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Un fiore
Puntuale all'appuntamento, Felice Angelo Antonio, ci propone la settima raccolta di poesie e testi vari con immagini. Negli anni precedenti abbiamo potuto leggere ""Le orme"""", """"Il Ricordo"""", """"Il Dialogo"""", """"Le Foglie"""", """"L'Amore"""" e """"Fiori per te"""" ed ora """"Le orme"""". Come i precedenti anche questo ultimo libro è una dichiarazione d'amore dell'Autore per l'adorata moglie. I proventi della vendita del libro saranno interamente devoluti in beneficenza."" -
Concorso di poesia nell'anno di Dante. Biblioteca del Centro Studi «Mario Pancrazi»
Nell'anno in cui si celebra il settimo centenario della morte di Dante Alighieri - per noi italiani, e non solo, il poeta per antonomasia, il maestro di poesia per definizione - non è inutile rifarsi la storica domanda: che cosa è la poesia? La risposta, nell'età dei social e della comunicazione digitale, non può ricalcare i percorsi praticati dai poeti e dai teorici dell'estetica del passato. Come attestano le varie ""botteghe di poesia"""", che spuntano quotidianamente su giornali e riviste, la poesia è indefinibile. Non soddisfano le teorie dei grandi teorici del passato (a cominciare da Benedetto Croce e andando indietro nei secoli). Non convince la teoria di chi sostiene che la poesia educa i sentimenti, migliora gli animi, fa diventare più corretti e moralmente intransigenti. La poesia non è per sua natura né educativa né etica. È attività umana, capace di definire profili sentimentali e, soprattutto, di penetrare nella profondità dell'animo umano e svelarne l'essenza. Non è falsità e non è verità. È percorso di conoscenza che arricchisce l'animo del lettore, lo rende più capace di leggere se stesso, gli altri, il mondo. Il risultato non è la percezione della verità, bensì la rappresentazione di ciò che l'autore riesce a sentire, a leggere, a interpretare. Forse per questo nell'antica Cina l'aspirante governatore doveva superare la prova del componimento poetico: doveva - cioè - rivelare il proprio animo e i propri sentimenti, per essere degno di aspirare al governo degli umani. Perché leggere poesie? Perché scrivere poesie? La risposta è implicita nelle riflessioni che precedono. Ben venga, allora, la scelta della Fondazione onlus """"Marco Gennaioli"""", che ha avuto il merito di sollecitare i giovani del territorio valtiberino e di invitarli a misurarsi con se stessi, con il mondo che ci circonda e con i mezzi espressivi a disposizione. Il volume raccoglie - per gli autori e le loro famiglie - tutti i testi in concorso."" -
I ricordi di Dedè e Rufo
Così l'Autore: ""Questo strano libro è solo un racconto, anzi due racconti che diventano e, soprattutto diventeranno, negli anni successivi, un solo racconto. Nella prima parte ho voluto inserire, anche su consiglio dei miei figli, il racconto che ha scritto la mia Dedè alcuni anni fa, quando ancora aveva solo sei nipoti, nel quale ricorda i suoi primi anni di vita, la propria famiglia, la scoperta della montagna, gli anni della guerra e, infine, il nostro incontro e il formarsi della nostra famiglia. Nella seconda parte, troverete il racconto che ho scritto in questi mesi, ad integrazione del libro """"La mia vita con Dedè"""", e prima del mio incontro con Lei, nel quale ricordo i miei primi 20 anni circa di vita, la guerra, la mia famiglia di origine, i parenti e tanti piccoli episodi di quel periodo, cercando anche, magari in modo un po' sommario, di dare un quadro degli avvenimenti e del clima politico e sociale di quegli anni. Si tratta, come dicevo, di due racconti diversi, che a volte si sovrappongono, scritti con stile diverso, con scopi diversi, in momenti diversi della vita, che, però, come fossero due facce della stessa medaglia, come due strade parallele che a un certo punto si incontrano, alla fine narrano le tante sfaccettature di due persone che nel tempo si sono unite per diventate una sola cosa e una sola famiglia. Ho ritenuto quindi di riunire in un solo volume i ricordi