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Nero su nero
Molto si parlò di questo libro, quando apparve nel 1979. Ma allora notando soprattutto ciò che Sciascia vi dice della realtà pubblica che lo circondava: l’Italia come paese «senza verità», dal caso del bandito Giuliano all’affare Moro, la cui ombra si stende sulle ultime pagine di Nero su nero. Leggendolo oggi, affiora però con altrettanta evidenza la sua altra faccia, più segreta: quella del libro dove Sciascia ha consegnato, con scrupolosa precisione, pagine essenziali sul suo modo di intendere lo scrivere e la letteratura, che proprio qui viene mirabilmente definita quale «sistema di “oggetti eterni” ... che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi – e così via – alla luce della verità». (Parole che vanno lette accostandole ad altre, significativamente fra parentesi, dove si dice che la letteratura «è la più assoluta forma che la verità possa assumere»). Si direbbe dunque che, in questo momento, ciò che per Sciascia era più personale e nascosto venisse naturalmente a mescolarsi con i fatti della cronaca. Così nacque Nero su nero, accumulandosi per dieci anni torbidi, fra il 1969 e 1979, ma obbedendo sempre a un imperativo di chiarezza e nettezza – libro indispensabile per capire Sciascia in genere e soprattutto il suo ultimo periodo. E, di fatto, già il titolo risponde parodisticamente alla banale accusa di pessimismo che tanto spesso gli fu rivolta in quel decennio e anche dopo, offrendoci «la nera scrittura sulla nera pagina della realtà». -
Risvegli
"Risvegli"""" è il racconto sconvolgente di come alcuni pazienti vennero risvegliati, mediante un farmaco somministrato da Sacks stesso, dopo quarant'anni di sonno." -
Lo scherzo
«Con ""Lo scherzo"""", il """"tono"""" di Kundera è già nato splendidamente: quel dono di unire la rabbia e il gioco, l'odio e la tenerezza, la solidità e il capriccio, la disperazione e la melodia, il nichilismo e il sogno... Quello che non finisce di avvincerci è la fluidità: il dono supremo del narratore. Questa fluidità nasce da una totale dedizione ed effusione del corpo, della mente e dell'anima: incanta e conquista il Tempo, il Tempo della narrazione e del mondo, dove si installa come signore; e di lì, dal cuore stesso del tempo, si rivolge ad ognuno di noi, come diceva Tolstoj, per """"contagiarci"""", come se ciascuno di noi fosse il più fraterno dei complici». (Pietro Citati)"" -
La nube purpurea
«Quando lessi ""La nube purpurea"""" pensai che forse sì, c'era un misterioso, occulto, magmatico e magnetico caso Shiel. """"La nube purpurea"""" era un libro matto e rapinoso, un sogno, un delirio, un'allucinazione, era un oggetto letterario di forma e dimensioni inconsuete; era un animale impossibile, venuto dallo spazio o forse salito dalle schiume d'Acheronte. Teneva assieme l'accelerazione perversa di quel libro la cupa, geometrica concentrazione, un'unità di tema che s'accompagna ad un'estrema sobrietà di personaggi, un Adamo ed una Eva, unici abitanti di un mondo disfatto. Se ripenso ora la riuscita straordinaria e enigmatica della """"Nube purpurea"""", mi pare che essa fosse dovuta appunto all'intervento di una poderosa vincolante figura retorica, l'antica """"unità"""", che aveva tenuto assieme un materiale che aspirava al riposo del delirio. Quella """"unità"""" aveva agito sulla vocazione caotica del linguaggio, l'aveva gelato in una forma che rancorosamente reggeva.» (Giorgio Manganelli)"" -
Fondamenta degli incurabili
«Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo-alias-acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo». Parlare di Venezia significa parlare di tutto – e in particolare della letteratura, del tempo, della forma, dell’occhio che la guarda. Così è per Brodskij in senso pienamente letterale. Questa divagazione su una città si spinge nelle profondità della memoria del pianeta, sino alla nascita della vita dalle acque, da una parte, e, dall’altra, nei meandri della memoria dello scrittore, intrecciando alla riflessione le apparizioni nel ricordo di certi momenti, di certi fatti che per lui avvennero a Venezia. C’è qui, come sempre in Brodskij, l’immediatezza della percezione e il gioco fulmineo che la traspone su un piano metafisico. E, per il lettore, quella percezione, quel contrappunto di immagini e pensieri intriderà d’ora in poi il nome stesso di Venezia. -
Il patto. La mia amicizia con Karen Blixen
