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Lettere a Cola di Rienzo
È l'estate del 1347 e sulla scena italiana, ma non solo italiana, è comparso il tribuno Cola di Rienzo con il suo tentativo, pur effimero e illusorio, di far rinascere a Roma la res publica romana. La storiografia ha ora celebrato e ora ridimensionato questo tentativo ma la questione, trattandosi qui di Petrarca, va letta e interpretata proprio dal punto di vista di Petrarca che, alla fine, non era affatto né un visionario né un mitomane. Ebbene: per il nostro poeta l'impresa del tribuno fu una vicenda estremamente seria, per la quale valeva la pena di battersi anche a costo (come in effetti avvenne) di rotture dolorosissime: quella con la famiglia Colonna innanzitutto, e col cardinale Giovanni in particolare, ossia con chi aveva costituito la base stessa del suo personale successo come poeta e come intellettuale dell'umanesimo. Non c'è biografia di Petrarca che non dedichi una particolare attenzione a questa drammatica vicenda che comportò peraltro la pressoché definitiva rottura del poeta anche con la Curia pontificia di Avignone tanto che alla fine di quel 1347, pur ormai esauritosi il moto ""rivoluzionario"""", noi vediamo Petrarca ormai tornato in terra italiana per rimanervi dalla primavera-estate del 1353 fino alla morte. E ciò, nonostante il continuo rimpianto e quasi costante richiamo di Valchiusa."" -
Calendiario
"Calendiario"""" (2004-2020), s'intitola questo primo libro di poesia di Maria Teresa Carbone, scrittura in versi che dopo una riflessione di più di quindici anni si offre alla pubblica lettura. Parola privata detta in pubblico, come Giulio Mozzi chiama quell'indagine etica ed esistenziale che lo scrivere, nell'essere per il mondo, sempre è. E anche, anche s'intitola questo libro Cinque quarti. Esercizi di cosmogonia quotidiana: dicendo di un ritmo che sopravanza, una misura d'eccesso, qualcosa che sfugge e che la parola poetica cerca di fermare con i propri mezzi, tutto ciò che nello scritto tende al suono e al corpo e così alla memoria, e attraverso di questa cuore, by heart, par cœur. Continuando così la poesia, come il noto aforisma dice di guerra e politica, la vita con altri mezzi. Un rifare il mondo che è fatica quotidiana, a torto considerata solo femminile, e allo stesso tempo felicità quotidiana come può esserlo il moto degli astri, il loro percorrere l'ellittica, il nostro uscire ogni notte, non necessariamente con angoscia, a rimirarle, quelle luci lontane, sidera, de-siderate, con-siderate. Il qualcosa, l'eccesso, il residuo, bersaglio che scarta, desiderio che forse è ricordo e che ci è ricorso, affiora nel contraltare di queste parole, immagini che fanno eco, nel diario - di nuovo - di una città quietamente osservata nella sua metafisica, che Maria Teresa Carbone tiene su Instagram, mezzo che ha fatto oggetto di teorica riflessione. Mezzo anche nel senso di ciò che si frappone e invisibilmente tiene insieme, il mezzo puro insino al primo giro di una città appena dilavata nel suo colore purgatoriale, di luogo proprio di una poesia che alla poesia e alla vita sembra voler concedere sempre ancora una seconda? una nuova possibilità. (Laura Pugno)" -
Due o tre cose sul signor Lu Xun-Cina silenziosa
«I rivoluzionari sono uccisi dai controrivoluzionari. I controrivoluzionari sono uccisi dai rivoluzionari. I non rivoluzionari o sono presi per rivoluzionari e sono uccisi dai controrivoluzionari, o sono presi per controrivoluzionari e sono uccisi dai rivoluzionari; oppure non sono presi per nulla, e sono uccisi da rivoluzionari e controrivoluzionari»: così suona una noterella di Lu Xun. Una volta Mao ammise che «il santo della Cina moderna», come lo aveva definito alla sua morte, se fosse sopravvissuto sino agli anni Cinquanta avrebbe dovuto incarcerarlo. Ma anche in vita risultava troppo innovativo per i tradizionalisti, troppo legato alla tradizione per le avanguardie. È questo il destino dei grandi maestri d'ironia, capaci di cogliere in ogni cosa il senso del