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Correre
Quando nello stadio di Berlino, ai campionati delle Forze alleate, scorgono dietro il cartello Czechoslovakia un solo atleta male in arnese, tutti si sbellicano dalle risate. E quando quell'atleta, che storditamente non si è accorto della convocazione, attraversa lo stadio come uno sprinter decerebrato urlando e agitando le braccia, i giornalisti estraggono avidi i taccuini. Ma poi, quando nei cinquemila, pur avendo già un giro di vantaggio, non smette di accelerare e taglia il traguardo in solitudine, ottantamila persone in delirio scattano in piedi. Il nome di quel ceco alto, biondo e che sorride sempre non lo dimenticheranno più: Emil Zatopek. La sua aria mite e gentile è una trappola: dacché, apprendista nello stabilimento Bata di Zlin, ha scoperto che correre gli piace, nessuno l'ha più fermato. Il fatto è che vuole sempre capire fin dove può arrivare. Dello stile se ne frega: ignaro dei canoni accademici, corre come uno sterratore, il volto deformato da un rictus. È, semplicemente, un motore eccezionale sul quale ci si sia scordati di montare la carrozzeria. Ai Giochi olimpici di Londra e poi a Helsinki Emil varca le possibilità umane, diventa invincibile. Nessuno può fermarlo: neppure il regime cecoslovacco, che comincia a chiedersi se un grande sportivo popolare non sia una forma di individualismo borghese. -
Pietroburgo
Pietroburgo, 1905. La città è sconvolta dalla tempesta sociale, si moltiplicano i comizi, gli scioperi, gli attentati. Il giovane Nikolaj Apollonovic, che si è incautamente legato a un gruppo rivoluzionario, entra in contatto con Dudkin, nevrotico terrorista nietzscheano, il quale gli affida una minuscola bomba. E il provocatore Lippancenko, doppiogiochista al servizio della polizia zarista e al contempo dei rivoluzionari, gli rivela qual è il suo compito: dovrà far saltare in aria il senatore Apollon Apollonovic, abietto campione dell'assurdità burocratica. Suo padre. È intorno a questo rovente nucleo narrativo che si snodano le vicende surreali e grottesche di ""Pietroburgo"""", unanimemente considerato il capolavoro romanzesco del simbolismo russo. Dove la vera protagonista è tuttavia la """"Palmira del Nord"""": una Pietroburgo maestosa e geometrica solo all'apparenza, edificata su un labile terreno palustre i cui miasmi sgretolano le possenti architetture, le cui brume sfaldano e decompongono ogni comparsa che striscia lungo i vicoli fiocamente illuminati, tra bettole ammuffite e palazzi scrostati. I sommovimenti di inizio secolo, preludio di future tragedie, l'ululato del vento che si incanala lungo le gole del libro, il demoniaco colore giallo dei comizi gremiti di una folla in trance: ogni cosa è in preda a una malefica possessione, che Belyj filtra attraverso la lanterna magica delle immagini."" -
Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo. Conversazione a tre voci
Pochi personaggi hanno scatenato l'acredine e il sarcasmo dell'Ingegnere quanto Ugo Foscolo (""mi fa imbestialire"""" ha confessato in una lettera) : tanto che nel 1958 non ha esitato a fustigarlo in una virulenta, irresistibile """"farsa"""" a tre voci andata in onda sul Terzo Programma della Radio. Le tre voci sono quelle della stolida e giuliva Donna Quirina Frinelli, imbevuta delle auree riflessioni dell'amica professoressa Gambini; del reboante e didattico Manfredo Bodoni Tacchi, sfegatato ammiratore del poeta; e, infine, dell'insolente e sguaiato Carlo De' Linguagi, implacabile accusatore del Basetta, colpevole ai suoi occhi - nonché a quelli di Gadda - di cialtroneria, istrionismo, virilità scenica ed esasperato narcisismo: """"vantarsi del pelo... è un'opinione da parrucchiere"""" sibila a proposito dell'""""irsuto petto"""" del sonetto-autoritratto. E, quel che è più grave, responsabile di un """"macchinoso ed inutile vocabolario"""", di una """"sequenza d'imagini ritenute greche e marmorine"""", di versi traboccanti di """"vergini"""" e simili a sciarade, nonché di veri e propri strafalcioni. Ma a ben vedere """"II Guerriero"""" è molto più di un divertissement: giacché gli esilaranti attacchi sferrati alla gipsoteca e marmoteca foscoliana e all'epos di Bonaparte, il Nano, altro non sono che l'impetuosa denuncia di una monolingua incapace, nella sua """"lindura faraonizzata"""" di dar conto della realtà - e della fasulla poesia dei Vati, cui spetta il compito di mascherare il volto della sopraffazione e della violenza."" -
Le leggende degli ebrei. Vol. 5: Verso la terra promessa.
