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L' elica e la luce. Le futuriste 1912-1944. Catalogo della mostra (Nuoro, 9 marzo-10 giugno 2018)
Le donne cambiano. Le donne-oggetto [...] illogiche, inconsistenti, irresponsabili [...] avvertono gli uomini che [...] esse stanno per acquistare [...] un metacentro astratto, inconquistabile [...] la coscienza di un libero «Io» immortale che non si dà a nulla e a nessuno Rosa Rosa («L'Italia Futurista», II, 27, 26 agosto 1917). ""L'indagine sulla questione femminile nell'ambito dei movimenti dell'avanguardia storica prosegue con questo nuovo e coraggioso progetto espositivo dedicato alle donne futuriste (...). Illustrare quanto le donne siano state una presenza creativa costante all'interno del movimento, soprattutto nella sua fase avanzata, emendandone così il frainteso maschilismo, e dimostrare come queste abbiano di fatto messo in pratica le premesse di interdisciplinarietà della ricostruzione futurista dell'universo, riuscendo a fondere le diverse vocazioni in una visione e in un'attività coerenti, sono stati, sino dall'inizio, gli obiettivi principali del nostro percorso di indagine, avviato più di due anni fa. Un percorso che - grazie alla lungimiranza del Museo MAN, che ha deciso di portare avanti la ricerca nonostante la fine del mio incarico come direttore artistico, e all'impegno di Raffaella Resch e Chiara Gatti, da subito coinvolte nel progetto - ha condotto alla creazione della più ampia mostra mai realizzata su questo argomento, con il maggior maggior numero di figure rappresentate e un'estensione capace di abbracciare l'intero territorio nazionale, che il futurismo aveva conquistato negli anni della sua massima affermazione, tra il 1912 e il 1944. Un progetto che può dirsi certamente frutto di un lavoro collettivo, sviluppato a stretto contatto con i diversi archivi del futurismo, sia pubblici sia privati, con gli eredi delle artiste coinvolte e con i tanti ricercatori che, generosamente, hanno messo a disposizione le proprie conoscenze, su tutti Luigi Cavadini, Massimo Duranti, Matteo Fochessati, Emanuele Panzera, Filippo Piazzoni, Anna Maria Ruta, Maurizio Scudiero, oltre a Giancarlo Carpi ed Enrico Bittoto, che hanno partecipato con uno scritto al catalogo della mostra, insieme a Lea Vergine ed Enrico Crispolti.(...)"""". (dall'Introduzione di Lorenzo Giusti)"" -
Il paesaggio veneto nel Rinascimento europeo. Linguaggi, rappresentazioni, scambi
Il volume raccoglie una serie di saggi sul fondamentale tenia del paesaggio veneto e della sua importanza nella più vasta dimensione del Rinascimento europeo, indagati attraverso approcci disciplinari diversi. Un tema che ha alle spalle una lunga tradizione di studi, e che è qui ripercorso nei suoi snodi emblematici, con una novità di approccio che tiene conto di aspetti storici, storico-artistici, letterari ed economici. A partire dalla riflessione sull'eredità del mondo antico e di qui sul recupero rinascimentale del termine paesaggio, i testi affrontano il fenomeno eminentemente veneziano della riscoperta della natura, e della sua rappresentazione, prima ancora della codificazione come genere che avverrà soltanto a fine Cinquecento. Sono protagonisti in questa parte del libro Giorgione, Tiziano giovane e Giulio Campagnola e i loro interlocutori in campo letterario: Pietro Bembo, Jacopo Sannazaro e Andrea Navagero. Negli anni centrali del secolo, a seguito della riconversione produttiva della terraferma, il paesaggio veneto muta significativamente aspetto, sia per l'introduzione di nuove colture e tecniche agricole, sia per la reinvenzione della villa ad opera di Andrea Palladio e dei pittori che collaborano alla decorazione. Al tempo stesso le reti mercantili e le nuove vie di traffico instauratesi tra Venezia e l'Europa generano flussi di opere d'arte e di informazioni sugli artefici che alimentano la fama del paesaggio veneto oltralpe, in particolare nella formulazione della pittura di Tiziano. -
Lupino mangia genuino. Ediz. a colori
