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Zubrówka. Una storia di Natale
In Arabia la notte di Natale può fare parecchio caldo. E se da una credenza, in una casetta dei sobborghi di Jedda, viene fuori una bottiglia di Z?ubrówka - la vodka del bisonte - può capitare di ascoltare strane storie. Storie che portano molto lontano, nel gelo della taiga siberiana e anche oltre, là dove le carte geografiche non arrivano, e che soltanto Sarban sa raccontare. -
I beati anni del castigo
«Il suo occhio preciso e acutissimo conosce i segreti delle cose e delle persone» - Pietro CitatiUn collegio femminile in Svizzera, nell'Appenzell. Un'atmosfera di idillio e cattività. Arriva una «nuova»: è bella, severa, perfetta, sembra che abbia già vissuto tutto. La protagonista - un'altra interna del collegio - si sente attratta da questa figura, che lascia intravedere qualcosa di quieto e terribile. E il terribile, a poco a poco, si scopre: è la terra di nessuno tra perfezione e follia. Lo stile limpido e nervoso, l'acutezza delle notazioni, l'intensità di questa storia fanno risuonare una corda segreta, quella che si nasconde nell'immaginario collegio da cui tutti siamo usciti. E ci lascia toccati da un'emozione rara, fra lo sconcerto, l'attrazione e il timore, come se al centro di un'aiuola ben curata vedessimo aprirsi una voragine. -
Proleterka
Una traversata che diventa un viaggio nella terra dei morti. Una prosa che sa penetrare come una lama nella zona segreta dove si nasconde l'emozineProleterka è il nome di una nave. Attraccata a Venezia, aspetta di portare in Grecia un gruppo di rispettabili turisti di lingua tedesca. Gli ultimi a salire sono un signore che zoppica lievemente e sua figlia non ancora sedicenne, appena arrivata dal collegio. Tra padre e figlia c'è un'estraneità totale, e insieme un legame che risale a un tempo remoto oscuro, che sembra precedere le loro esistenze. In quel viaggio, la figlia vorrebbe conoscere qualcosa di più di quella persona inverosimilmente ignota dagli ""occhi chiari e gelidi, innaturali"""". Ma soprattutto desidera scoprire quell'altra cosa ignota che è la vita stessa, sino allora favoleggiata dal recinto di un collegio."" -
Immagini dell'Italia. Vol. 2
«Muratov apparteneva a quella schiera di scrittori come Ruskin e Walter Pater, e aveva più sensibilità e talento di Berenson» - Gregorio SciltianImmagini dell’Italia, ha scritto un amico di Muratov, Boris Zajcev, non è un manuale di storia dell’arte: piuttosto, «un libro di iniziazione, di consacrazione all’Italia in quanto categoria dello spirito», sorretto da una «capacità virtuosistica di sentire l’Italia» – e, aggiungiamo, di restituirla in tono confidenziale al lettore, trasformato in interlocutore e compagno di viaggio. Ne abbiamo la prova soprattutto in questo secondo volume, dove Muratov riesce a comunicarci quel «sentimento di Roma», simile alla «felicità della giovinezza», che suscita la presenza vivente dell’antico: così, di fronte ai lauri «quasi umani» che crescono accanto alla Casina Farnese sul Palatino, abbiamo anche noi l’impressione che la metamorfosi di Dafne divenga comprensibile, e che torni a manifestarsi «un mondo perduto di immagini per metà umane e per metà naturali». A Muratov infatti non importa tanto conoscere il passato, quanto stabilire con esso un contatto, sicché gli sarà propizio, più dei Musei Vaticani o Capitolini dalla sconfortante e cimiteriale magnificenza, il Chiostro di Michelangelo alle Terme di Diocleziano, dove le ombre delle foglie e dei rami che scivolano sui marmi «sono una sorta di trait d’union fra il nostro mondo e l’antico, e la sola cosa che consenta al cuore di riconoscerlo e di credere nella sua vitalità». Si rivela per questa via la verità segreta delle opere d’arte, e da ultimo quella delle metope di Selinunte: il mito è «rischiaramento del mondo, liberazione dell’essenza spirituale di ogni cosa». -
Dialoghi con Leucò
