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Scritti sulla scultura
Medardo Rosso ha riversato sul foglio riflessioni e annotazioni, esclamazioni e modi di dire, parole inventate e termini letterari senza badare a regole grammaticali, a strutture sintattiche o a logiche semantiche. Medardo Rosso ripeteva con la penna quello che andava facendo con la cera, il gesso, il bronzo: rompere con i canoni classici, con gli schemi; sfondare gli argini della sintassi. Queste confessioni racchiudono dichiarazioni di poetica, interessanti e poco pratiche teorie formali e compositive, oltre che la chiave di un impegno artistico svolto all'insegna di un rigore e di un'inflessibilità. -
Saggio sul gusto
"Nel nostro attuale modo di essere, il nostro animo gusta tre specie di piaceri: alcuni emergono dal fondo della sua stessa esistenza, altri derivano dalla sua unione con il corpo, altri infine sono fondati sulle pieghe e sui pregiudizi che certe istituzioni, certe usanze e certe abitudini gli hanno fatto assumere. Sono questi diversi piaceri dell'animo a formare gli oggetti del gusto, come il bello, il buono, il gradevole, l'ingenuo, il delicato, il tenero, il grazioso, il non so che, il nobile, il grande, il sublime, il maestoso... Per esempio, quando proviamo piacere nel vedere una cosa di una certa utilità, diciamo che è buona; quando proviamo piacere nel vederla, senza distinguervi un'immediata utilità, la chiamiamo bella. [...] Le origini del bello, del buono, del gradevole sono dunque in noi stessi; ricercarne le ragioni vuol dire cercare le cause dei piaceri del nostro animo.""""" -
La seconda vista. Aforsimi e altri scritti
La vocazione filosofica, per non dire teologica, di Marc riaffiora anche nei suoi scritti, che affrontano l'arte soprattutto dal punto di vista dei significati. I suoi interventi possiedono una riconoscibilità per così dire cronologica: se nei primi c'è un' eco precisa delle vicende artistiche contemporanee, negli ultimi, soprattutto in quelli risalenti al periodo della guerra, il discorso diventa più teorico, perfino metafisico. Le sue riflessioni riguardano sempre il fine generale della ricerca espressiva: i suoi non sono mai scritti sulla pittura, ma appunto sull'arte. Del resto lui stesso sostiene che un quadro è prima di tutto un'idea. ""Chi oggi dipinge artigianalmente, nella vecchia accezione, dei quadri, solo quadri, non ha niente a che vedere con l'arte""""."" -
Pop art. Interviste di Raphaël Sorin
La Pop Art americana è il movimento artistico più conosciuto, più popolare del dopoguerra. Alcuni dei suoi protagonisti sono diventati leggendari - Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Tom Wesselmann, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, James Rosenquist -, le mostre che li celebrano si susseguono, le monografie si moltiplicano. Quello che mancava era la testimonianza diretta delle loro idee e dei loro propositi, enunciati nel libro che qui viene presentato, una raccolta di interviste risalenti al periodo più vivo e importante per la Pop Art, gli anni Sessanta. Protagonista diretta di questo movimento è la realtà della civiltà di massa, contrassegnata dall'ossessiva presenza dell'apparato pubblicitario, dall'invasione dei prodotti della società dei consumi, dal martellamento dei messaggi dei mass media (fumetti, réclame, manifesti): gli artisti della Pop Art lavorano manipolando immagini e oggetti già fabbricati che ne potenziano le implicite qualità espressive. -
Lettere e scritti
