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Nella polvere
A chi spetta perdonarci per consentirci di ricominciare? E, soprattutto, il perdono e la giustizia sono davvero possibili?In un antico villaggio marocchino, trasformato in buen retiro di lusso da una coppia di cinquantenni gay – l'americano Dally e l'inglese Richard –, sta per andare in scena lo sfarzoso party che ogni anno richiama decine di ospiti facoltosi. Un baccanale di tre giorni durante i quali, sotto lo sguardo venato di disprezzo e di invidia insieme del personale, è destinato a consumarsi ogni tipo di eccesso. Tutt'intorno, montagne sfregiate dai cercatori di fossili, strade su cui la polvere si deposita «con la leggiadria gravitazionale di una massa di piume» e oasi abitate da gente di una nobiltà «minacciosa e fluida». Quando l'auto di David e Jo, diretti alla festa, investe e uccide un giovane del posto, si innesca una catena di eventi che porterà i due a fare i conti con i propri pregiudizi, colpe e desideri più segreti. Ma a chi spetta perdonarci per consentirci di ricominciare? E, soprattutto, il perdono e la giustizia sono davvero possibili? Osborne conosce bene la risposta, ma trascina rapinosamente il lettore fino all'ultima riga prima di svelargliela. -
Karl Marx
Quello di Berlin è un Marx opportunamente depurato da ogni presunta ortodossia rn«È il lavoro con cui nasce il Berlin storico delle idee, capace di far rivivere contesti e caratteri che si contendono il campo intellettuale di un'epoca o di una città» - Giancarlo Bosetti, Robinson«Nessun pensatore dell'Ottocento ha avuto un'influenza così diretta, meditata e profonda sull'umanità quanto quella esercitata da Karl Marx ». L'incipit di questo libro ha la cadenza perentoria del dato acquisito, eppure registra un paradosso: Marx non possedeva né «le qualità che fanno un grande capo» (come Herzen), né la «meravigliosa eloquenza » di Bakunin, né un qualsivoglia tratto che suscitasse l'«intensa, quasi religiosa venerazione dei discepoli» (come Kossuth o Mazzini). Muovendo da questo enigma, Berlin ripercorre magistralmente gli eventi ""esterni"""" della biografia di Marx e gli aspetti salienti della sua formazione intellettuale (la mediazione tra l'empirismo scientifico dei francesi e lo storicismo metafisico dei tedeschi; il peso decisivo della «critica della religione»; la passione divorante per la letteratura). E ci fa via via scoprire come Marx, «pensatore dogmatico e pedante», interessato più alle teorie che agli uomini, sia tuttavia riuscito a cogliere lucidamente gli effetti dell'economia e dell'ideologia sulla società, inquadrandoli in una serie di prognosi di impressionante esattezza, a partire da quella sull'influenza decisiva dei mutamenti tecnologici e del capitale finanziario. Quello di Berlin è dunque un Marx opportunamente depurato da ogni presunta ortodossia - aderente al suo celebre autoritratto: «Solo una cosa posso dire, e cioè che non sono, in nessun modo, marxista!»."" -
Invecchiare come problema per artisti
«La durezza è il dono più grande per l'artista durezza contro sé stessi e la propria opera» - Gottfried Benn«Stile tardo», «ultimo stile», sono formule correnti con cui si usa riferirsi alle opere della vecchiaia di uno scrittore, o più in generale di un artista. Ma quando comincia davvero questa fase? Esistono criteri per definirla? Le «sere della vita» sembrano ritrarsi e ingannare lo sguardo di chi vuole importunarle. Per Benn sono solo un'occasione per divagazioni e stoccate, e come sempre per parlare di tutto. Quello che conta è «il mondo dell'espressione». Se si vuole scoprire cosa Benn intendesse con queste parole, non resta che allacciare le cinture e, a bordo del suo «elicottero verde veleno», «guardare dall'alto tutte quelle cose umane, terrestri, che non è possibile portare con sé». -