Il libro più caro a PavesePubblicati nel 1947, i ""Dialoghi con Leucò"""" appartengono alla singolare categoria dei libri tanto famosi - Pavese li volle accanto a sé quando, nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1950, scelse di morire e vi annotò come parole di congedo «Non fate troppi pettegolezzi» - quanto negletti. Il che non stupisce: nella sua opera rappresentano una sorta di ramo a parte e oltretutto perturbante. Si stenta oggi a crederlo, ma all'epoca in Italia il mito godeva di pessima fama, mentre Pavese, sin da quando, nel 1933, aveva letto Frazer, stava scoprendo l'opera di grandi antropologi che in quegli anni si ponevano il quesito: «Che cos'è il mito?», sulla base di testi sino allora ignorati o poco conosciuti. Così era nata, in stretta collaborazione con Ernesto De Martino, la Viola di Einaudi, collana che rimane una gloria dell'editoria italiana. E così nacquero i """"Dialoghi con Leucò"""". Tanto più preziosa sarà oggi, a distanza di più di settant'anni, la lettura di questo libro se si vorrà acquisire una visione stereoscopica del paesaggio in cui è nato, dove non mancarono forti reazioni di ripulsa (per la Viola) o di elusiva diffidenza (per i """"Dialoghi con Leucò""""). Introduzione di Giulio Guidorizzi. Con una conversazione tra Carlo Ginzburg e Giulia Boringhieri."" -
Di chi sono le case vuote?
Sottsass al culmine della fama – e dell'irriverenza.Pur essendo un mostro di intelligenza, ironia, e creatività, Ettore Sottsass non è mai riuscito a diventare un mostro sacro. Né si è mai adoperato in tal senso, come documentano questi testi. Le date indicano che siamo nel periodo, da Memphis in poi, in cui nel mondo il suo nome coincideva con una certa immagine dell’Italia. Eppure le domande che Sottsass continuava a porsi, anche e soprattutto in pubblico, somigliavano a quella del titolo. Quanto alle risposte, erano immancabilmente del genere che solo lui avrebbe potuto dare – e di cui sentiamo moltissimo la mancanza. -
Allucinazioni americane
Questo è un libro su un rompicapo ed è un rompicapo esso stessoPer generale consenso, Vertigo [La donna che visse due volte] è il più inestricabile tra i film di Hitchcock - e per alcuni il più bello (o uno dei due o tre supremi). Questo libro si propone di dire perché. E perché Vertigo abbia un film gemello: Rear Window [La finestra sul cortile], che invece è usualmente considerato molto più semplice e immediato, mentre si potrebbe rivelare altrettanto vertiginoso. Ma parlare di questi due film è come parlare del cinema in sé, quindi anche di Max Ophuls, di Rita Hayworth, dell'epifania della «diva» e di un romanzo di Kafka che è innervato dal cinema da capo a fondo: Il disperso [America]. -
Nova
Libro incluso tra i sette finalisti del Premio Strega 2022Un romanzo del terrore più inquietante – quello nascosto in una vita qualsiasi.«A cosa pensa un uomo appena si sveglia? Cosa gli recapita la connivenza d'inconscio e realtà? Qual è l'oggetto delle sue prime, confuse meditazioni mentre tenta di recuperare la potestà sul vero? Quali le immagini, i suoni, i bisbigli, i tumulti nella sua testa?»Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all'università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l'estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l'inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra, che all'improvviso un pretesto qualsiasi – una discussione al semaforo, una bega di decibel con un vicino di casa – rischia di rendere insopportabile. È quello che tenta di far capire a Davide il suo nuovo, enigmatico maestro, Diego: a contare, e spesso a esplodere nel modo più feroce, è quanto del cervello, qualunque cosa sia, non si sa. O si preferisce non sapere.Proposto da Diego De Silva al Premio Strega 2022 con la seguente motivazione:«Fabio Bacà è l'ex esordiente più anomalo che conosca. Alla terza pagina del suo primo romanzo, Benevolenza cosmica, ero già fuorviato dalla