rovescio: Lu Xun ci mostra quanto questo principio, così scomodo nella vita, sia vitale in arte. Nel 1979 gli dedicava la sua tesi di laurea - di stupefacente idiosincrasia, anche per tempi tanto meno sussiegosi dei nostri… - il giovane Carlo Laurenti. Che oggi, con la sua onniscienza del corpus, raccoglie per noi questo erbario di illuminazioni; allora si piccava invece di sottolineare, di quel maestro di modernità, le fondamenta taoiste. Oggi suonerà forse ovvio definire Lu Xun «un ibrido»; altrettanto non si poteva dire, però, una quarantina di anni fa. Il fatto è che «un ibrido», si capisce, è lo stesso Laurenti: inclassificabile erudito di nessuna accademia. Tra saggezza orientale e malizie europee, tra rigore culturale e stravaganza esistenziale, tra passato e presente. Anzi, no: futuro. (Andrea Cortellessa) -
«Forti cose a pensar mettere in versi». Studi su Dante 2
Come nel precedente, anche in questo volume le indagini riguardano non tanto la poesia quanto piuttosto le questioni filosofiche e teologiche che Dante intrecciò nel poema e che costituiscono la sua complessa struttura. Le affrontano, tuttavia, non per delineare, in forma sistematica, la sua filosofia e teologia, ma per coglierne il tono specifico nelle diverse situazioni che vi sono rappresentate. La poesia non costituisce l'oggetto di questi studi, che pure riguardano, in alcuni casi, episodi fra i più celebri e poetici della Commedia; che infatti è un poema, non un trattato, e il pensiero che la anima richiede di essere studiato, nella sua logica, ma in relazione, tuttavia, alle concrete movenze della fictio. -
I salmi
"Il confronto, inevitabile, è con la traduzione di Guido Ceronetti, ma la nuova versione curata da Davide Brullo tiene testa egregiamente e ben spesso prevale. Si tratta, in entrambi i casi, di traduzioni letterarie, senza pretese di interpretazioni teologiche, con la differenza che Ceronetti è dichiaratamente gnostico, mentre Brullo è credente; l'uno e l'altro, in ogni caso, considerano rispettosamente i Salmi libro di preghiera"""". (Cesare Cavalleri)" -
La lunga supplenza
L'autobiografia di chi ha conosciuto un'ampia proiezione pubblica finisce spesso per diventare un pezzo dell'autobiografia della nazione. Così è anche per Rolando Picchioni. Dagli esordi nella Dc degli anni Cinquanta al Teatro Stabile di Torino, dal Ministero per i Beni Culturali al Salone Internazionale del Libro, ""La lunga supplenza"""" estrae e riporta in luce episodi, fasi, opere e persone di sessant'anni di vita istituzionale e privata raccontati da un protagonista. L'operazione di memoria individuale condotta assieme al giornalista Nicola Gallino diventa l'innesco per mettere a fuoco e interpretare, con il distacco dei tempi lunghi, fenomeni ancora in attesa di un'analisi disincantata o di una necessaria revisione di giudizio."" -
Etica. Esposizione e commento di Piero Martinetti
Questo filosofo italiano cercava il cristianesimo spirituale, e vedeva in Spinoza il rappresentante piu? alto, nel pensiero moderno, della tradizione idealistica trascendente e religiosa - il grande solitario metafisico della liberazione della coscienza. Dietro il suo Spinoza letto in chiave religiosa si staglia Plotino, la metafisica vissuta religiosamente. Per Martinetti il rapporto privilegiato con Spinoza, questa voragine di pensiero, ancora oggi rappresenta il suo testamento intellettuale, lui, che considerava il filosofo olandese il ""metafisico santo"""", il """"liberato vivente"""". Benedictus de Spinoza. Etica (1928) rappresenta uno dei suoi testi fondamentali su Spinoza."" -
Exercitia