autografi lasciati da Dedè relativi alla sua giovinezza dal 1934 al 1959 e quelli che mi riguardano, relativi al periodo che va dal 1932 al 1953. Credo che, come siamo stati inseparabili Dedè ed io, sia giusto che anche i nostri ricordi possano essere riuniti in un unico volume. Chiedo perdono se ogni tanto c'è un po' di confusione, se alcune vicende o alcuni personaggi sono trattati meglio o peggio di altri, se ho scordato di ricordare qualcuno o qualcosa, ma ringrazio tutti quelli che, in un modo o nell'altro, hanno accompagnato la lunga e felice vita di Dedè e mia e che hanno contribuito in quei primi anni, così difficili, a renderci quello che siamo e siamo stati e a darci la forza che abbiamo avuto. Con questa certezza, mi auguro di fare un gradito omaggio alla memoria della mia adorata Dedè, ai miei figli e nipoti, ai parenti e agli amici, e a tutti quelli che verranno dopo, perché spero che sapranno trarre da queste pagine un utile insegnamento, dal passato e per il futuro, e conservare con affetto la memoria di chi li ha preceduti."" -
Achille Bargossi. L'uomo locomotiva
Achille Bargossi è un corridore di fine '800 che ha avuto il coraggio di vivere la propria ambizione ispirato dalla sua natura più profonda. Un bel sogno che l'ha portato durante una lunga corsa a sfilare veloce davanti a migliaia di persone, al fianco di Re e Regine entusiasti e curiosi. Ad essere atteso come una rockstar nelle varie città del mondo in cui si è esibito. ""Chi non conosce l'uomo-locomotiva, il Bargossi, che ha corso ormai quasi tutta l'Europa ed ora vuol recarsi negli Stati Uniti d'America per sfidarvi i più veloci yankees degli Stati Uniti? Per chi nol sa, il Bargossi è nativo di Forlì, di statura piuttosto bassa, bruno, occhi neri, capelli neri crespi, ampio torace, ventre asciutto, gambe di acciaio, piedi di granito. Bisogna dir così, perché ormai ha corso tanto, che non si sa spiegare come abbia potuto resistere. Ad onta dei suoi 35 anni circa, è ancora agile, snello, leggierissimo e nelle corse di resistenza, nessuno lo vince."""" (Da un quotidiano del 1883)"" -
Faccia di luna. Raccolta di novelle
"Lo stile narrativo di Tino La Vecchia ha un suo fascino particolare, perché sa intrattenere piacevolmente e in modo leggero il lettore passando, a seconda dei casi, da uno stile essenziale e dialogato a uno stile sobrio e ricercato che talvolta indugia sulla descrizione di luoghi e ambienti, nonché sull'analisi dei sentimenti, invitando anche alla riflessione. Leggendo queste novelle si rimane colpiti dalla capacità che ha l'Autore di immergere il lettore nel contesto situazionale del racconto, facendolo sentire parte di esso, destando così interesse, curiosità e suscitando in lui vive emozioni. Il linguaggio adoperato è tale da aderire perfettamente agli ambienti e ai personaggi presentati, si tratta in genere di una forma schietta, scorrevole e incisiva che, nella sua semplicità e chiarezza, si rivela altamente efficace e puntuale ai fini della rappresentazione e della narrazione. Tino La Vecchia dimostra di saper entrare nell'animo umano e in quello dei suoi personaggi, attraverso una fine analisi psicologica, per cui la singola novella non è mai una pura e semplice storia che si snoda e si sviluppa, ma diviene anche uno spunto dal quale si possono trarre, a volte, degli insegnamenti, sia che gli eventi vengano gestiti dal caso, sia che essi siano deliberatamente voluti dai protagonisti, inoltre, in certe occasioni, la narrazione arriva ad assumere, per la profondità dei sentimenti e la forza espressiva, dei toni e dei connotati che hanno quasi un carattere lirico. Inoltre, è possibile riscontrare nella presente raccolta un'ampia gamma di contenuti e di tematiche che la rendono ricca e varia e anche per questo stimolante per il lettore, le novelle, infatti, toccano vari generi che vanno da quello più ameno e leggero, a quello più romantico e sentimentale o anche misterioso e poliziesco o drammatico, né mancano, in taluni casi, interessanti spunti storici, sapientemente utilizzati, che fanno da cornice al racconto.""""" -
