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Vite minuscole
"Vite minuscole"""" esce in Francia nel 1984. È il primo libro di uno scrittore ignoto al milieu letterario, ma è subito chiaro che si tratta di un esordio folgorante. E audace: recuperando una tradizione che risale a Plutarco, a Svetonio, all'agiografia, Michon ci racconta le vite di dieci personaggi non già illustri o esemplari, ma, appunto, minuscoli: e dunque votati all'oblio se non intervenisse a riscattarli una lingua sontuosa, di inusitata e abbagliante bellezza, capace di """"trasformare la carne morta in testo e la sconfitta in oro"""". Vite come quella dell'antenato Alain Dufourneau, l'orfano che vuole """"fare il salto nel colore e nella violenza"""", in Africa, convinto che solo laggiù un contadino diventa un Bianco e, fosse anche """"l'ultimo dei figli malnati, deformi e ripudiati della lingua madre"""", può sentirsi più vicino alla sua sottana di un Nero; o come quella, lacerante, di Eugène e Clara, i nonni paterni, inchiodati nel ruolo di """"tramite di un dio assentato"""" - il padre, il """"comandante guercio"""", che ha preso il largo e da allora scandisce la vita del figlio come la stampella di Long John Silver, nell'Isola del tesoro, """"percorre il ponte di una goletta piena di sotterfugi""""; o come quella dei fratelli Roland e Rémi Bakroot, i compagni di collegio, torvamente sprofondati nel passato remoto dei libri il primo, nell'invincibile presente il secondo, e uniti da una rabbia ostinata non meno che da un folle amore." -
Atti umani
Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un ""orribile tanfo putrido"""". Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; """"Atti umani"""" è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente. Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il """"rullo inchiostratore"""" della censura e i """"sette schiaffi"""" di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni. Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato."" -
Che cosa fa la gente tutto il giorno?
Nel mondo dei racconti di Peter Cameron,rnche assomiglia terribilmente al nostro, chi cerca sé stessa, rimpiange qualcuno che ha perso, fa i conti con un perenne senso di inadeguatezza, si sforza – spesso invano – di trovare un modo per comunicare con le persone vicine. Conduce una vitarnordinaria, insomma, che però d’un tratto può conoscere una svolta spiazzante. Accade all’uomo che preferisce far credere alla moglie di avere una relazione anziché rivelarle che tiene un cane nascosto in un ripostiglio, e che ogni notte esce perrnportarlo a spasso; alla giovane inquieta che scopre un inaspettato alito di calorerndomestico nel più artefatto degli ambienti: un parco a tema per turisti; ad adolescentirninvischiati nelle dinamiche disfunzionali degli adulti ma non ancora contaminatirndalla loro ipocrisia; a donne che si aggirano sole in case diventate di colporngelide e vuote. Nel mondo di Peter Cameron, sospeso in un’atmosfera rarefatta ernstraniante, piccoli e grandi drammi familiari, amorosi, esistenziali si consumanornin sordina, mentre una vena sotterranea di dolore invade l’esistenza e finisce inesorabilmenternper travolgerla e stravolgerla. Quanto a noi, saremo accompagnati arnlungo da un sottile turbamento, una volta chiuso il libro – e dovremo arrendercirnall’evidenza che ancora una volta Cameron ci ha messi a nudo e raccontati, comernsolo lui sa fare. -
Guerra
