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Allucinazioni
Una trascinante ""storia naturale delle allucinazioni"""".«Vediamo con gli occhi, ma vediamo anche con il cervello. E vedere con il cervello è ciò che spesso chiamiamo immaginazione. Abbiamo familiarità con i paesaggi della nostra immaginazione, i nostri """"paesaggi interiori"""". Ci abbiamo convissuto per tutta la vita. Ma esistono anche le allucinazioni, e le allucinazioni sono un'altra cosa. Non sembrano essere una nostra creazione, né sottostare al nostro controllo. Sembrano arrivare dall'esterno e imitare la percezione ... Quello che vedi e che senti è lì fuori, fa paura, ti guardi intorno e non sai da dove viene.» (Oliver Sacks)"" -
Coral Glynn
L'amore sconcerta. Ecco perché ha perfettamente sensoCi sono libri - anche grandi libri - che si ricordano magari per la storia, o i personaggi, o le atmosfere. Poi ce ne sono altri, più rari e sfuggenti, che all'universo parallelo della letteratura arrivano in un modo diverso - curvando lo spaziotempo della narrazione per portarci in una scena che, al di fuori delle loro pagine, sembra non voler esistere. Ad esempio in una grande villa nella campagna inglese del 1950, dove Coral, che al mondo non ha più nulla e nessuno, arriva per assistere la padrona di casa, mentre il figlio di lei, il maggiore Clement Hart, cerca di guarire dalle ferite che gli ha lasciato la guerra. In quelle stanze buie, gelide e spettrali, Coral e Clement arrivano in brevi momenti, con le parole, quasi a toccarsi. Ma ogni volta, dalla caligine che si insinua ovunque, qualcosa - un anello rubato, un inquietante gioco infantile, un misterioso profumo di fiori - si materializza, costringendo il desiderio e il bisogno ad assumere una forma meno categorica dell'amore. È l'inizio di un viaggio lieve, doloroso e imprevedibile, difficile da raccontare e impossibile da dimenticare. Che Peter Cameron ci invita a intraprendere con una sola promessa, quella di guidarci, per minuscoli slittamenti delle emozioni, a un finale che non ci aspetteremmo - e di farci sentire improvvisamente molto vicini «al cuore dorato e incandescente dell'universo». -
Autobiografia di mia madre
Un personaggio travolgenteJamaica Kincaid appartiene alla schiera degli autori che, nati alla ""periferia dell'impero"""" (nel suo caso ad Antigua nei Caraibi), hanno immesso nuova linfa nella letteratura di lingua inglese. Questa è una storia di solitudine e risentimento, di insofferenza per la """"stanza nera del mondo"""", che assume il profilo di paesaggi lussureggianti. Le vicende di Xuela, figlia di una madre caraibica e di un padre per metà scozzese e per metà africano, abbandonata insieme a un mucchio di panni sporchi mentre la madre moriva di parto, aprono un variegato itinerario nell'infelicità dove le durezze del mondo si scontrano con un carattere torvo e visionario. E a ogni passo di questo itinerario la vita di Xuela si intreccia con quella della madre non conosciuta."" -
L' innominabile attuale
Un libro su ciò che sta intorno a noiTuristi, terroristi, secolaristi, hacker, fondamentalisti, transumanisti, algoritmici: sono tutte tribù che abitano e agitano ""l'innominabile attuale"""". Mondo sfuggente come mai prima, che sembra ignorare il suo passato, ma subito si illumina appena si profilano altri anni, quel periodo fra il 1933 e il 1945 in cui il mondo stesso aveva compiuto un tentativo, parzialmente riuscito, di autoannientamento. Quel che venne dopo era informe, grezzo e strapotente. Nel nuovo millennio, è informe, grezzo e sempre più potente. Auden intitolò """"L'età dell'ansia"""" un poemetto a più voci ambientato in un bar a New York verso la fine della guerra. Oggi quelle voci suonano remote, come se venissero da un'altra valle. L'ansia non manca, ma non prevale. Ciò che prevale è l'inconsistenza, una inconsistenza assassina. È l'età dell'inconsistenza."" -