Il fidanzamento del Signor Hire
Il fidanzamento del signor Hire è la storia di un uomo grottesco e commovente che non può più o non vuole più controllare il suo destino. Ed è insieme la storia di una passione senza limiti, gelida e ossessiva come lo sguardo di colui che la vive – tanto morbosa da trasformare anche i lettori in voyeurs. È un noir funesto, un crudele romanzo d'amore – e un feroce rito tribale. E sicuramente uno dei romanzi più belli di Simenon.rnLa passione di un uomo che sembra nato per essere sospettato e perseguitato.Villejuif è l'estrema periferia di Parigi: oltre, non c'è che la campagna bianca di brina. È qui che la polizia ha rinvenuto, orrendamente mutilato, il cadavere di una prostituta. Solo un mostro può avere commesso un simile delitto. E chi altri può essere, il Mostro, se non il signor Hire, che tutti scansano con un brivido? Il signor Hire è piccolo, grasso, come se non fosse fatto né di carne né di ossa. Sul suo viso cereo spiccano baffetti che sembrano disegnati con la china. Tutti i suoi gesti hanno la rigida precisione di un cerimoniale. La sua stanza è «un blocco compatto, solido, uniforme di silenzio» dove non penetra la vita. La vita pullula nella stanza al di là del cortile dove vive Alice, la domestica dai capelli ramati, giovane, morbida e sensuale. Ogni sera il signor Hire la guarda spogliarsi, e fissa ogni dettaglio di quel corpo, di quella «polpa ricca, piena di linfa». La domenica, quando Alice esce con il suo innamorato, un ragazzo magro e cinico, il signor Hire la segue come un'ombra. Alice sa di quello sguardo puntato su di lei. Sa che dietro la finestra buia al di là del cortile c'è il signor Hire. Sono per lui quelle movenze piene di promesse? Anche lei lo spia. Perché? Quell'ombra esercita forse su di lei una perversa seduzione? O Alice è animata da un preciso disegno? Ed è davvero lui, il Mostro, ad aver commesso il delitto? Solo nell'epilogo ogni interrogativo troverà risposta, un epilogo nel quale tutto converge come per un disegno fatale – un epilogo preparato, momento per momento, eppure indicibilmente atroce. -
La difesa di Luzin
Una storia di scacchi. Una storia costruita con sottile, deliberata ironia, come una lunga partita giocata contro la vita, che si dipana lungo l'arco di vent'anni tra una luminosa Pietroburgo imperiale.La difesa di Lužin, primo capolavoro di Nabokov, è la storia di un conflitto insanabile tra genio e normalità, volontà e predestinazione, ragionevole esistere quotidiano e leggi del Fato, geloso delle prerogative che gli competono. Ed è anche – lo rivela già il titolo, che allude a un'immaginaria mossa inventata dal protagonista – una storia di scacchi. Una storia costruita con sottile, deliberata ironia, come una lunga partita giocata contro la vita, che si dipana lungo l'arco di vent'anni tra una luminosa Pietroburgo imperiale, località termali tedesche e la Berlino degli anni Trenta, con i suoi ricchi emigranti russi. Al centro del romanzo, la figura del giovane Lužin: inerme di fronte agli altri, consegue attraverso il suo genio per gli scacchi un misterioso, insondabile potere che lo sospinge molto al di là del mondo ordinario. Ma l'ascesa e la caduta di Lužin – da bambino svagato e geniale a campione perdente e suicida – sono anche l'occasione per delineare in controluce, con raffinata sequenza di mosse, tra arrocchi, stalli, prese e abbandoni, una tessitura narrativa in cui dominano l'ironia che investe l'illusorietà delle scelte libere e virtuose, contrastate dal disegno del caso, e l'intuizione di una dimensione futura, al di là dell'umano. Il paradosso del libro è che l'algido nitore degli scacchi converge con un alto pathos, come indicò lo stesso Nabokov: «Fra tutti i miei libri russi, La difesa di Lužin contiene e diffonde il ""calore"""" più intenso, cosa apparentemente strana se si pensa quale supremo potere d'astrazione si attribuisca agli scacchi»."" -