Primo, folgorante scampolo dei famigerati inediti rubati nel 1944 dall’abitazione di Céline, e rocambolescamente ricomparsi più di settant’anni dopo la sua morte, Guerra narra episodi contemporanei alla prima parte del Viaggio al termine della notte.rnNel racconto, scandito in sei sequenze, seguiremo il giovanissimo Ferdinand, alter ego dell’autore, ferito a un braccio e con una grave lesione all’orecchio dovuta a un’esplosione, mentre cerca come un sonnambulo di guadagnare le retrovie attraverso campi di battaglia disseminati di cadaveri martoriati dalle bombe, in una notte visitata da presenze ostili, fantasmi quanto mai reali. Lo ritroveremo poi in un ospedale, in mezzo a infermi d’ogni risma, circondato da infermiere vampiresche nellarnfoia scatenata dal clima bellico. Qui fa amicizia con un altro parigino, malavitoso intraprendente e cinico al punto di far venire la moglie al fronte perché batta il marciapiedernper lui. Spunto per nuovi episodi grotteschi, esilaranti e raccapriccianti al tempo stesso, dove Céline preme come mai avrebbe fatto, né prima né dopo, sul pedale di una sessualità estrema.rnCéline è scrittore da dimenticare, hanno detto, se vuoi vivere, anche se vuoi soltanto leggere, capace com’è di rendere illeggibili gli altri scrittori. Con lui non resta che lasciarsi portare da quel parlottio ipnotico, sbracato e ininterrotto, come il fischio del rimorchiatore sulla Senna, nella notte, che chiudeva il Voyage. Dai primi velenosi accordi di quella petite musique spiritata che seduce, cattura e non lascia scampo. Allarnfine, attraverso il suo delirio, ci si accorge che Céline è l'unico scrittore che sia stato capace di nominare quegli avvenimenti. Dalla parte dei Buoni nessuno ha trovato la parola. -
Emigrazioni oniriche. Scritti sulle arti
«Che bello non essere di professione critico d’arte, ma andar vagabondando ad adocchiare tele e disegni, e dir sciocchezze» proclama Manganelli nell’affrontare la pittura del Pitocchetto. In effetti, sarebbe arduo ravvisare in lui la serietà benpensante dello specialista: diffida dei musei, frutto di «una macchinazione, una prepotenza, una frode»; dichiara che allestire una pinacoteca «non è più sensato che fare abitare tutti i Giuseppe in un solo quartiere di una città»; e lascia trapelare che ai quadri, riflesso della «mentita consistenza» del mondo, preferisce talora i disegni, appartenenti «al luogo discontinuo dei fantasmi». Ma non ci si deve ingannare: l’«incompetenza» autorizza a essere imprecisi, emotivi, irresponsabili – esattamente ciò che permette alla critica di condividere la natura misteriosa, elusiva, notturna della letteratura. Non a caso nel 1977 Manganelli ha precisato che «lo scrittore è colui che è sommamente, eroicamente incompetente di letteratura». I saggi qui riuniti saranno allora letteratura generata dall’arte – o meglio dalle arti, visto che le sue predilezioni si estendono dalle statue stele lunigianesi, «feti di dèi», all’amata pittura del Seicento e agli amici come Toti Scialoja, fino agli ex voto e alle libellule-mascotte di Lalique, numi tutelari del viaggio. E proprio in quanto letteratura, svincolata da gravami disciplinari, questi scritti riescono a sovvertire ogni idea sull’arte e a insegnarci una nuova grammatica della visione. Come quando, a proposito dei Mangiatori di patate di Van Gogh, leggiamo: «Le patate sono notte, profondità, cimitero, tomba, nero, nerità; e hanno la forma sgraziata e concentrica del mondo». -
Delitto impunito
«Lo ucciderò». Non pensa ad altro Élie, da quando, nella pensione della signora Lange che è ormai diventata il suo rifugio e la sua tana, è arrivato Michel. Ventidue anni, capelli scuri e lisci, gli occhi di un nero profondo, la carnagione olivastra, Michel è il rampollo di un’agiata famiglia romena, ha la stanza migliore, viene nutrito e coccolato, e tutte le sere raggiunge nei bar di Liegi un gruppo di connazionali. Élie invece ha una zazzera rossiccia e crespa, labbra carnose e occhi sporgenti che lo fanno assomigliare a un rospo; sbarcato tre anni prima dalla natìa Vilnius per preparare un dottorato in matematica, occupa una stanza che non può permettersi di riscaldare, mangia pochissimo, esce di rado, non ha amici. Per Michel, convinto com’è che tutti debbano amarlo, non è stato difficile sedurre la figlia della signora Lange, quella Louise nella cui schiva presenza Élie ha sempre trovato «un che di dolce, di rasserenante». E lui, Élie, se n’è accorto, perché una sera li ha visti baciarsi – e perché li guarda, ogni pomeriggio, dal buco della serratura, inorridito e affascinato al tempo stesso. Sì, deve fare giustizia Élie, deve eliminare quell’intruso che è venuto a sconvolgere il suo quieto universo. Quell’uomo «felice in tutto e per tutto, sempre e comunque, in ogni momento della giornata». E lo farà – o almeno crederà di averlo fatto. Ma, ventisei anni dopo, in un paesino minerario dell’Arizona, se lo ritroverà davanti... -
Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia
Nel maggio del 1940, Anna Maria Ortese incontra a Bologna Marta Maria Pezzoli, giovane studentessa universitaria che gli amici chiamano Mattia. Nasce fra loro un’intesa, un’intimità che, come precisa la Ortese, è tenerezza di sorelle: «Ti sono così grata di essermi vicina in questo tempo difficile – sola sorella». Una tenerezza tanto più intensa in quanto fondata sulla dissimmetria: Mattia è malinconica, sollecita, assidua, percettiva, Anna Maria mutevole, tempestosa, non di rado silente, caparbiamente intenta a coltivare la sofferenza, sua «vera patria», a trasformarla in conoscenza, a trasfonderla in un lavoro che pure reca con sé dubbio e tormento: «Non ho sete che di gioia, di luce, d’amore. E tutto questo non c’è, fra le carte. Scrivere, è uguale al canto raccolto e disperato del mare, nelle insenature segrete. È il rifugio triste, non è la vita. Vorrei essere dove voi tutti siete» – ma capace anche di trasmettere all’amica la sua irrequietezza visionaria, in lettere di fiammeggiante bellezza. A cura di Monica Farnetti. Con una Nota di Stefano Pezzoli. -
Parigi
Nato nel XVII arrondissement da genitori originari del Sud degli Stati Uniti, in bilico fra due lingue e due culture, Julien Green ha fatto di Parigi la sola vera patria, oggetto di una amorosa contemplazione e di una stupefatta tenerezza. Nessuno meglio di lui poteva dunque non già raccontarci le eclatanti meraviglie di cui vanno a caccia i turisti, ma svelarci un’anima che non si lascia cogliere facilmente, una città segreta e inaccessibile che «appartiene ai sognatori» disposti a girovagare senza problemi di tempo, e quella inesplicabile qualità che di fronte alla più umile delle immagini, come la «fila di libri malconci nel cassone di un bouquiniste», ci fa dire senza esitazione: «Questa è Parigi». Una qualità che Julien Green, grazie al suo contagioso amour fou, riesce miracolosamente a trascrivere, a raffigurare con le parole, convincendoci che non vale la pena di «affrontare le turbolenze degli aeroporti e la noia delle crociere per andare a cercare dall’altra parte del mondo, in mezzo alle folle o nei pochi luoghi deserti che restano,» ciò che soltanto Parigi sa offrirci ogni giorno «con tanta generosità». -
I volti dell'ombra
Quando l’esplosione accidentale di una bomba a mano sepolta in giardino lo rende cieco, Richard Hermantier, magnate dell’industria abituato a dettare legge e a incutere rispetto con una semplice occhiata, si trova costretto a trascorrere un mese di convalescenza nella sua villa in Vandea: un mese soltanto, ma cruciale, perché la fabbrica di lampadine che gestisce con piglio feroce si prepara al lancio di un prototipo destinato a rivoluzionare il mercato. In attesa di tornare al comando, Hermantier non potrà che affidarsi alle persone che gli stanno accanto: la moglie Christiane, «bella e sciocca come una Giunone», l’affascinante quanto irresponsabile fratello Maxime e Hubert, il suo socio in affari, un uomo «della razza dei pusillanimi, degli ipocriti, dei piccoli contabili». Ma l’incidente che gli ha cucito per sempre le palpebre ha minato irrimediabilmente anche la sua sicurezza, e a poco a poco, nell’implacabile calura estiva, i contorni della realtà si fanno incerti. Può davvero dare credito ai suoi sensi, ai ricordi, a quello che gli viene raccontato? Ancora una volta la «più grande coppia della letteratura nera» ci regala una storia della stessa materia di cui sono fatti gli incubi, che trascina il lettore in un labirinto senza via di fuga dove nulla è come appare – dove la verità rimane acquattata nell’ombra, a portata di mano ma impossibile da raggiungere. -
