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Afghanistan Picture Show ovvero, come ho salvato il mondo
Nel 1979, ventenne, William Vollmann si appassiona alle sorti dell'Afghanistan invaso dalle truppe sovietiche e comincia a passare da un lavoro all'altro, cercando di accumulare il denaro sufficiente per partire e affiancare i mujaheddin nella loro lotta di liberazione contro i russi. Nel 1982 parte alla volta del Pakistan, dove trascorrerà buona parte del suo soggiorno in casa di un generale afgano in esilio, parlando con i capi della resistenza, con funzionari pakistani e internazionali che gestiscono gli aiuti per i profughi, e con i profughi stessi, sia quelli più fortunati che si possono pagare la permanenza in città sia i moltissimi costretti a vivere in condizioni pietose nei campi. Un'esperienza in larga parte fallimentare, che «Afghanistan Picture Show» racconta a posteriori attraverso lo sguardo di un Vollmann più adulto e consapevole, capace di guardare con ironia e affetto il proprio io più giovane e ingenuo, che riesce sempre a porre le domande più sbagliate alle persone sbagliate, mentre si contorce tra i dolori della dissenteria. Tra conversazioni piene di equivoci ed estenuanti camminate nell'impervio territorio afgano, trascinato e talvolta trasportato pietosamente dai mujaheddin, Vollmann mette in scena l'idealismo ingenuo e il colonialismo dello sguardo americano sul mondo, in un'opera ibrida che si muove tra romanzo e diario, saggio storico e reportage. -
Il cinema è mito. Vita e film di Sergio Leone
Primo regista postmoderno secondo Quentin Tarantino, innovativo nella tecnica di ripresa, nel montaggio, nell'uso della colonna sonora - leggendario il sodalizio con Ennio Morricone - nella scelta e nella direzione degli attori, gigantesco e contraddittorio come i suoi film, Sergio Leone è stato per molti versi uno spartiacque nella storia del cinema, per la capacità di unire citazionismo e invenzione narrativa, ironia e melodramma, disillusione e mito. Per arrivare a tanto sono bastati sette film in venticinque anni di carriera: una scorribanda nei generi cinematografici sui quali Hollywood ha costruito la propria leggenda, dall'esordio con il peplum ""Il Colosso di Rodi"""" alla «trilogia del dollaro», alle grandi saghe di """"Giù la testa"""", """"C'era uno volta il West"""" e """"C'era una volta in America"""", il gangster movie definitivo. Una vita stroncata troppo presto, prima di poter realizzare l'ultima, fantasmagorica scommessa: un kolossal di produzione russo-americana sull'assedio di Leningrado. Basandosi su un intenso rapporto personale con Leone maturato negli anni in cui il regista lavorava al suo ultimo sogno, su un ampio ventaglio di testimonianze e su un'analisi rigorosa della produzione filmica, Marcello Garofalo ricostruisce il ritratto intimo e autentico di un uomo geniale e complesso, e ne ricorda il ruolo decisivo - tra l'Italia e Hollywood - all'interno di quella che è stata forse l'ultima, grande stagione del cinema."" -
Oltre il giardino
Originalissimo romanzo satirico sulla società dei mass media, Oltre il giardino si è imposto tra i classici della cultura americana grazie anche a una fortunata trasposizione cinematografica, nella quale il giardiniere-filosofo ha il volto imperscrutabile di Peter Sellers.rnrnChance, venuto al mondo per caso e orfano dalla nascita, vive un'esistenza modesta e appartata curando il giardino di un anziano signore che lo ha accolto in casa. Il suo unico contatto con l'esterno è rappresentato dalla tv, che guarda senza sosta imitando passivamente ciò che vede sullo schermo. Costretto ad abbandonare la casa dopo la morte del vecchio, Chance conosce il magnate Benjamin Rand, direttore di un istituto finanziario collegato al governo. L'ingenuità di Chance, che sa esprimersi soltanto con immagini tratte dal giardinaggio, viene scambiata per saggezza filosofica, e quando il presidente degli Stati Uniti cita il suo nome pubblicamente, Chance acquista un'improvvisa notorietà: ricercato dalla stampa come commentatore politico, da semplice giardiniere assurge al ruolo di guru della nazione... -
