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Un giorno come un altro
Quando Shirley Jackson arrivò in ospedale per la nascita del terzo figlio, l'impiegata all'accettazione le chiese quale professione svolgesse. E alla risposta «Scrittrice», replicò imperturbabile: «Io metterei casalinga». Senza volerlo, quell'impiegata aveva toccato un nervo scoperto - e colto nel segno. L'autrice di uno dei più celebri e disturbanti racconti della letteratura americana moderna era anche, come emerge dagli irriverenti aneddoti familiari, un'eccentrica donna di casa e una madre spassosa e piena d'inventiva. Ed è impossibile non riconoscere qualcosa di lei nelle stravaganti Mary Poppins che popolano questa raccolta, accompagnate da gatti parlanti e in grado di confezionare abiti con le coccinelle e i denti di leone del giardino. Quanto al lato più macabro - quello che la spinge ad affrontare tormenti, aberrazioni, crudeltà, a sondare normalità, follia, soprannaturale e sordido, o ancora a rendere sottilmente inquietante la banalità di «un giorno come un altro», appunto -, il lettore non avrà che l'imbarazzo della scelta. Nessuno meglio di Shirley Jackson conosce «il male incontrollato» che si cela sotto la più linda e ordinata delle superfici. E solo lei sa mescolare assurdo, comico e spaventevole - avvelenata mistura -, portandoli alle estreme conseguenze con un'economia del dettato e un'acutezza del dettaglio del tutto inconfondibili. -
La formula perfetta. Una storia di Hollywood
David Thomson, «il più grande critico cinematografico vivente» per John Banville, ha qui tentato una storia di Hollywood - la sua - e lo ha fatto col piglio caustico e malandrino che contraddistingue chi da sempre ama quel mondo e ciò che ha da offrire: sogni surrettiziamente innervati dalla realtà. Thomson prende spunto da un capolavoro, Chinatown, il mitico film di Roman Polanski del 1974, il che gli permette di ripartire da molto lontano, dalla crescita indiscriminata, corrotta e manovrata di Los Angeles, e di puntare la sua personale macchina da presa sulle speculazioni fraudolente intorno alla gestione dell'acqua e della viabilità, elementi che, sottotraccia, contribuirono notevolmente alla nascita e allo sviluppo di Hollywood. Ricostruisce poi la storia di quegli anni, dalle prime salette improvvisate ai grandi cinema, alla creazione degli Studios, affrontando il passaggio dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore e alle ulteriori innovazioni tecniche. Ma soprattutto racconta le storie, sempre curiose, spesso sordide, comunque illuminanti, dei grandi che hanno fatto grande il cinema: registi come Griffith, Welles o Hitchcock, divi come Greta Garbo o Marlene Dietrich, Humphrey Bogart o Jack Nicholson, e insieme produttori come Jack Warner, Louis Mayer o Samuel Goldwyn, nonché altre figure meno note ma non meno influenti. Thomson vuole darci «la formula perfetta», espressione che riprende dall'ultimo romanzo incompiuto di Fitzgerald, ambientato nella Mecca del cinema: l'equazione che sola può offrire una visione d'insieme di quel mondo, quell'arte, quel mestiere, quell'industria, quel gioco d'azzardo, in tutta la sua varietà, follia e grandezza. -
Elephi: un gatto molto intelligente
Nell’anno della storica nevicata di Natale, sulla Quinta Strada i newyorkesi impegnati nelle ultime compere della vigilia assistono a uno spettacolo memorabile: dall’alto di un palazzo un’auto viene calata a terra all’interno di una rete. Ma com’è finita nell’appartamento dei signori Cuckoo? C’è lo zampino di Elephi Pelephi, «Famoso Gatto un Tempo Gattino» dal quoziente intellettivo altissimo e dall’incontenibile bisogno di compagnia. Ispirata dal suo amato micio, Jean Stafford ci racconta questa spassosa storia con grazia e ironia, ma soprattutto con la sapienza mimetica di chi conosce alla perfezione la mente felina e i suoi meandri. Età di lettura: da 6 anni. -
La triomphante
«La Triomphante di Teresa Cremisi è la perfetta traduzione romanzesca di quella parabola di Borges in cui un pittore dipinge paesaggi - mari, boschi, città - e alla fine si accorge di aver dipinto il proprio volto. Il romanzo è un asciutto, incantevole ed elusivo autoritratto in cui le cose e le persone - i refoli della storia e le loro tracce nella polvere dispersa, i colori, gli odori, la ""quiete sorniona del mare che lappa lentamente la sabbia"""", i porti d'Oriente affollati di navi, le lingue più diverse che echeggiano nell'anima come stormire di foglie o stridio di uccelli - diventano lineamenti di un viso e battiti di un cuore». (Claudio Magris)"" -
Solo per i tuoi occhi. 007