Parla, ricordo
Un caso di magia evocatriceCon la ""particolare nitidezza"""" di qualcosa che si vede dall'altro capo di un telescopio, minuscolo ma provvisto dello smalto allucinatorio di una decalcomania, Nabokov ha lasciato affiorare dalle pagine di questo libro la sua fanciullezza nella """"Russia leggendaria"""" precedente alla Rivoluzione, troppo perfetta e troppo felice per non essere condannata a un dileguamento istantaneo e totale, sospingendo poi il ricordo fino all'apparizione dello """"splendido fumaiolo"""" della nave che lo avrebbe condotto in America nel 1940. """"Il dettaglio è sempre benvenuto"""": questa regola aurea dell'arte di Nabokov forse mai fu applicata da lui stesso con altrettanta determinazione come in """"Parla, ricordo"""". Qui l'ebbrezza dei dettagli che scintillano in una prosa furiosamente cesellata diventa il mezzo più sicuro, se non l'unico, per salvare una moltitudine di istanti e di profili altrimenti destinati a essere inghiottiti nel silenzio, fissandoli in parole che si offrono come """"miniature traslucide, tascabili paesi delle meraviglie, piccoli mondi perfetti di smorzate sfumature luminescenti"""". Compiuta l'operazione da stagionato prestigiatore itinerante, Nabokov riarrotola il suo """"tappeto magico, dopo l'uso, così da sovrapporre l'una all'altra parti diverse del disegno"""". E aggiunge: """"E che i visitatori inciampino pure"""". Cosa che ogni lettore farà..."" -
Storia dell'eternità
Un Borges quintessenzialeNel 1936, quando scrisse la Storia dell’eternità, Borges lavorava in una biblioteca rionale dimenticata in un quartiere periferico di Buenos Aires, dove la topografia ortogonale della capitale argentina si frastagliava in terreni incolti e officine e ortaglie, e dove il tempo sembrava non passare mai. Fu in quel periodo che si delinearono nella sua opera i tratti che oggi chiunque definirebbe, a colpo sicuro, borgesiani, e in primo luogo l’inclinazione a considerare tutto come materiale letterario. Così, per esempio, teologia e metafisica potevano diventare ai suoi occhi cronache della vita di un personaggio chiamato eternità, del quale egli si proponeva di restituire, attraverso episodi ben vagliati, alcune delle fasi che punteggiavano una vita infinita. Senza impedirsi, comunque, di accostare queste storie a divagazioni sulla metafora, sui traduttori delle Mille e una notte e sull’arte dell’insulto. Tale procedimento, usato da Borges con discrezione e ironia, ha una straordinaria forza dissestante, nel senso che scalza ogni affermazione dal suo piedistallo di pretesa realtà, come se la realtà stessa non fosse che un genere letterario. E nel contempo ci introduce a un nuovo genere, di cui Borges seppe essere, per un paradosso a lui congeniale, insieme il fondatore e l’epigono. -
Uno scrittore in guerra (1941-1945)
Lo straordinario resoconto della guerra combattuta tra il 1941 e il 1945 nell'Europa orientale, da parte di un testimone d'eccezionern""Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità"""": attenendosi scrupolosamente a tale principio, a dispetto della censura e dei gravi rischi, Vasilij Grossman narrò in presa diretta le vicende del secondo conflitto mondiale sul fronte Est europeo. Era infatti inviato speciale di """"Krasnaja zvezda"""" (Stella Rossa), il giornale dell'esercito sovietico che egli seguì per oltre mille giorni su quasi tutti i principali fronti di battaglia: l'Ucraina, la difesa di Mosca e l'assedio di Stalingrado, che fu il punto di svolta nelle sorti della guerra e diede origine a """"Vita e destino"""". Benché fosse un tipico esponente dell'intelligencija moscovita, Grossman riuscì, grazie al suo coraggio e alla capacità di descrivere con singolare efficacia ed empatia la vita quotidiana dei combattenti, a conquistarsi la fiducia e l'ammirazione di chi lo leggeva, ufficiali e soldati da una parte, e dall'altra un vasto pubblico di cittadini e patrioti ansiosi di ricevere notizie autentiche, non contaminate dalla retorica ufficiale. Dei taccuini - di sorprendente qualità letteraria - che fornirono materia ai reportage di Grossman, e che escono ora per la prima volta dagli archivi russi, lo storico inglese Antony Beevor ci offre qui una vasta scelta, arricchita da articoli e lettere dello scrittore e da altre testimonianze coeve."" -
