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Il lungo cammino della donna italiana. Dal 1861 ai giorni nostri
Il progresso, anche se lento e a volte disperante, è stato tenace, continuo. Da figlia, sorella, moglie sottomessa, a persona autonoma, titolare di un patrimonio e capace di gestirlo, consapevole delle proprie prerogative e in grado di compiere scelte per sé e per gli altri. Un cammino lungo e travagliato quello della donna italiana per conquistare i propri diritti, le cui tappe vengono ripercorse dalla saggista e conferenziera Emilia Sarogni con lucida partecipazione. A ogni passo in avanti, in termini di difesa innanzitutto della dignità, corrisponde il nome di un personaggio che si è messo in gioco sfidando la società del tempo, affinché la parità fosse non solo sancita da norme giuridiche ma applicata nella vita reale. Significativi i profili di Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff, due grandi emancipatrici. Salvatore Morelli fu il primo al mondo a chiedere in Parlamento, nel 1867 a Firenze, allora capitale d'Italia, piena potestà per le donne. Passaggi essenziali sono l'abolizione dell'autorizzazione maritale, il voto, il divorzio, l'aborto, l'ingresso in attività a lungo proibite come magistratura, polizia e forze armate. E poi ancora il nuovo diritto di famiglia, la parificazione completa tra figli illegittimi e naturali, lo stupro punito come delitto contro la persona e non solo contro la morale, il divorzio breve, le unioni civili. E il nuovo millennio esplode con la violenza dei femminicidi e le norme per prevenirli e reprimerli. -
Il prete ebreo
Simone, nato in Romania all'inizio del Novecento da una giovane ebrea di buona famiglia, viene abbandonato nell'orfanotrofio di un monastero ortodosso. A Lione, ancora bambino, scopre di essere stato adottato; nonostante la circoncisione, è battezzato e mandato in seminario, dove resterà fino all'ordinazione sacerdotale. Ormai parroco, conosce da vicino le atrocità della Seconda guerra mondiale e si fa partigiano. Il confronto con l'umile fra Giacinto lo spinge a lasciare il clero secolare per diventare frate. Va a Roma, s'immerge nello studio nel tentativo di trovare tracce della misteriosa Bibbia di Lione, in odore di eresia: inconsapevolmente è alla ricerca di se stesso. L'incontro con Joséphine, figlia biologica dei genitori adottivi, fa esplodere nei due un'intesa insperata: Simone non è più solo. La donna però è sposata e madre, deve ritornare ìn Canada dove si era rifugiata per scampare all'odio nazista, perciò dovranno separarsi. A quel punto Simone decide di partire per Israele. Ormai anziano, finalmente conoscerà le sue origini e deciderà di affidare la sua storia all'unica parente rimastagli, la nipote Miriam. La narrazione, fatta in prima persona, prende il lettore e lo trascina con forza nel mondo intimo del «prete ebreo»: una confessione che esplora l'animo umano, scavando nel profondo di istinti infimi e dei sentimenti più nobili. La ricerca costante, affannosa, disperata, della propria identità è il tema portante del romanzo; il sentirsi inadeguato, fuori luogo, non all'altezza dei canoni dettati dalla società è lo stato che fa del protagonista una persona reale e così simile, pur nel racconto di una vicenda straordinaria, a tanta gente comune. -
Bisesto. Sette canzoni per la morte