Giustizia
Una geniale e spiazzante partita di biliardo sul panno verde di una Giustizia latitante.rnTutta giocata di sponda è la partita di biliardo (umano) su cui si impernia questo romanzo giallo: o meglio ""antipoliziesco"""", giacché sin dall'inizio ci esibisce l'assassino. La prima palla a finire in buca, per un colpo a la bande, è la testa calva del professor Winter, esimio germanista: centrato dai proiettili dello squisito consigliere cantonale Kohler, cade con la faccia nel piatto di tournedos Rossini che stava gustando nel ristorante Du théâtre. Quindi, a una a una, rotoleranno in buca le altre palle - un playboy, una squillo d'alto bordo, una perfida nana, un protettore -, delineando un autentico rompicapo: """"II comandante era disperato. Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica"""". Kohler, poi, in galera è l'uomo più felice del mondo: trova giusta la pena, meravigliosi i carcerieri, e intreccia serafico ceste di vimini. Ha un unico desiderio: che l'avvocato Spät, squattrinato difensore di prostitute, si dedichi finalmente a un'impresa seria (ma a lui sembrerà pazzesca) e riesamini il caso partendo dall'ipotesi che non sia Kohler l'omicida: """"Deve solo montare una finzione. Come apparirebbe la realtà, se l'assassino non fossi io ma un altro? Chi sarebbe quest'altro?"""". Accettata la sfida, Spät precipiterà ben presto in un gorgo, in una surreale commedia umana e filosofica che tiene tutti - lettori in primis - col fiato sospeso: per quale ragione Kohler è di umore tanto allegro? E perché mai ha ucciso Winter?"" -
I fratelli Tanner
Pubblicato nel 1907, questo primo romanzo di Walser raccoglie, come una lunga ouverture, abbandonata e felice, tutti i temi dell'opera del grande scrittore svizzero rn«Questo romanzo ha un qualcosa di sonnambolico, come, per così dire, si fosse scritto da sé. Per svariate ragioni, è per me una pura meraviglia, e se qui appare un genio spesso ancora immaturo e selvatico, tuttavia è un genio, cioè quel caso eccezionale e ogni volta incredibile di un uomo attraverso il quale la vita sembra scorrere come da una brocca gorgogliante». - Christian Morgensternrn«Se Walser avesse centomila lettori, il mondo sarebbe migliore» - Hermann Hesse«Corre dappertutto, felice sino alla punta dei capelli, e alla fine non diventa nulla, se non una gioia del lettore». Così Simon, protagonista dei Fratelli Tanner, viene descritto da Kafka, che ne fu uno dei primissimi e più entusiastici lettori. Simon ci appare, all'inizio, come un ultimo discendente della nobile stirpe dei «fannulloni» che, da Eichendorff in poi, hanno traversato la letteratura accompagnati dal soffio corrosivo dell'ironia romantica: cerca, trova e abbandona i lavori più vari (ma sempre anonimi e subalterni) con irresponsabile disinvoltura, si lancia in lunghe passeggiate, fantastica, si guarda intorno per le strade, scrive grandi lettere, attacca discorso, incrocia senza mai arrestarsi i suoi fratelli e tanti sconosciuti, dell'esistenza dei quali, proprio perché a nulla, o forse al Nulla, appartiene, riesce per un poco a partecipare così intimamente come neppure loro stessi saprebbero. Ma quando lo troviamo che scrive indirizzi in una copisteria per disoccupati, circondato da una schiera di rifiuti della società, riconosciamo in lui uno di quei diseredati su cui Dostoevskij fu il primo romanziere a fissare ossessivamente lo sguardo. Eppure non c'è in Simon neppure una punta del