Un mondo senza confini. Viaggi in luoghi deserti
Un terzo delle terre emerse è costituito da deserti, in gran parte desolati e inospitali. Perché un ambiente così ostile ci affascina da sempre? Quali corde profonde fa risuonare in noi il luogo metafisico per eccellenza, dove terra e cielo si confondono, dove la vita umana è appesa a un filo? Animato dallo spirito di avventura dei grandi esploratori del passato, e spesso armato dei loro libri per ripercorrerne le tracce, William Atkins ci conduce alla scoperta di un mondo che è tanto interiore quanto fisico. E mentre ci offre il resoconto di sette viaggi compiuti nelle regioni desertiche più remote, meravigliose e spietate al tempo stesso - dal Quarto Vuoto dell’Oman al Victoria australiano, dal deserto del Gobi a quelli degli Stati Uniti -, ne descrive l’ecosistema, la geologia, la flora e la fauna, i popoli che li abitano e la storia che li ha modellati, dalle trivellazioni petrolifere ai test nucleari, fino agli odierni raduni hippie. Ma Atkins non è soltanto un trascinante narratore di viaggi: il deserto è qui esplorato anche come strumento di connessione profonda con noi stessi e con la natura, manifestazione ultima dell’immobilità e del silenzio. Una visione che del deserto trasmette tutta l’immensità – e ci ricorda che, anche in un mondo dove ogni paesaggio è disponibile con un click, avventura e scoperta, solitudine e isolamento sono ancora possibili. -
Paura della matematica
Che ci racconti di un ragazzo che in casa decide di non dire più una parola, mentre intrattiene una fitta corrispondenza con i carcerati, oppure di un adolescente che, alla morte del suo cane, si convince che nelle formule dell’algebra si annida il segreto della felicità, oppure ancora di una coppia di ragazzi gay in visita presso una nonna eccentrica e molto amata, Cameron sembra non aver mai fatto altro che scrivere storie per noi. Storie di giovinezza, di inquietudine e nostalgia, di amori e famiglie e vita quotidiana, affidate alla sua voce fresca e generosa – storie che, come accade con i suoi ammiratissimi romanzi, non dimenticheremo facilmente. -
I cento figli del drago
Vincitore premio Pulitzer per la narrativa 1993 -
Care amiche telespettatrici
Accorati appelli, drammatiche confessioni, volti inondati di lacrime, pareri e consigli a non finire da esperti non si sa di cosa: questi gli ingredienti dei programmi cui siamo ormai assuefatti, e questo lo spunto per il più lungo dei tre racconti riuniti in un libro destinato a squarciare il velo di tanta letteratura manierata e rivelare la vera anima del Giappone contemporaneo. -
Terra rossa e pioggia scrosciante
Parasher, spirito intrappolato nel corpo ferito a morte di una scimmia, riemerge dalle fantasmagoriche regioni dell'incoscienza per raccontare, seduto a una macchina da scrivere, la sua storia. Questo è il contratto stipulato con Yama, Signore della Morte, venuto a fargli nuovamente visita. La sua unica via di salvezza è tenere avvinti gli ascoltatori per almeno due ore al giorno. Hanuman, migliore tra le scimmie e patrono dei poeti, gli offre la protezione e suggerisce un piccolo stratagemma: il patto non precisa chi debba essere il narratore, così nel ruolo di Shahrazad gli si potrà alternare Abhay, il ragazzo che lo ha ferito. -
Cambogia. Un libro per chi trova la televisione troppo lenta