«Ti piace giocare, Flavio?». Una domanda banale se non fosse che a fargliela a bruciapelo è la Morte in persona, infida e bellissima, dopo una superba notte d'amore. Kidda, al secolo Flavio Tosetto, è il bassista del gruppo new wave La Carcasse Dansant, nelle vene alcol e speranze tradite, impegnato a riunire la rock band per una serata revival in occasione del trentennale dell'unico disco uscito negli anni '80. Sul libro del destino, per fatale errore, c'è un nome di troppo: la macabra sfida parte da Venezia e Kidda dovrà essere più veloce di un suo misterioso antagonista nell'interpretare enigmi e indizi sparsi per i cimiteri della Serenissima, di Roma, Milano, Genova, Firenze, proposti sotto una luce completamente inedita: mancano pochi giorni al Carnevale, termine ultimo per scamparla o tirare le cuoia. Guidato da impensabili animali guida come farfalle nere e nugoli di zanzare, questo rocker di mezza età, autoironico e decisamente fuori di testa, incontrerà defunti eccellenti, da Helenio Herrera a Basaglia, da Trilussa a Gassman, da Toscanini a Manzoni, da Artusi a Collodi, da Faber a Govi, così fedeli ciascuno al proprio tempo e alla propria personalità eppure così mordaci, così vivi. -
A noi la colpa
È sempre colpa degli anarchici, in ogni epoca e in ogni Paese. L'Italia è nata da poco quando a Napoli simboli indecifrabili imbrattano di rosso le mura in cinque punti strategici: il Real orto botanico, largo Castello, Gianturco, il porto, la Marina. L'indice viene puntato contro i rivoluzionari: re Umberto I e la consorte Margherita sono attesi in città e si teme un attentato. L'incarico di impedire attacchi a sorpresa viene affidato agli scagnozzi e al nugolo di picciotti della Bella società riformata, antesignana della camorra. In realtà è un uomo enigmatico a reggere i fili di una vasta cospirazione che coinvolge anche i Savoia. L'obiettivo è segnare le sorti del giovane regno e costruire un potere-ombra che duri nei secoli. Ma il piano non ha fatto i conti con la presenza a Napoli dei più illustri tra gli anarchici italiani. Errico Malatesta e Carlo Cafiero, che assaporano i primi passi da uomini liberi dopo la detenzione a Benevento in seguito alla rivolta del Matese, finiscono per trovarsi esattamente al centro del complotto antilibertario: osservano quelle gigantesche A scarlatte dipinte per Napoli e, pur avendo preventivato di essere lì solo di passaggio, sono pronti a gettarsi nella mischia per provare a sventare la congiura. Fedele al suo spirito temerario, Malatesta seguirà una traccia audace che lo farà imbattere in Peppino 'o Piemuntise e 'o Muto, due scugnizzi furbissimi ma leali. L'aitante e fragile Cafiero, grazie anche alla straordinaria energia di Silvia, figlia di Carlo Pisacane, riuscirà a incastrare gli ultimi pezzi del complicato puzzle. ""A noi la colpa"""" è un romanzo storico e d'avventura, intriso di sentimenti nobili e infimi, uno sguardo su un mondo di ideali e intrighi dove la linea che separa il possibile dall'incredibile è il sottile velo di scaltrezza che permea gli occhi della medium Eusapia Palladino."" -
Tavolo numero sette
A metà strada tra giallo investigativo e legal thriller, con prevalenza o dell’uno o dell’altro genere che si compensano e completano a vicenda, «Tavolo numero sette», il nuovo romanzo di Darien Levani, è un romanzo sulla giustizia sociale, sul mondo mediatico e sull'influenza che ha nella percezione generale degli eventi. Una piccola perla.Durante un matrimonio sei sconosciuti si ritrovano a condividere lo stesso tavolo, il numero sette. Stefano, collega dello sposo, giovane brillante e disinvolto, è seduto vicino a un uomo distinto che tutti evitano e guardano con sospetto. Ben presto la conversazione si concentra sul duplice omicidio di una madre e della figlia incinta che ha destato scalpore e polemiche perché l’unico imputato, un agente di recupero crediti, è stato giudicato non colpevole. Piano piano e con sempre più livore gli invitati cominciano a esprimere il proprio parere sulla sentenza, manifestando opinioni e pretese di imparzialità, che si scontrano con il freddo e professionale distacco degli uomini di legge. L’arco narrativo dura una manciata di ore, scandite dai momenti salienti delle nozze, dalla celebrazione in chiesa fino al taglio della torta. Nel frattempo Stefano si aggira tra le sale e nel giardino della grande villa scelta per il ricevimento, con l’intento di utilizzare il pacchetto di preservativi che si è infilato in una tasca prima di uscire e, perché no?, di risolvere il mistero sul delitto delle due donne. -
