto resta un poco"""" è il libro a cui Antonio Tabucchi ha lavorato, fino all'ultimo, in prima persona, malgrado la malattia e da dentro la malattia, condividendo ogni dettaglio con la curatrice e la casa editrice. È una raccolta di scritti meditata, appassionante, che prende le mosse da un memorabile """"elogio della letteratura"""", di una letteratura capace di """"ficcare il naso dove cominciano gli omissis"""". È inevitabile che, a partire da lì, dalla responsabilità delle parole per arrivare alla consolazione della bellezza, Antonio Tabucchi tocchi i temi più cari e insieme ai temi le opere e gli uomini (spesso amici) che lo hanno accompagnato. Ci sono gli autori frequentati con l'assiduità dello studioso (Pessoa e Drummond de Andrade, Kipling e Borges, Cortázar e Primo Levi), quelli sondati dalla veemenza della consuetudine (Daniele Del Giudice, Norman Manea, Enrique Vila-Matas, Mario Vargas Llosa e Tadahiko Wada), quelli più giovani, illuminati da una lungimiranza severa e affettuosa. E poi ci sono meravigliose pagine sul cinema, che tengono insieme il lirico omaggio alle ali di farfalla di Marilyn Monroe e la penetrante analisi della gag sovversiva di Almodóvar. """"Di tutto resta un poco"""" è un libro che accende l'intelligenza, la curiosità, gli entusiasmi, come ci trovassimo di fronte alla mappa di un territorio che finalmente possiamo visitare, con la complicità e la guida dello scrittore che lo ha abitato, che lo ha costruito, che lo ha custodito per noi." -
Il secondo libro dell'inquietudine
Il ""Livro do Desassossego"""" è costituito soprattutto da una disordinata collezione di frammenti nutriti dalla linfa del desassossego, dell'inquietudine esistenziale, dello spleen, del perturbante. L'opera originale è di fatto uno zibaldone, un diario non mai licenziato dall'autore come opera chiusa e compiuta. Pieno di fascino e misteriosa maestà, il """"diario"""" di Bernardo Soares si è presentato da subito come una fluviale meditazione rotta in un delta enigmatico. Nel 1986, Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi tradussero e curarono per Feltrinelli la prima edizione italiana del """"Livro do Desassossego"""", proponendo una scelta ragionata di lacerti da poco definitivamente attribuiti a Bernardo Soares, tratti dai due volumi della cosiddetta edizione Prado Coelho, che finalmente dava a conoscere al pubblico, tentando una prima compilazione in forma di libro, lo zibaldone di Bernardo Soares filologicamente ancora in fieri. """"Il secondo libro dell'inquietudine"""", a cura di Roberto Francavilla, completa il lavoro di Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre e gli rende omaggio (e proprio perciò contiene nel titolo l'arbitrio dell'aggettivo secondo)."" -
Carteggio con Luciano Anceschi. 1935-1983
A cento anni dalla nascita di Vittorio Sereni pubblichiamo il volume che contiene uno degli epistolari decisivi di Sereni poeta, uomo e uomo di cultura. Il rapporto con Luciano Anceschi dura quasi un cinquantennio e conta 257 missive, dagli anni universitari (complice il magistero di Antonio Banfi) all'anno della morte di Sereni avvenuta nel 1983. Al di là dell'afflato amicale, lo scambio diventa prestissimo tessitura di considerazioni sulla poesia, sulle letture comuni, sulla singolare tensione aperta fra il critico e il poeta. Entrambi solitari o comunque appartati, disegnano attraverso questo ""dialogo sulla poesia"""" uno dei più importanti documenti sulla cultura italiana del secondo Novecento. Vi appaiono inoltre le incertezze e le contraddizioni del poeta diviso fra il verso e la """"tentazione della prosa"""": come rammenta Niva Lorenzini, """"lungo il carteggio si profila una interrogazione continua circa la solidità e autenticità di una vocazione messa ogni volta in discussione da Sereni, non senza asprezza, talora con astio"""". E d'altro canto è proprio da lì che si muove la complessa gestazione di quella """"parca, sapiente modulazione armonica"""", come dice Pier Vincenzo Mengaldo, che è di fatto la voce della sua poesia. Il carteggio restituisce progetti, confessioni, conflitti, scommesse dentro un panorama che non è solo letterario, ma alla letteratura finisce con il tornare, con benefica ossessione."" -
Romanzi
Luigi Di Ruscio è stato poeta e narratore. Dagli anni cinquanta è stato subito riconosciuto come un talento violento, dissacrante, che si è presto smarcato dall'etichetta sbrigativa di poeta-operaio per costruire una possente, vorticosa avventura letteraria che comincia dentro l'Italia ferita del dopoguerra. Quando Di Ruscio, nel 1957, lascia le Marche per trasferirsi in Norvegia, dove ha lavorato e costruito una famiglia, le sue prose si fanno ancora più intense e febbricitanti. La sua lingua, esiliata, si apre, si scardina, si reinventa. Il ritmo si fa convulso e netto. Non meno di scrittori come Gadda, D'Arrigo, Roversi e Pagliarani, Di Ruscio finisce per dare corpo a opere che, come dice Andrea Cortellessa, ""recano su di sé le macchie, gli urti, le ferite della storia: termometri sempre in azione, segnavento che non si fermano mai; e che, così a lungo esposti all'infuriare degli eventi, si rivelano anche accumulatori, giacimenti, immensi archivi viventi d'una storia che continua a passare senza essere mai passata del tutto"""". """"Palmiro"""", """"Cristi polverizzati"""", """"Neve nera"""" e """"Apprendistato"""", raccolti per la prima volta insieme in questo volume, ben corrispondono a quelle che l'autore ha chiamato """"memorie romanzesche"""" - una complessa, beffarda immagine dell'Italia degli anni cinquanta, l'unica Italia che lo scrittore ha di fatto conosciuto.""