Perché abbiamo dimenticato lo sterminio del popolo cambogiano? Perché i disastri che si abbattono su un mondo reso sempre più accessibile e familiare dai mezzi d'informazione passano inosservati o scivolano via dalla nostra coscienza senza lasciare traccia? In questo libro così singolare, sia nell'impianto ideologico sia in quello formale, trovano posto, separati ma paralleli, due genere di discorso: il racconto e la riflessione. Con umorismo graffiante e spirito apocalittico Brian Fawcett ci invita a scoprire, in un piatto di pollo fritto consumato all'autogrill, il sapore universale di una condizione disumana; ci fa ascoltare un illuminante dialogo tra San Paolo e McLuhan sull'importanza del potere spirituale nel controllo delle masse. -
Simmetrie. Scienza, fede e ricerca dell'ordine
Il cammino degli scienziati sembra arrivato a un punto di non ritorno. In cima a vette di astrazione sempre più vertiginose oscillano particelle trasformate in aloni di pura probabilità, galassie tenute insieme da una materia oscura e invisibile, quark, funzioni d'onda e universi di bit sempre più impalpabili e lontani dalla nostra esperienza. Ecco che si riaccende un dubbio antichissimo: le geometriche cattedrali della fisica e della matematica riflettono davvero l'ordine del mondo o proiettano soltanto la sete di forme del nostro intelletto? -
Amore e nostalgia a Bombay
Una Bombay inedita, regno del cinema e dell'informatica. Una metropoli contemporanea, di sangue misto e ideologie non meno mescidate, ma ancora e sempre più la ""Città dell'Oro"""", come già era chiamata ai tempi del Raj: miraggio dei molti e riserva privilegiata dei pochi. Tante automobili, treni e qualche risciò a motore; vestiti eleganti, circoli esclusivi, ambizioni e possibilità infinite. Dharma, Sakti, Kama, Artha, Santi, cinque precetti della filosofia hindu collegati dal racconto dell'anziano e riverito Subramaniam. Cinque episodi d'amore e nostalgia... per la donna lontana, per un legame naufragato, per il compagno scomparso, per i tempi della gioventù."" -
Big trouble
Sarà colpa delle zanzare femmina e di elezioni non proprio cristalline, o forse sarà la Corrente del Golfo, ma soltanto a Miami succede che due squinternati si coprano il volto con un paio di calze contenitive color ebano e decidano di rapinare un bar dove si vendono armi. Del resto si sa, la Florida meridionale è un posto pericoloso, anche per i sicari professinisti del New Jersy. A volte si sente qualcosa nell'aria, e può capitare che aspiranti giustizieri sparino all'impazzata contro killer minorenni armati di fucili ad acqua, o che un cane ossessionato dal cibo si trasformi in Elizabeth Dole e cerchi di rubarti l'anima. E se poi sei un tenero barbone forte come un mulo, potresti incontrare il tuo angelo... -
Il mandala di Sherlock Holmes
Nel 1891 si scoprì che Sherlock Holmes era morto precipitando nelle Cascate di Reichenbach insieme con il Dottor Moriarty, genio del male e suo avversario di sempre. Due anni dopo, tra lo stupore generale, Holmes riapparve, e confessò a un incredulo Watson di essere stato in Tibet dove aveva avuto il piacere di visitare Lhasa. Di questi due misteriosi anni non si è mai saputo nulla. Jamyang Norbu finge di essere entrato in possesso di una scatola arrugginita. La scatola contiene un plico accuratamente legato con uno spago e sigillato con ceralacca. È il resoconto scritto da Mookerjee dei suoi viaggi in Tibet in compagnia di Sherlock Holmes. -
L'uomo che mangiò il 747
J. J. Smith, controllore dei record per il Guinness dei Primati, ha un problema. A quanto pare i suoi record sono noiosi; o scopre in fretta qualcosa di originale o verrà licenziato. Allora J. J. Smith decide di partire per la sperduta cittadina di Superior, in Nebraska, a caccia di un primato senza precedenti. Lì, nel cuore degli Stati Uniti, un mastodontico contadino di nome Wally Chubb sta mangiando un Boeing 747 per dimostrare il proprio amore a Willa Wyatt, direttrice del quotidiano locale. J. J. Smith verrà travolto dalla passione e scoprirà che i cuori possono essere infranti e che le cose più belle non si lasciano misurare.