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri
Una donna, un uomo, un pazzo. Lei ha un rimpianto, aver lasciato il pianoforte e la musica per dedicarsi al marito e ai figli. Lui è ossessionato da una nota stonata, che gli risuona nella testa e non gli dà pace. Il folle sta preparando una bomba, per annientare il padre che non l'ha mai accettato. Siamo all'inizio degli anni Ottanta, la chiusura dei manicomi imposta dalla legge Basaglia del 1978 è l'occasione per esplorare il territorio complesso e accidentato del senno umano. In un romanzo ardito nella struttura, i riflettori sono puntati sulla parola «guarigione», che implica il sacrificio di mondi immaginari costruiti come antidoto all'isolamento, all'emarginazione. L'impossibilità di un legame autentico con gli altri lacera i personaggi della storia. E così la vicenda letteraria di una malattia «mentale» esplode nel racconto intimo della malattia «relazionale». Perché a volte i muri più difficili da penetrare, i più alti e i più spessi, sono quelli eretti da chi ci sta intorno. Ma i veri pazzi chi sono? -
E avrai sempre una casa
Kayla McMath è vera, determinata, intensa. La prosa di Malagoli è affascinante, potente.rnrnScordatevi di Tara, la piantagione di cotone della Georgia che fa da sfondo a Via col vento. Qui nell’Ozark, in Arkansas, la vita è dura, scandita dai tempi della semina e della raccolta del cotone che ti spacca la schiena e ti taglia le dita. Qui nell’Ozark, in Arkansas, se la terra non frutta, la banca si riprende la concessione e si perde tutto. Qui nell’Ozark, in Arkansas, non ci sono privilegi per Kayla McMath, quattordici anni e solo prove difficili da affrontare. Come la perdita della madre alla nascita della quartogenita Reese. E l’improvvisa morte del padre, che la lascia sola, con il fratello minore Lucas, nella malridotta tenuta agricola. In balia della natura selvaggia. In attesa che ritorni il fratello maggiore Isaac, partito con l’esercito confederato alla disperata difesa di Little Rock. Gli echi lontani della Guerra di Secessione non spezzano l’isolamento dei due ragazzi che resistono, il libro dei salmi della madre saldamente stretto in una mano, il fucile Springfield del padre nell’altra. Le esperienze al limite, la lotta per non soccombere e garantire la sopravvivenza della piccola Reese fanno crescere velocemente Lucas e soprattutto Kayla, che non cederà di fronte a nulla. Nulla. -
ZeroTav
ZeroTav del giornalista Mario De Pasquale è un romanzo per palati forti.rnSanguinoso come Arancia meccanica. Urticante nella sua plausibilità.rnZeroTav è un noir puro che corre sui binari della brutalità e della ferocia, tra politici corrotti, ’ndrangheta, storia, cronaca e fiction. Il complotto perfetto, sventato da idealisti disperati. Elettrizzante.rnSergio Carati è un professore universitario, un intellettuale, abile nel circuire studentesse, esperto nell’iniettarsi eroina mantenendo contegno e una parvenza di dignità. Mirna Cinotti Carli è una nobiltossica. A farli incontrare non è un romantico scherzo del destino ma il Padrone, boss della ’ndrangheta, braccio armato dell’onorevole Elvio Conconi e dell’ex ministro Antonio Nussardo: in cambio dell’estinzione dei loro debiti e di un grosso quantitativo di droga, i due vengono assoldati come infiltrati nel gruppo di attivisti che si oppongono allo sfregio ambientale dei lavori dell’Alta velocità in Piemonte. La Tav deve essere fatta. È un business troppo grande per politici e malavita organizzata, un affare irrinunciabile. Così il prof e Mirna sono pedine piazzate nel posto giusto