Il piacere di scoprire
Una prodigiosa mente scientifica all'opera«Una volta un poeta ha detto: ""L'universo intero è in un bicchiere di vino"""". Probabilmente non sapremo mai in che senso lo disse, perché i poeti non scrivono per essere compresi. Ma è vero che se osserviamo un bicchiere di vino abbastanza attentamente vediamo l'intero universo. Ci sono le cose della fisica: il liquido turbolento e in evaporazione, in funzione del vento e del tempo, il riflesso sul vetro del bicchiere, e la nostra immaginazione aggiunge gli atomi. Il vetro è un distillato di rocce della terra, e nella sua composizione vediamo i segreti dell'età dell'universo e l'evoluzione delle stelle. Ci sono i fermenti, gli enzimi, i substrati e i prodotti... E se le nostre piccole menti, per qualche modesta convenienza, dividono questo bicchiere di vino, questo universo, in parti (fisica, biologia, geologia, astronomia, psicologia e via dicendo) ricordiamo sempre che la natura non lo sa! Perciò rimettiamo tutto insieme e non dimentichiamoci per cosa è fatto. Lasciamo che ci regali ancora un ultimo piacere: beviamolo in un sorso e scordiamoci di tutto il resto!». Prefazione di Freeman J. Dyson."" -
Lezioni di letteratura russa
Il professor Nabokov non ha alcun metodo, alcun approccio critico: con gli unici strumenti della passione e di una precisione infinita, si limita a scoprire la magia delle parole nelle loro più segrete combinazioni. E noi, come i suoi studenti, lo ascoltiamo incantati mentre va dritto al cuore di questo o quel capolavoro.rnrn«Un libro di cui che ama Nabokov in particolare e i romanzi russi dell'Ottocento in genere, difficilmente riesce a interrompere la lettura, perché tantissimi sono gli spunti di riflessione e i rimandi ai dettagli che fanno la differenza fra vera letteratura e narrazione di una trama» - Wlodek Goldkorn, RobinsonrnrnDue volte esule, dalla Russia comunista e dall’Europa nazista, negli Stati Uniti Nabokov insegnò per quasi vent’anni letteratura russa al Wellesley College e in seguito alla Cornell University. Erano lezioni memorabili in cui, con paziente tenacia, richiamava l’attenzione su oggetti o particolari che sembrano non avere alcuna rilevanza artistica: la borsa rossa di Anna Karenina; la fetta di cocomero che Gurov mangia rumorosamente in una stanza d’albergo nella Signora col cagnolino o il vestito «serpentino» di Aksin’ja in un altro racconto di Čechov, «artista perfetto»; la ruota del tondeggiante calesse sul quale, in Anime morte di Gogol’, il tondo Čičikov, ipostasi dell’enfia volgarità universale, arriva nella città di NN. Maestro atipico, spericolato, Nabokov avrebbe voluto trasformare gli allievi in «buoni lettori», quelli che non leggono un libro per identificarsi con i personaggi, e tantomeno per imparare a vivere, giacché la vera letteratura – gioco sacro, superiore forma di felicità – non insegna nulla che possa essere applicato ai problemi della vita. Metteva in guardia contro il veleno ideologico del «messaggio» e contro ogni tentativo di cercare la famigerata «anima russa» nell’opera di giganti come Tolstoj, Čechov, Gogol’ e il pur disamato Dostoevskij. -
Oracolo manuale ovvero l'arte della prudenza