risentimento dell'«uomo del sottosuolo». Questo «disoccupato straccione» è un imprendibile spirito dell'aria, che prova meraviglia ogni mattina per l'esistenza del mondo, anzi ritiene che «si troverebbe tutto meraviglioso se si fosse capaci di sentire tutto, perché non può essere che una cosa sia meravigliosa e l'altra no». La sua gioia è nel sentirsi «debitore» anche se non ha nulla e nulla gli viene dato. Ma proprio questo sconcertante modo di essere carica di una straordinaria intensità le sue esperienze. E quando dirà: «La lotta della povera gente per un po' di pace, intendo la cosiddetta questione operaia», sapremo che, di là dalla loro mirabile ironia, queste parole sono fra le più dure e inappellabili che mai siano state dette contro la società. Come, all'inverso, dai discorsi della maga-direttrice di una «casa di cura per il popolo», che è insieme un luogo di ritrovo e un'immagine dell'utopia, ci renderemo conto che I fratelli Tanner non ci introduce solo, come sembrerebbe, a un «romanzo familiare» ma a una parola di cui forse credevamo di aver smarrito il significato, per l'inadeguatezza di chi la propugna e di chi la evita: fraternità. -
Relatività generale. Una semplice introduzione. Idee, struttura concettuale, buchi neri, onde gravitazionali, cosmologia e cenni di gravità quantistica
Nel secolo scorso la relatività generale ha rivoluzionato la fisica, ma è con le applicazioni e le osservazioni degli ultimi anni, coronate da numerosi premi Nobel, che sono esplose e diventate evidenti la sua vitalità e fecondità: Rovelli descrive questi risultati recenti, guidando così il lettore ad apprezzare «la scintillante bellezza e la semplicità delle idee su cui essa si basa».Formulata da Albert Einstein con qualche contributo da parte di amici e colleghi tra il 1907 e il 1917, la relatività generale è la teoria che oggi meglio descrive lo spazio, il tempo e la gravità. Con la chiarezza espositiva che lo ha reso celebre in tutto il mondo, Rovelli ne illustra i fondamenti fisici, filosofici e matematici, ne presenta la struttura formale, e ne deriva nel modo più semplice le sue stupefacenti predizioni - buchi neri, onde gravitazionali, espansione dell'universo, dilatazione del tempo... , senza trascurare alcune idee di base su come potrebbe essere estesa ai fenomeni quantistici. Per il lettore con formazione scientifica questo libro rappresenterà dunque una agile introduzione agli aspetti fondamentali della teoria, ma nel contempo lo scienziato e lo studente avanzato vi troveranno una discussione approfondita e originale della sua struttura concettuale. -
Taccuino di uno scrittore
W. Somerset Maugham cominciò a tenere un taccuino nel 1892, a diciotto anni. E per quasi un cinquantennio continuò poi a riempire di «appunti» quaderni che, precisa con anglico understatement, sono da intendersi «come una sorta di magazzino pieno di materiali destinati a un futuro utilizzo, e nient’altro». rnrnIn realtà i taccuini di Maugham, oltre a gettare luce su una prodigiosa officina creativa, rappresentano, di fatto, una delle sue opere più seducenti. Vi troveremo molte delle fasi e delle sfaccettature di una vita unica: gli aforismi, le massime, gli epigrammi – degni di un discendente dei grandi moralisti del Seicento – dietro i quali si trincera il giovanissimo medico-scrittore alle prime armi; le riflessioni sempre più mature sul mestiere di scrittore, sul lavorio delle parole e delle storie nella mente; spezzoni di possibili racconti, scampoli di avventure, profili di eventuali personaggi; il resoconto del soggiorno russo, con i primi assaggi di una grande letteratura ancora sconosciuta ai più, e della stagione in Estremo Oriente, densa degli scorci e profumi che avrebbero speziato i migliori fra i suoi racconti «esotici». Senza contare i ritratti di persone celebri, le considerazioni sui costumi di ogni epoca, studiati con occhio clinico e all’occorrenza stigmatizzati – e i giudizi, a volte intinti nel veleno, sui libri altrui. Infine, il congedo del vecchio mago, segnato dal distacco di chi ha superato tutto, o quasi tutto: «Quando un giorno sulle pagine del “Times” comparirà il mio necrologio e si dirà: “Come? Credevo fosse morto anni fa”, il mio fantasma riderà sotto i baffi». -