Considerato il padre dei naïf, ma ben diverso da loro, il Doganiere Rousseau (1844-1910) è un artista più famoso che conosciuto. Poco compresa è la sua opera, che infrange le regole dell'arte, ma ne rispetta le leggi. E poco nota è la sua vita, segnata dalla miseria, dai lutti (perde prematuramente due mogli e sei figli) e perfino dal carcere. Questo libro, che riunisce per la prima volta le sue lettere e i suoi scritti, molti dei quali mai tradotti, aiuta ad avvicinarlo e a comprenderlo. Il volume si apre con una breve autobiografia del Doganiere e con le curiose filastrocche che apponeva come didascalia ai suoi quadri più significativi. Una visita all'Expo 1889 è invece un suo ironico brano teatrale, che narra di due sprovveduti contadini bretoni, giunti a Parigi per vedere l'Esposizione Universale e la Tour Eiffel. Concludono il volume un'intervista del 1910 e il carteggio dell'artista: le lettere a Jarry, Apollnaire, Soffici, Fénéon, ai galleristi Vollard e Brummer; le lettere d'amore; le commoventi lettere che invia dal carcere, dove è rinchiuso nel 1907 per una truffa finanziaria in cui resta incautamente coinvolto; le lettere che, spinto dalla fame, indirizza al presidente della Repubblica, a sindaci, ministri e direttori di accademia, perché acquistino una sua opera. Senza avere risposta. -
Diario
Nelle pagine qui raccolte, Pietro Annigoni (1910-1988) riferisce e commenta le vicende di una lunga fase della sua vita, dal 1946 al 1969. Da questi scritti prendono a vivere i luoghi, i personaggi e le situazioni che giorno dopo giorno hanno marcato un percorso fitto di incontri e di emozioni, di lavoro e di pause, di ricordi e di riflessioni, di viaggi e di soste. Perno di questo documento è dunque il suo viatico attraverso culture, paesaggi, tradizioni, mondi oltre i confini a lui noti, come anche i suoi contatti con varie personalità, dagli amici a prestigiose celebrità, rappresentate nei suoi famosi ritratti. Artista ""viandante"""", come ebbe lui stesso a definirsi, Annigoni sperimenta il viaggio come mezzo di conoscenza, di ispirazione e di approfondimento per la sua pittura, alimentando una passione radicata fin dalla giovinezza. Da questa narrazione multiforme, fatta di cronache e descrizioni, pensieri e parole, sogni e realtà, luoghi segreti e mete famose, emerge una visione diretta di Annigoni, un autoritratto cangiante che sa svelarci, oltre al temperamento e al mestiere dell'artista, le sue doti di scrittore. (Angela Sanna)"" -
Siena città della Vergine
"Il rapido sviluppo delle città attuali, dovuto alla tecnica moderna, ci ha fatto quasi dimenticare cosa sia una civitas nell'autentico senso della parola, cioè una città edificata a misura umana e ordinata secondo le esigenze spirituali della comunità. Siena ha mantenuto fino ad oggi un tale aspetto e un tale ordine. Non si tratta dell'ordine razionale proprio di certe città barocche; l'universo di Siena è multiforme, è corpo, anima, intelletto, come l'uomo. La bellezza di Siena non è il risultato di uno sviluppo casuale, """"naturale""""; la città è stata costruita con piena consapevolezza dai suoi abitanti che volevano l'unità, ma che nel contempo, da veri aristocratici, conservavano quel rispetto per la vita privata delle famiglie e delle classi sociali tipico del Medioevo. È stato giustamente detto che nell'Italia del Medioevo il grande capolavoro della comunità è la città, mentre nell'Europa del Nord, in Francia e in Germania, il gioiello da essa creato è la cattedrale gotica. Siena, fra tutte le città italiane, ha conservato più intatta la sua unità gotica; in nessun'altra città esiste una piazza come il Campo, con la sua incomparabile armonia di misure; nessun'altra città testimonia in modo così unitario lo stile aspro e insieme nobile di quell'epoca. La storia di Siena si svolge limpida come una storia sacra: dapprima la vittoria nel segno della fede, poi la sfrenata ebbrezza del potere, le discordie interne, la decadenza, e l'umiliazione estrema, preceduta da innumerevoli moniti.""""" -
Carteggio (1914-1951)