Per la prima volta Fleming si presenta a noi nelle vesti di scrittore di racconti: e le sorprese non mancano, anche se il protagonista di tutti e cinque i titoli è l’agente segreto che conosciamo bene. Incontreremo così Quantum of Solace, originale e degno omaggio a un venerato maestro della narrazione come Maugham; Bersaglio mobile, reso celebre dalla trasposizione cinematografica; e soprattutto Solo per i tuoi occhi, uno dei casi più singolari affrontati da 007, qui mano vendicatrice di M, il direttore del Secret Intelligence Service, e affiancato nell’impresa da una fanciulla armata di arco e frecce. Ma ci imbatteremo anche in un episodio inconsueto, che porterà James Bond a pesca sullo yacht di un miliardario sadico e brutale, con sviluppi tortuosi e un finale inaspettato. E quando in Risico lo invieranno in Italia a investigare su un presunto traffico di droga, dovrà sbrigarsela con la malavita nostrana. -
Gormenghast. La trilogia
Invidiabile la sorte del lettore che affronta per la prima volta questo monolito letterario, unico per concezione e architettura. Castello-caverna che la natura ha divorato, o che ha divorato la natura, Gormenghast è in primo luogo un modo di vivere, di essere: è tutto. E dunque esclude per definizione il resto, tanto che chi lo abita non riesce neppure a immaginare una realtà esterna. A descriverlo non poteva essere che uno scrittore e illustratore di genio come Mervyn Peake, visionario estremo. L’avventura si snoda in tre atti. Nel primo assistiamo alla nascita di Tito, che minaccia mutamenti, quindi scandalo e rovina, in un reame che si nutre di una millenaria ragnatela di rituali. Peake imprime al racconto un moto magmatico che si riversa sui protagonisti e ne fa insetti mostruosi conservati nell’ambra, prima che ne affiorino turgidi rilievi. Dove trovare un cast di eccentrici più ricco, più dickensiano già dall’inventario dei nomi? Sepulcrio, Fucsia, Barbacane, Ferraguzzo, Floristrazio, Musotorto e molti altri. Il secondo atto introduce all’educazione di Tito, che ora ha sette anni: il che significa per lui affondare nelle pieghe di insidiose trame per il potere, in una battaglia epica senza esclusione di colpi. E il ritmo narrativo si adegua, con esiti sempre più cinematografici, per poi subire nel terzo scomparto un’ulteriore accelerazione: sfuggito a Gormenghast, il giovane muoverà i primi passi in un altrove che esiste davvero – ma non è in nulla migliore di quanto si è appena lasciato alle spalle. -
Notturno cileno
"Ora muoio, ma ho ancora molte cose da dire. Ero in pace con me stesso. Muto e in pace. Ma all'improvviso le cose sono emerse"""". L'uomo che in una notte di agonia e delirio decide di ripercorrere la propria esistenza, per """"chiarire certi punti"""", per smentire le """"infamie"""" messe in giro su di lui da quel """"giovane invecchiato"""" che da un pezzo lo perseguita coprendolo di insulti ombra, o fantasma, o figura della sua innocenza perduta -, è stato un sacerdote, un membro dell'Opus Dei, e anche un poeta e un autorevole critico letterario. Ma è stato soprattutto uno che ha sempre badato a tenersi al riparo da ogni rischio, e per riuscirci si è piegato a molti compromessi, ha chiuso gli occhi dinanzi a molte nefandezze, si è macchiato di molte viltà. Ha accettato e svolto coscienziosamente incarichi bizzarri, come dare lezioni di marxismo a Pinochet e ai membri della sua giunta, e ha preso parte a squisite serate letterarie in una sontuosa villa, alla periferia di Santiago, nei cui sotterranei venivano torturati gli oppositori politici al regime. E adesso che le cose e i volti del suo passato gli turbinano davanti come sospinti da un soffio infernale, """"si scatena la tempesta di merda"""". In questo, che è l'ultimo grande romanzo pubblicato in vita, Roberto Bolaño fa i conti una volta per tutte con la storia di quel Cile che non ha mai smesso di amare e odiare. Lo fa scegliendo il punto di vista di un personaggio equivoco e meschino, e riuscendo a costruire un possente """"romanzo-fiume""""." -
Tony & Susan
«Quando in una storia vedo comparire un protagonista-lettore, ho sempre il sospetto che sia stato messo lì allo scopo di adularmi, di rassicurare, mentre io pretendo tutto il contrario dal libro che sto leggendo: voglio ch'esso mi strattoni, che mi renda maledetto e solo a sprazzi redento, che mi spaventi a morte. È per questo che ho amato a tal punto Tony & Susan di Austin Wright, un romanzo che parla di romanzi, ma una felice eccezione della sua specie, perché tutto fa fuorché rassicurare. Spaventa molto e redime poco. Esalta la vocazione stessa dei romanzi a essere non-rassicuranti e ne celebra la dimensione oscura, spiazzante». (Paolo Giordano) -
Le gemelle che non parlavano. Nuova ediz.