Gilgamesh. Il poema epico babilonese e altri testi in accadico e sumerico
Il poema in cui si manifesta, una volta per sempre, campeggiante fra cielo e terra, il primo personaggio della letteraturaEmersa dalla tradizione orale dei Sumeri nel terzo millennio a.C., e tramandata per migliaia di anni da molti popoli del Vicino Oriente su tavolette d'argilla scritte in caratteri cuneiformi, l'epopea di Gilgamesh si pone alle origini stesse della letteratura mondiale. Re di Uruk, Gilgamesh è infatti il primo eroe a partire in cerca di avventure, a uccidere mostri, sfidare gli dèi, viaggiare ai confini della terra deciso a conquistarsi con le sue gesta un nome imperituro. Ma quando la morte gli strappa Enkidu, il compagno per eccellenza, Gilgamesh, atterrito e ormai solo, affronta l'impresa che travalica ogni altra: la ricerca del segreto della vita eterna - un segreto che solo Utnapishtim, l'unico sopravvissuto al Diluvio Universale, può insegnargli. Farà infine ritorno a Uruk a mani vuote, ma ricco di una nuova consapevolezza: la morte è il destino ineluttabile che gli dèi hanno assegnato all'uomo, e nel godimento di questa vita effimera risiede la sua sola saggezza. -
Memè Scianca
Un padre racconta ai figli, che glielo hanno chiesto, quello che ricorda dei suoi primi dodici anni, di cui loro non sanno quasi nulla. Storie troppo remote, pensa. Che differenza poteva esserci, in fondo, ai loro occhi, fra Firenze durante la guerra, dove era cresciuto, e per esempio la steppa dell'Oltre caucaso di Florenskij, alla fine dell'Ottocento? Non molta. Apparteneva tutto a quell'età incerta e fumosa che precedeva la loro nascita. E poi, da dove cominciare? La prima immagine della guerra, intravista dalla finestra di una soffitta clandestina nel centro di Firenze. La vecchia villa di San Domenico, dove un mattino, a seguito dell'assassinio di Giovanni Gentile, suo padre viene arrestato come pericoloso antifascista. Il polverio che sale dalle macerie di Por Santa Maria, subito dopo che i tedeschi hanno fatto saltare i ponti. Poi i giochi – e i libri che impercettibilmente ne prendono il posto. L'immersione nella letteratura e la scoperta della musica. E Firenze, quella Firenze degli anni subito dopo la guerra, separata da tutto, anche dal resto dell'Italia. Una lastra impenetrabile e trasparente confermava quella convinzione della città di essere a parte. E un giorno, forse anche prima di saper leggere, chi scrive dichiara che il suo vero nome è Memè Scianca. -
I Luigi di Francia
«Saint-Simon era uno dei suoi autori prediletti e anche il cardinale De Retz» ricorda Giulio Cattaneo, testimone degli anni di Gadda alla Rai. Sicché «guai a toccargli gli storici francesi soprattutto quando le critiche erano mosse da storici italiani, così noiosi al loro confronto, senza spirito, senza il gusto del pettegolezzo» - nonché più inclini a reticenze e compromessi. Non sorprende allora che nel 1952 il neoredattore radiofonico abbia scelto per un ciclo di trasmissioni i quattro Luigi di Francia (salvo poi arrestarsi a Luigi XV) e si sia pazzamente divertito a ritrarre, con verve indiavolata, Maria de' Medici e l'«ombra di ocaggine» che le soffondeva il viso; il malaticcio Luigi XIII, che pur