La fine della strada
Dopo il successo dell’Opera Galleggiante («Un capolavoro della letteratura americana del xx secolo», l’ha definito Franco Cordelli sul Corriere della Sera), la collana minimum classics riporta in libreria dopo interi decenni di assenza il secondo romanzo del geniale John Barth, che con il precedente forma, già nelle intenzioni dell’autore, un dittico quasi inscindibile.Una situazione quanto mai tipica - un triangolo amoroso sullo sfondo di un'università della East Coast - nelle mani di Barth diventa un formidabile romanzo filosofico che alterna comicità e disperato nichilismo, satira e tragedia; al centro, uno dei più irresistibili antieroi della letteratura postmoderna: Jacob Horner, il giovane professore adultero che fa della paralisi esistenziale un paradossale sistema di vita. Prefazione di Simone Barillari. -
Il fratello buono
«Offutt conduce il lettore verso un finale che sorprende benché ampiamente prevedibile, non giudica i suoi personaggi, incattiviti dal disinganno, lasciati indietro dal progresso e dall'istruzione. Li osserva da vicino, li racconta perché li conosce, perché è ""la sua gente"""". Tutto è ridotto all'osso, rivestito da un fascino che allo tempo respinge perché Offutt lo sa, e lo mostra al lettore con chiarezza cristallina nonostante le sfumature» - Cristina Taglietti, la LetturaVirgil Caudill è un uomo tranquillo. Vive nel cuore del Kentucky, e non ha mai lasciato i boschi e le montagne dove è cresciuto e la comunità nella quale si riconosce. Le sue giornate scorrono tutte uguali, tra il lavoro e le chiacchiere da bar, ma Virgil ha un punto debole: il fratello Boyd, la testa calda della famiglia, che ha un autentico talento nell'inimicarsi il prossimo e andare a caccia di guai. Quando Boyd viene ammazzato, Virgil si trova davanti a una decisione impossibile. Tutti sanno chi è il colpevole, e tutti, dai familiari alla gente del posto allo sceriffo di contea, sono certi di quello che accadrà. Negli Appalachi, il sangue si lava con il sangue, e per Virgil esistono solo due alternative: la vendetta o la fuga. Qualunque decisione prenderà, nulla per lui sarà più come prima."" -
Bergoglionomics. La rivoluzione sobria di papa Francesco
Primo papa gesuita della storia, Jorge Maria Bergoglio è asceso al soglio pontificio a conclusione di una delle crisi più drammatiche nella storia della Chiesa cattolica, e ha segnato fin dai primi gesti e dalle prime dichiarazioni pubbliche una discontinuità radicale con chi lo ha preceduto, rilanciando l'idea di una Chiesa che sappia essere «ospedale di campo», proiettarsi nel mondo esterno e affrontare con decisione e realismo i grandi problemi che lacerano la contemporaneità: la carenza e precarietà del lavoro, l'emergenza ambientale, il moltiplicarsi dei fenomeni migratori e la crescita esponenziale di poveri e scartati, a ogni latitudine. Leonardo Becchetti interroga il pensiero di Bergoglio, spaziando da un'enciclica rivoluzionaria come la ""Laudato si'"""" al memorabile discorso pronunciato davanti agli operai dell'Ilva di Genova; ne spiega l'impatto rivoluzionario su una scena politica radicata nelle piccolezze del presente; ne esalta la generatività, intesa come «percorso verso il futuro» e verso una sempre maggiore realizzazione e pienezza della comunità umana. E formula, partendo dalla propria esperienza nei settori dell'economia civile e della finanza etica, un ventaglio di soluzioni e idee che potrebbero trasformare in realtà i principi, nobilissimi e progressisti, della Bergoglionomics."" -
Lettere scontrose. 52 lettere e una risposta