La Comedía
Il volume è una riproduzione fedele della ""Commedia"""", per cui si è appositamente deciso di lasciare inalterata la struttura del testo e di non inserire alcun commento, in modo tale da rispettare la simbologia del numero tre inserendo in ogni pagina esattamente diciotto terzine. L'opera è impreziosita da incisioni di Gustave Dorè, eccellente illustratore dei più grandi capolavori letterari Di particolare pregio è la realizzazione della coperta creata esclusivamente da artigiani, con antiche tecniche per la lavorazione ed incisione del cuoio. La rilegatura è effettuata manualmente a filo refe."" -
Memorie postume di un cane felice
"Cari amici umani chi vi parla è un cane. Vi scrivo da un posto bellissimo dove mi trovo da quando ho lasciato il vostro mondo, che poi era anche il mio perché io con voi ci stavo bene. Questo posto non ha un nome particolare, non so se possa essere quello che voi umani definite """"paradiso"""". Noi cani quando moriamo andiamo tutti allo stesso posto: questo dove mi trovo. Non potrebbe essere diversamente perché noi cani non siamo cattivi e non abbiamo colpe da scontare per cose fatte quando eravamo tra voi. Se qualche volta ci comportiamo da cattivi è perché i nostri padroni ce lo hanno insegnato. Dove mi trovo ci sono tanti alberi, tanto spazio, tanti amici cani come me, tante palle da rincorrere per gioco e cibo in abbondanza, ma manca una cosa veramente importante: voi umani. Mancano i padroni, che per noi cani sono la cosa più importante della vita. Un cane non può vivere senza un padrone. Ovvero, può vivere lo stesso, ma la sua vita non è completa, gli manca qualcosa. Appunto, un padrone. Abbiamo il bisogno di appartenere a qualcuno, di sentirci chiamare, rincorrere, giocare, carezzare, scherzare anche. Perché noi cani con i nostri padroni scherziamo molto. E ci piace anche farli giocare perché non è vero che sono sempre loro a fare giocare noi, spesso è il contrario. Ci manca la voce del nostro padrone, quella che riconosciamo tra mille come se la stessa avesse un odore che ci guida. E in quanto a odori noi ce ne intendiamo. Dunque, il posto è bello, non mi lamento, ma è monotono. Non abbiamo neanche voglia di fare rissa tra di noi, tanto a che vale se non c'è nessun padrone che ci guarda? Trascorriamo il tempo calmi, forse felici, ma anche in modo abulico. I ricordi ci assalgono e spesso diventano rimpianti. Caro padrone mi manchi molto. Mi manca il tuo mondo, anche se tu spesso dicevi """"mondo cane"""" e io non capivo perché. È sull'onda di questi ricordi che voglio raccontarvi la mia vita, così, tanto per fare qualcosa, per passare un poco di tempo senza oziare. Qui si ozia tutto il giorno, tutti i giorni. Nella mia vita non ho fatto niente di speciale, non sono un eroe: non ho salvato bambini che annegavano, non ho catturato ladri che fuggivano e non sono stato un cane poliziotto. Sono stato un cane """"normale"""" come tanti, come quasi tutti. Ma sono le persone, i cani e le cose normali che fanno la storia. La sola cosa che ho fatto è stata quella di aver voluto bene ai miei padroni. Ma anche questo è normale per un cane.""""" -
La guerriera dell'amore
Daniela Nucci scrive: ""La vita è strana. Quando, inaspettatamente, la Berta è morta, ho detto agli amici: """"Ho perso il treno, con la Berta"""", intendendo dire che troppo tardi ho capito chi fosse. Purtroppo, nel corso degli anni in cui ci siamo frequentate, non avevo compreso quale dono la vita mi aveva fatto facendomela incontrare. Ed ecco che ora, in modo inaspettato, di nuovo il destino torna a bussare alla mia porta offrendomi la possibilità di curare un libro in sua memoria, raccogliendo, su richiesta dei familiari, i ricordi di quanti l'hanno conosciuta e le hanno voluto bene. Ed è stato proprio grazie a questi scritti e a molti altri documenti che mi sono resa conto di chi fosse realmente questa donna formidabile e indimenticabile."""" E la cognata Mariapia Bruni aggiunge: """"Da sposata ho vissuto nella famiglia