maturità di una scrittura in cui non c'era ombra di acerbo, di veniale. Come un musicista giovanissimo che suona lo strumento perfettamente, e per di più inventa soluzioni armoniche mai sentite. A conquistarmi del tutto fu il senso dell'umorismo, una dote di cui pochi autori dispongono. Poi esce Nova, un libro diverso, letterario nel senso più seducente del termine, che racconta a scopo di riflessione. Parla di violenza e di vigliaccheria. A queste due categorie inflazionate dall'etica restituisce un senso culturale molto più autentico e comunemente sottostimato. La scrittura ha una puntualità e un'esattezza che mi hanno confermato il valore di un autore che oggi trovo ancora più forte di quando l'ho conosciuto. Presentarlo allo Strega è un vero motivo di orgoglio. Perché su Bacà avrei scommesso fin da subito.» -
Lettere. Vol. 2: 1941-1956
Attraverso le sue lettere, gli anni cruciali della vita di BeckettDi Samuel Beckett – «la faccia più bella» del Novecento, come ebbe a dire Tullio Pericoli – colpivano l'intensità ferrigna dello sguardo, le frasi lapidarie destinate a durare nel tempo, il silenzio ieratico che lo avvolgeva nelle rare apparizioni in pubblico. Le lettere raccolte in questo secondo volume consentono precisamente di illuminare la parte della sua vita in cui quella personalità schiva si formò. Sono gli anni dell'incontro con il suo editore e agente, Jérôme Lindon, l'uomo che farà di un émigré irlandese a Parigi una star della letteratura. Gli anni in cui Beckett trasloca in un'altra lingua, comincia a scrivere romanzi e drammi in francese (Molloy, Malone muore, L'innominabile, Aspettando Godot), legge Sartre, Malraux, Céline, Camus. Ma, soprattutto, si dedica nelle sue opere teatrali a un processo di graduale e infaticabile sottrazione, sicché alla fine non resterà che una lucida invocazione alla divina afasia: «In Godot ci sono un cielo che del cielo ha solo il nome, un albero di cui ci si chiede se è veramente un albero ... Niente, tutto questo non esprime niente, è qualcosa di opaco su cui non ci si fanno più domande». -
Will del mulino
Una gemma nascosta.Il segreto di questo racconto rimasto quasi segreto dev'essere lo stesso che protegge certi luoghi, o certi piaceri: chi li scopre ne è geloso, e preferisce tenerli per sé. Di sicuro, se Stevenson riesce sempre a ridurre al minimo la distanza fra la felicità della scrittura e quella della lettura, in queste pagine compie un piccolo e rarissimo miracolo: la abolisce. -
Tabula rasa. Vol. 1
I libri immaginati in una vita di scrittura, raccontati in poche pagine.A una certa età ogni scrittore desidera essenzialmente una cosa: vuotare i propri cassetti, prima che lo faccia qualcun altro. Non sempre ne vale la pena, ma se i cassetti sono quelli di John McPhee, c’è il caso che contengano – be’, un nuovo, inimitabile, imprevedibile pezzo di John McPhee. -
Lo stile paranoide nella politica americana
I fantasmi e gli incubi della psiche collettiva americana, dalle loro remote origini ai giorni nostri - e oltre.Dal Mayflower a Barry Goldwater – e, come ormai sappiamo, anche molto oltre – i fantasmi e gli incubi su cui si giocano, e spesso si vincono, le grandi battaglie della politica americana. E, naturalmente, non solo. -
Dizionario dei simboli
Addentrandosi nel ""labirinto luminoso dei simboli"""", Cirlot ci offre una chiave per comprendere i sogni non meno che la pittura del Quattrocento italiano, i paesaggi non meno che la poesia ermetica.