Lupino è il protagonista di una nuova serie di libri illustrati per incoraggiare nei più piccoli il desiderio di crescita e autonomia, solleticandone la fantasia e dando loro fiducia. In questo secondo episodio, Lupino accompagna i piccoli lettori alla scoperta del cibo genuino, raccontando da dove viene e trovando in ogni alimento uno spunto per divertirsi con forme e colori, per stimolare così la curiosità per i diversi sapori e trasformare il rito della tavola in un gioco potenzialmente infinito. Età di lettura: da 3 anni. -
Lezioni di nuoto
Quando simboli e immagini abbondano così tanto, costellando la pagina o presentandosi uno dopo l'altro su di essa, senza insidia né artificio, si è portati a dire: com'è ovvio, com'è evidente. I simboli, dopo tutto, dovrebbero essere immobili e lievi come minuscole gocce di rugiada, e tuttavia brillare di un mondo di significati. -
Stamattina stasera troppo presto
Parigi, una vigilia. Un attore americano - bellissima moglie svedese, un figlio che saluta con «bonsoir» e un amico regista a cui deve il successo - sta per vivere la sua ultima serata in terra straniera. Si tratterebbe della fine di un esilio, della strada verso casa; ma non è così. Per un nero americano il momento del ritorno è sempre mancato. E stamattina stasera troppo presto, come l'ora di chi nasce espatriato. E una lunga e agitata notte di incubi. La nostalgia irrisolta di un uomo a cui hanno negato le radici. Col suo percorso biografico, negli otto blues della raccolta, James Baldwin rivive e dischiude momenti dell'intero spirito nero americano. Senza patria e senza padre nell'infanzia passata fra i vicoli e le scale antincendio di Harlem. Solo contro il peccato e la minaccia della pena di fronte ai sermoni e lo spettacolo estatico dei gospel. Disadattato e frustrato contro i pregiudizi dei razzisti, dei buonisti alla zio Tom, dei neri disillusi e abbandonati a loro stessi fra le strade e i punti esclamativi di Manhattan. Commosso sulle note di un fratello - di ogni fratello - che ha gettato la vita per inseguire Charlie Parker. Nella lotta per l'identità di una coscienza, quella nera, da sempre lacerata, la discesa fino all'inconscio appare come l'unica salvezza contro l'ossessione del colore e la paura per la propria vita. Così Baldwin si fa universale: bianco e nero, saggista e narratore, moralista e libertino. Scava nell'anima fino al peccato originale in cui è svelata, come un fuoco, la più gratuita delle brutalità dell'uomo contro il corpo dell'uomo. -
Oggetti solidi. Tutti i racconti e altre prose
Non c'è stato momento in cui la forma breve non abbia accompagnato il fiume narrativo di Virginia Woolf. Schizzi, immagini, prose da cui trarre un'intera poetica: in quel brusio dell'essere, tappeto armonico per l'intera opera della scrittrice, i racconti sembra abbiano fatto da accompagnamento ritmico. In parte pubblicati in vita, in parte postumi, oppure custoditi in un quaderno, oggi costituiscono il battito letterario di Oggetti solidi. Un libro della vita. Sia perché testimone di un'intera biografia, sia perché eloquente di uno sguardo e di un orecchio teso verso niente più, e nientemeno, che la vita stessa. Potrà sembrare astratto, ma è bene coglierne la solidità nascosta. La potenza dei moti d'animo, la forza delle passioni al di sotto di quel volo leggero che sembra planare sopra un chiacchiericcio troppo mondano, come nei racconti della «festa». Le escursioni in una lingua nuova, polifonica anche in seno alla coscienza, che non fatica a far sentire il suo peso. E poi ovunque la gioia, e il fardello, dell'immaginazione: animali che prendono vita su di un pezzo di stoffa, case stregate o piene di tesori sorvegliati da pappagalli, diari colmi di confessioni inascoltate, pensieri racchiusi in uno stagno e la creazione, fra i tanti, di personaggi come Mrs Dalloway e Mrs Ramsay. Raccolti in un'edizione impreziosita dalla curatela di Liliana Rampello, ognuno di questi oggetti ricompone tutta la complessità di un respiro libero, sottile e colmo di ironia, in un rinnovato classico della narrativa breve e non solo. -
Birra scura e cipolle dolci