detestando «di tutto cuore il gentil sesso» riesce a dare alla Francia un gagliardo «marmocchiaccio»; la reggente Anna d'Austria, che rimaneva a letto sino a mezzogiorno e «s'impippiava delle più delicate cibarie»; Mazzarino, che biascicava un francese «di timbro siculo-romanesco», tanto che il «decreto di unione» (arrêt d'union) si trasformava nella sua bocca «in un arresto di cipolle: in un ""arrêt d'oignons""""»; Madame de Montespan, «dilapidatrice spaventosa» e artefice di esorcismi e veleni; e insieme guerre, amori, intrighi, tumulti, riforme. Né meraviglia che Gadda, pur rispettoso della «limpidità del dettato» imposta dalla Rai, si sia concesso, nel tradurre gli amati storici, tocchi di incantevole irriverenza: «Bei consigli poteva dare una tal grulla [Anna d'Austria] a uno che stava per tirar le cuoia!» scrive citando l'Histoire de France di Michelet."" -
A margine dei meridiani
C'era qualcosa che Simenon cercava quasi ossessivamente, nei suoi viaggi. Storie, atmosfere, personaggi lontani da lui, certo. Ma non solo. E forse a metà del suo giro del mondo, nel 1935, quel qualcosa - il segreto per passare dalla magnifica narrativa in bianco e nero dei primi anni a quella che sarebbe venuta dopo, in cui il colore avrebbe finito per prevalere - lo trovò dove nemmeno lui avrebbe creduto: negli orizzonti perduti di quelli che ancora si chiamavano mari del Sud. Di cui questi testi, e queste fotografie, raccontano tutto l'incanto, e la malattia. Con una Nota di Matteo Codignola. -
Anno bisestile
Il Cameron degli inizi, come forse non ricordate che fosseAll'inizio della carriera, Peter Cameron era uno scrittore di commedie brillantissime, feroci, tutte sull'orlo della surrealtà – o, se si preferisce, tutte dentro quella realtà survoltata che era New York sullo scorcio degli anni Ottanta. Se ne ricordano di sicuro i lettori che hanno amato Un giorno questo dolore ti sarà utile, e che qui ritroveranno la Soho delle gallerie, delle palestre esclusive e delle ancor più elitarie banche del seme; parteciperanno al rapimento più sgangherato del secolo, e a un tentato omicidio non meno improbabile; e finiranno per farsi trascinare, felici, in tutti gli altri disastri connessi al più lungo, accidentato e imperdibile divorzio fin qui raccontato. -
La meridiana
Una famiglia che pullula di svitati, un codazzo di parenti e amici e servitori, una villa monumentale in mezzo a un parco. Sono gli ingredienti di questo travolgente romanzo di Shirley Jackson, che si apre con i protagonisti – di tutte le età e affetti da ogni forma di mania – di ritorno dal funerale del figlio di Mrs. Halloran, che, dice serafica la piccola Fancy, la nonna ha buttato giù dalle scale: per tenersi stretta la villa. Come se non bastasse, poco dopo zia Fanny riferisce di aver avuto un incontro in giardino con il padre, defunto da tempo, il quale le ha annunciato che la fine del mondo è imminente e che loro saranno gli unici a salvarsi. E non è finita: qualcuno va a riferire la notizia in città, ed ecco presentarsi la delegazione locale dei Veri Credenti, i quali non possono che condividere la logica apocalittica, ma, siccome sono convinti che a salvarli ci penseranno gli alieni, sono venuti a chiedere di farli atterrare nel parco. E noi lettori, ormai completamente in balìa di una Jackson in stato di grazia, che dispensa a piene mani uno humour che si potrebbe definire vitreo, ci lasceremo trascinare da un crescendo di follie e sorprese – sino, letteralmente, alla fine (del mondo?). -
La spia che mi ha amata