Rosai e Soffici si conoscono a Firenze nel dicembre 1913. Rosai ha diciotto anni e non è ancora Rosai. Dipinge visioni notturne, case incendiate che colano come cera, nudi insonni e perversi, un autoritratto da teppista col coltello fra i denti. Soffici ha trentaquattro anni ed è già Soffici. La sua vera formazione è avvenuta a Parigi, dove ha vissuto dal 1900 al 1907, comprendendo subito quello che bisogna comprendere. Per Rosai non è un incontro, ma una rivelazione, come scriverà anni dopo. Soffici diventa il suo maestro. Tra la fine del '13 e la fine del '14 si incontrano alle Giubbe Rosse. Ma Soffici abita al Poggio, non sempre può raggiungere Firenze e allora, quando alle tre di notte il caffè chiude, è Rosai che va a cercarlo, percorrendo i quindici chilometri che lo separano dal paese. La casa di Soffici, appartata, sembra la badia di un priore. Nella sua libreria il giovane ""teppista"""" trova tutta l'Europa, da Picasso, Braque, Matisse agli artisti che sente più vicini, come Cézanne e Rousseau. Vivissima e feconda lungo tutti gli anni venti, l'amicizia fra Soffici e Rosai si interrompe bruscamente agli inizi del decennio successivo, quando Rosai, dopo la sfortunata mostra tenuta a Milano alla Galleria del Milione nel 1930, incolpa del fallimento il maestro di un tempo e pubblica un livoroso pamphlet. Il dissidio fra i due si ricomporrà lentamente nei decenni successivi, ma la loro amicizia non rinascerà più."" -
Chardin
A ogni grande artista, secondo le aspirazioni del suo tempo, Jean-Baptiste Siméon Chardin (1699-1779) sa dare una parte di se stesso. Cézanne è sedotto dalla sua arte di perfetto costruttore, Vincent Van Gogh s'appassiona alla sua pennellata grassa, gli impressionisti sono affascinati dal suo approccio all'oggetto mediante l'osservazione diretta, i cubisti sono colpiti dalla sua forza artigianale, Henri Matisse viene conquistato dalla sua poesia, Giorgio Morandi ne ammira d magico silenzio, che ricrea nelle sue nature morte metafisiche. Ma la verità di Chardin va forse ricercata tra i poeti, gli amici delle nobili materie: Vermeer e Corot. E questa trilogia dei pittori del silenzio ha indubbiamente, soprattutto oggi in un'epoca di pittura-urto e di rapide emozioni, una sua funzione. Questi pittori hanno in comune almeno un'esigenza: bisogna fermarsi a lungo davanti alle loro opere per vederle vivere. Solo allora si anima quel mondo che sembrava morto. Catturata da quei frutti, da quegli oggetti, l'attenzione si attarda e scopre, al di là delle apparenze, l'aspetto sconosciuto del mondo che ci circonda. -
Dalí
"Quando, il 12 gennaio del 1963, la morte fermò, a Buenos Aires, la mano di Ramon Gómez de la Serna, lo scrittore stava lavorando a un libro su Salvador Dalí"""" scrive Sebastiano Grasso nella presentazione a questo funambolico ritratto di uno dei più grandi e scandalosi artisti del Novecento. """"I due spagnoli erano d'accordo. Una volta pronto, il testo sarebbe stato illustrato dal pittore"""". Dalí mantenne l'impegno, realizzando i disegni che presentiamo nella nostra edizione. Ma chi è realmente Salvador Dalí per Ramon Gómez de la Serna? """"È """"il figlio di una nuova specie"""" che, spesso, diventa un imputato da difendere"""" risponde Sebastiano Grasso. """"Ecco, allora, che l'avvocato Ramon scrive una lunga arringa. Convincente, umana, ricca di estro e di arguzia"""". E, per farlo, si pone sul suo stesso terreno, compete con l'artista, si riconosce in lui non senza compiacimento, gareggia con lui in stravaganze o, come dice, in """"manifestazioni serafiche"""". Dalí seppe fare della sua intera vita un capolavoro surrealista? Ramon non si tira indietro, e scrive di lui nel miglior stile surrealista, si fa """"giocoliere della parola"""", si produce in """"una raffica di lampi"""" per esaltare l'amico e se stesso. """"L'arte è una nuova maniera di farneticare,"""" dice, probabilmente pensando anche alla propria vita, giunta ormai alla fine, interamente consacrata alla scrittura """"vincendo la monotonia, sia come sia, purché in forma originale e riuscita""""." -
Le arti figurative e la natura