della Berta e la mia convivenza con lei è durata 56 anni. Dopo che è morta, è stato mio desiderio far scrivere qualcosa per ricordarla perché nella sua camera ho ritrovato tanti scritti, diari, testimonianze, studi e lavori che lei aveva svolto nel corso della sua vita. La cosa che mi ha sempre colpito di Berta era il suo amore per gli altri, soprattutto per i malati, i poveri e per chiunque avesse qualsiasi bisogno. Dopo aver lavorato 40 anni in ospedale, ha continuato a fare del bene, collaborando con le Assistenti Sociali della Asl, aiutandole a risolvere problemi, talvolta anche complicati. È stata l'""""amica"""" degli Albanesi, i tanti che negli anni '90 emigrarono verso l'Italia e che assisteva in tante loro necessità. La nostra lunga convivenza non è stata certo facile, a causa del suo carattere forte e autoritario: il suo lavoro da caposala nel reparto di Chirurgia l'aveva abituata a dare ordini, anche se lei era la prima a fare quello che c'era da fare. La vita con lei in famiglia ha lasciato un segno indelebile che solo la fede nella """"Comunione dei Santi"""" me la fa ritrovare nella preghiera, assieme a suo fratello, mio marito. L'ho sentita vicina soprattutto nel mio ricovero in Ospedale per il Covid-19, dove ho sofferto tanto e sono stata molto male. Spero che questo libro scritto in collaborazione con Daniela Nucci serva di esempio e stimolo a chi l'ha conosciuta e a chi in futuro sentirà parlare di lei."""""" -
La vita è un sogno fragile
Storia di una cyber rapina. Federico è un genio del computer, non ha paura di addentrarsi negli spazi tenebrosi del web, alla ricerca di un sogno impossibile. Soprattutto se la posta in gioco è il cuore di una donna bella e inarrivabile. Ma anche per un genio è difficile controbattere i capricci del destino, scoprire che una bella realtà è un miraggio destinato a dissolversi. In questo suo ultimo romanzo l'autore ci trascina nella nuova dimensione dell'informatica, una realtà che ci avvolge ma di cui ancora non comprendiamo bene i limiti: quanto è veramente pericoloso il lato oscuro di internet? Lo scopriremo insieme al protagonista e scopriremo anche che, al di là dei sogni e degli incubi, il mondo sorride di noi, da milioni di anni. E, a volte, ci vuole anche bene. -
Tracce d'esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d'Africa
Il Centro profughi di Laterina fu uno degli oltre cento Campi disseminati sul territorio italiano, attivati o riattivati da precedenti strutture militari e concentrazionarie per accogliere sia esuli provenienti dai territori ceduti dall'Italia alla Jugoslavia (a seguito del Trattato di Pace di Parigi e del Memorandum di Londra) sia rimpatriati dall'estero e dalle colonie. Un calvario che, al di là delle diverse cause, ha interessato vasti territori europei dell'area centro-orientale all'indomani del secondo conflitto mondiale e coinvolto milioni di persone. Erano soprattutto tedeschi, ucraini, polacchi, espulsi dai luoghi di nascita o di elezione dove avevano vissuto e anche convissuto per secoli, ai quali si aggiunsero gli italiani della Venezia Giulia e coloro che con la fine della colonizzazione furono costretti ad abbandonare case, lavori o proprietà di recente o più lontana acquisizione. La presente ricerca si sofferma in particolare sulla presenza al Campo di Laterina degli esuli istriano-giuliano-dalmati, ma amplia l'interesse ai profughi italiani dell'Africa settentrionale, in particolare a coloro che provenivano dalla Tunisia e dalla Libia. Esperienze accomunate dai disagi, dal disorientamento, dalla delusione e disillusione, dalle privazioni, dalla necessità di farsi coraggio per ricominciare da capo, dal difficile tentativo di reinserimento nella società, nel periodo particolarmente complesso della ricostruzione post-bellica e delle controversie nell'opinione pubblica tra condanna e rimozione del periodo fascista e del passato coloniale, di cui spesso i profughi sono state le vittime dimenticate. Ma anche ""profuganze"""" diverse, innanzitutto per la storia insediativa delle comunità di etnia italiana nei luoghi da cui erano state espulse, con riflessi e conseguenze sulla percezione dell'identità nazionale."" -