Gli Exercitia servono a fondare un esercito, una milizia. Gli atti ripetuti, con ricorrenza, questo atletismo dello spirito, è necessario a calibrare l'individuo e depurare l'individualismo. Agli Exercitia bisogna obbedire: l'identità si rivela nell'obbedienza. Persona potente - altra cosa è la 'personalità', mero gioco di specchi alieno al miracolo - è chi si consegna al superiore perinde ac cadaver, ""come se fosse un corpo morto"""". Questa consegna, questa sottomissione è la massima vitalità, il regicidio di sé ci rende re - l'obbedienza non è un giogo, ma gioia, perché il suo fine è la vittoria, la primizia, la vita contro la morte, dopo la morte. Gli Exercitia sono per tutti: servono """"al fine di vincere se stesso e per porre ordine nella propria vita evitando di prendere decisioni in base a delle affezioni confuse"""". Raffinare se stessi implica un'operazione alchemica: di sé occorre estrarre il distillato, la purezza adatta a intraprendere, senza esitazioni, quella scelta, indubbia. Loyola semplifica: il tempo e lo spazio possono essere modellati a seconda delle nostre necessità. """"Colui che ricopre mansioni pubbliche o occupazioni importanti, e risulta essere persona di cultura o di ingegno, può? dedicare un'ora e mezzo agli esercizi"""". Non si cementa una regola: si spazza una via. Ciascuno può avviarsi secondo le proprie forze."" -
Democrazia futurista. Dinamismo politico
"Letto oggi, Democrazia futurista, il programma politico del PPF, e un toccasana, tonico corroborante che eleva dal grigiore politico, dal plumbeo elettorale. È perfino profetico: chiunque si appelli ?ad una concezione di politica assolutamente sgombra di retorica, violentemente italiana e violentemente rivoluzionaria, libera, dinamica e armata di metodi assolutamente pratici?, è futurista di fatto. Emersi dalle macerie della Prima guerra, i futuristi, anti-intellettuali (Filosofi e storici avendo fatto della filosofia e della storia dei mestieri lucrativi, tengono assolutamente alla immobilità della loro lampada serale sul tavolo ingombro di documenti e temono gli scossoni fragorosi e tetri della piazza rivoluzionaria?), vogliono detronizzare i potentati, ribaltare la prassi politica, abbattere le convenzioni, di ogni sorta. Il tema centrale, tuttavia, il più provocante, è quello che riguarda i rapporti tra politica e poesia, tra arte e potere. Il PPL, d'altronde, unico nella storia… è stato concepito, voluto e attuato da un gruppo di artisti poeti, pittori, musicisti ecc.?. Che c'entra la politica con la poesia? Nulla, dice il puro di cuore. Tutto, in verità. La poesia di Dante è 'politica'; Alessandro Manzoni è eletto Senatore nel 1860; Giosue Carducci nel 1890; Giovanni Verga nel 1920. Gabriele d'Annunzio, ?candidato della Bellezza?, fu deputato dal 1897 per l'estrema destra, giusto in tempo per fare il ?salto della siepe? verso il seggio dell'estrema sinistra, all'urlo di ?Come uomo d'intelletto, vado verso la vita?. Fu D'Annunzio, appunto, a costituire il prototipo di Marinetti, che ne seguì la campagna elettorale intuendo il nodo focale: ?trasformare la fama letteraria in influenza politica, la celebrità in potere?""""" -
Il boia di sua santità. Memorie
"La Provvidenza, chiamiamola così, ha un sorriso sardonico. Mastro Titta, classe 1779, morto a 90 anni, boia da quando ne aveva diciassette, si chiamava in verità Giovanni Battista Bugatti. Giovanni Battista. Come il granitico profeta che fu decollato e impiattato per le vaghe astuzie di una Salomè. Il Bugatti, piuttosto, testa fina, era maestro nel mozzare il capo agli altri. Eccelleva in ogni tortura: decapitava, squartava, accompagnava all'impiccagione, mazzolava. Segava - segugio della legge - dita, orecchie, nasi, a grandine, ai poveracci che non potevano saldare il furto. Come a dire: Giovanni Battista Bugatti era l'Arcangelo Michele dello Stato Pontificio. Se nel quadro di Guido Reni, però, il celeste, dal volumetrico manto rosso, schiaccia col piede Satana e lo minaccia con la spada - attributo plastico dello Yahweh Sebaoth, il 'Dio degli eserciti', la violenza divina -, molto più modestamente Mastro Titta si occupava del male terreno, guercio, della corruzione umana, normale, nota, notevole, sporca. «Un delinquente è un membro guasto della società, la quale andrebbe corrompendosi man mano se non lo sopprimesse. Se abbiamo un piede od una mano piagata e che non si può guarire, per impedire che la cancrena si propaghi per tutto il corpo, non l'amputiamo? Così mi pare s'abbia a fare de' rei»: questa è la sintesi etica denunciata nelle Memorie di un carnefice - Il boia di Sua Santità.""""" -