Il libro raccoglie gli articoli di una rubrica settimanale che Giovanni Arpino tenne per Tempo tra la fine di ottobre del 1964 e il novembre del 1965. Sono lettere scomode, irriverenti, a volte accorate, altre profetiche, ma sempre pervase da «un'elementare esigenza di giustizia, e un minimo di civile indignazione». A mettere in fila i destinatari si ottiene la nomenclatura scintillante dell'intero decennio, da Moro ai Beatles, eppure questo libro ci parla e ci impressiona come se fosse indirizzato ai lettori del futuro, per la vocazione assoluta del miniaturista, la radiografia spietata della nazione afflitta in eterno dagli stessi mali. Per uno scrittore come lui, le contingenze sono qui soltanto un pretesto per esaminare l'animo umano, inchinarsi al talento degli irregolari come Totò (il solo che gli rispose) e contestare il potere... Perché Arpino discorre sempre in difesa di ciò che resta umano a dispetto di tutto, crede nella Storia come attualità e ci ricorda che scrivere è un lavoro da dannati. Le «lettere scontrose» sono i suoi scritti corsari, il testamento perduto di una generazione che per prima disimparò a crescere. Postfazione di Bruno Quaranta. -
Terrapiena
Siamo in Sicilia, all'inizio degli anni Settanta, è settembre. Su una grande spianata sotto un terrapieno coltivato a ulivi sorge una baraccopoli costruita dopo il terremoto. È un luogo apparentemente secco e arido, nelle abitazioni manca l'acqua, i diritti elementari sono negati. Un gruppo di attivisti vi fonda una specie di comune - sono anarchici, comunisti, hippie italiani e stranieri - e cerca di spingere gli altri baraccati a ribellarsi. Ma un giorno, i bambini della comunità trovano un giovane alla foce del fiume: è magro, ha i boccoli biondi, sembra morto. Gli danno il nome di Italo Orlando, per una leggenda di qualche anno prima. Non sanno che la nuova apparizione di questo dio del cambiamento travolgerà più di una vita. Più di tutti, di lui si innamorerà perdutamente uno studente di origine povera, Saverio. A raccontarci questa favola nera di promesse e di rovina, di illusioni, di cambiamenti reali e di tragedia, è un ragazzo, Ciccio, all'epoca tredicenne, che abita in una delle baracche con la madre e la sorella. In questa seconda parte della trilogia su Italo Orlando, Carola Susani ci racconta un altro passaggio nella storia del nostro paese, quando per un momento sembrò che la giustizia fosse prossima e che anche l'amore rilucesse nuovo. -
Nozze sul delta
È il settembre del 1923 quando Laura McRaven, nove anni appena compiuti, sale a bordo del treno che da Jackson la porterà a Shellmound, la grande piantagione sul delta del Mississippi dove sua cugina, la diciassettenne Dabney Fairchild, sta per sposarsi con Troy Flavin, che gestisce quella piantagione con polso inflessibile e ha il doppio della sua età. Laura non lo sa, ma l'invito alle nozze è anche un modo per metterla alla prova e per decidere se ammetterla o meno nel cuore della grande famiglia Fairchild. Immersa di punto in bianco in un mondo di rituali e di piccole e grandi gelosie, la bambina irrompe nel romanzo con uno sguardo curioso e innocente, acuto e distaccato. E attraverso di lei la Welty ci racconta la fine di un'epoca, costruendo un mosaico di storie e piccoli eventi che hanno il profumo e il ritmo pigro del più profondo e autentico Sud. -
Essere senza casa. Sulla condizione di vivere in tempi strani