Figlie di una coppia di origine caraibica, June e Jennifer Gibbons, gemelle omozigote, rivelano fin dai primissimi anni un'intelligenza acutissima e appaiono unite da un legame fisico e psicologico così forte da rendere difficile l'accesso al loro mondo. Dopo i primi, fallimentari, tentativi di inserimento nella scuola, June e Jennifer si chiudono in casa e conducono una propria vita separata da tutto e da tutti. Con una furia dell'immaginazione che ricorda la storia delle sorelle Brontë, inventano un universo fantastico e cominciano a scrivere romanzi e novelle di sorprendente qualità. Infine, decidono di uscire nel mondo esterno, lanciandosi in pericolose azioni di sfida, sinché vengono arrestate, condannate e internate a Broadmoor, famigerato manicomio criminale, dove rimarranno undici anni. Questa storia terribile viene qui raccontata da una nota giornalista del «Sunday Times», Marjorie Wallace, che con grande finezza ha saputo farsi strada nel loro mondo segreto. Ne è risultato questo libro-documento, impressionante immersione in uno dei casi psicologici più misteriosi, rivelatori e strazianti del secolo scorso. -
La ragazza con gli occhi d'oro
«All'improvviso comparve una nuvola insolita, che si proiettava in alto con una specie di larghissimo tronco: si allargava e si ramificava: andava sfilacciandosi, a tratti immacolata, a tratti torbida, secondo che sollevasse terra o cenere». È Plinio il Giovane a documentare nelle epistole l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ma la voce narrante è qui, inconfondibilmente, quella di Citati. Nessuno come lui ha saputo riverberare e dilatare nella sua scrittura il fascino dei libri che leggeva e amava - e trasmetterci il desiderio irresistibile di leggerli e amarli a nostra volta. Né c'è da meravigliarsi: più che critica letteraria, la sua è interpretazione narrata, racconto che tramuta ogni libro e il suo autore in indimenticabili personaggi: «Dickens riempiva la realtà con un'allegria furiosa, eccitando ed esaltando il suo genio ... Una misteriosa ilarità lo attraversava, lo colmava ed egli non riusciva ad interromperla, quasi fosse stato percorso da una zampillante fontana di fuoco». Letteratura sulla letteratura, in definitiva, o anche letteratura scaturita dall'arte, ma non alla maniera dell'amico Manganelli, attento come ogni buon rètore a frapporre tra sé e ciò che scriveva «uno spazio di indifferenza emotiva»; nelle pagine di Citati la letteratura circola libera e impetuosa, ci avvolge e ci contagia, lasciando intravedere dietro di essa la sua vera e più antica vocazione, leggere: «non ho mai smesso di leggere, leggere, leggere; ogni libro che leggevo era una forma dell'infinito, che inseguivo, e inseguivo, e fallivo continuamente nell'inseguire». -
L'orsacchiotto
Un uomo appagato, il professor Jean Chabot: ginecologo di fama, comproprietario di una clinica e responsabile della Maternità di Port-Royal, un appartamento di dodici stanze al Bois de Boulogne, una moglie, tre figli e una segretaria amante che si è assunta il compito di «evitargli ogni minima seccatura». Tra le seccature da cui lo ha sbarazzato c’è stata anche la giovanissima inserviente della clinica che lui aveva preso una notte, mentre era semiaddormentata, e che gli era parsa «qualcosa di tenero e commovente come un orsacchiotto nel letto di un bambino». Nell’apprendere che era stata licenziata, però, Chabot non aveva reagito: in fondo, con lei aveva passato solo poche ore. Né era sembrato particolarmente scosso dalla notizia che l’avevano ripescata nella Senna. E che era incinta. Eppure, nella liscia, smaltata superficie della sua sicurezza cominciano ad aprirsi delle crepe, e lui ha come l’impressione che al centro della sua vita si sia spalancato un vuoto. Per di più, da qualche settimana vede un giovane – il fidanzato del suo «orsacchiotto»? Un fratello? – lasciargli sotto il tergicristallo della macchina, senza nascondersi, quasi a sfidarlo, dei biglietti in cui gli annuncia: «Ti ucciderò». Ma lui non ha paura di morire, anzi. Gli è perfino capitato diverse volte di «sfiorare sorridendo il calcio della pistola» che teneva in un cassetto della scrivania e che da un certo momento in poi si è messo in tasca... -