La civile indiscrezione
Nei suoi vent'anni a Marcel Proust è spesso capitato di incontrare, a casa di Mme Alphonse Daudet e nel salotto della Principessa Mathilde, Édmond de Goncourt. Nonostante già avanti negli anni la figura dell'autore di Renée Mauperin gli appariva circonfusa di radiosa bellezza non offuscata da quella del più giovane Alphonse Daudet. Ma a dispetto di questa nobiltà fisica la persona dell'altero vegliardo ispirava nel salotto della Principessa una sdegnosa indifferenza che Proust trovava desolante: «Vidi certe signore, anche intelligenti, abbassarsi a dei maneggi per evitare di dargli il loro giorno di ricevimento». Temevano queste dame di essere citate nel suo Journal: «Ascolta, riferisce, scrive delle memorie su di noi». L'accusa che generalmente viene mossa ai fratelli Goncourt è di essere degli indiscreti. Basta spigolare a caso nei nove volumi del Journal per accorgersi che l'indiscrezione è di fatto il centro pulsante di queste memorie e che ne fa ancora oggi un libro delizioso e divertente. Ciò di cui sembra essere certo lo stesso Edmond se, in una intervista del 1890, dichiara che «da che mondo è mondo le Memorie di qualche interesse sono state scritte da indiscreti». -
La macchina della decisione
Si guarda al ruolo del computer - ""la macchina da calcolo"""" - nei processi di decisione (in condizioni di incertezza). Si pongono domande (tutte originate dal colloquio con i giuristi): sul rapporto tra algoritmi, linguaggio e etica; su soggettivismo informazione e """"calcolabilità giuridica""""; sul collegamento tra razionalità ragionevolezza e decisione """"robotica""""; su nuovi principî di organizzazione (l'«organizzazione digitale»). E poi: come ricostruire un'università «audace e sensibile», che fornisca cultura per «l'unità della decisione imprenditoriale»? C'è il tentativo di qualche risposta, racimolando idee e schiarimenti in scritti che hanno segnato la storia della cultura. Viene in aiuto anche l'""""epopea"""" dell'Olivetti (di Camillo e Adriano); il ruolo del governo nella costruzione della """"diga olandese""""; il """"computer"""" Deep Blue (""""macchina che gioca a scacchi"""") che vinse su Kasparov; il machine learning nella diagnosi medica e nella gestione d'impresa; qualche esperienza nella Pubblica amministrazione (italiana). La «concezione classica dell'atto di leggere» è riproposta per difendersi dal «colonialismo digitale». Si sostiene che il probabilismo """"soggettivista"""" (nato in Italia negli anni Trenta, e riedificato in «uno dei più grandi libri al mondo, […] un libro che nessuna università dovrebbe ignorare») è il mezzo per conferire, con audacia, nuova sensibilità alla cultura del fare, anche a quella giuridica."" -
Il maglione rosso
Il romanzo Il maglione rosso (1948-1949), finora inedito, si ispira al soggiorno a Parigi di Mario Sturani nel biennio 1931-1932. Tra gli anni dei fatti e la stesura del romanzo passano tempi drammatici, segnati dall'affermazione del Nazismo, dal baratro della Seconda Guerra mondiale, dalle speranze della rinascita postbellica. Al principio il maglione rosso del titolo è il vestito sgargiante da aspirante artista del protagonista Sergio Sivari; infine, al termine di un intenso percorso di formazione, diventerà un cosciente segno distintivo. La Parigi in cui Sivari-Sturani tenta la fortuna rispecchia le atmosfere di Viaggio al termine della notte di Céline (1932) e di Tropico del Cancro di Henry Miller (1934); e Joséphine Baker è la protagonista del suo mito. Accoglienza, apertura mentale e libertà sessuale, variegati incroci di persone culture ed esperienze, di letteratura arte e musica, di piani alti e bassi: «Parigi è bella per questo: sa essere come ognuno la vuole. Ti lascia libero, non ti soffoca, non ti opprime. Ci possono vivere bene i Picasso come i cravattoni della vecchia bohème». Pieno di illusioni e di progetti egli sarà presto disingannato e vivrà il crudo passaggio dal mondo dei sogni a quello della realtà. Il tutto narrato con scanzonata vivacità picaresca, brillanti trovate da commedia degli equivoci, ritmo sostenuto e tanta ironia. -