Mescolando personal essay e critica culturale, attraversando la Londra di Brexit e i territori dell’Antropocene e spaziando tra letteratura, arte e storytelling politico, Essere senza casa estende il discorso iniziato da Mark Fisher in The Weird and the Eerie sulla condizione di vivere in tempi strani. Il punto di partenza è dunque la consapevolezza che l’unico modo per abbracciare la stranezza del presente, la weirdness dentro e fuori di noi, sia quello di comprenderne il significato storico, psicologico e culturale. Viviamo in tempi strani. Il nostro mondo è scosso da ondate di populismo nichilista e terrorismo, proiettato in un futuro fantascientifico di viaggi su Marte e transumanesimo, minacciato dall'apocalisse climatica: il nostro mondo sembra, insomma, essere sfuggito al controllo. In questo decennio, senza davvero accorgercene, siamo entrati nell'epoca ipermoderna, un'era fatta di accelerazione vertiginosa e orizzonti postumani in cui i contorni familiari della realtà sono mutati troppo rapidamente perché riuscissimo a stare al passo. Dalla Brexit al riscaldamento globale, dalle migrazioni di massa alla ricerca di vita nel sistema solare e oltre, l'intima stranezza dell'ipermodernità ci parla di un progressivo indebolirsi del senso di casa come luogo protetto dalle minacce dell'esterno. Oggi viviamo una crisi dell'abitare reale e metaforica, esposti alle logiche del capitalismo digitale e alle minacce di un'oscurità dove i significati umani smettono di esistere. È su questa soglia tra umano e macchina, umano e animale, interno ed esterno, che prolifera la stranezza dei nostri tempi. -
Master of reality
rnrnJohn Darnielle, grande cantautore americano, rende omaggio a un disco fondamentale della storia del rock, un album in grado di travalicare le generazioni e accomunare gli outsider di ogni epoca.rnLa musica gli fa bene. È questo che il giovane Roger prova a spiegare a Gary, lo psicologo dell'istituto psichiatrico in cui è stato rinchiuso, nel disperato tentativo di farsi restituire il walkman e le cassette che gli sono stati sequestrati all'arrivo. Se non tutte, almeno la sua preferita: Master of Reality dei Black Sabbath. Nel diario che è costretto a tenere racconta il disco come lo si potrebbe raccontare a un alieno appena atterrato sulla Terra. Scrive che ascoltare il riff iniziale di «Lord of This World», nel buio della stanza, è come assistere alla nascita del mondo, e che «Sweet Leaf» sembra provenire da un vulcano sommerso sul fondo dell'oceano. John Darnielle, rende omaggio a un album in grado di travalicare le generazioni e accomunare gli outsider di ogni epoca. Ma il diario di Roger racconta anche molto altro: l'effetto liberatorio e terapeutico dell'heavy metal, la crudeltà degli istituti psichiatrici, il rimpianto per gli anni rubati e per le cose perdute e l'esultanza nello scoprire che alcune di queste possono essere ritrovate. Ci sono parti di noi che resistono al tempo, proprio come fanno alcuni dischi. Quei dischi che «parlano del posto in cui ti trovi invece di dirti dove devi andare». Quei dischi che, ascoltati da ragazzini nella stanza vuota di un istituto o da adulti in ufficio durante una pausa dal lavoro, semplicemente fanno bene. -
Caccia alle ombre
Per il tenente di polizia Frank Mooney, reduce dalla lunga e difficile indagine raccontata nel ""Fiore della notte"""", la vita continua a essere una serie infinita di problemi e complicazioni, anche personali. Finché Mooney non viene completamente assorbito dal caso forse più difficile e straziante della sua carriera: la caccia a uno stupratore e omicida seriale che la stampa ha soprannominato «il Danzatore». Nonostante gli sforzi di Mooney e dell'intero dipartimento di polizia di New York (incluso Paul Konig, l'anatomopatologo di """"Città di morti"""") il Danzatore ha già accumulato un numero notevole di vittime, e come sempre sono entrati in campo anche il sindaco e i suoi scherani, che pretendono una soluzione rapida e un colpevole da dare in pasto all'opinione pubblica. Le cose, però, si complicano quando Mooney comincia a sospettare che il Danzatore abbia un'ombra: un copycat che ne imita perfettamente i delitti. Ora, gli assassini da assicurare alla giustizia sono due..."" -
La scrittura non si insegna