Haeresis. Le favole eretiche
Un nuovo appuntamento con il prof. Salvino Caputo, che ci presenta la sua nuova raccolta di favole: ""Nella stesura di Haeresis mi sono tuffato a capo fitto nei ricordi più teneri del mio vissuto, senza adombrare sconfitte e successi, amarezze ed euforie. Ho scelto una nuova dimensione della mia scrittura, navigando tra eresia ed irrazionale, utopia ed alchimia, diacronie pazzesche e sincronie del mio soul. Le mie cicatrici storiche ed anatomiche, mi hanno restituito la voglia matta di combattere con il pugnale tra i denti come un ardito del corpo dei mitici Bersaglieri Italiani. Vivo arroccato nel mio piccolo posto di trincea e scrivo le mie benedette eresie, in memoria di Gesù di Nazareth e del mio maestro Leonardo Sciascia""""."" -
Le imprese dell'ispettore Verlasca
"Eravamo amici da ragazzini, da adolescenti. Mi ricordo ancora i pomeriggi estivi trascorsi sul terrazzo di casa sua a strimpellare le nostre chitarre, immaginando un domani di emulare le gesta di Carlos Santana. Poi ci perdemmo di vista, inspiegabilmente. Capita, talvolta, senza delle plausibili ragioni, di non ritrovarsi più. Poi, all'improvviso, ci siamo rivisti dopo oltre quaranta anni, ognuno oramai libero dai suoi impegni di lavoro. E ci siamo raccontati, in un primo approccio, i nostri trascorsi lavorativi. Il mio sicuramente più piatto del suo, ma comunque gravido di rogne ed anche di qualche insidia fisica (chi ha lavorato presso i Centri per l'impiego sa che una utenza particolare e talvolta esacerbata può condurre spesso ad azioni improvvide). Il suo lavoro, invece, alquanto più """"movimentato"""", per usare un eufemismo. Verlasca aveva fatto niente popò di meno che per ben trentacinque anni un lavoro da poliziotto. E per lunga parte, nel ruolo di tutto rispetto, di ispettore capo. Quindi già da un primo approccio, dai primi contatti, mi aveva anticipato più di una sua impresa condotta contro il crimine, organizzato e non, che s'era trovato a fronteggiare. Mi raccontava, con giustificata fierezza, del come, da giovanissimo disoccupato del sud, s'era arruolato nelle forze di polizia. E del come, pur potendo fare affidamento soltanto sul diploma di licenza media inferiore, aveva registrato sorprendenti avanzamenti nella carriera raggiungendo, ancora in giovane età, il grado di ispettore capo. Niente male davvero! Poi, una volta che i nostri incontri si erano regolarizzati, vivendo nella stessa bellissima e vivibilissima comunità murgiana, abbiamo approfondito le sue vivaci... azioni. Intrigato e stimolato dai suoi input avventurosi un giorno lanciai la provocazione: """"Quasi quasi ne potrebbe nascere un romanzo""""..." -
Arte, matematica e scienza a Sansepolcro nei secoli XV-XVI-XVII
Si pubblicano gli Atti del Convegno, svoltosi in streaming il 4 e il 5 dicembre 2020, in collaborazione con l'Associazione Storica dell'Alta Valle del Tevere, il Progetto Valtiberina, la Regione Toscana e il Comune di Sansepolcro, nel 420° anniversario della nascita e nel 385° della morte di Niccolò Aggiunti, che documentano e illustrano, da una pluralità di punti di vista e con diverse metodologie scientifiche, la ricchezza culturale del contributo che la comunità di Sansepolcro ha saputo dare allo sviluppo delle arti, della matematica e della scienza nei secoli XV-XVI-XVII. Nella prima metà del secolo XV a Sansepolcro si registra il trapasso dal potere della Chiesa alla conquista della città e del territorio da parte della Repubblica di Firenze. La famosa Battaglia di Anghiari (29 giugno 1440) determina il passaggio del territorio della Valtiberina biturgense all'area toscana del dominio fiorentino, che si protrarrà dalla seconda metà del 1400 al 1860. Come hanno confermato recenti studi, la vita culturale di Sansepolcro nel Quattrocento (e soprattutto nella seconda metà del secolo) registra uno sviluppo straordinario. La presenza di scuole comunali e conventuali, l'attività di grandi intellettuali come Piero della Francesca (1412?