«Una sintesi magnifica di poetica e di etica» - Marc FumaroliNel 1647, al crepuscolo del Siglo de Oro, appare a Huesca, nell'Aragona, un sottile libro in-12°, opera di un Lorenzo Gracián dietro al quale si celava un teologo gesuita dalla solida fama di scrittore, Baltasar Gracián. Nessuno poteva prevedere che quei trecento aforismi avrebbero esercitato in Europa - grazie soprattutto alla traduzione-travisamento di Amelot de la Houssaie, dedicata a Luigi XIV nel 1684 - un'influenza immensa, sino a diventare un classico dell'educazione del gentiluomo, amato da Schopenhauer (che volle tradurlo) e apprezzato da Nietzsche. Ma che cos'era in realtà l'Oracolo manuale (cioè 'maneggevole, di facile consultazione')? Per capirlo, non abbiamo che da affidarci a Marc Fumaroli, il quale, in un illuminante saggio, ci rivela come l'Oracolo, trasformato da Amelot in una collezione di tattiche mondane, fosse qualcosa di infinitamente più audace e innovativo. Fondandosi sulla lezione della saggezza antica e sull'umanesimo teologico della Compagnia - sulla fiducia, dunque, nella cooperazione della natura e della grazia -, in opposizione al rigorismo giansenista, con quel libretto dallo stile conciso e concentratissimo Gracián intendeva infatti offrire alle grandi anime libere un viatico per affrontare vittoriosamente i pericoli e le insidie di un mondo degradato - e per imprimere il loro marchio nella vita politica e civile. Non una regola, dunque, ma uno stile, sorretto dalla conoscenza di sé e degli uomini non meno che dall'eleganza delle maniere e dal gusto raffinato, dal sapere enciclopedico e dalla solidità del giudizio, dalla docilità della volontà e dalla più calibrata riservatezza. -
Memorie dell'insurrezione di Varsavia
Per la prima volta tradotto in Italia, uno dei grandi libri del Novecento polaccornrn«Un affresco sorprendente» - Wlodek Goldkorn, Robinsonrnrn«Meno male che mia madre mi aveva detto che sarebbe stata una giornata tranquilla! » dice al giovane Miron l'amico Staszek. È il 1° agosto 1944, e per le strade affollate di Varsavia, da cinque anni sotto l'occupazione dell'esercito tedesco, la gente è in subbuglio: si parla di soldati nazisti ammazzati, di «carri armati grossi come case», e le detonazioni dei pezzi d'artiglieria echeggiano ben presto più forti e vicine di quelle che già da qualche giorno provengono dal fronte, dove avanzano i sovietici. È l'inizio di una delle vicende più atroci e controverse della Seconda guerra mondiale, che ancora oggi è come una ferita aperta nella coscienza e nella memoria della Polonia. Organizzata dal movimento di resistenza nazionalista, l'insurrezione di Varsavia, nata con finalità antitedesche ma anche con un significato apertamente antisovietico, si rivelerà un catastrofico errore politico e militare: 25.000 insorti e 200.000 civili rimarranno uccisi, la città sarà letteralmente rasa al suolo, e molti dei reduci, bollati dalla propaganda stalinista come «luridi giullari della reazione», scompariranno nei gulag. Solo a distanza di oltre vent'anni Miron Bialoszewski riuscirà a scrivere di quella tragedia, che prima non è stato in grado di raccontare se non «chiacchierando». E, anche sulla pagina, il racconto è un ""parlato"""" concitato, frantumato ed erratico, in un libero flusso di ricordi: l'unica forma capace di testimoniare una verità lontana da quella delle opposte propagande. E capace, nel percussivo alternarsi di immagini e suoni, odori e sapori, di costringere il lettore a un'immedesimazione assoluta."" -
«Questo non è un racconto». Scritti per il cinema e sul cinema
La travolgente passione di Sciascia per il cinema.In un'aula giudiziaria, una donna vestita di nero accusa il capomafia che ha fatto ammazzare suo marito e poi – malgrado le avesse garantito che non gli «avrebbero toccato un capello» – anche suo figlio: «Loro sono venuti meno alla legge dell'onore,» dichiara «e perciò anche io mi sento sciolta». Pur di vendicarli ha accettato di infrangere le regole cui si era sempre sottomessa – di rinunciare a vivere. Quella donna è Serafina Battaglia, testimone di giustizia nella Palermo dei primi anni Sessanta, devastata dai regolamenti di conti mafiosi. Ma il