«Leggere Cheever mi fa sentire come se facessi parte di un mondo d’improvviso interessante, di un paradiso, o perlomeno di un mondo che paradiso lo è stato o potrebbe esserlo.» - John Updikern«Cheever è il Cechov dei sobborghi» - Elmore Leonardrn«Chi conosce e ama i racconti di Cheever conosce il fascino della stringatezza, l’incanto della sospensione. Una sobrietà che deplora svolte melodrammatiche, e si comprime in una feroce essenzialità. C’è un’intensità quasi insostenibile in ogni riga di Cheever. Un’intensità che potrebbe essere la causa della sua sofferenza privata e del suo pubblico successo.» - Alessandro PipernornrnrnrnJohn Cheever scrive questi racconti tra i venti e i trent'anni. Sono short stories imbevute di idealismo e della sua necessaria scia di disillusione, giovanili eppure di uno scrittore già formidabile e formato, da principio pubblicate su riviste di sinistra con tirature risibili e poi via via su magazine sempre più alla moda come Cosmopolitan e Collier's. Non siamo ancora alle cronache minute di ciò che succede dietro i prati perfettamente falciati e le staccionate imbiancate di fresco, ma tra commessi viaggiatori al tramonto dei loro giorni di gloria e marxisti puritani che osservano gli altri bere e divertirsi mentre loro immaginano un'umanità nuova. Parteggiamo per la rivincita di una spogliarellista in là con gli anni e subito dopo assistiamo agli innumerevoli piccoli fallimenti di giocatori d'azzardo sempre alla ricerca di un'ultima opportunità, di un cavallo finalmente vincente e di una felicità mai raggiunta e sempre inseguita con la pervicacia di un baio adombrato. È l'onda lunga della Grande depressione post '29, un'America che va imparando il sapore della nostalgia per un'era mai vissuta e un'innocenza tutta da perdere. Cheever accarezza grazia e peccato, muovendosi tra case sfitte, inquilini che non pagano la pigione e torchi fermi da troppe stagioni. E così incontriamo zingari ubriaconi travestiti da pellerossa e cameriere disposte a ogni sgambetto pur di tenersi strette lavoro e dignità. Incontri che, come sostiene Christian Raimo nell'introduzione, ci ricordano perché vale la pena leggere. -
Dal tuo terrazzo si vede casa mia
Candidato al Premio Strega 2018rn«Avevo storie in testa e ho incominciato a scriverle, in italiano, lingua in cui avevo iniziato a leggere» - Elvis MalajrnFra due case che si vedono l'un l'altra potrebbe esserci una strada. Lastricata e sicura, a volte, ma più spesso tortuosa, o liquida come il mare fra l'Italia e l'Albania. La via fra le sue onde è faticosa come una lingua da imparare, andando e tornando, pensando una cosa e dicendone un'altra. Ma non sono soltanto le parole a mutare, ad assumere nuovi significati in questo relato sono i fatti stessi e le persone che troviamo sul cammino. Sempre a metà del guado, Elvis Malaj ci restituisce qualche tappa di questo percorso: due mondi, due lingue, fra noi e loro, me e te. Declinazioni dell'inadeguatezza - per forza di cose - poiché a camminare in cima al bordo si finisce per barcollare, e non corrispondere ad alcuna definizione. E così una prima volta non sarà mai abbastanza bella, o abbastanza prima, un approccio mai abbastanza azzeccato, una battuta mai capita fino in fondo, e una metafora? O troppo astratta o presa troppo alla lettera. E qualche volta, per evitare il confronto, si chiederà scusa e si scapperà via approfittando di un incidente; oppure si preferirà il silenzio sin da subito e l'incidente lo si andrà a cercare. Si indosserà una maschera per diventare le persone che vogliamo. Perché il confine, sfumando, è tra finzione e realtà. ""Dal tuo terrazzo si vede casa mia"""" è l'invito a venire dall'altra parte, a scendere di casa e passare per quella strada. Un'istanza di condivisione e meticciato, di sguardo altro, di cui sentiamo il richiamo."" -
Fantasie di stupro