«Sto preparando» scriveva Cirlot ad André Breton nel 1956 «una summa simbolica, nella quale vengono raffrontate le conoscenze sul simbolismo di occultisti, psicologi, antropologi, orientalisti, storici delle religioni e autori di trattati». Facendosi guidare da personalità quali Marius Schneider, René Guénon, Mircea Eliade, Ananda Coomaraswamy, Cirlot spalanca davanti ai nostri occhi un universo affascinante, dove il simbolo agisce su ogni piano dell'esistenza, in luoghi lontanissimi tra loro e sin dalle origini dell'umanità; e addita la «radice segreta di tutti i sistemi di significato», il «sostrato comune» a tutte le tradizioni simboliche, sia orientali che occidentali. Sin dall'Introduzione - un excursus vertiginoso che dallo sviluppo del simbolismo conduce fino al problema dell'interpretazione, passando, tra gli altri, per il simbolismo onirico, il simbolismo alchemico e la teoria degli archetipi di Jung - Cirlot ci immerge in un oceano di luminose analogie, segnalandoci infine che il suo è «più un libro di lettura che un testo di consultazione»: come tale lo leggeranno dunque i lettori avvertiti, che non potranno non restarne ammaliati."" -
Lo scialle di Marie Dudon e altri racconti
Dieci racconti, otto dei quali mai pubblicati in Italia, risalenti al periodo più fecondo del grande scrittoreGeorges Simenon ha sempre affermato che tra le inchieste di Maigret e i romanzi cosiddetti «duri» c'era una netta differenza: se le prime le scriveva fischiettando, per rilassarsi, i secondi gli costavano una gran fatica, fisica e mentale. Allo stesso modo, se le inchieste dell'Agenzia O e quelle del dottor Jean (composte alla fine degli anni Trenta) ci hanno fatto scoprire un Simenon leggero, ironico, persino gioviale, i racconti degli anni Quaranta e Cinquanta sono paragonabili, per argomenti e atmosfere, ai romanzi duri. Il denaro, per esempio (che anche nella vita di Simenon ha sempre avuto un ruolo perlomeno ambiguo), è un nodo centrale di parecchi di quelli riuniti in questo volume: come strumento per sottrarsi alla grettezza della vita quotidiana, o come invalicabile frontiera tra le classi sociali. Analogamente, incontriamo qui alcune figure femminili che potremmo definire archetipiche: la madre castratrice e tirannica, la moglie bisbetica e lamentosa, la prostituta accogliente. Scritti in Vandea nel 1940, questi dieci racconti sono apparsi tra la fine di quell'anno e i primi mesi del seguente sul settimanale « Gringoire » (tranne uno, Les cent mille francs de « P'tite Madame », uscito sulla rivista femminile « Notre Coeur »). -
A pranzo con Orson. Conversazioni tra Henry Jaglom e Orson Welles
La migliore introduzione possibile a Orson Welles - e a quella specie di fantasticheria permanente in 35 millimetri che da più di un secolo chiamiamo cinema«Il cinema non mi interessa granché. Continuo a ripeterlo e nessuno mi crede. Ma è vero, non mi interessa! Mi interessa farlo, invece. Vedi, è una cosa terribilmente arrogante da dire, ma non mi interessano gli altri registi - o il mezzo in sé. Per me è il mezzo artistico meno interessante di tutti. A parte il balletto. A me piace solo fare film. Questa è la verità». (Orson Welles) Con uno scritto di Tatti Sanguineti. -
L' anima della formica bianca
Il termitaio come corpo in un pionieristico trattato che è soprattutto il resoconto di un'emozionante avventura in una terra incognita.rnrn«Com'è possibile paragonare quest'anima con quella di un essere umano? Quando vediamo una minuscola operaia sistemare in fretta il suo singolo granello di sabbia sul fianco di una costruzione che diventerà alla fine una torre massiccia, alta quattro, cinque metri, milioni e milioni di volte più grossa di lei, si può presumere per un solo momento che l'operaia sappia, nel senso umano della parola, quale sarà il risultato del suo lavoro? Se così fosse, la sua intelligenza, in confronto alla nostra, sarebbe quella di un dio». -
Pensieri diversi
Un ausilio prezioso nell'arte più difficile: vedere ciò che abbiamo ""davanti agli occhi"""".«Nessuno può pensare un pensiero per me, così come nessuno all’infuori di me può mettermi il cappello sulla testa».rnrn«Niente è così difficile come non ingannare sé stessi».rnrn«Ho detto una volta e forse con ragione: la civiltà passata diventerà un mucchio di rovine e alla fine un mucchio di cenere, ma sulla cenere aleggeranno spiriti»."" -
La gran bevuta. Nuova ediz.