"Non è esistito forse nessun periodo in cui, più che nel romanticismo, attraverso l'estetica i motivi dell'esperienza artistica sono divenuti momenti della speculazione filosofica, e i momenti della speculazione filosofica momenti dell'esperienza artistica. Pensiero e arte agiscono e interagiscono continuamente l'uno sull'altra e tutti gli aspetti della vita spirituale cospirano a una profonda unità di cultura il cui centro, realmente vivente e operante, è costituito dalla filosofia. Via via che questa connessione fra arte e filosofia si fa più intima, l'estetica diviene sempre più ampia, sistematica e filosoficamente profonda, tendendo a divenire essa stessa il centro della filosofia: ciò proprio quando l'arte, intimamente fusa con la filosofia, diviene il centro di raccordo dei vari aspetti della cultura. Sull'orizzonte della cultura romantica passano vari valori spirituali: filosofia, morale, scienza della natura, arte, religione, poi di nuovo filosofia; e l'arte, tanto l'arte figurativa quanto, e soprattutto, la poesia e la prosa d'arte, si atteggia variamente in questi passaggi, acquista sempre nuove esperienze, finché alla fine è così piena, così matura e carica di significati culturali, che può per un momento dominare la scena a scapito della stessa filosofia. E questo è appunto il momento che, nel piano dell'estetica, ha avuto come massimo esponente Friedrich Schelling."""" (Dalla Postfazione di Giulio Preti)" -
Il movimento di Corrente
Il 1° gennaio 1938 Ernesto Treccani, appena diciottenne, fonda la rivista ""Vita Giovanile"""" (ribattezzata nell'ottobre 1938 """"Corrente di Vita Giovanile"""" e nel febbraio 1939 abbreviata in """"Corrente"""") intorno a cui si radunano alcuni giovani artisti, come Birolli, Migneco, Valenti, Cassinari, Guttuso, Sassu, Morlotti, Vedova e altri. Non formano un gruppo, ma sono accomunati da un espressionismo inizialmente lirico, poi sempre più drammatico, impostato soprattutto sul colore e la luce. Tra i loro maestri pongono Van Gogh, Ensor, Matisse, Picasso. A influenzarli è anche il pensiero di Antonio Banfi che, diffondendo in Italia la Lebensphilosophie di Simmel e la fenomenologia di Husserl, sviluppa un'estetica incentrata sulla vita dell'arte, che invita a esprimere i sentimenti, le passioni, i drammi dell'esistenza. """"Ciò che l'arte contemporanea cerca è la poeticità della nostra vita, di questa vita che è ancora in tumulto"""" scrive. La rivista è costretta a chiudere nel 1940, ma il movimento rimane in vita fino al 1943, raccogliendosi intorno all'omonima galleria e alle omonime edizioni. Il volume comprende i principali scritti degli artisti e dei critici di Corrente. Inoltre, attraverso un'indagine capillare, condotta sulle riviste dell'epoca e negli archivi, propone per la prima volta una cronologia analitica del movimento, scoprendo vari dati inediti e ricostruendo una trama di rapporti mai indagati con l'ambiente artistico del periodo."" -
Parafrasi della natura e altri scritti sull'arte
"Le parole dei grandi artisti, attraversando la stessa oscura zona che ha prodotto le opere, portano attaccati frammenti di poesia, come ad attraversare un terreno rigoglioso e intricato restano sui vestiti semi spinosi. Questo libro, nel quale si raccoglie quasi tutto ciò che Graham Sutherland ha scritto e molto di ciò che ha detto, va ad aggiungersi ora a quella lista; per l'emozione che provoca, l'intelligenza che vi circola e i frammenti di poesia che trasporta. In una delle sue pagine Sutherland stesso dice, con delicata modestia e ubbidendo alla solita reticenza, che un pittore non deve spiegare la propria opera, ma può solo 'fornire qualche utile informazione'. Mentre poi a ricomporre nella unità di un libro il mosaico, formatosi per lenta aggregazione lungo gli anni, dei suoi pensieri e delle sue immagini in parola, ci si accorge subito di trovarsi di fronte a un organismo molto più stratificato, costruito, ricco e completo che non sia un insieme di 'utili informazioni'. In esso infatti sono fornite le chiavi per interpretare molte opere e interi complessi tematici o periodi cronologicamente definiti; sono svelati rapporti; tracciate costellazioni di influenze; indicato un modo di lavoro; descritti scenari come depositi di forme che saranno la materia prima dell'opera; enunciata infine una originale teoria del processo artistico. Ma oltre questo, il libro offre il sapore di una limpida prosa, e un'ironia, una chiarezza intellettuale."""" (Dallo scritto di Roberto Tassi)" -
Scritti e conversazioni