Un giorno del 1948 il giovane poeta danese Thorkild Bjornvig venne invitato a cena da Karen Blixen, che allora aveva già da tempo pubblicato alcuni dei suoi libri più celebri. Fu l’inizio di un’intensa amicizia, estrema come tutte le storie essenziali nella vita della Blixen. C’era un patto fra i due, una sorta di lealtà feudale – e questo patto era così forte da investire, paralizzandola, tutta la vita di Bjornvig. Dopo cinque anni di violenta tensione, Bjornvig decise di allontanarsi dalla Blixen, che ne rimase duramente amareggiata. Passarono poi anni di silenzio e, quando la Blixen era già morta da tempo, finalmente Bjornvig si decise a raccontare la storia del loro rapporto in questo libro, che rimarrà una testimonianza impressionante e preziosa. Mai come in queste pagine è apparsa con evidenza la natura stregonesca, magica della scrittrice, la sua capacità di porre esigenze altissime ai sentimenti e la piena lucidità del suo magistero letterario. Il patto apparve in Danimarca nel 1974. -
La vana fuga degli dei
«Gli Dei sono diventati malattie» scrisse una volta C.G. Jung. Elaborando questa frase, Hillman si pone la questione più immediata per ogni psicologia: che cos’è la normalità psichica? A partire da quale soglia entriamo nel regno incontrollabile dell’anormalità? Nei due saggi qui per la prima volta raccolti in volume troveremo al centro, da una parte, la figura di Atena, giudice supremo della norma ateniese, modello di ogni concezione della normalità; dall’altra, la figura del paranoico, esemplificata soprattutto nella storia di Perceval e in quella del presidente Schreber, quale teologo del delirio. E, in tutti e due i casi, con un’analisi stringente e acutissima, Hillman ci mostrerà come la partita si giochi fra potenze che un tempo furono chiamate divine, prima di perdere ogni nome, e una struttura mentale, la nostra, che con esse è costretta ad avere a che fare, in ogni atto della vita, anche quando persegue, come l’intera civiltà occidentale, una «vana fuga dagli Dei». -
L' altra faccia dello specchio. Per una storia naturale della conoscenza
In questo libro, la sua opera teoretica di più vasta portata, Lorenz ci mostra come le prestazioni più alte del conoscere e del comportamento umano, quelle che molti ancora oggi tendono a separare radicalmente dalla realtà naturale che circonda l'uomo, siano il risultato di un processo filogenetico di enorme complessità e si manifestino anche in altre forme del mondo animale; e, viceversa, come molti meccanismi dell'acquisizione di informazioni e della conoscenza, che vediamo operare un po' in tutti i gradi della scala zoologica, si ritrovino puntualmente come componenti del nostro comportamento più differenziato. La natura appare dunque come un tessuto continuo e indissolubilmente intrecciato, dove la grande cesura segnata dallo spirito umano e dalla cultura non è data tanto da una novità degli elementi, quanto dal manifestarsi di nuovi gradi di complessità, di più alti livelli di integrazione. Ed è proprio in queste nuove configurazioni di elementi preesistenti che va cercata la irriducibile specificità dell'uomo. -
La lingua salvata. Storia di una giovinezza
Fin dal suo apparire, nel 1977, questa «storia di una giovinezza» è stata accolta da molti come un «classico immediato», uno di quei libri destinati a restare, che coinvolgono profondamente ogni specie di lettori. Con la sua prosa limpida, tesa, vibrante in tutti i particolari, Canetti è qui risalito ai suoi ricordi più remoti, cercando di ritrovare nella propria vita quella difficile verità che solo il racconto può dare. Dopo aver vagato per decenni fra migliaia di miti, di fiabe, di trame, si è rivolto a quell’unica storia che per ciascuno di noi è la più segreta ed enigmatica: la propria. -
Note di un anatomopatologo
Per mestiere, un anatomopatologo è costretto a vedere, della vita e della morte, molti aspetti che generalmente spaventano o si ignorano - o comunque si respingono nell'aberrante e nel paradossale. González-Crussí, discendente moderno di Sir Thomas Browne o di Francesco Redi, cioè di quei medici che sapevano divagare su tutto in ottima prosa e con gesto amabile, ci guida in questi saggi fra molti temi di cui poco sappiamo e che molto ci incuriosiscono. Per esempio l'imbalsamazione; o lo strano caso di due gemelle ungheresi attaccate per il bacino che si presentano a un ospedale vittoriano perché una di loro è incinta, anche se entrambe si proclamano vergini; o l'autopsia di un gigantesco boscaiolo, empiamente tatuato e crivellato da mezzo chilo di piombo, al quale aveva ben resistito, mentre a ucciderlo era stato un minuscolo verme lungo meno di tre millimetri; o i mostri. Raccontando questi strani casi o divagando su temi clinici ben poco usuali, González-Crussí mostra sempre la dote principe dello scienziato scrittore che abbia il dono dell'ironia e della prosa: suscitare stupore e invitare alla riflessione. -