Ma si può avere una fantasia di stupro? Quattro colleghe giocano a carte durante la pausa pranzo e conversano sull'ossessione delle riviste rosa per un certo tipo di fantasie, quelle che prevedono l'irrompere in casa di uno sconosciuto fascinoso ma violento. Mentre le due bionde, una receptionist e un'archivista, ammantano di romanticismo questa fantasticheria tutt'altro che innocua e Sondra tace perché forse qualcosa da dire lo avrebbe, Estelle confessa i suoi sogni, quelli in cui si serve soltanto dell'ironia per dissuadere gli stupratori goffi, maldestri e profondamente umani che la molestano. «Nelle mie fantasie finisce sempre che mi dispiace per lui, insomma, dev'esserci qualcosa che non va in loro.» La vittima considera a loro volta vittime i carnefici, del resto «come potrebbe un uomo fare una cosa del genere a una persona con cui ha appena chiacchierato a lungo, una volta che capisce che anche lei è un essere umano, che anche lei ha una vita, non riesco a immaginare come possano andare fino in fondo, sai? Insomma, so che succede ma non lo capisco, questa è la parte che proprio non riesco a capire». -
Novelle disincantate
Nel 1990 le Novelle disincantate vinsero il premio Goncourt dedicato al racconto salvo poi sparire dalla scena internazionale, mai pubblicate in Italia. rn«Pescivendoli inventori. Maghi della pioggia ansiosi di vendetta sui meteorologi. Amate Perec e il teatro dell'assurdo? Accomodatevi: Jacques Bens è il folle che fa per voi» - Gaia Manzini, RobinsonrnPer Jacques Bens – fra i fondatori storici della celebre Oulipo, l’officina di letteratura potenziale di Perec e Queneau – si trattava quasi di un riconoscimento alla carriera, prima di morire a soli settant’anni dieci anni più tardi. Le novelle del resto sembrano il contraltare breve dei più famosi romanzi oulipensi: medesima leggerezza, ironia e vena di romanticismo concentrati in racconto. Eppure per vocazione pseudoscientifica si avvicinano più alle elucubrazioni di Jarry, o alle scienze inesatte dei Figli del limo. Gli inventori del moto perpetuo sono non a caso dei pescivendoli, a usufruire delle macchine del tempo sono musicisti impacciati con le donne, chi sa come far piovere a comando viene lasciato dalla moglie proprio per il meteorologo. È questa la cifra ironica di Bens. Scienziati impacciati, maghi che non chiedono troppo alla vita, maestri che per spiegare come si scrive un racconto finiscono per scriverselo addosso. -
A casa quando è buio
Chissà che non siano le stesse ordalie dell'autore, quelle di un disperato che barricato dentro una cabina telefonica cerca qualcuno a caso a cui poter raccontare una storia, la sua, fatta di una moglie stanca di topi, pappa d'avena e appartamenti fatiscenti. rnrn«I racconti di questo libro, uno più bello dell'altro, sono quasi sempre confronti, dialoghi a due in cui si svela lentamente, con grande sapienza, tutto quello che c'è intorno: personaggi, ambienti, situazioni emergono in modo nitido eppure fuggevole, chiaro e insieme distorto» - Marco Rossari, DrnrnJames Purdy del resto ha faticato a incontrare il gusto del grande pubblico e il suo seguito è sempre stato costituito da un manipolo di devoti ben nascosti. Fuori da tutti i giri e alieno alle mode letterarie, come scrive Giordano Tedoldi nella postfazione a questo libro, Purdy non ha fatto parte nemmeno di una controcultura; piuttosto è sempre e"" stato contro la cultura stessa. I racconti contenuti in """"A casa quando è buio"""" sembrano confermare questa sua tensione verso un'aporia finale, una continua evocazione di spettri e assenze attraverso la parola e il simbolo. La scrittura di Purdy è cava, i suoi sono sempre incontri mancati e su di essi aleggia incombente un senso di minaccia. Dialoghi platonici irti di """"non sequitur"""" che indagano il baratro, il cuore oscuro dell'uomo, la sua vulnerabilità, e i desideri che si agitano sotto maniere e abiti inappuntabili. Non sappiamo se sia Mr Diehl, oscenamente bagnato come un tritone, a impartire una lezione alla povera Polly, ma leggendo la storia di questo alterco a bordo piscina la nostra quiete è incrinata. Quando due amici discettano a pranzo di un collega culturista il realismo borghese è solo apparente e il quotidiano sconfina nell'onirico. Un attraversamento che diventa definitivo nell'ultima storia di questa raccolta, un sermone all'umanità firmato da Lui in persona."" -
La felicita è come l'acqua