"Come realizzare l'arte? Dalle masse, dal movimento, dagli spazi ricavati da quel che ci circonda, dall'universo. Da masse differenti, slanciate, gravi, intermedie, ottenute da variazioni di dimensione o di colore. Dalle direzioni - ovvero dai vettori che rappresentano il movimento, la rapidità, l'accelerazione, l'energia e così via - che generano angoli significativi e orientamenti, definendo assieme una o più risultanti. Dagli spazi e dai volumi, suggeriti da un'opposizione appena accennata alla loro massa se non trafitti dai vettori, attraversati in un impeto. Nessuno di questi elementi è determinato. Ognuno può muoversi, agitarsi, oscillare, avanzare e indietreggiare in un rapporto mutevole con ciascuno degli altri elementi di questo universo."""" (A. Calder)" -
Lettere e testimonianze
"Tra gli impressionisti Degas è certamente il più eretico. Amava Ingres e Velàzquez, il disegno e la copia dagli antichi. La natura, al contrario, lo stordiva, lo soffocava. Così, mentre i colleghi uscivano all'aria aperta per catturare le vibrazioni luminose, per fermare il tempo in una sequenza di attimi, per cogliere la mutevolezza delle cose, Degas preferiva aggirarsi nelle strade di Parigi, tra i tavolini dei bistrot, entrare nei salotti, sostare nei ridotti dei teatri o sui divani di un bordello, spiare nell'intimità delle loro stanze donne nude, indifese, colte nelle loro pose segrete, nei loro rituali quotidiani, inconsapevoli che un implacabile voyeur le sta osservando. Il pennello, la matita, il pastello di Degas tracciano così i contorni e le coordinate di un reale senza enfasi, perché per lui la vita, da sola, ha già dell'incredibile: 'Il vero realista non dissimula niente, ma pone ogni cosa al suo posto; classifica, a seconda del grado di interesse, gli elementi che concorrono alla sua composizione; stabilisce in questo modo una scelta, e, se questa scelta è giudiziosa, è stile'. Ed è questo bisogno di veridicità, questo perpetuo desiderio di penetrare la forza e la consistenza della materia, di cogliere la sequenza ritmica dei movimenti, che ha spinto Degas a modellare, anche con la creta e con la cera, le forme dei suoi cavalli, le sagome delle sue ballerine, le curve dei corpi delle sue donne. 'Ciò di cui ho bisogno è di esprimere la natura...'"""" (Lorella Giudici)" -
Gauguin nel suo ultimo scenario
"Questo scenario fu sontuoso e funerario, proprio come s'addiceva a una tale agonia. Fu splendido e triste, paradossale per qualche verso, e circonfuse con le giuste tonalità l'ultimo remoto atto d'una vita vagabonda illuminandola e decifrandola. Ma di riflesso la forte personalità di Gauguin illumina a sua volta il quadro prescelto - l'ultima elettiva dimora -, lo ricolma, lo anima, lo dilata; al punto che possiamo abbracciare in una stessa visione, con scientifica esattezza, il protagonista, le sue comparse indigene, il contesto decorativo.""""" -
Pollock painting. Ediz. illustrata
"La mia pittura non nasce sul cavalletto. Non tendo praticamente mai la tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla non tesa sul muro o per terra. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Mi sento più a mio agio se la tela è stesa sul pavimento. Mi sento più vicino, più parte del quadro: posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, essere letteralmente nel quadro. È un metodo simile a quello degli indiani del West che lavorano sulla sabbia. Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali del pittore come il cavalletto, la tavolozza, i pennelli... Preferisco la stecca, la spatola, il coltello e la pittura fluida che faccio sgocciolare, o un impasto grasso di sabbia, di vetro polverizzato e di altri materiali non pittorici. Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio. Solo dopo, in una sorta di """"presa di coscienza"""", vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di modificare, di distruggere l'immagine, perché un quadro ha una vita propria. Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato è caotico. Solo se c'è un'armonia totale, un rapporto naturale di dare e avere, il quadro riesce"""". Con fotografie e introduzione di Hans Namuth." -