Messalina
Messalina, occorre dirlo subito, è una cavalla, che porta in lunghi giri per la Liguria il suo padrone, un maturo gentiluomo che si abbandona a pensieri sconsolati su un suo amore non contraccambiato. Ma un giorno quel gentiluomo comincerà a rendersi conto che forse la sua partner ideale è Messalina stessa. Anzi, la vera soluzione che balena in lui sarebbe ancora più perversa: un triangolo erotico dove due vertici sono occupati uno dallamata sfuggente e laltro dalla cavalla presente. E così forse il gentiluomo Adalberto sfiorerebbe la felicità, se non fosse che un complicato intrigo da vaudeville intorno a lui gli renderà sempre più difficile mantenere lequilibrio di questi delicati rapporti. Reverendi mondani, donne imprenditrici, intellettuali oziosi: tutti sembrano presi da una smania irrefrenabile di interferire in questa storia amorosa che invece aspirerebbe soltanto alla maestà del silenzio. Di Messalina si potrà dire, alla fine, senza tema di smentite, che si tratta di un romanzo damore di un tipo nuovo. Come già in Egnocus, Dentice sa narrare con mano leggera, coinvolgendo nel suo gioco sapiente, stendendo su tutto ciò che accade un velo di ironia, mentre il fondo del romanzo è la penetrante melanconia di un amore autunnale. -
Il grano in erba
Colette pubblicò questo romanzo a puntate su «Le Matin». Ma, quando il direttore si accorse che i due protagonisti, la quindicenne Vinca «dagli occhi color pioggia di primavera» e Phil, il sedicenne suo compagno di infanzia, procedevano impavidamente, attraverso gelosie e dispetti, verso la scoperta del sesso sul corpo dell’altro, sospese le pubblicazioni. Così un’aura di scandalo circondò fin dall’inizio questo libro, forse il più popolare di Colette. Ed era proprio la stupefacente precisione di Colette a scandalizzare, la sua capacità di concatenare le sensazioni, ricostruendo momento per momento, con un’ariosità febbrile, la trasformazione di due bambini che per anni hanno giocato insieme in due giovani amanti che evocano il «miracolo laborioso» del possesso. Il grano in erba è stato pubblicato per la prima volta nel 1923. -
La confessione
Clemente è un adolescente sensibile, un po’ torbido, un po’ troppo «conscio di se stesso» rispetto ai suoi compagni. Lo educano i Gesuiti – e Clemente stesso vuole pensare che un giorno diventerà un Gesuita. Ma i suoi pensieri non hanno nulla di religioso. È attratto dal peccato per eccellenza, la Donna, nella persona di un’avvenente amica di sua madre o di un’ignota signora, dalla sublime volgarità e dalle unghie laccate e acuminate, che un giorno incontra in ascensore. Non avrà però il coraggio del suo peccato. Mentre troverà una soluzione ai suoi turbamenti erotici che paradossalmente viene incoraggiata dai suoi tutori morali, dalla famiglia e infine da lui stesso: l’omosessualità. Come ha scritto Cesare Garboli, questo è un racconto libertino, leggero, dolce, europeo, volterriano, pochissimo indulgente, senza nessun compiacimento e nessun senso di colpa. Quando apparve, nel 1955, pochi lo capirono. Oggi lo leggiamo ritrovandoci Soldati in stato di felicità narrativa, con quel brio, quella acutezza pungente e quel senso dell’ambiguità dei sentimenti che gli appartengono come a pochi altri. -
Vita avventure e morte di Don Giovanni
«Questa storia di Don Giovanni, dove il critico letterario si unisce al musicologo, raggiunge nel suo genere la perfezione» scrisse una volta Guido Piovene. E, sul versante musicologico, Massimo Mila giudicò «geniale e definitivo» questo libro che, pubblicato per la prima volta nel 1966, da allora non ha cessato di arricchirsi, suscitando sempre un vasto interesse. Nella prima parte, Macchia ricostruisce la storia di Don Giovanni nelle sue oscure origini e nel suo svilupparsi attraverso i secoli, soffermandosi naturalmente soprattutto su Mozart e Da Ponte e puntando l’attenzione su certi «momenti di sviluppo e di crisi» nonché sulle «miracolose riprese» di questo personaggio che