Questo libro non è un altro rigido manuale di scrittura creativa. Non è l'ennesima guida piena di precetti su come impostare la trama, gestire i colpi di scena, sviluppare i personaggi, creare empatia. Qui non si danno norme (dall'efficacia molto dubbia), tantomeno si promettono scorciatoie (che non esistono) per scrivere bene. Vanni Santoni dice al lettore, ovvero all'aspirante scrittore a cui è destinato questo pamphlet: la scrittura non si insegna. E «il motivo è uno, semplice e perentorio: la vastità infinita delle possibilità di un testo narrativo implica che infinite cose si possano scrivere in infiniti modi». Non esistono regole assolute e non esistono ricette che funzionano sempre. La grande letteratura non è una sequenza di mosse che si susseguono in maniera predeterminata per ottenere un effetto, non è un freddo algoritmo, ma al contrario è un campo di possibilità, tensioni e persino contraddizioni. Dunque, nella pratica quotidiana, dobbiamo lasciare l'aspirante scrittore solo davanti alla famigerata pagina bianca? Non gli si può dire proprio nulla di utile, non gli si può dare alcun aiuto? Neanche questo è vero, perché se non è possibile insegnare a scrivere, «si può insegnare a pensare come uno scrittore». E si impara a pensare da scrittore prima di tutto attraverso i libri dei grandi autori che incontriamo, in un processo continuo di formazione del gusto e di raffinamento della riflessione. -
Noi non abbiamo colpa
Marta ritorna nelle Marche. Il paese è caldo e confortevole, ci sono le amiche di sempre che ti accolgono e non ti fanno domande, contente che tu sia di nuovo lì con loro. Ci sono il bosco e le sue storie, che continuano lungo le generazioni. Ci sono le badanti straniere, che cambiano ancora prima che tu possa rammentarne il nome perché stare dietro alla nonna malata di Alzheimer è davvero duro, e appena trovano qualcosa di meglio scappano. Anzi, qualche volta scappano anche quando qualcosa di meglio non si vede ancora, perché nonna è peggio di un diaulu. Marta diventa a sua volta una sorta di badante, ritorna al paese per aiutare sua madre a gestire la situazione, la quotidianità capovolta. Si trova ad affrontare una malattia che non brucia veloce in un'esplosione di sofferenza per poi placarsi nella guarigione o nella morte, ma che giorno dopo giorno, per ore che sembrano infinite, lavora a togliere umanità, a farti dimenticare chi era prima, nella sua interezza e nelle sue contraddizioni, quella persona che ora dimentica tutto. E allora Marta ritorna per cercare dignità nelle creature che vivono, amano e soffrono. Ritorna per ricordare, ricordare con sua madre le storie della famiglia, riappropriarsi del passato che la madre di sua madre non ha più e della speranza di un futuro. -
Mi piace guardare. Critiche e riflessioni sulla TV americana
La televisione è, innanzitutto, una passione. E da anni Emily Nussbaum lo dimostra con la sua scrittura appassionata sulle pagine del New Yorker, cercando modi nuovi di guardare al piccolo schermo proprio mentre intorno tutto sta cambiando. In questo libro sono raccolti i suoi più importanti articoli di critica televisiva, compresi alcuni inediti: profili, recensioni, dibattiti, riflessioni. Tutto comincia da Buffy l'ammazzavampiri, la serie da cui l'autrice ha intrapreso il suo personale percorso di approfondita analisi del mezzo. E poi si prosegue con le protagoniste femminili, l'ossessione amorevole dei fan, gli showrunner che hanno cambiato la scrittura e l'industria, l'eredità della tv classica. Fino ad arrivare alla connessione profonda tra i reality e la presidenza Trump e alle conseguenze del #metoo sui programmi che amiamo. Tra queste pagine si trova la migliore dimostrazione della rilevanza della televisione, in tutte le sue forme: la storia e il contemporaneo, la serialità e l'intrattenimento, la qualità e il trash. Ritenerla «deficiente» è fin troppo facile: più complicato è provare a capirla nelle sue profonde trasformazioni e nel legame con la società, la politica, la cultura. La Nussbaum ha cercato di costruire un nuovo modo di rapportarsi alla tv con spirito critico, andando contro le etichette facili per aprirsi a nuove voci, a crescenti complessità, a vari tipi di bellezza e di piacere. ""Mi piace guardare"""" è un libro che abbraccia e festeggia la televisione in quanto tale. Senza tanti complessi, con gioia e sollievo."" -