-1492), come Francesco dal Borgo (1415-1468) e Luca Pacioli (1447?-1517) e la presenza di grandi artisti come Pietro di Giovanni d'Ambrogio (1410-1449), Bartolomeo della Gatta (1448-1502), Matteo di Giovanni (1430-1495), segnano per sempre il volto del Borgo. Anzi, Sansepolcro non diventa soltanto una capitale artistica, bensì uno dei luoghi che più contribuiscono alla rinascita delle matematiche. Il Cinquecento registra un evento di portata epocale: l'elevazione a sede vescovile e il passaggio di Sansepolcro da Borgo a Città (17 settembre 1520). Come è stato osservato: «Il primo vescovo fu l'ultimo abate camaldolese del Borgo». E la vita culturale e artistica segna uno sviluppo straordinario. Nei primi anni del secolo, l'opera di Fra' Luca Pacioli richiama in città il Genio di Vinci, alla ricerca di testi che avrebbero potuto sostenere il cammino della sua ricerca artistica e scientifica. La città registra, a metà del secolo (1575), la nascita dell'Accademia degli Sbalzati, per iniziativa di Pietro Gherardi, intellettuale di primo piano, morto nel 1580, e - per l'intero spazio secolare - l'affermazione della grande famiglia degli Alberti: «Ben diciotto membri di essa, fatto più unico che raro, raggiunsero fama nell'architettura, nella scultura, nella pittura, nell'intaglio del legno, nell'incisione su rame». Senza dire degli altri grandi artisti che operarono al Borgo tra Cinquecento e Seicento: Raffaellino dal Colle (1498-1566), Giovanni De' Vecchi (1537-1615), Bernardo Buontalenti (1536-1608), Iacopo Carucci detto il Pontormo (1494-1557), Luca Signorelli (1450-1523), Santi di Tito (1536-1603), i Cantagallina (Antonio (??) e Remigio (1582-1615)). Il secolo XVII brilla subito per l'attività del giovane Niccolò Aggiunti (1600-1635), che come intellettuale e come scienziato, pur nei pochi anni di vita e di ricerca, svolta come professore all'Università di Pisa, testimonia l'altissimo livello della sua ricerca intellettuale e scientifica. Se il Seicento non uguaglia i secoli del Rinascimento sul terreno della produzione di manufatti artistici, registra uno sviluppo senza precedenti nella ricerca musicale, come attesta soprattutto la... -
Il Pacioli. Dall'economia del PIL all'economia civile. Biblioteca del Centro Studi «Mario Pancrazi»
Dalla Presentazione di Matteo Martelli: ""Sull'onda della crisi da Covid-19, una nota economista, Mariana Mazzucato, ha lanciato un appello accorato ai governi, ai politici e agli economisti, invitando a «non sprecare la crisi». Le società di tutto il mondo sono «caratterizzate da disuguaglianze crescenti». Mazzucato osserva che i governi di tutto il mondo non operano allo scopo di combattere le disuguaglianze e favorire una crescita sostenibile e inclusiva. Anzi, negli ultimi anni si sono mossi con l'obiettivo di tagliare gli investimenti per la sanità e per la cura della società, mentre i profitti giganteschi delle imprese private sono stati dirottati nelle tasche degli azionisti. Proprio tenendo conto degli effetti disastrosi provocati dalla pandemia - sostiene la studiosa - è urgente dar vita ad una «nuova economia, incentrata sulla strategia del Green New Deal», allo scopo «di ridurre le emissioni di carbonio, investendo al tempo stesso sui lavoratori per aiutarli ad adattarsi alle nuove tecnologie». Dobbiamo modificare radicalmente il sistema economico capitalista, altrimenti le società saranno sempre più povere e divise e il pianeta diventerà sempre più inabitabile. Dobbiamo """"definanziarizzare"""" l'economia, consapevoli che oltre «il 98% dei capitali che circolano nel mondo non ha nessuna finalità produttiva, e non è legato all'economia reale. Ma serve unicamente alla speculazione» . Senza dire che, al tempo del Covid-19, non possiamo fare affidamento sull'economia dominante, che sanziona l'impossibilità di essere curati per milioni e milioni di esseri umani, ai quali - con la pratica dell'«apartheid vaccinale» (Jayati Gosh) - viene negato il