Se qualcuno gli avesse detto che era un romanzo sperimentale, Fleming lo avrebbe probabilmente inseguito con la frusta. Ma che La spia che mi ha amata sia un esperimento (su Bond) è difficile negarlo.Nella prima parte del libro (Io) Vivienne Michel ci parla dei suoi rapporti con gli uomini fino a quel momento; nella seconda (Loro) dei guai in cui ha finito per cacciarsi; nella terza (Lui), quando la storia sembra avviarsi alla conclusione, suona alla porta un agente del Servizio Segreto di Sua Maestà. Ai fatti, presi uno a uno dalla sua vita quotidiana, Fleming ha messo la sordina, ma tutto il resto – a cominciare dal sesso, e non del genere più soave – lo ha raccontato al massimo del volume. Finendo per scrivere il suo libro, paradossalmente, più intimo. E il meno classificabile. -
Operatori e cose. Confessioni di una schizofrenica
La struttura segreta e persecutoria di un mondo che ci somiglia, rivelata attraverso la straordinaria testimonianza del delirio di una schizofrenica.Immaginate di svegliarvi una mattina come le altre e vedere ai piedi del vostro letto tre figure spettrali, ma terribilmente vere - un ragazzino con un sorriso stampato sul volto, un uomo anziano dall'aria autorevole, che ispira fiducia, uno strano individuo con lunghi capelli dritti e neri, lineamenti femminei e un'espressione arrogante. E immaginate, da quel giorno in poi, di non poter più pensare liberamente, di diventare le cavie di un oscuro esperimento e non poter fare altro che eseguire i loro ordini. È quello che è accaduto a Barbara O'Brien, pseudonimo di una giovane donna che alla fine degli anni Cinquanta ha pubblicato questo libro: una delle più straordinarie testimonianze dall'interno di un delirio schizofrenico durato sei mesi, da cui miracolosamente, e con le sue sole forze, è riuscita a liberarsi. Ma chi sono quelle figure che ha visto materializzarsi nella sua stanza, e cosa vogliono da lei? Sono gli «Operatori», occhiuti guardiani che nel suo universo paranoide studiano, sorvegliano, escogitano sempre nuovi modi per esercitare potere sulle loro vittime, le «Cose», a cui non resta che guardare e aspettare. Eppure, usciti insieme a lei dalla cronaca del suo delirio, ci sembra di avvertire una strana affinità fra l'operare di quelle feroci e persecutorie presenze e la struttura stessa su cui si regge il mondo chiamato «normale». Postfazione di Michael Maccoby. -
La contessa. Virginia Verasis di Castiglione
Vincitore del Premio Bagutta 2022.«Portava la sua giovinezza come un'immortalità.» - Gabriele D'Annunzio«Io non credo nell'amore, è una malattia che passa com'è venuta ... prendetemi oggi, non contate di avermi domani» scrive Virgina Verasis di Castiglione a uno dei suoi innumerevoli amanti, palesando la sua esigenza più radicata e insopprimibile: non avere padroni. Un'esigenza che emerge prepotentemente dal racconto che della sua vita ci propone l'autrice di Amanti e regine. Tutti noi – grazie agli scritti di testimoni e biografi, a film e sceneggiati televisivi, nonché ai moltissimi ritratti fotografici che in anni recenti sono stati pubblicati ed esposti – crediamo di sapere chi sia stata la contessa di Castiglione: una «seduttrice seriale» di incomparabile bellezza che, dopo aver conquistato (secondo le istruzioni ricevute dal conte di Cavour) Napoleone III e abbagliato la corte del Secondo Impero, si chiuse in una casa senza specchi nascondendo ai propri occhi e a quelli del mondo la sua inarrestabile decandenza. Ma colei che Robert de Montesquiou consacrò per sempre come «la divine comtesse» è stata molto di più, e Benedetta Craveri, la quale ha rintracciato negli archivi italiani e francesi un'ingente mole di lettere totalmente inedite, ce lo fa scoprire lasciando che sia Virginia a parlarci di sé: dei suoi amori, delle sue ambizioni, delle sue paure, delle sue ossessioni. Vengono così alla luce aspetti sorprendenti di una donna che seppe usare il suo fascino, ma anche la sua intelligenza politica, la sua audacia, la sua volontà di dominio, la sua straordinaria abilità di commediante, e anche una buona dose di cinismo, per raggiungere un traguardo all'epoca inimmaginabile: disporre liberamente della propria esistenza. Una ribellione alle regole imposte dalla morale del secolo borghese che, scrive Craveri, «ha mantenuto intatta la sua forza incendiaria e che ancora oggi disturba, sconcerta, scandalizza». -