Aforismi tra la vita e la morte
Fedele al connotato di frontiera di cui la parola può rivestirsi, alla marginalità che non è esclusione, Mario Postizzi propone uno scavo incessante nelle zone d'ombra, nei luoghi riposti della vita oltre la linea di fuoco. Con spietata ironia e senza perdere il filo di speranza, lo fa mettendo al centro l'essenzialità di un pensiero depositato, mai a caso, sul foglio, dopo un lungo processo di sottrazione, di rarefazione e di rigorosa collocazione. Le parole e le espressioni rompono le alleanze lessicali attraverso le quali sono solitamente combinate. Con ricerca costante di relazione e di tensione esistenziale, sul punto di non ritorno, tra le ombre in attesa, si percepisce la forte esigenza di trattenere ancora in vita la morte, di coniugare, nella memoria, l'ultimo resto di sopravvivenza che non cade nel nulla, ma recupera, talvolta, una sperduta maglia di luce. -
Il Mediterraneo prima delle colonne
Tra contemplazione e ricerca, bagliori di quiete o di concitazione, questa raccolta poetica disegna, per luoghi e momenti, un viaggio attraverso lo spazio che lega ogni io a un tutto, quel ridotto ""prima delle Colonne"""" che appare chiuso nella sua invalicabile finitezza. E tuttavia, nel paesaggio impreciso fatto di famigliare e ignoto, al Poeta e al Lettore - entrambi necessari al viaggio - è dato di esplorare, per analisi o illuminazione, con sguardo spesso caustico, insieme impietoso e amorevole, quel luogo nuovo e incessante cui tornare, dove lo schiamazzare delle solitudini lascia a volte trapelare spiragli di silenzi che alludono a un sapere; dove anche l'inevitabile naufragio può concedere, inatteso, il rassicurante conforto di un approdo."" -
Lettere sulla storia
Pubblicate postume a Londra nel 1752, anche se alcune copie stampate su iniziativa di Alexander Pope circolavano già da tempo all'interno di una ristretta cerchia di amici e intellettuali, le otto Lettere sullo studio e sull'utilità della storia di Lord Bolingbroke (1678-1751) sono indirizzate al giovane Lord Cornbury, pronipote di Clarendon, il grande storico della Guerra civile inglese, e contengono una delle prime riflessioni sistematiche in lingua inglese sul metodo, sulle finalità e sul contenuto dell'indagine storiografica. È possibile definire in termini teorici una valida alternativa al modello pedagogico della storiografia erudita di stampo umanistico? È possibile raccontare la storia in modo obiettivo, quando le conseguenze degli eventi narrati ancora condizionano il tempo in cui vive lo scrittore e il suo stesso punto di vista sul contesto politico e religioso della propria epoca? Queste domande rivelano le implicazioni epistemologiche, morali e psicologiche del discorso storiografico di Bolingbroke e ispirano un'indagine sapientemente condotta da uno degli uomini politici più influenti del suo tempo, ""antiministro"""" di Robert Walpole amico di Voltaire e di Jonathan Swift, acuto interprete delle dottrine illuministiche e indiscusso maestro dell'arte oratoria e diplomatica. Nelle sue Lettere Bolingbroke dà voce a una saggezza maturata nel corso di anni di impegni politici e di scambi di opinione con alcuni dei principali scrittori e pensatori della prima metà del Settecento. Il buon senso e la concretezza che caratterizzano questa saggezza risplendono con particolare intensità nelle pagine in cui l'autore riflette sul ruolo della moderna storiografia europea, sulla precarietà degli equilibri di potere, sul rapporto tra Guglielmo III d'Orange e Luigi XIV (cui è dedicato un sontuoso ritratto) e sulle responsabilità morali della politica finanziaria. In tempo di Brexit, non sarebbe ozioso chiedersi quale avrebbe potuto essere il punto di vista di questo grande maestro, che ai suoi connazionali insegna che «dobbiamo sempre ricordarci che non siamo parte del continente, ma non dobbiamo mai dimenticarci che siamo i suoi vicini»."" -