L'acqua non disseta e non bagna, piuttosto si disperde in rivoli fra le mani; è la felicità, passeggera e per questo preziosa, raccontata nelle moderne fiabe africane di Chinelo Okparanta. Leggendo le sue storie cí immergiamo, accompagnati da una lingua lirica e una cadenza folclorica, in un nuovo mondo sorretto da parole antiche, ascoltate di sottecchi mentre si cucina un riso jollof, tuonate da pulpiti, o peggio ancora mai pronunciate e sepolte in un quotidiano limaccioso e misterico, riaffiorando in superficie, annaspando per trovare l'aria. Una società rigidamente patriarcale in cui le donne sono disposte a tutto pur di sbiancarsi la pelle nel tentativo impossibile di assomigliare alle modelle lattiginose di Cosmopolitan, oppure vengono ripudiate dai mariti ed etichettate come mgbaliga, «botti vuote», quando non riescono a fare figli. Un mondo ancestrale di pozioni sciamaniche che danno la morte e di una nuova ricchezza che avvelena i pozzi e i parchi gioco. ""La felicità è come l'acqua"""" è anche una controstoria orale in cui la Shell e le perdite di greggio nel delta del Niger possono essere il salvacondotto per raggiungere un amore lontano, una donna che vive negli Stati Uniti tanto idealizzati. Eppure la Nigeria, impersonata da un padre manesco, è capace di inseguire una bambina e sua madre fin nella sofisticata Boston, dentro gli alloggi universitari in cui convivono africani, caraibici e indiani, tutti muniti di un prezioso visto di studio che vale bene qualche livido e occhio nero."" -
La mia guerra segreta
Quando Robert Culper, uno spacciatore di mezza tacca, viene prelevato da misteriosi agenti federali e si ritrova a Guantànamo, torturato da musica death metal e deprivazioni sensoriali solo per essersi lasciato andare a commenti spregiativi postcoitali durante il crollo delle Torri gemelle, non sa ancora che la sua vita sta per cambiare per sempre. La guerra che ha combattuto tutta una vita - un conflitto a bassa intensità contro una normalità strisciante, i vialetti con l'auto parcheggiata e il prato ben rasato - sta per essere persa una volta e per tutte. Philip Ó Ceallaigh torna a scrivere di uomini stanchi di essere cinici, solitari sbriciolati di ogni certezza che percorrono le strade brulicanti del Cairo o i disabitati boschi transilvani armati solo di scarponi e del desiderio di trovare un angolo di mondo dove non essere più raggiunti. Il racconto è la speciale forma di questo viaggio, una forma di esplorazione del reale e delle sue estensioni, condotta con mano sicura da chi è a suo agio sia nella satira del romanzo sapienziale à la Coelho sia in un tour de force letterario ambientato tra i signori della guerra georgiani. Il consiglio è di infilare il vostro paio di scarponi più resistenti e seguire le tracce dello scrittore irlandese. -
Come in una tomba
Fresco di Vietnam, sfregiato in modo orrendo, Garnet Montrose fa ritorno alla sua cittadina d'origine in Virginia e diventa immediatamente un paria. Schifato dai suoi amici per il suo aspetto, ma tutt'altro che scoraggiato, decide di riprendere il corteggiamento della sua antica fiamma dei tempi del liceo, la vedova Rance. rn«C’è sempre un momento in cui il lettore forte scopre James Purdy.» - Vanni Santoni, La Letturarn«Feroce e semplice, visionario e realistico: riesce a bilanciarerndue pulsioni narrative inconciliabili in apologhi crudeli, meravigliosi. Ha scritto Jonathan Franzen che dove gli scrittori come lui e Bellow si fermavano, lì cominciava James Purdy. Ecco, cominciate anche voi.» - Marco Rossari, D La Repubblicarnrn«È bello perdersi nelle inquietudini di uno dei più sottovalutati autori contemporanei, capace di ignorare non solo la cultura ma anche la controcultura statunitense.» - Lorenzo Mazzoni, Il Fatto QuotidianornGarnet Montrose ritorna sfregiato dal Vietnam alla sua cittadina d’origine in Virginia e diventa immediatamente un paria. Schifato dai suoi amici per il suo aspetto ma tutt’altro che scoraggiato, non demorde e riprende il corteggiamento della sua antica fiamma dei tempi del liceo, la vedova Rance. L’unico a rimanergli accanto è un altro sbandato, un ragazzino bellissimo ma sdentato, tale Potter Daventry, che ha assunto come suo tuttofare: legge per lui, consegna le sue lettere d’amore alla vedova Rance, gli lava i piedi come fosse un dio. Sia Garnet che la vedova finiranno per essere irretiti da questo strano e perturbante ragazzo. -