La stesura della Gran Bevuta, più volte interrotta e ripresa, occupò Daumal fra il 1932 e il 1938. In principio Daumal si proponeva di mettere satiricamente in scena le esperienze con il gruppo del «Grand Jeu», ma in seguito lo scopo del libro andò modificandosi per diventare l'itinerario della sua ricerca dell'essenziale. Ispirato alla metafora rabelaisiana del bere, il racconto offre un aiuto per evitare i rischi di un falso pensare, quello che si paga con la perdita di tempo o con l'autoinganno. Sapersi ubriachi, sia pure di discorsi e di gesti inutili, e volerlo essere ancora di più è infatti il primo passo verso il raggiungimento di quella sobria ebrietas che porta alla lucidità e permette di intravedere il proprio cammino. La narrazione, dove «ogni frase ha un senso pieno», procede con humor implacabile e in modo che il lettore abbia l'impressione «di non sapere su quale piede danzare». Nel risolvere l'imbarazzo, le ultime pagine indicano quella che può essere la porta per uscire dal circolo vizioso dell'esistenza e cogliere un'«ordinaria luce del giorno». -
Ungenach. Una liquidazione
Thomas Bernhard allo stato incandescente, in un racconto che è l'incubo di Estinzione, il suo grandioso, ultimo romanzo.Ungenach è il nome della sconfinata proprietà fondiaria nell'Austria Superiore toccata in eredità ai due fratelli Zoiss. Ma, ancorché ricchissimo, splendido agglomerato di frutteti, campi coltivati, boschi, cave, tenute e fabbricati rurali, Ungenach è precisamente quello che ha spinto i due Zoiss a fuggire il più lontano possibile: Karl in Africa, Robert negli Stati Uniti. Per Karl, infatti, rimanere a Ungenach «significa pazzia», e per Robert Ungenach è «un peso spaventoso e nient'altro» – anche il padre, del resto, per tutta la vita «ha sentito Ungenach come un carcere». Immensa devastazione, «rovina della natura e dello spirito», «inferno del cattivo gusto», Ungenach è il labirinto ossessivo dei ricordi e della mente, l'aborrito luogo dell'Origine. E, rimasto unico erede dopo la morte del fratello, Robert si sbarazzerà di tutto con una sconcertante donazione, compiuta «come un delinquente compie il suo delitto» e, beffardamente, a favore di una trentina di assurdi beneficiari, fra cui un «teologo della natura», quattro carcerati e un ricoverato in manicomio. Un atto liberatorio che, di fatto, causerà l'irreversibile estinzione di Ungenach, fosco compendio di ogni realtà fisica e mentale – «poiché è la rovina il punto verso cui tutto converge». -
Le porte regali. Saggio sull'icona
Una sublme forma di pittura, in cui le cose sono ""come prodotte dalla luce"""", svelata da una guida incomparabile.Il mondo della pittura di icone, che Florenskij - soggiogante figura di mistico, filosofo, matematico e teologo, quale poteva apparire soltanto in quella prodiga fioritura di genialità che si ebbe in Russia nei primi anni del secolo scorso - ci svela in queste pagine, rimarrebbe per sempre incomprensibile se lo si avvicinasse con i consueti strumenti della critica d'arte. Esente dalla prospettiva, incompatibile con la concezione della pittura dominante in Occidente dal Rinascimento in poi, l'icona presuppone una metafisica delle immagini e della luce. Ed è a questa metafisica che Florenskij ci introduce, scendendo poi in analisi storiche acutissime, che svariano dalla pittura fiamminga alle tecniche della preparazione dei colori, dalle forme dei panneggi al significato dell'oro e al nesso fra le icone e la liturgia della Chiesa orientale. Accompagnati da questa guida incomparabile, possiamo così finalmente varcare le «porte regali» dell'iconostasi, «confine tra mondo visibile e mondo invisibile», luogo dove si manifesta una pittura sublime, in cui le cose sono «come prodotte dalla luce».""