In questa quinta tappa del viaggio di Louis Ginzberg attraverso la tradizione ebraica, in margine alla Bibbia, prosegue e si conclude l'epopea di Mosè, tormentato e persino ritroso intermediario fra cielo e terra, ma anche audace condottiero in quel deserto fitto di insidie in cui i figli di Israele errano (nel duplice senso del termine) per quaranta, lunghi anni. Sono pagine ricche di eventi, in vertiginosa oscillazione tra vette e bassure: la montagna in cima alla quale il profeta parla con Dio - e da Lui riceve la Legge - e il fondovalle dove gli ebrei attendono, divisi tra fervorosa attesa e cupo sconforto; la costruzione del Tabernacolo e dell'Arca Santa, suggello del patto tra Dio e il suo popolo, e la trasgressione in cui quest'ultimo puntualmente cade, come nell'emblematico episodio dell'adorazione del Vitello d'Oro. Una dinamica fra meriti e colpe, castighi e retribuzioni scandita da un susseguirsi di immagini nitide, ora struggenti ora crudeli, fino al culmine lacerante della morte del protagonista. Via via privato dal Signore dell'ispirazione profetica e incapace ormai di comprendere le parole della Legge, Mosè cerca almeno di stornare da sé la tremenda condanna di non poter calpestare la Terra Promessa. Invano: la potrà scorgere soltanto di lontano, dalla cima del monte in cui Dio lo porta a morire, ma in quell'istante essa sarà tutta e solo per il suo sguardo. -
Il liuto e le cicatrici
Le sei narrazioni qui raccolte, a cui si aggiunge un breve scritto, ""A e B"""", che funge quasi da metafora ed """"epilogo lirico"""" per l'intera opera di Kis, sono state ritrovate dopo la morte dello scrittore fra i manoscritti inediti. Alcuni testi, come il racconto che dà il titolo al libro - l'unico di ambientazione belgradese -, sono autobiografici, altri fanno rivivere personaggi celebri della letteratura centroeuropea, intrecciando vicende immaginarie con fatti storicamente attestati, secondo il modello del """"documento-finzione"""". Emergono così da un passato più o meno recente le figure di Odón von Horvath e di Endre Ady (Il senza patria), di Ivo Andric (Il debito), di Piotr Rawicz (Jurij Golec), mentre l'ombra di Sinjavskij si allunga sul racconto-sogno del """"Maratoneta"""". Le storie di questo libro, molte delle quali inizialmente destinate all'""""Enciclopedia dei morti"""", come suggerisce Mirjana Miocinovic nelle note critiche, nascono sotto il segno dei drammi epocali del secolo XX, quelli che hanno profondamente segnato Kis ispirandone l'opera: l'oppressione dei regimi totalitari, i destini delle vittime - immersi nell'oblio -, l'amarezza dell'esilio, lo sradicamento e la tristezza di chi sopravvive a tragedie silenziose, l'amore angoscioso per gente senza nome e senza tomba. Ma su tutto incombono i due temi privilegiati da Kis - quello della morte e quello della scrittura, strettamente congiunti."" -
Sette brevi lezioni di fisica
"Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato"""". Tale è il presupposto di queste """"brevi lezioni"""", che ci guidano, con ammirevole trasparenza, attraverso alcune tappe inevitabili della rivoluzione che ha scosso la fisica nel secolo XX e la scuote tuttora: a partire dalla teoria della relatività generale di Einstein e della meccanica quantistica fino alle questioni aperte sulla architettura del cosmo, sulle particelle elementari, sulla gravità quantistica, sulla natura del tempo e della mente." -
Sono il fratello di XX
A un certo punto di questi racconti si parla di una ""calma violenta"""" - e subito si riconosce il timbro e il passo di una scrittrice per cui l'ossimoro è come l'aria che respira, quasi un segno di riconoscimento, fin dal titolo del suo romanzo più famoso, """"I beati anni del castigo"""". Del quale Iosif Brodskij scrisse: """"Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l'autrice, il resto della vita"""". Non diverso l'effetto di queste storie, talvolta di una brevità lancinante, talvolta dense come un romanzo. Mescolando all'estro fantastico frammenti di ricordi e apparizioni, amalgamati in uno stile dove domina quello che gli etologi chiamano Ubersprung, """"diversione"""": quello scarto laterale, apparentemente fuori contesto, che è un segreto ancora insondato del comportamento. E, come si mostra qui, della letteratura."" -