al momento giusto: dovranno spingere con un fine lavoro psicologico Giuliano, Elide e Renato – tre giovani profondamente arrabbiati che hanno perso il lavoro e la fiducia nel dialogo e nella protesta pacifica – a mettere e far esplodere una bomba a Torino negli uffici dell’impresa vincitrice dell’appalto per la Tav. Perché la strategia del terrore ha sempre funzionato e anche stavolta darà un’accelerata alle opere, con l’arresto di quei poveri illusi che continuano a protestare rallentando il cantiere. Sembra tutto calcolato alla perfezione tra killer, polizia connivente, esecuzioni. E invece… -
L' isola dalle ali di farfalla
Un'isola della Grecia, baie solitarie e sentieri di pastori all'interno: Astypalea, può essere questo l'altrove per leccarsi le ferite e scappare dalle delusioni. È il posto che Tito, uomo da sempre appassionato di politica, sceglie per fuggire da un'Italia dove non si riconosce più, segnata dall'intolleranza, dal pregiudizio. Ma ancora una volta non resiste alla tentazione di scrivere a Paolo con cui, malgrado l'età e i punti di vista diversi, da anni si confronta. Il loro è un canto e controcanto, tra richiami all'arte e alla poesia, mai banali, un pugno nell'ombelico della ignoranza diffusa e sempre in cattedra in un Belpaese dimentico della sua storia di approdo e di accoglienza dei sogni di gran parte dell'Eurasia antica e moderna. Sono cartoline da un'isola remota, messe l'una dietro l'altra, un autentico filo di Arianna per uscire dal labirinto e dal buio di un tunnel, un luogo angusto dove i confini contano più degli spazi aperti. Ma anche una conversazione sulle possibilità e sulle utopie, che diventa il terreno ideale per coltivare un'idea di futuro. Perché è quando le cose vanno peggio che si può davvero ripartire. «Vorrei sentirmi addosso questo uscire che è entrare, questo partire che è lasciare per diventare altro, che è perdersi e quindi forse ritrovarsi. E questa libertà, questa pienezza: vele gonfie di vento e una rotta che asseconderemo». -
La leggenda del Malombra. C'è un nuovo eroe in città. Anzi, c'era
Nel 1848 Messina è sconvolta da tumulti insurrezionali contro il governo borbonico. Gli echi giungono al villaggio di San Sallier sui Nebrodi, dove si combatte un altro tipo di battaglia. Il Partito, come un fiume sotterraneo, avvelena le radici del potere istituzionale, straripando con atti di violenza e soprusi. A opporsi è un demone, uno spirito che s'insinua nel corpo delle vittime rianimandole per punire gli oppressori. All'affilata spada francese e alla lunga catena avvolta a un braccio, affianca un'arma più potente, la paura. I superstiziosi picciotti al comando del vampiresco avvocato Ginestra ne sono terrorizzati. La leggenda si diffonde di bocca in bocca. Lo chiamano Malombra. Il fantasma compare di notte e negli inferi svanisce dopo le sue incursioni, in sella a un cavallo dal muso scheletrico, seguito da un feroce cane di mannara. Gli occhi scintillano al buio. Sono di un tormentato verde cinabro, ricordano forse quelli del principe Leonardo Valentini, appena rientrato da Parigi al compimento degli studi alla Sorbona. Il giovane era stato mandato oltralpe dieci anni prima, quando i genitori scomparvero in circostanze sulle quali nessuno ha saputo fare chiarezza. Il nobile si ricongiunge alla sorella minore Patti, al tutore Savino Melìa, all'eccentrico e geniale cugino Federico. Ritrova inoltre il suo amore fanciullesco, Doriana, ora splendida donna in fiore irresistibilmente sfrontata. E Diavolo, il suo fedele amico a quattro zampe. Oscuro, beffardo, inquieto, il Malombra è una figura dell'immaginario popolare del Meridione italiano, antesignano dei supereroi moderni più amati, che tutti ricomprende sotto il suo cilindro vermiglio. -
L' anima dei fiori. Vol. 5: Il crisantemo. Il giglio. I lilla. Il garofano.