testo che ne evoca la «vindice inflessibilità» non è un racconto: è uno dei tre memorabili soggetti che Sciascia, realizzando un'antica vocazione – diventare regista o sceneggiatore –, ha scritto per il cinema, e che sono sinora rimasti inediti. Nata alla fine degli anni Venti nel «piccolo, delizioso teatro» di Racalmuto trasformato in cinematografo, e in seguito febbrilmente alimentata, la sua passione per il cinema è del resto sempre stata travolgente: «per me» ha confessato «il cinema era allora tutto. TUTTO». E ha suscitato, fra il 1958 e il 1989, acute riflessioni affidate ai rari scritti pure qui radunati: sull'erotismo nel cinema, sulla nascita dello star system, sul periglioso rapporto tra opere letterarie e riduzioni cinematografiche. Nonché splendidi ritratti: come quelli di Ivan Mozžuchin, dal volto «affilato, spiritato, di nevrotica malinconia», di Erich von Stroheim, «l'ufficiale austriaco che ha dietro di sé il crollo di un impero», o ancora di Gary Cooper, «eroe della grande e libera America» – vertiginosamente somigliante al sergente americano che nell'estate del 1943 avanzava al centro della strada «fulminata di sole» di un paese della Sicilia. (A cura di Paolo Squillacioti) -
Anne-Marie la beltà
In virtù dei poteri alchemici della scrittura di Yasmina Reza, l'intervista che un'oscura ex attrice, AnneMarie Mille, immagina di concedere a una serie di invisibili giornalisti dopo la morte di una celebre collega si tramuta nell'elogio di tutti gli attori che celebri non diventano mai, quelli il cui nome compare in fondo alla locandina.«Raza è la più grande drammaturga vivente, e autrice di romanzi di raffinata spietatezza» - Marco Missiroli, la LetturaLo scrittore, ha detto una volta Yasmina Reza, è simile a un alchimista, poiché «prende una materia per crearne un'altra». E proprio in virtù dei poteri alchemici della sua scrittura – mai così esatta e acuminata, e al tempo stesso mai così ricca di sfumature – l'intervista che un'oscura ex attrice, Anne-Marie Mille, immagina di concedere a una serie di invisibili giornalisti dopo la morte di una celebre collega, Giselle Fayolle detta Gigi, si tramuta nell'elogio di tutti gli attori che celebri non diventano mai, quelli il cui nome compare in fondo alla locandina. A Saint-Sourd, il paese del Nord della Francia dove Anne-Marie ha trascorso un'infanzia priva di ogni luce, oltre ai pozzi di carbone c'era una piccola compagnia teatrale, i cui componenti, ai suoi occhi innamorati, avevano la statura di semidei. Un giorno, però, la bambina triste, che soltanto nelle sue accese fantasticherie poteva credersi bella, è riuscita a «scendere» a Parigi, e a calcare anche lei le scene. E non importa che abbia recitato sempre in ruoli secondari, e che sia vissuta nell'ombra dell'affascinante, insolente Gigi, non importa che abbia avuto un marito noioso, che ora si ritrovi vecchia e malandata, né che il suo unico figlio sia arido e dispotico: perché, anche se solo per poco, lei ha conosciuto il «mondo dello spettacolo». Di quel mondo ci racconta, con arguzia affettuosa, splendori e miserie, riuscendo a farci ridere e a commuoverci – e a dire, nonostante tutto: «A volte, sul palcoscenico, sono stata Anne-Marie la beltà». -
La macchina del gene. La gara per decifrare i segreti del ribosoma
«Chiunque voglia sapere come funzioni davvero la scienza moderna dovrebbe leggere questo libro» - NatureTutto comincia la sera del 17 maggio 1971, quando un diciannovenne indiano, Venkatraman (Venki) Ramakrishnan, sbarca all'aeroporto di Champaign-Urbana (Illinois) con l'ambizione di diventare fisico teorico. E tutto si compie una quarantina d'anni dopo, nel dicembre 2009, allorché Ramakrishnan - divenuto nel frattempo un'autorità della biologia molecolare - tiene a Stoccolma il discorso per il Nobel conferitogli per le sue ricerche sul ribosoma, la minuscola «macchina» cellulare che trasforma