diritto alla salute e, quindi, l'accesso alle cure anti-pandemiche. Di economia civile in Italia si parla e si scrive da almeno tre secoli, come confermano le riflessioni di Stefano Zamagni e di altri studiosi, che rinviano all'opera di intellettuali come Antonio Genovesi, contemporaneo di Adam Smith, ma influenzato dalla cultura dell'Umanesimo civile e ispirato alla dottrina francescana, alla quale fa diretto riferimento il frate di Sansepolcro Luca Pacioli, attento all'etica del governo aziendale (Massimo Ciambotti) e, soprattutto, ispirato alla dimensione francescana dell'economia, come «autentico luogo di solidarietà sociale» (Felice Autieri)."" -
Allons enfant 1748-1796
In Europa, il diciottesimo secolo iniziò con una serie di guerre fra le grandi famiglie regnanti imparentate tra loro, dette ""guerre di successione"""". Guerre inutili che portarono alla ribellione dei popoli contro i privilegi dei nobili e contro i regimi assolutisti che avevano ridotto alla fame i vari Paesi. Questo romanzo racconta le avventure di una famiglia bresciana, dalla pace di Aquisgrana del 1748 al 1836; una famiglia protagonista del periodo illuminista, della Rivoluzione Francese, del periodo del Terrore, e dell'epopea Napoleonica, culminata, dopo la caduta dell'imperatore Bonaparte, nella conseguente pace armata siglata al Congresso di Vienna nel 1815 che rimetteva sul trono le vecchie monarchie soppiantate. Iniziò così il periodo cosiddetto della """"Restaurazione dell'ancien régime"""". Felice, un avvocato di grido, è il protagonista fino alla Rivoluzione francese; mentre Marcello, suo nipote, un pittore all'avanguardia, residente a Parigi e gran patriota, è al fianco di Napoleone partecipando a tutte le sue battaglie, fino alla sua caduta e all'esilio sull'isola di Sant'Elena. Un romanzo pieno di suspense in cui l'arte, le guerre, gli amori, le pestilenze fanno da sfondo ad una società in evoluzione con l'obiettivo di ottenere maggiore uguaglianza, prodromo del Risorgimento italiano."" -
Le strade in Sardegna tra la seconda metà del Settecento e i primi dell'Ottocento
Il presente lavoro nasce dal ritrovamento, presso l'Archivio di Stato di Nuoro, del documento scritto in castigliano, stilato nel 1789 dal notaio Giovanni Battista Porcu che descrive e avvalora i beni lasciati in vita dall'Architetto piemontese Giuseppe Gerolamo Moya, Direttore e Ispettore generale dell'Azienda strade e ponti del Regno di Sardegna, deceduto a Fonni. Nell'approfondire con altre ricerche le notizie sul personaggio si ricostruiscono, a grandi linee, le fasi iniziali della realizzazione della grande strada, ora chiamata statale n. 131 di Carlo Felice, avviata dai Savoia verso la seconda metà del Settecento. Il progetto del libro si basa sull'elaborazione delle fonti reperite principalmente negli Archivi di Stato di Cagliari e di Torino e, poiché le interlocuzioni fra la Corte e il Vicerè sono ben documentate, si può desumere il nascente sviluppo di allora e il dibattito sulla viabilità interna. Il fondamentale fascicolo 1383, molto ricorrente nelle citazioni, fa parte della Regia Segreteria di Stato, Serie seconda dell'Archivio di Stato di Cagliari. In merito si osserva la conservazione senza numerazione delle pagine e per talune la mancanza di datazione. Il lavoro rispetta comunque la cronologia dei fatti annotati e in esso si dà molta importanza alle tabelle, riportate per far conoscere e confrontare il contributo dato per realizzare questo grande progetto nel quale tutti i villaggi del Regno sono coinvolti, trainati dalle classi più potenti, rappresentate nei tre Stamenti, il militare, l'ecclesiastico e il reale. -
La Gran Bretagna e il Risorgimento italiano. Imperialismo e patriottismo nell'Europa delle nazionalità