Vigoroso, pronto a spiccare, candido, dalla poltrona vellutata di un teatro, civettuolo nella sala di un ristorante alla moda, languido a un tavolo da gioco: è la vita consumata in una sera dal crisantemo bianco appuntato alla giacca del giovane elegante in attesa di una signora chic notato da Matilde Serao a Parigi. L'uomo, la donna e la corolla, un'ombra soave, malinconica, shakespeariana all'occhiello: «Il gentil fiore pare una margherita doppia - ma non è l'enigma dell'amore quello che vi si cerca d'indovinare, è l'enigma della vita: morire... dormire... sognare...». E come davanti al crisantemo, così alla vista del giglio («il fiore delle vergini e dei filosofi, dei re e delle piissime donne, delle anime sublimi e dei cuori eroici»), del lilla («così incantevole e incantato insieme») e dei garofani («è l'ora imperiosa della loro seduzione»), «lo scrittore sognatore è rimasto estatico a contemplare tanta fresca bellezza, tanta incantevole poesia, tanta armonia ineffabile di colori e di fragranze». -
L' anima dei fiori. Per amarvi, o fiori!. Vol. 1
Una violetta appuntata all'occhiello di una giacca maschile. Un mazzolino tra esili mani di fanciulla. Una mentuccia con le radici avvolte in una foglia di cavolo che il contadinello vende dando voce per la piazza. Le rose esibite dall'aristocrazia. La penna di Matilde Serao trasforma il fascino dei fiori in prosa lirica, acquerelli dai colori delicati. E svela ancora una volta l'anima di una città, Napoli, dove l'indifferenza di una signora davanti alla vetrina di un fioraio stride di fronte ai versi che uno studente dedica alla giovinetta dirimpettaia, mentre innaffia le piantine nei cocci sul balcone. Ma la prospettiva è più ampia, lo sguardo rivolto alle grandi città italiane ed europee, alle case ingentilite anche solo da un fascio profumato, sapientemente assortito, che non sia né costretto né mortificato dall'odioso fil di ferro. Le stagioni sono così scandite da colori brillanti, aromi suadenti, emozioni affidate ai petali nascosti tra le pagine di un libro. Con un saggio critico di: Donatella Trotta. -
L' anima dei fiori. Le rose
Frivole. Serie e austere. Umilissime. Fulgide, superbe. Tenere e orgogliose. Ricche o modeste. Timorose, pie. Provocanti. Appassionate. Per ogni sfumatura di colore, una sfaccettatura del carattere. La rosa è donna per Matilde Serao, «con le sue foglie leggiere e le sue spine pungenti, simbolo eterno della vita». Sembra quasi di vederli quei riccioletti che si chinano, nel sole, su una rosa appena sbocciata, e la mano candida che la innaffia, o il fiore che palpita sul petto della popolana come su quello della dama, in un susseguirsi di bozzetti evocativi, odorosi, sentimentali. Che sia su un altare o su un davanzale, che sia di un pallore accecante o di un rosso esuberante, la rosa, come la donna, non può passare inosservata. Irresistibile come un bocciolo che cominci a mostrare i suoi petali, promessa di delizie, preludio all'abbandono dell'amore. Inebriante, tale da catturare la fedeltà pure del più insospettabile tra gli innamorati. -
L' anima dei fiori. Vol. 4: mandorlo. Il gelsomino. Il papavero, Il.