l'informazione genetica in migliaia e migliaia di proteine, ovvero in quelle catene di amminoacidi «che ci permettono di muovere i muscoli, vedere la luce, avere sensazioni tattili, sentire caldo e ci aiutano anche a combattere le malattie». Tra gli estremi di quelle date, il suo denso memoir si snoda lungo un duplice, avvincente tragitto umano e scientifico. Seguiremo infatti un racconto da insider su luci e ombre di tante istituzioni: i college americani, la comunità scientifica, lo stesso premio Nobel - il cui «dietro le quinte» è un intrico di giochi politici e assegnazioni non sempre obiettive. E, insieme, comprenderemo la centralità del ribosoma, struttura situata «al crocevia della vita», in tutti i suoi aspetti: filogenetico, biologico-molecolare e biomedico-farmacologico (l'efficacia degli antibiotici, per esempio, è legata alla possibilità di disarticolare i ribosomi batterici) - un'autentica rivoluzione nel campo della biologia, per certi tratti simile a quella vissuta dalla fisica all'inizio del secolo scorso. Prefazione di Jennifer Doudna. -
La casa dei ricchi
Nel 1948 le «miserrime configurazioni argentarie» spingono Gadda ad accettare un arduo incarico: ricavare dal Pasticciaccio incompleto (ne erano uscite solo cinque puntate in rivista) il soggetto di un film - il che significava svelarne il plot. Il palazzo degli ori gli costa un mese di fatica, ma non soddisfa la Lux Film, che gli chiede di riscriverlo e, soprattutto, compendiarlo: La casa dei ricchi, presentato qui per la prima volta, è il sorprendente esito di quella tormentosa potatura. -
Piccoli addii
In questo piccolo libro Giovanni Mariotti parla di un'epoca in cui le donne portavano le calze velate e la volpe al collo; in cui era possibile acquistare le sigarette sciolte; in cui esistevano ancora la carta assorbente e i treni a vapore. È una sorta di bacheca dedicata a un'Italia che non c'è più. Dietro il cristallo dello stile sono conservati oggetti che, sostituiti da altri, più comodi, efficienti e smart, oggi ci appaiono ingenui, teneri e buffi; e questi aggettivi si applicano anche al personaggio che fa da filo conduttore, versione giovanile di chi ha scritto queste pagine a un'età in cui «tutto è addio». Con grazia, ironia e lampi di gaiezza, Mariotti si sporge sull'implacabile meccanismo delle sostituzioni che coinvolge non solo gli oggetti ma anche gli uomini. -
Dolore
Questo testo, inedito per l'Italia, è uno degli ultimi scritti da V.S. Naipaul - ed è anche uno dei più diretti e personali. È apparso per la prima volta sul «New Yorker» del 6 gennaio 2020. -
Perché non eravamo pronti
Sapevamo come, e anche dove, i coronavirus ci avrebbero potuto colpire, eppure - eppure siamo a oggi, all'oggi inquietante e incerto da dove partono, proprio con questo testo, le nuove ricerche di David Quammen. -
L' uomo elefante
La medicina moderna è nata sui palcoscenici - sensazionali - dei teatri anatomici, e i suoi casi estremi sono a lungo stati esibiti fra le quinte mobili dei freakshow. Poi è arrivato il cinema, a rubare la scena: e soprattutto il film che David Lynch ha tratto, con una fedeltà impressionante, da questo straordinario caso clinico, raccontato nel 1923 dal suo testimone più autorevole, il dottor Frederick Treves. -
Abbiamo sempre vissuto nel castello
«Shirley Jackson è una delle scrittrici più suggestive e strane del Novecento americano. Abbiamo sempre vissuto nel castello, un libro unico e fiabesco, è il suo capolavoro» - Jonathan Lethem""A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce""""; con questa dedica si apre """"L'incendiaria"""" di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i """"brividi silenziosi e cumulativi"""" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo """"La lotteria"""". Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai 'cattivi', ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.""