Forse Esther
Si sarà proprio chiamata Esther quella bisnonna che, nella Kiev del 1941, chiese fiduciosa a due soldati tedeschi la strada per Babij Jar, la fossa comune degli ebrei, ricevendone come risposta un distratta rivoltellata? Forse. E dell'intera famiglia, dispersa fra Polonia, Russia e Austria, che cosa ne è stato? Il monolite sovietico conosceva l'avvenire, non la memoria. Per ricostruire quella ramificata genealogia, quel vivace intreccio di culture e di lingue - yiddish, polacco, ucraino, ebraico, russo, tedesco -, Katja Petrowskaja intraprende, sulle tracce degli scomparsi, un intenso viaggio a ritroso nella storia di un Novecento sul quale incombono la stella gialla e quella rossa, e in cui si incrociano i destini di memorabili figure: la babuska Rosa, incantevole logopedista di Varsavia, che salva duecento bambini sopravvissuti all'assedio di Leningrado; il nonno ucraino, prigioniero di guerra a Mauthausen e riemerso da un gulag dopo decenni; il prozio Judas Stern, che spara a un diplomatico tedesco nella Mosca del 1932, e dopo un processo-farsa viene spedito ""nel mondo della materia disorganizzata""""; il fratello Semén, il rivoluzionario di Odessa, che passando ai bolscevichi cambia in Petrovskij un cognome troppo ebraico... Ma indimenticabili protagonisti sono anche i paesaggi: l'immane pianura russa invasa dai tedeschi e le città della vecchia Europa: Kiev, Mosca, Varsavia, Berlino. E i ghetti, i gulag e i lager nazisti."" -
Figure del mito
"Il mio tentativo è quello di mostrare come l'antichità possa essere rilevante per la vita della psiche e come la vita psichica possa rivitalizzare l'antichità"""" afferma Hillman in uno dei saggi raccolti in questo denso volume, in cui alcune figure del mito greco sono riconnesse alla storia e alla vita quotidiana: da Dioniso - prendendo le mosse dalle intuizioni di Nietzsche e di Jung - ad Atena, che troviamo """"al cuore del mito del progresso della civiltà occidentale""""; dal motivo mitologico dell'abbandono del bambino, """"realtà psicologica permanente"""", a Marte, ispiratore di quell'""""amore nella guerra e per la guerra che è più forte della vita""""; dal titanismo dell'epoca presente, responsabile dell'""""anestesia psichica"""" che è il contrassegno della nostra civiltà, a un Edipo reinterpretato nel quadro di """"una revisione archetipica della psicologia del profondo"""". E poi Afrodite, Estia, Era, Ermes, Oceano, Orfeo, Apollo, in un percorso affascinante attraverso le fibre più intime della nostra civiltà e della nostra psiche. Con le parole dello stesso Hillman, ancora: """"La 'Wirksamkeit' del mito, la sua realtà consistono precisamente nel potere che gli è proprio di conquistare e influenzare la nostra vita psichica. I Greci lo sapevano molto bene, per questo non conobbero una psicologia del profondo e una psicopatologia, contrariamente a noi. Loro avevano i miti. Mentre noi non abbiamo miti veri e propri - solo una psicologia del profondo e una psicopatologia." -
Nikolaj Gogol
Il saggio ottiene subito un grande successo, anche se dall'inizio alla fine Nabokov si guarda bene dal seguire le indicazioni ricevute, e manifesta ripulsa per i riassunti e le pedanti esposizioni tipiche del volgarizzatore. Predilige piuttosto gli effetti sorprendenti (comincia con la morte di Gogol' per finire con la sua nascita), gli aspetti bizzarri, le diversioni impazienti - e si limita a ciò che ritiene il meglio dello scrittore, trascurando il resto. Ma riesce, con il suo tocco magico, a trasformare particolari in apparenza insulsi, dettagli persino privi di senso artistico, in trionfi dell'immaginazione: lo sciame di personaggi secondari del Revisore, che prendono vita nello spazio di una digressione; la splendida poetica dell'irrilevanza e l'apoteosi della volgarità compiaciuta in Anime morte; le oscillazioni perturbanti di un incubo grottesco nel Cappotto, a cui dedica, in un superbo crescendo, l'ultimo capitolo - prologo folgorante all'estetica del Nabokov narratore. -