1903: Esch o l'anarchia. I sonnambuli. Vol. 2
Dal vero scrittore, ebbe a dire Elias Canetti in un discorso su Hermann Broch tenuto nel 1936, bisogna pretendere «la ferma volontà di dare una visione del suo tempo, una spinta all’universalità che non arretra spaventata di fronte a nessuna incombenza singola, che non elude, non dimentica, non trascura nulla, e che in nessun caso cerca facili scorciatoie. Broch si è occupato più volte e in modo approfondito di questa universalità. Si può dire di più: la sua volontà letteraria si è accesa veramente proprio anelando all’universalità». Per Canetti la trilogia ""I sonnambuli"""" rappresenta dunque «la realizzazione poetica della sua filosofia della storia, sia pure circoscritta alla propria epoca. La “disgregazione dei valori” vi è raffigurata in personaggi vividi e altamente poetici. Non riusciamo a liberarci dalla sensazione che la pienezza, il valore e talvolta l’ambiguità di questi personaggi si siano affermati nonostante la volontà contraria o comunque con la pudica riluttanza del loro autore». E davvero ha come una concreta, autonoma esistenza il protagonista di questo secondo pannello, il trentenne August Esch, impiegato di commercio, lacerato tra «l’integerrima contabilità della sua anima» e «la sua peccaminosa condotta di vita». Una vita inquieta e senza baricentro, tra l’improbabile alternarsi di mestieri e gli ondivaghi rapporti con le donne, mentre in lui cova una rabbia impotente tanto contro gli affaristi quanto contro i demagoghi di «un mondo in preda all’anarchia, in cui nessuno sa più se sta a destra o a sinistra, sopra o sotto»."" -
La terra inumana
14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’aggressione tedesca dell’Unione Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto Molotov-Ribbentrop – che in un «protocollo segreto» aveva stabilito la spartizione della Polonia –, a fronte della minaccia nazista viene firmato l’accordo militare fra Stalin e Sikorski per la costituzione, sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in precedenza fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito polacco ed è stato internato dapprima a Starobel’sk e poi a Grjazovec, viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi dietro il filo spinato». È l’inizio di un’odissea che porterà Czapski ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila prigionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno in parte rinvenuti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyn’). -
Buchi bianchi
« Non lo so se l’idea che i buchi neri finiscano la loro lunga vita trasformandosi in buchi bianchi sia giusta. È il fenomeno che ho studiato in questi ultimi anni. Coinvolge la natura quantistica del tempo e dello spazio, la coesistenza di prospettiverndiverse, e la ragione della differenza fra passato e futuro. Esplorare questa idea è un’avventura ancora in corso. Ve la racconto come in un bollettino dal fronte.rnCosa sono esattamente i buchi neri, che pullulano nell’universo. Cosa sono i buchi bianchi, i loro elusivi fratelli minori. E le domande che mi inseguono da sempre:rncome facciamo a capire quello che non abbiamo mai visto? Perché vogliamo sempre andare a vedere un po’ più in là...? ». -
Gentiluomo in mare