Il problema dello stile nelle arti figurative e altri saggi
"Il fenomeno artistico, se dev'essere compreso veramente nella sua compiutezza e nella sua peculiarrtà, affaccia di necessità una duplice pretesa: da un lato di venir compreso nella sua condizionatezza, ossia di essere inserito nel nesso storico di causa ed effetto; dall'altro di essere compreso nella sua assolutezza, ossia di essere sottratto al nesso storico di causa ed effetto e di venir inteso, al di là della relatività storica, come una soluzione, estranea al tempo e al luogo, di un problema che è estraneo al tempo e al luogo. In ciò consiste la peculiare problematiea di qualsiasi indagine che rientri nelle scienze dello spirito, ma insieme la sua peculiare attrattiva: 'due debolezze' dice una volta Leonardo parlando degli archi in architettura 'insieme costituiscono una forza'""""." -
Tiziano
Nessun artista del Cinquecento ha acceso la fantasia di poeti, letterati e scrittori più di Tiziano. Intorno alla grande e longeva figura del maestro Veneto si sono cimentate le penne più brillanti e taglienti del secolo, ribaltando il rapporto di confronto tra poesia e pittura. I due scrittori che hanno visto Tiziano più da vicino sono due toscani, anzi due concittadini, entrambi di Arezzo: Pietro Aretino e Giorgio Vasari. Il sodalizio tra Tiziano e l'Aretino viene suggellato da un epistolario ricco di spunti: lo scrittore rivolge a Tiziano consigli, elogi, critiche e inviti alternando momenti di intimità personale con aperture panoramiche sull'Europa del Cinquecento. Dieci anni dopo la morte dell'Aretino, è la volta di Giorgio Vasari. In vista della seconda edizione delle ""Vite"""", l'artista e biografo toscano si reca a Venezia per raccogliere notizie aggiornate e impressioni di prima mano. La """"Vita"""" di Tiziano, frutto di un incontro avvenuto nel 1566 e della visita alla bottega del pittore, è una testimonianza fondamentale non solo per la documentazione diretta sulle opere, ma anche per il progressivo, radicale cambiamento di gusto da parte di Vasari: cresciuto nella devozione verso Michelangelo, difensore del """"primato del disegno"""" toscano, egli è prevenuto verso la scuola veneziana e l'uso del colore; ma a poco a poco, parlando di Tiziano si fa avvolgere dall'onda del colore, dal calore delle tonalità, e le iniziali riserve diventano un convinto, pieno e consapevole elogio."" -
La prospettiva come «forma simbolica». Ediz. illustrata
"Attraverso la trasposizione dell'oggettività artistica nel campo del fenomenico, la concezione prospettica sbarra ogni accesso per l'arte religiosa alla regione del magico, nel cui ambito l'opera stessa compie il miracolo, e nella regione del dogmatico e del simbolico, nel cui ambito l'opera testimonia, o preannuncia, il miracolo. Ma dischiude per essa una regione completamente nuova, la regione del visionario, nel cui ambito il miracolo diventa un'esperienza immediatamente vissuta dello spettatore, poiché gli eventi soprannaturali irrompono nello spazio visivo apparentemente naturale che gli è proprio e gli permettono così di 'penetrare' realmente la loro essenza soprannaturale; inoltre la concezione prospettica dischiude all'arte religiosa la regione dello psicologico nel senso più alto, nel cui ambito il miracolo avviene ormai nell'anima dell'uomo raffigurato nell'opera d'arte; non soltanto le grandi fantasmagorie del barocco - preparate in ultima analisi dalla Sistina di Raffaello, dall'Apocalisse di Dürer e dalla pala di Isenheim di Grünewald, anzi, se si vuole, già dall'affresco di San Giovanni a Patmos in Santa Croce a Firenze, opera di Giotto -, ma anche le tarde opere di Rembrandt non sarebbero state possibili senza la concezione prospettica dello spazio, la quale, trasformando la realtà in apparenza, sembra ridurre il divino a un mero contenuto della coscienza umana, ma insieme amplia la conoscenza umana..."""" Con uno scritto di Marisa Dalai Emiliani."