Cervelli che contano
Se vediamo uno stormo di uccelli ""per un secondo o forse meno"""" - come nel famoso apologo di Borges nell'""""Artefice"""" -, non siamo in grado di stabilire il numero esatto di volatili: possiamo però stimarne approssimativamente l'ampiezza, giudicare se lo stormo è più grande o più piccolo rispetto a un altro. Muovendo da questo elegante esempio letterario, Giorgio Valortigara e Nicla Panciera ci introducono alla scoperta che la successione dei numeri interi, la cosa più intuitivamente discreta, è rappresentata nel cervello da quantità continue, affette da caratteristico """"rumore"""". Queste due modalità, discreta e continua, sono riconducibili a una """"qualità sensoriale primaria"""" che risponde al numero come agli altri stimoli visivi o acustici. In altre parole, ci sono nel cervello neuroni selettivamente sensibili alla numerosità degli oggetti a prescindere dalla loro grandezza, forma o posizione, e responsabili di un """"senso del numero"""" analogo a quello dello spazio e del tempo. Dispiegando varie prove sperimentali che vanno dall'analisi del comportamento fino a quella dell'attività dei singoli neuroni, gli autori da un lato mostrano l'esistenza di innate capacità matematiche in un ventaglio sorprendentemente ampio di specie, e dall'altro, sul versante specificamente umano, ricostruiscono il passaggio storico-culturale che ha portato Homo sapiens all'elaborazione dei numeri astratti in parallelo a quella delle lettere dell'alfabeto."" -
L' occhio del barbagianni
Il tempo, la storia, il sesso, il cosmo, l'abisso: centotrentaquattro nuovissimi pensieri del Filosofo Ignoto. -
La natura diacronica della coscienza
In poche, densissime, appassionate pagine, la tesi molto poco ortodossa su cui si fonda l'intera opera di Jaynes: la coscienza non è data da sempre, e per sempre, ma - come tutto - ha una storia. -
Una vita per strada. Diventare parte della città
Le strade di New York in una scheggia del singolarissimo romanzo urbano cui Joseph Mitchell lavorò, in segreto, per trent'anni. Con una nota di Matteo Codignola. -
Papà Orso torna a casa. Ediz. illustrata
La famiglia di Orsetto si arricchisce di un nuovo, grande (e grosso) personaggio. Il secondo episodio della saga che ha reso Maurice Sendak l'artista più amato da milioni di piccoli lettori. Età di lettura: da 5 anni. -
Vita breve di Katherine Mansfield
Vincitore premio Bagutta 1981""Se questo libro è, oltre che una biografia critica densa di illuminazioni, un vero e proprio racconto, il 'romanzo' della vita della Mansfield, lo si deve a un dono raro, che Citati - sono parole di Mario Praz - possiede al pari della scrittrice: '... egli aspira, assorbe il contenuto, l'essenza di un personaggio, lo condensa, l'amplifica, e lo ripresenta con un effetto sonoro che fa pensare al 'Bolero' di Ravel: ora è Goethe, ora è Cosroe, e ora la Mansfield. Shelley scrisse 'La sensitiva' con sfoggio di spettacoli del giardino nelle varie stagioni che accompagna l'esistenza della dama eletta. Citati ha circonfuso la sua vita della Mansfield con le esalazioni di un incensiere carico di tutti i profumi della poesia'""""."" -
L' amore in un clima freddo