Che cosa si prova a cadere da un piroscafo in mezzo al Pacifico? Chiedetelo a Henry Preston Standish, il protagonista di questo piccolo libro, un agente di Borsa di New York che si è appena concesso la sua prima vacanza solitaria per poi, una volta al largo, cadere inopinatamente in mare. Sposato, con due figli e una carriera solida, Standish è un bravo cittadino, «scialbo come una tela grigia», che non ha mai avuto dubbi o cedimenti, ma a un tratto ha sentito il bisogno di partire. Se il viaggio non andrà come sperato è solo colpa della sua condizione di gentiluomo – fonte ultima dei suoi guai –, che gli ha impedito di urlare a squarciagola per chiedere soccorso. Quando infatti si decide a farlo è troppo tardi e si ritrova in pieno oceano, mentre la nave si allontana per sempre all’orizzonte. Le ore successive le passerà a riflettere sulla tragica ironia della sua sorte: una minima odissea tutta interiore che lentamente si trasforma in una sorta di regressione talassale, in un livido ritorno a una agognata condizione prenatale. E su quello che in fondo è solo uno scivolone, Lewis costruisce – con un senso dell’equilibrio che ha del miracoloso – un apologo beffardo e una novella perfetta. -
Il mondo di sera
Mentre il mondo precipita a velocità vertiginosa verso il baratro della seconda guerra mondiale, Monk torna dopo oltre trent’anni alla casa della sua infanzia, in una piccola comunità quacchera della Pennsylvania, nuovamente circondato dalle cure della «zia» che l’ha cresciuto con indefettibile abnegazione. E, costretto all’immobilità da un incidente forse non del tutto casuale, decide di mettere ordine fra le lettere della prima moglie, Elizabeth, una scrittrice di successo scomparsa da pochi anni. Sarà lei, indirettamente, a gettare una luce nella sua confusione, aiutandolo a disfarsi del passato – «Mettilo in una teca di vetro e ammiralo come fosse un tesoro, se vuoi» –, a riflettere sulle leggi imperscrutabili che governano l’attrazione, ad accettare la stranezza del matrimonio, di tutti i matrimoni, almeno quelli che durano. E sarà sempre lei, che in un certo senso ha «inventato» Monk e ne ha fatto «il più realistico» dei suoi personaggi, a fornirgli la chiave per comprendere e perdonare se stesso. Così, nel desiderio espresso da Elizabeth: «Ah, come mi piacerebbe, come mi piacerebbe saper buttare giù a decine di quei vasti, informi romanzi impulsivi, pieni di opinioni contraddittorie e di calore, di energia, di stupidità e di vita», si può leggere in filigrana quello che è mirabilmente riuscito a Isherwood in queste pagine. -
Junky
Era dai tempi delle Confessioni di un mangiatore d’oppio di de Quincey che un cono di luce così livida, spietata, non cadeva sulla terra desolata battuta dal tossicodipendente. Burroughs, che tossicodipendente lo è stato a lungo, impenitente e irredento, cerca qui la nostra complicità, ci invita nel mondo criminale mettendo a nudo il nostro voyeurismo, ci attira, ci porta dove vuole finché siamo costretti a domandarci: da che parte stiamo? Dov’è la linea che separa legalità e criminalità? E prima ancora: chi è a tracciarla? Junky è l’unica storia trasparente di Burroughs, lucida, tesa, asciutta, anche se in queste confessioni si incontrano formule e immagini che per forza visionaria adombrano episodi e figure dei romanzi a venire. È come leggere due libri simultaneamente, l’uno insolitamente diretto per uno come lui, l’altro complesso, tortuoso, ingannevole. E le due maschere si danno di continuo e impercettibilmente il cambio sul volto sempre sfuggente, misterioso, magnetico dell’autore. -
V13. Cronaca giudiziaria
Scandito in tre parti – « Le vittime », « Gli imputati », « La corte » –, V 13 raccoglie,rnrielaborati e accresciuti, gli articoli (apparsi a cadenza settimanale sui principalirnquotidiani europei) in cui Emmanuel Carrère ha riferito le udienze del processornai complici e all’unico sopravvissuto fra gli autori degli attentati terroristici avvenutirna Parigi il 13 novembre 2015 – attentati che, tra il Bataclan, lo Stade de France erni bistrot presi di mira, hanno causato centotrenta morti e trecentocinquanta feriti.rnOgni mattina, per quasi dieci mesi, Carrère si è seduto nell’enorme « scatola dirnlegno chiaro » che era stata fatta costruire appositamente e ha ascoltato il resocontornimplacabile di quelle « esperienze estreme di morte e di vita » – le testimonianzernatroci di chi aveva perduto una persona cara o era sopravvissuto alla carneficinarnstrisciando in mezzo ai cadaveri, i silenzi e i balbettii degli imputati, le parole deirnmagistrati e degli avvocati –, e lo ha magistralmente narrato, riuscendo a coglierernnon solo l’umanità degli uni e degli altri (sconvolgente, ammirevole o abietta chernfosse), ma anche la terribile ironia dei discorsi e delle situazioni. Da questa discesarnagli inferi, da questo groviglio di orrore, di ideologia, di follia e di sofferenza,rnCarrère sa, sin dal primo giorno, che uscirà cambiato – così come uscirà cambiato,rndalla lettura del suo libro, ciascuno di noi. -