La lettera uccide
Un libro che insegna a leggere lentamente, tra le righeDi fronte alla varietà dei temi discussi in questi saggi ci si potrà chiedere se esista un filo che li leghi. Il titolo del libro ne offre uno. «La lettera uccide, lo spirito dà vita» disse Paolo di Tarso, contrapponendo alla legge giudaica in cui era nato la nuova fede – il cristianesimo – di cui fu il fondatore. «Uccide», «dà vita» sono metafore, che non vanno prese alla lettera. Ad esse si può rispondere con un'altra metafora: la lettera uccide chi la ignora. Dall'analisi ravvicinata di casi specifici emerge una versione della microstoria, qui presentata in una prospettiva inedita. Al centro di questi casi ci sono personaggi famosi (Machiavelli, Michelangelo, Montaigne) o semisconosciuti (Jean-Pierre Purry, La C.***); un testo o un'immagine; un tema (la rivelazione) o una lettera dell'alfabeto. E un elemento ricorrente: la riflessione sul metodo, sugli intrecci tra «caso» e «caso» – tra studi di caso ed elementi casuali, spesso prodotti deliberatamente. «Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi»: chi legge potrà scoprire i risultati, spesso imprevedibili, di questa affermazione di Aby Warburg. -
Metazoa. Gli animali e la nascita della mente
«Peter Godfrey-Smith scrive e pensa come nessun altro che io conosca. È un palombaro immerso nella scienza della vita e Metazoa è la sua più profonda immersione» - Carl Safina«Non è un libro facile, e neppure lineare nell'esposizione, tuttavia fa riflettere non solo su creature come polpi o meduse, ma sul nostro cervello» - Marco Belpoliti, RobinsonCosì come in ""Altre menti"""", Peter Godfrey-Smith - «palombaro immerso nella scienza della vita» (Carl Safina) - ci invita a seguirlo negli oceani: ed estende questa volta lo sguardo al sottoregno dei metazoi, gli organismi pluricellulari il cui percorso evolutivo, cominciato oltre mezzo miliardo di anni fa, ha incanalato per svolte morfologiche ed emotivo-cognitive l'intera storia della vita animale fino ai primati e a Homo sapiens. I protagonisti sono quindi, di nuovo, organismi delle profondità marine, a partire dalle stupefacenti «spugne di vetro », diafane torri cilindriche prive di sistema nervoso ma elettricamente non inerti, teatro di esemplari mutualismi e vitale fonte di luce per altri organismi. Risalito alla superficie (attraverso l'evocazione delle cubomeduse, con i loro archeo-corredi oculari, o dei «coralli molli», brulicanti aggregati tentacolari simili a «foreste di minuscole mani»), Godfrey-Smith schiude poi con il suo racconto scenari a noi sempre più prossimi, come le decisive transizioni cinetiche (il passaggio dal «nuotare» allo «strisciare» in certi vermi), biologiche (l'endotermia, sviluppata in modo autonomo dai mammiferi e dagli uccelli) e sociali (l'«intelligenza» degli insetti). Emerge così come il percorso filogenetico (l'intreccio, più che la progressione, di «pinne-arti-ali») sia caratterizzato da un rapporto di continuità/discontinuità nel succedersi delle varie forme di percezione del sé e del mondo elaborate in tante specie diverse - forme che finiscono con lo sfumare, fino quasi a dissolverlo, il gap tra materia e mente, e a rendere via via più esteso, stratificato ed elusivo il processo dell'«esperienza cosciente».""