Scrivere per salvare una vita. La storia di Louis Till
Come già in Fratelli e custodi La storia di Louis TillrnJohn Edgar Wideman«Nota di merito a Dora Di Marco, che nel tradurre il libro si è dovuta fare strada fra prosa giornalistica, slang da strada, rapporti militari, documenti che sembrano veri e sono finti - e viceversa» - Alberto Anile, RobinsonrnrnNel 1955 il quattordicenne Emmett Till lasciava la sua casa di Chicago per andare a far visita ai parenti in Mississippi. Sarebbe tornato alcune settimane dopo, cadavere: ucciso nel modo più barbaro perché, così avrebbero sostenuto i suoi carnefici, aveva fischiato a una donna bianca. La madre di Emmett, Mamie, decise di lasciare la bara aperta perché tutto il mondo vedesse che cosa era stato fatto a suo figlio, e la vicenda – come pure il processo che ne seguì – trovò spazio su tutti i giornali, a livello nazionale, facendo di Emmett Till e della sua morte un’icona della stagione dei diritti civili.rnSe la storia di Emmett è ben nota, c’è però un lato oscuro nel passato della sua famiglia, che viene menzionato solo di rado. Dieci anni prima, nel 1945, il padre di Emmett, Louis Till, era stato condannato a morte da una corte marziale per stupro e omicidio, e infine impiccato.rnIn Scrivere per salvare una vita, John Edgar Wideman parte alla ricerca di Louis Till, una vittima silenziosa della (in)giustizia americana. E ricostruisce con un misto di malinconia e rabbia la doppia tragedia di un padre e di un figlio, raccontandone le storie insieme per la prima volta., un’accurata ricerca storica si fonde a ricordi personali e slanci immaginativi, portando il memoir a vette difficilmente eguagliabili e tessendo un dialogo insieme doloroso e salvifico tra vivi e morti, passato e presente -
Thelonious Monk. Storia di un genio americano
La figura di Thelonious Monk (1917-1982) è da sempre tra le più apprezzate dagli studiosi e dagli appassionati di jazz. Eppure spesso ne è stato offerto un ritratto parziale, se non distorto: quello di un genio eccentrico, di un uomo mentalmente disturbato, di un musicista primitivo e naïf. Questa biografia rimette finalmente nella giusta prospettiva critica la vita e la musica del grande pianista-compositore. Grazie a un lavoro di ricerca durato più di dieci anni, durante i quali l'autore ha avuto accesso per la prima volta ai documenti privati della famiglia Monk, scopriamo un Thelonious diverso: un musicista pienamente consapevole della propria arte, determinato a lottare per difendere la sua visione musicale; un individuo sensibile e spiritoso, che malgrado gli eccessi conquistava immancabilmente la stima e la simpatia del prossimo; un uomo attentissimo alla realtà sociale, che nella musica vedeva anche il mezzo per affermare la possibilità di un mondo migliore. -
Storia di un boxeur latino