Il mandorlo è un amante istintivo che non ha scudi né difese. Si rifiuta di cedere all'inverno delle emozioni. Sogna la primavera sotto le nevi, s'illude di riconoscerla in un inganno di sole e si schiude. Fiorisce «perché è imprudente e affettuoso, perché è imprudente e ama la vita, perché è imprudente ed ha fretta di vivere» scrive Matilde Serao. Il gelsomino, poi, è un compagno gentile. È timido, rifugge dal bacio ardente del sole e si abbandona alle lusinghe della notte consumandosi nel rilasciare la sua essenza. Il papavero è un ossimoro, l'ardore che induce il sonno, l'impeto che porta quiete. Ma perché condannarlo? Senza il suo succo soporifero «mancherebbe un giusto termine di paragone per definire la gravità di certi discorsi, gli effetti di certe conferenze, il carattere della prosa di tanti e tanti amabili colleghi» ironizza la scrittrice che innalza l'impulsivo mandorlo, il soave gelsomino, il sanguigno papavero convinta che sia «sempre meglio sognare che vivere». -
Il diplomato
Poche sostanze per vivere, ideali eversivi per la testa e la voglia bruciante di cambiare le cose. Jacques Vingtras (alter ego di Jules Vallès) ha appena completato gli studi liceali, ora il mondo è ai suoi piedi. Basta latinorum, è giunto il momento dell'azione, della Rivoluzione. Non resta che salutare i genitori, dire addio a doveri e convenzioni imposte da scuola e famiglia, e partire per Parigi. È la metà dell'Ottocento ma se si chiudono gli occhi potrebbe essere oggi: Vingtras è mosso dall'ardore della sua età. Cerca, trova e frequenta i compagni squattrinati della bohème, con i quali bazzica bettole e teatri, e progetta di radere al suolo il sistema sociale, di sovvertire le istituzioni, di rompere gli schemi, convinto di essere invincibile, addirittura immortale: «Abbiamo diciotto anni, facciamo un secolo in cinque; vogliamo salvare il mondo, morire per la patria. Ma intanto ci divertiamo come una scolaresca di ragazzini». E poi arriva la prima batosta: la rivolta del 1851 viene repressa. I compagni sono dispersi e Jacques passa le giornate tra grotteschi colloqui di lavoro, dubbi esistenziali e lavori precari. Nel 1853 sfuma l'attentato a Napoleone III. La miseria diventa l'unica compagna delle sue giornate, trovare un modo per sbarcare il lunario un'ossessione. In un'escalation di esperienze deludenti, si frantumano le sue speranze e i suoi sogni. Ma dalle ceneri si plasma la coscienza dell'insurgé, l'uomo che sarà tra i protagonisti nel 1871 della Comune di Parigi. -
La metà del doppio
«Ricorrenti sono la solitudine, la malinconia, la disabilità fisica o l'ambiguità nel separare il falso dal vero. E dove di sicuro rivive la tradizione argentina con le sue atmosfere magiche e superstizione, le premonizioni» - RobinsonrnLa scrittura di Bermúdez è colta e articolata, e cela un'architettura complessa, fatta di crepe, «interstizi di assurdo» che minano lo stesso linguaggio. Immergersi in queste storie è diventarne protagonista, esserne risucchiati, restarne aggrovigliati, viverle in prima persona. Fernando Bermúdez è un maestro nel mescolare le carte, giocare con l'indefinito, creare orditi e intanto entrare nelle trame dialogando col lettore, che ne diventa così personaggio attivo. Leggendo, ci inoltriamo tra «sentieri che si biforcano», finzioni e realtà vagheggiate. I piani temporali sono stravolti, i punti di vista e le prospettive in continuo movimento. L'esperienza che ci regalano questi racconti è un viaggio in noi stessi, l'accensione dei sensi e dell'immaginazione. La scrittura labirintica ci fa riflettere sul destino, sul tempo, sull'amore, sulla circolarità dell'esistenza. -
L' anima dei fiori. Le violette
«Non discacciate il povero fioraio e le sue povere violette: prendete quei mazzolini, o care donne, e fiorite la vostra persona, fiorite la vostra casa, fiorite la vostra giornata, con due soldi!». «Fiorite la vita!» è l'esortazione che riecheggia di Matilde Serao, con una pansé fragile, che si sciupa presto, ma il cui profumo persistente risveglia l'impeto vivido e potente del ricordo. Quell'aroma è un balsamo, magico e incantato, che «toccando il vostro cuore, per una notte, per un giorno, lo guarisce» parlando delle cose amate, «la pace, il silenzio, la solitudine, la elevazione dell'anima verso Dio, le mute contemplazioni dell'ideale». È un ""fiorellino simbolo"""", la violetta, dalla forza evocativa amata dai poeti di ogni tempo, che ispira un testo asciutto e commovente, nostalgico e malinconico, pervaso da una perforante dolcezza, perché la sua piccola campanula «è una boccuccia affettuosa che tutto sa, che tutto ci mormora dentro»."" -