Uno scintillante alone di glamour e di gossip ha sempre circondato le sei celeberrime sorelle Mitford, figlie del barone Redesdale, e Nancy, la maggiore in ogni senso, ne ha trasferito sulla pagina riverberi screziati di veleno. Questa micidiale comedy of manners, ambientata tra le due guerre, mette in scena gli impossibili Montdore, di ritorno da cinque anni in India dove il conte, ricchissimo, aristocraticissimo, congenitamente stolido come i suoi degni pari, era Viceré. La consorte, di una prosaicità adamantina, neanche fosse di origini borghesi o americane, sguazza nel bel mondo. E la figlia Polly, la debuttante più concupita dai giovani blasonati che affollano i balli della stagione, decide per capriccio di farsi impalmare dallo zio, Boy Dougdale, di lei molto più vecchio e da pochi giorni vedovo, maestro nell'arte del ricamo nonché per anni amante della madre. Diseredata ipso facto, si ritira con il marito a vivere ""di stenti"""" in Sicilia. L'eredità passa così a uno spumeggiante cugino canadese, affermato gigolò per signori, e basteranno un paio di sue battute perché Lady Montdore, titillata nel suo organo vitale, la mondanità, si rituffi nel girone festaiolo. Dove finirà per tornare anche Polly, ormai tanto disincantata da reagire ridendo alle sue disgrazie: non per niente siamo in Arcadia, e mentre lei trova un consolatore, saranno ben altri scandali a scuotere tutta l'alta società."" -
L' Adalgisa. Disegni milanesi
"Dopo 'I promessi sposi', non esiste, nella letteratura italiana, nessuna rappresentazione d'una città così ricca, complessa, variegata, sonora come nella bellissima 'L'Adalgisa'. Come in Manzoni, la città è Milano: la storia, la società, la psicologia, la cultura, i costumi, i riti, la lingua, l'esistenza quotidiana di Milano, di cui Gadda vuole rappresentare la totalità enciclopedica. Niente deve sfuggire al suo sguardo onnicomprensivo di storico-entomologo-mineralogista: nemmeno il minimo frammento o la minima possibilità... La sua Milano era quella moderna: tra la fine dell'Ottocento e il 1940; la Milano degli anni in cui scriveva febbrilmente romanzi destinati a rimanere incompiuti. Malgrado lo sguardo satirico, aveva per quella città un affetto senza limiti. Amava il suo senso di gruppo, l'affettuosità sincera e recitata, 'la festevolezza e allegria squillanti', la bonomia un po' sciocca, il moralismo spesso grottesco, la velocità in tutte le occasioni della vita, l'intraprendenza, il buon senso a volte assurdo, un vago alone di demenza e, soprattutto, una vocalità femminile che nessun freno poteva arrestare."""" (Pietro Citati)" -
La pipa di Maigret e altri racconti
Ora Maigret sapeva come erano andate le cose il giorno precedente nella cappella dell'ospedale. Justin, che batteva i denti ed era allo stremo delle forze, aveva avuto una vera e propria crisi di nervi. La messa non poteva ritardare. Con il consenso della madre superiora, la suora sacrestana aveva preso il posto del chierichetto, che nel frattempo riceveva le cure del caso in sacrestia. Erano passati dieci minuti prima che alla madre superiora venisse in mente di avvertire la polizia. Bisognava attraversare la cappella. Tutti avevano intuito che stava succedendo qualcosa. Al commissariato di quartiere, il brigadiere di turno ci aveva messo un po' a capire. ""Come dice?... La madre superiora?... Superiora di che?...""""."" -
Il tradimento
Come il diario in versi ""Viola di morte"""" (1972), anche """"Il tradimento"""", che ne è """"grave e terribile seguito"""", sembra alimentato dal furore e dalla rabbia, quasi che scrivere colmasse in Landolfi - sono parole di Citati -""""una tremenda voragine esistenziale, che torna a riaprirsi alla fine di ogni poesia, più angosciosa di prima. Ora i suoi versi ci rivelano l'immediato scatto dei nervi: ora tendono alla scansione nuda dell'epigramma e dell'aforisma. Non volano mai, non cantano mai, non corteggiano mai le grazie dell'immagine e della musica"""". E la ragione è chiara, lacerante: ugualmente allettato dal versante """"selvoso"""" della prosa e da quello """"brullo"""", """"spoglio"""" della poesia, Landolfi si sente ormai, da entrambi, ugualmente respinto.""