"La vita è una milonga, bisogna saperla ballare"""". In questi due versi di un tango argentino si potrebbe riassumere l’umana vicenda di Gianni Minà. Perché forse non c’è stata, nella storia del giornalismo italiano, vita più smisurata e temeraria della sua, e nessuno che l’abbia saputa ballare con maggiore esuberanza, empatia e curiosità. Per la prima volta Minà ce la racconta in prima persona, con tutti i suoi stupori, le sue risate, le sue amarezze. Come un capitano in esilio che ha magicamente conservato il sorriso leale e disarmante di un funambolo. Sfila in queste pagine l’abbecedario di una generazione e di un secolo: Muhammad Ali, Jorge Amado, i Beatles, Fidel Castro, Adriano Celentano, Robert De Niro, Gabriel García Márquez, Dizzy Gillespie, Sergio Leone, Diego Armando Maradona, Rigoberta Menchú, Pietro Mennea, Mina, Gianni Morandi, David Alfaro Siqueiros, Tommie Smith, Massimo Troisi, Emil Zátopek. Di nome in nome prendono forma di romanzo le avventure di un ragazzo partito da un quartiere di Torino, in calzoncini corti, da una famiglia di origine siciliana, da un maestro in sedia a rotelle. """"Storia di un boxeur latino"""" non è un’autobiografia. È una dichiarazione d’amore alla vita, alla musica, allo sport e agli ideali d’altri tempi. È la storia di quando ci si batteva contro le ingiustizie perché l’ingiustizia contro cui battersi, in ogni tempo e luogo, è sempre la stessa. La storia di quando si poteva giocarsela finché si aveva fiato. E i desideri, quelli veri, erano il tema della vita." -
I poveri
«Vollmann, pur ammettendo con candore di non voler conoscere la povertà, perché ""significherebbe vivere la paura e la disperazione"""", riesce a parlare dei poveri in modo moralmente neutro, e quindi sorprendente» - Vanni Santoni, La Letturarn«Lo scrittore di Santa Monica sembra volerci dire che soltanto così, attraverso un atto di presenza, e quindi di umanità, può raccontarci una verità plausibile sulle vite che ci mostra» - Luca Vaglio, il FogliornA distanza di più di un secolo da How The Other Half Lives, il memorabile saggio con il quale Jacob Riis svelò per primo il mondo degli «scarti umani», marginalizzati e vittime del capitalismo, e a ottant'anni da Sia lode ora a uomini di fama, nel quale James Agee e Walker Evans realizzarono un primo, perfetto incontro tra scrittura e fotografia raccontando le vite dei fittavoli travolti dalla Grande Depressione, I poveri sposta nuovamente i confini del reportage, portandolo al massimo della sua potenza grazie a uno sguardo profondamente etico, partecipe senz'ombra di patetismi. Vollmann si è messo in viaggio con i suoi taccuini e la sua macchina fotografica, pronto a cogliere la povertà in ogni suo aspetto e sfumatura; ha incontrato, intervistato e ritratto centinaia di persone di ogni nazionalità, dando voce e spazio a quel misto di brutalità e speranza, disperazione e orgoglio, sconfitta e resilienza, che alberga nei dannati della terra e li rende, nel bene come nel male, la quintessenza di un'umanità che sarebbe troppo facile e comodo respingere."" -
Sangue di Giuda
«L'altra sera s'hann arrubbato 'o televisore». Comincia così questa storia, con una sparizione, proprio mentre Pippo Baudo riempiva lo schermo. Le stanze, di colpo, «si sono messe tutte a sudare», e all'improvviso è scoppiato il silenzio. A raccontarlo a un commissario, nella sua lingua sgrammaticata, un misto sporco tra pugliese e campano, è Giuda o Giudarie?, un vecchio che abita nel mezzo di un paese qualunque del meridione, Merulana. Oltre che con quel televisore, Giuda condivide la sua solitudine con Ammonio, un gatto dalla vescica ballerina, e con il fantasma del padre, che è ancora arrabbiato con lui e non perde occasione per terrorizzarlo. Era stato proprio questo padre, sempre manesco e sregolato, a cambiargli l'anagrafe, compromettendone l'esistenza e imprimendogli a sangue questa nuova e infamante identità da delatore. Ora, a cinquant'anni di distanza, il furto del Mivar restituisce Giuda alla stessa strada della sua infanzia e ai suoi traffici eterni, agli insulti e alle compassioni, alla sua umanità violenta, derelitta e disperata. Da qui inizierà la sua discesa nel regno delle anime notturne e soltanto alla fine di questo lungo viaggio, cantato con amara ironia nell'epica popolare del dialetto, il protagonista potrà finalmente recuperare, a un prezzo altissimo, un po' della sua dignità usurpata e il nome di battesimo.