La fonte nascosta. Un viaggio alle origini della coscienza
Come può l’attività del cervello dar luogo alla coscienza? Il filosofo della mente David Chalmers lo ha definito il «problema difficile» delle neuroscienze contemporanee, e molti lo ritengono il più grande enigma di tutte le scienze. Si tratta di comprendere non solo quali processi cerebrali siano correlati alla coscienza, ma anche in che modo la generano. Un problema che in questo libro Mark Solms, neuroscienziato e psicoanalista, affronta con un approccio risolutamente anticonvenzionale, in cui confluiscono le sue ricerche sui sogni e le conversazioni con numerosi pazienti cerebrolesi. In passato si pensava che la corteccia cerebrale, in quanto sede dell’intelligenza, lo fosse anche della coscienza. Secondo Solms, la coscienza ha invece un’origine molto più antica, e nasce in un’area del cervello meno «nobile», il tronco dell’encefalo, che gli esseri umani condividono con tutti gli altri mammiferi e persino con i pesci. Qui risiede la «fonte nascosta» degli affetti. A una coscienza cognitiva, rivolta verso il mondo esterno, si contrappone dunque una coscienza emotiva, un sentire primitivo, viscerale, che ha una funzione adattativa, giacché le sensazioni di piacere e dispiacere sono la bussola che ci consente di navigare nel mare dell’incertezza e di mantenere l’equilibrio omeostatico indispensabile per rimanere in vita. Solms ci invita così a intraprendere un viaggio avventuroso alle origini della coscienza e, a partire dagli albori della neurologia e della psicoanalisi, ci guida sino alle frontiere delle moderne neuroscienze. E la conclusione non mancherà di far discutere: «finché non riusciremo a costruire una macchina cosciente, non potremo affermare di avere risolto il problema difficile». -
Yoga
La vita che Emmanuel Carrère racconta, questa volta, è proprio la sua: trascorsa, in gran parte, a combattere contro quella che gli antichi chiamavano melanconia. C'è stato un momento in cui lo scrittore credeva di aver sconfitto i suoi demoni, di aver raggiunto «uno stato di meraviglia e serenità»; allora ha deciso di buttare giù un libretto «arguto e accattivante» sulle discipline che pratica da anni: lo yoga, la meditazione, il tai chi. Solo che quei demoni erano ancora in agguato, e quando meno se l'aspettava gli sono piombati addosso: e non sono bastati i farmaci, ci sono volute quattordici sedute di elettroshock per farlo uscire da quello che era stato diagnosticato come «disturbo bipolare di tipo II». Questo non è dunque il libretto «arguto e accattivante» sullo yoga che Carrère intendeva offrirci: è molto di più. Vi si parla, certo, di che cos'è lo yoga e di come lo si pratica, e di un seminario di meditazione Vipassana che non era consentito abbandonare, e che lui abbandona senza esitazioni dopo aver appreso la morte di un amico nell'attentato a «Charlie Hebdo»; ma anche di una relazione erotica intensissima e dei mesi terribili trascorsi al Sainte-Anne, l'ospedale psichiatrico di Parigi; del sorriso di Martha Argerich mentre suona la polacca Eroica di Chopin e di un soggiorno a Leros insieme ad alcuni ragazzi fuggiti dall'Afghanistan; di un'americana la cui sorella schizofrenica è scomparsa nel nulla e di come lui abbia smesso di battere a macchina con un solo dito – per finire, del suo lento ritorno alla vita, alla scrittura, all'amore. Ancora una volta Emmanuel Carrère riesce ad ammaliarci, con la «favolosa fluidità» della sua prosa («Le Monde») e con quel tono amichevole, quasi fraterno, che è soltanto suo, di raccontarsi quasi che si rivolgesse, personalmente, a ciascuno dei suoi lettori.