La ricostruzione delle relazioni italo-britanniche nell'età risorgimentale è da molto tempo trascurata dalla storiografia italiana, mentre costituisce ancora oggi oggetto di approfondimento da parte di quella inglese. Questo volume si propone quindi di riconsiderare le relazioni politiche e diplomatiche tra la Gran Bretagna e gli Stati italiani dal 1848 al 1870, nel contesto dei mutevoli equilibri europei, basandosi su nuove ricerche archivistiche. Dagli studi effettuati emerge come la Gran Bretagna tenga rapporti diversi con le varie istituzioni della penisola italiana: apre conflitti diplomatici con il Regno di Napoli per il rispetto dei diritti politici, critica la permanenza del potere temporale nello Stato Pontificio e di quello militare austriaco nel Lombardo-Veneto, ma stabilisce al tempo stesso relazioni non certo conflittuali con il Granducato di Toscana e particolarmente collaborative con il Regno Sabaudo. Questa interpretazione dei rapporti italo-britannici evidenzia come il Regno Unito, pur animato da politiche imperialistiche, in competizione con Francia e Austria in particolare, abbia comunque contribuito alla nascita di un nuovo Stato nel Mediterraneo, affermando i principi del liberalismo e i diritti all'autodeterminazione dei popoli. -
Le ali della poesia
Le poesie raccolte in questo volume si presentano volutamente con uno stile semplice e colloquiale, al fine di poter essere comprese da tutti. Lo scopo di questi versi è, infatti, quello di comunicare sentimenti, stati d'animo, suscitando nel lettore emozioni che possano renderlo partecipe, in modo da potersi facilmente ""ritrovare"""" in ciò che legge. Il tono è quasi sempre pacato, sussurrato perché la poesia, per l'autrice, non deve mai sconvolgere o turbare con toni troppo forti, aspri o violenti, deve invece poter accompagnare per mano il lettore e riuscire a sublimare anche sentimenti negativi come la tristezza, il senso di solitudine, il dolore, trasferendoli in un'altra dimensione che è quella del canto e dell'armonia. I temi prediletti sono quelli dell'amore, degli affetti, della natura, quest'ultima vista sempre con stupore, gratitudine e ammirazione. Introduzione di Tino LaVecchia."" -
L' Inferno. Versione in dialetto umbertidese dalla «Divina Commedia» di Dante Alighieri
La traduzione in dialetto umbertidese della Divina Commedia, la principale opera letteraria di riferimento per la costruzione nei secoli della nostra lingua nazionale, è sicuramente un esperimento tanto interessante quanto piacevole la lettura. La veste linguistica che Dante Alighieri scelse per la sua Commedia fu a suo tempo una scelta coraggiosa, in un'epoca in cui la letteratura impegnata e di importante spessore culturale veniva redatta in Latino, allora lingua della cultura scritta non solo in Italia ma in tutta Europa. Dante era giustamente convinto che nel volgare, inteso come lingua del volgo e pertanto popolare e soprattutto orale, ci fossero adeguate capacità espressive da permetterne un uso letterario. Nel De Vulgari Eloquentia, alla ricerca di quale potesse essere tra i tanti volgari italiani quello più adatto per tale scopo, e cioè il volgare ""illustre"""", Dante pone dei criteri selettivi quali un lessico che si elevi rispetto ai registri linguistici più umili, e passa poi in rassegna le numerose parlate italiane, eliminandole in base a varie considerazioni. Tra i tanti volgari cita anche il nostro umbertidese, o meglio la lingua della Fratta, come Umbertide era chiamata allora."" -
Burgos. Dove le anime hanno l'ombra
"...Le pagine che seguono hanno la sola pretesa di rappresentare una piccolissima parte della storia di un ramo degli eredi di una delle famiglie che molti secoli fa, esattamente nel 1337, ad opera di Mariano d'Arborea, furono sradicate dal paese natio di Villanova Monteleone, in Sardegna, per costruire un """"borgo"""" ai piedi del castello costruito un paio di secoli prima, a cui venne dato in seguito il nome di Burgos tradendo l'influenza linguistica della Catalogna che nel 1323 conquistò l'Isola. Per i pochi che ancora non conoscono questo paese, preciso che giace quasi al centro della Sardegna, é spaccato in due dal nono meridiano di Greenwich ed è situato a poco più di un terzo della distanza che separa il 40esimo dal 41esimo parallelo..."""" (Dalla Prefazione dell'autore)"