Augusto
La plebe, stupida e inetta, acclamerà il vincitore di turno, godrà nel vederlo caduto in disgrazia, oltraggerà il suo cadavere; ma soprattutto affollerà le taverne e le arene, dove si consumeranno i pasti e i giochi con cui hai cementato il tuo potere e mille tuoi sosia vorranno fondare il loro. Un giorno qualcuno guarderà con stupore a questa tua città eterna e si chiederà come avesse potuto essere la patria di Cincinnato e Scipione, e perché non fosse stata inghiottita dagli inferi secoli prima. Ma la sua eternità, il suo degrado insensibile e inarrestabile, saranno la sua condanna. -
Dalle maone all'impresa a rete
Una ricerca, promossa da autorevoli esponenti della business community con salde radici d'area (Banca Passadore, Fondazione Garrone e Studio BonelliErede), che dipana il filo storico della vicenda d'impresa genovese e ligure; evidenziando importanti tratti di continuità in un arco temporale che risale al Medioevo: dagli ""scagni"""" degli antichi mercanti-banchieri, all'opera sulle rotte da Antiochia a Siviglia, agli imprenditori-manager che intraprendono con successo nei mercati globali. E un elemento che continua ad accomunarli è lo spirito di appartenenza, in cui il legame familiare, coniugato con la competenza professionale, si rivelava e continua a rivelarsi vantaggio competitivo. Oggi lo chiamiamo """"professional ownership""""; al tempo in cui le """"joint venture"""" prendevano il nome di """"maone"""" si parlava di primazia nel mercatare. Ma c'è un altro fattore di successo che emerge dall'excursus (confermate dalle interviste di 22 leader di imprese radicate nel territorio): la capacità di superare le divisioni nei momenti di crisi, promuovendo periodici progetti di rilancio civico, in cui - come ha scritto lo storico d'origine genovese Roberto S. Lopez - si salda """"il felice compromesso tra l'unità indispensabile e l'individualismo tenace"""". Il messaggio - quale banco di prova - che il libro indirizza allo spirito del luogo come innesco per nuove stagioni di un ricorrente rinascimento millenario."" -
Il re di Prussia e la riforma sociale. Glosse critiche
«Bisogna convenire che la Germania è classicamente vocata alla rivoluzione sociale, quanto inabile a quella politica». (K. Marx) -
Profilo minore
Withholding pattern del libro di Federico Federici - tra le voci giovani, oggi, di maggiore consapevolezza concettuale: portato sicuro della sua vocazione interdisciplinare - è la misura. Quella del tempo e quella dello spazio, come fisica insegna, si implicano a vicenda; e strumento di tale misura è la luce. Il concetto ha poi, com'è ovvio, una valenza metapoetica. Anche il verso è una misura, unità di senso della fisiologia umana in quanto presa di respiro, e insieme principio costruttivo della pagina e del libro: come ha insegnato una volta per tutte Amelia Rosselli. Non a caso ricorre, nel testo, la parola «rima». Non perché sia poesia ""in rima"""", questa (che pure ci propone, sempre, costrutti formali attentamente congegnati): ma perché, etimologicamente, la rima è la """"fessura"""" che percorre il terreno e, così definendolo, istituisce un territorio (ci si ricorda del mito della fondazione di Roma). Come nelle piste megalitiche di Nazca, disegnate dagli antichi Incas rivolgendosi ai loro dèi, o come in una certa misterica pagina del Gordon Pym di Edgar Allan Poe, il disegno che compongono queste rime non è immediatamente intelligibile, rinviando a una definizione che si prolunga indefinitamente, interminabilmente forse, nello spazio e appunto nel tempo. La nota dell'autore allude al proprio testo come a un organismo vivente, o un conglomerato geologico, che la pubblicazione si limita a fotografare in un grado del suo farsi. Come un archeologo, o un cacciatore-raccoglitore, il lettore è chiamato a decifrare questi segni, e magari ad avventurarsi a percorrerli a sua volta: """"a margine del paesaggio, un segno certo, di passaggio"""".» (Andrea Cortellessa)""