è fra i rari moderni assimilabili alle grandi figure mitiche e tutt’oggi «è vivo, nell’immortalità della sua giovinezza». Nella seconda parte sono invece raccolti testi rari e poco conosciuti che vanno da uno scenario della Commedia dell’Arte al libretto della prima opera in musica su Don Giovanni e illuminano l’evoluzione del personaggio libertino. Questo libro è, per Macchia, un’occasione esemplare per seguire le modulazioni, rifrazioni, metamorfosi di una inesauribile immagine, che nasce dalla protesta contro il «culto della morte instaurato vittoriosamente tra il Cinquecento e il Seicento» e trapassa, attraverso la pratica di un «machiavellismo portato sull’amore», nell’affermazione insolente, comica, drammatica ed empia del «puro gusto della vita». -
Ritorno in Patagonia
Melville usò l’aggettivo «patagonia» per indicare qualcosa di totalmente esotico, mostruoso e pericolosamente attraente. Un’attrazione che agì anche sul giovane Bruce Chatwin. Fin dall’età di tre anni la Patagonia gli apparve come la Terra delle meraviglie. Poi dall’esperienza nacque In Patagonia, il più bel libro di viaggi dei nostri anni. Qualche tempo dopo, un altro illustre scrittore di viaggi, Paul Theroux, pubblicava un affascinante libro su quella terra, The Old Patagonian Express. Infine, nel 1985, Chatwin e Theroux composero, in una storia di contrappunto a due voci, questo delizioso libretto, dove entrambi tornano sulle tracce della loro passione nonché delle voci e delle storie disparate che sono connesse a quella terra. Sia Chatwin sia Theroux appartengono a quella stirpe di viaggiatori che «un’associazione o un riferimento letterario possono entusiasmare quanto una pianta o un animale raro». Perciò il loro dialogo non può che essere personalissimo ed erudito, esposto all’esperienza bruta del viaggio ma anche pronto a captare ogni segnale che giunga dal passato per ricomporre ancora più screziata, l’immagine di quella terra dai tanti misteri, veri e fantasticati. -
Su una gamba sola
Un incidente di montagna in Norvegia: Oliver Sacks si ritrova su un letto con una gamba che, nella sua percezione, non gli appartiene più. All’inizio, pensa che il suo caso sia semplice e banale. Poi, si trova sprofondato in un «abisso di effetti bizzarri e anche terrificanti». Quella gamba alienata dal suo corpo lo induce a indagare «l’orrore e la meraviglia che occhieggiano dietro la vita e che sono celati, per così dire, dietro la superficie usuale della salute». Perdere la percezione di un arto lede l’immagine di se stessi, obbliga a chiedersi che cosa sia questo Sé che agisce in noi. Anche questa volta, Sacks indaga, e ci fa partecipi della sua indagine, attraverso il racconto: che sarà il racconto di uno strano viaggio «in avanti e all’indietro – perché questa sembra essere la natura del pensiero: ricondurci al suo punto di partenza, alla casa atemporale della mente». -
Il terzo poliziotto
«Avete mai visto una bara di bicicletta?». Lettore, questo è l’unico romanzo al mondo dove una domanda del genere può suonare perfino troppo ovvia. Come anche apparirà ovvio che un Sergente di polizia consideri gli umani compenetrati di bicicletta – un po’ come, secondo la teoria di un altro poliziotto, tutto l’universo è riducibile a una sostanza fondamentale, detta omnium. Ma come si può giungere a un tale stato di cose? Innanzitutto assistendo a un assassinio efferato. E poi accompagnando uno degli assassini in una stazione di polizia sperduta tra fradice torbiere. Qui la prosa ci avverte che siamo entrati in un luogo dove valgono, se valgono, nuove leggi della materia e dello spirito. Bianca, piatta, come dipinta su un cartellone, quella stazione di polizia sembra possedere una dimensione in meno del reale, «lasciando senza significato le rimanenti». Non solo: «tutta la mattina e tutto il mondo sembravano non avere altro scopo che quello di farle da cornice». Guardandola, l’assassino presagisce in quella casa «la più grande sorpresa che avessi incontrato, e ne ebbi paura». Giusta reazione. Ma non guasteremo al lettore quella sorpresa. Mentre gli proponiamo, come viatico, alcune righe dello scienziato e metafisico de Selby, l’uomo che portò alla massima prossimità la demenza e il genio, e che qui fa da contrappunto a ogni avventura: «Giacché l’esistenza umana è un’allucinazione che contiene in sé la secondaria allucinazione del giorno e della notte (quest’ultima un’insalubre condizione dell’atmosfera dovuta ad accumulazioni di aria nera), all’uomo di senno non si addice preoccuparsi dell’illusorio approssimarsi di quella suprema allucinazione che è conosciuta col nome di morte». -