Müchela, Iena
Un amico è morto. Mirko torna, per il funerale, nel paese che l'ha visto crescere nella Bassa milanese. Tra infanzia e adolescenza, si srotola il filo dei ricordi che lo lega alla Band del Nord, slabbrata armata di ragazzini che hanno dichiarato guerra all'universo intero e soprattutto alla periferia sud. Questi mondi si urtano, lasciandosi addosso lividi che verranno sanati forse solo durante la messa funebre. Un romanzo di formazione, crudo, diretto, toccante, che rimanda a Golding, Molnár, Salinger, Pasolini. «La regola aurea è nota: vieni da giù? Stai nella zona nuova, destinato a delinquere. Sei nella parte vecchia? Allora da figlio del Nord opti solo per qualche droga al parchetto, nulla che non passi dopo l'adolescenza. Mescolarsi comunque non è previsto, perché moglie e buoi sono una questione di vicinato, non più solo di paese». Una storia per chi ha attraversato la fanciullezza in sella a una bici. Per chi ricorda limpida la sensazione del primo lunedì delle vacanze estive. Per chi ha vissuto l'inverno dentro e fuori. Per chi, bersaglio di pregiudizi, si è fatto scudo con la vera amicizia. Per chi è convinto che leggere e amare siano la stessa cosa. -
La morte e il mago. I casi di Bolla
Quando l'incantevole Rebeca bussa alla sua porta, Bartolomeo Bolla non ha idea di quanto il timone della sua vita girerà per cambiare rotta. Sa solo che i tarocchi l'hanno già previsto. Perché è un cartomante. E indovino. «Devi aiutarmi, il mio amante è scomparso». Ma lui non è un investigatore. «Tu sei un macumbeiro. Riesci a capire l'anima delle persone» insiste la brasiliana. In realtà Bolla è soprattutto un uomo bizzarro. E accetta, ammaliato dagli occhi nocciola e dalla bocca amarena della donna. Il tizio che ha fatto perdere le sue tracce è un notaio. Bolla conduce le ricerche nell'ambiente dell'alta borghesia siciliana e nel mondo della prostituzione, scoprendo drammi e paure di una carrellata di personaggi di cui svela ipocrisie, eccessi e segreti. Al suo fianco, zio Tango, ex poliziotto appassionato di vino, che gestisce la Taverna dei Tre chiodi, la «spicciafaccende» Nica, l'amica d'infanzia Dada. E alberi, fiori, piante dai quali attinge l'energia cosmica e persino qualche buona dritta. Sullo sfondo i contrasti di una Palermo maestosa nei suoi palazzi nobiliari e umile nelle botteghe artigianali, struggente nei giardini fioriti e nei borghi marinari. Una «detective story» sui generis: il piano reale e quello esoterico si fondono, la divinazione è sempre un passo avanti agli accadimenti. Il curioso, ecologista, irresistibile Bolla è destinato a entrare nel firmamento dei più originali personaggi polizieschi senza esserlo. Lo dicono le carte. -
L'anima dei fiori. Vol. 6: L' edelweiss. La mimosa. La gardenia. Il fior d’arancio. La ginestra. Il mughetto. L’iris. La gaggia. La dalia
Siate coraggiose, suggerisce l’edelweiss. E generose, simili a un esuberante albero di mimosa. Non mancate all’appuntamento con la gioia, il fior d’arancio sarà lì ad aspettarvi. Ricordate, riconoscenti, chi vi ha rivolto attenzioni sull’esempio della ginestra. E, ancora, flessuose come iris, non domandatevi se le cose belle come un delicato mughetto hanno radici: è saggio chi riesce ad amarle così, «come esse sembrano, per tutto quello che vi possono dare e non più» scrive Matilde Serao alle sue lettrici. Basta infilare all’occhiello una gardenia e celare drammi segreti «sotto il più amabile e il più frivolo fra i sorrisi». O guardare il mondo dalla giusta distanza, come i miopi a cui sfuggono i contorni deludenti delle dalie. Perché, se è vero che «non solo l’eleganza e non solo l’estetica, sono il pascolo della fantasia», davanti a un semplice mazzetto di gaggie possono scaturire dolci ricordi d’infanzia, di confortevoli braccia di casa allungate da nonne e «zie zitellone».