Sulla bilancia di Giobbe. Peregrinazioni attraverso le anime
«Pochi scrittori, in ogni tempo, hanno eguagliato la sua audacia, la sua insolenza nel porre quelle domande da bambino sfacciato che hanno sempre avuto il potere di gettare nel panico i filosofi» ha scritto Miłosz su Šestov, toccando il punto nevralgico della sua opera. Oggi più che mai sentiamo il bisogno di quelle «domande da bambino sfacciato» e dei libri di questo scrittore che fu una delle più alte intelligenze del suo tempo, una voce sottile, penetrante e limpida, il cui timbro continua a vibrare quando già si è spento il suono di molte altre voci più clamorose. Šestov fu per eccellenza il pensatore del conflitto Atene-Gerusalemme, la perenne tensione su cui si fonda la nostra civiltà. Spirito scettico e insieme mistico, conoscitore di tutti i meandri della speculazione, scriveva libri dalla forma agile, conversativa, mai trattatistica, dove i problemi ultimi della metafisica diventano episodi di un viaggio segreto e intimo. Perfetto esempio di tutto questo è Sulla bilancia di Giobbe, opera della piena maturità di Šestov. Questo libro, come dice il suo sottotitolo, è una vera «peregrinazione attraverso le anime» – e si tratterà spesso di anime molto difficili da avvicinare, come quelle di Dostoevskij, di Tolstoj, di Pascal o di Plotino, che pochi come Šestov hanno saputo cogliere nella loro peculiarità. Giunti alla fine, apparirà naturale che il libro sfoci su questa frase non dimenticabile: «La verità s’introduce nella vita senza presentare documenti giustificativi». -
Il cavaliere svedese
Leo Perutz è riconosciuto maestro di una specie particolare del fantastico: quella che si insinua nella realtà come una goccia di veleno, e la trasforma dall’interno in un’avventura demoniaca, senza che ci sia bisogno di ricorrere a troppo evidenti apparati di prodigi. Ma l’effetto è ancora più inquietante. Nel Cavaliere svedese, sullo sfondo fosco di un’ Europa di briganti, dragoni e locandieri all’inizio del Settecento, si racconta la storia di un ladro vagabondo che ruba l’identità a un giovane cavaliere svedese, diventando così egli stesso un potente che riesce ad attuare tutti i suoi sogni. Ma la potenza del «barone del malefizio» aleggia, palpabile e imprendibile, su questa vicenda. E il Diavolo sa riapparire sempre, per lo meno quando la partita giocata con lui si avvicina alla fine. -
Vita del lappone
Johan Turi era un lappone con gli «occhi azzurri raggrinziti dal vento e dalle intemperie» che visse molti anni cacciando e guidando mandrie di renne, come tutta la sua gente. A lungo questo libro si elaborò nella sua mente, in silenzio. Pensava che tutto il male incombente sui lapponi, ormai trattati come «cani stranieri», fosse dovuto alla scarsa conoscenza della loro vita che avevano i popoli vicini. Così tentò di raccontare quella vita, con la massima precisione e sobrietà. Non sapeva che in quel momento stava offrendo risposte preziose a quesiti che sempre torniamo a porci: che cos’è un nomade? Che cos’è un cacciatore arcaico? Che cosa significa vivere in simbiosi con un animale (in questo caso la renna)? Attraverso le sue parole sentiamo risuonare una voce ammutolita da tempi molto antichi. E, dice Johan Turi, «nei tempi antichi ogni cosa sapeva parlare, tutti gli animali e gli alberi e le pietre e ogni cosa sulla terra, e così parleranno anche al momento del giudizio finale». Johan Turi nacque nel 1854, quando già i lapponi cominciavano a essere maltrattati e perseguitati da norvegesi e finlandesi. La Vita del lappone, nelle sue intenzioni, doveva servire a illuminare lo spirito della sua gente, che gli stranieri non capivano e i lapponi stessi non riuscivano a spiegare, perché il lappone – come dice Turi – «non capisce molto quando sta dentro una stanza chiusa, quando il vento non gli soffia nel naso». Turi diede forma definitiva al suo libro, con l’aiuto prezioso dell’artista danese Emilie Demant, che condivise la sua vita in Lapponia nel 1907-1908. La prima edizione della Vita del lappone, annotata dalla Demant apparve in edizione bilingue (lappone e danese) nel 1910. Il libro ebbe immediatamente fortuna ed è oggi considerato il primo grande classico della letteratura lappone. Qui ne presentiamo la prima edizione italiana.