La casa della fame
Continuamente trasfigurati da un'incredibile cantilena di metafore, iconizzati in un particolarissimo espressionismo delle immagini, si aprono invece i trascorsi di un'intera esistenza, e forse di più: le vicende politiche di uno studente sacrificato all'identità africana, la dissoluzione di una famiglia, pestaggi, i ricordi d'infanzia, le disavventure sessuali, la storia della Rhodesia, le elucubrazioni artistiche di un intellettuale formato nel bozzolo di una cultura bianca da cui viene fatalmente attratto e disgustato, e poi i sogni, gli ideali e soprattutto gli incubi di un vagabondo sconfitto dalla nascita.rn«È un intreccio di racconti in cui l'autore, cresciuto in una famiglia povera, ha trasfigurato con un linguaggio unico la sua avventura intellettuale e umana breve e tragica» - RobinsonrnAl crepuscolo degli anni '70, uno spettro nell'imbalsamato ambiente letterario di Oxford, Dambudzo Marechera gettava sul foglio alcune righe che lo avrebbero reso di lì a poco una celebrità e una meteora. ""Presi le mie cose e me ne andai"""", così rimbombava l'incipit di quel testo: una sentenza drammaticamente segnata dall'ironia di una dipartita incombente e inevitabile, dall'Inghilterra e poi dal mondo, come ultima tappa di un processo autodistruttivo in cui per ogni eccesso della mente era il corpo a incassare. L'origine di quel vortice soffocante è custodito nella """"Casa della fame"""", un classico svanito nel tempo. Come tempestato da una pioggia di pensieri, in questa novella infinita, lo scrittore protagonista si immerge e riemerge, piomba e si inabissa, in una memoria spontanea che vivifica e scuote l'impellente decisione di andare. Ma via da dove e verso dove non sarà mai chiaro."" -
Lot
Riconosciuto da innumerevoli premi come uno degli esordi più interessanti dell'anno, Lot rivela un talento del tutto singolare, con uno stile anch'esso a metà; fra la veracità di una prosa rapida, fradicia di melting pot e street knowledge, e la poeticità propria di certi orizzonti oleosi, di certe insicurezze sessuali e di alcuni, rari e centellinati, momenti catartici.rn«Una magnifica raccolta di racconti autoconclusivi eppure legati tutti da un filo, come in un romanzo più ampio che guarda dentro le finestre di un condominio di periferia, dentro vite che popolano la stessa topografia» - Francesca Pellas, Il FogliornrnAttorno a Downtown, dove i grattacieli delle compagnie petrolifere riflettono come prismi la luce del sole texano, la vera Houston è una distesa di parchi malmessi, immensi quartieri popolari, parcheggi, club, lavanderie a gettoni, superstrade e sottopassaggi. Qui la vita è nascosta e multiforme, colorata dai volti degli immigrati e da quelli dei loro figli, ma anche segnata da un certo tipo di destino, da possibilità lasciate per strada, dalla lottizzazione delle abitazioni e delle esistenze. È questo l'eco di significati riverberato da Lot. Fra i quartieri e gli incroci di questa Houston tentacolare, Bryan Washington concepisce un'opera a metà fra due forme letterarie. Da una parte il racconto, l'istante in cui ognuna di queste vite assume il proprio significato, il pettegolezzo delle viejas davanti alle loro shotgun house: cugine ex-prostitute che leggono Calvino per dimenticare un aborto, chupacabra alla deriva, squadre di baseball queer che improvvisano una partita dopo le devastazioni dell'ennesimo uragano. Dall'altra il romanzo, la spina dorsale di tutta la raccolta, che sembra canalizzare i sospiri di una città e dei suoi milioni di disperati: la lunga parabola di un protagonista senza nome che cresce fra l'assenza della sorella, la fuga del padre e le scelte violente del fratello maggiore, facendo i conti sia con la propria omosessualità sia con la propria complicata e immobile patria aliena, per una sorta di doppia e quasi impossibile emancipazione. -
L' uovo di Barbablù
Una raccolta di racconti che vanno dal tragico al brillante, dall'ironico al sentimentale.rn«12 storie ordinarie e spiazzanti, ambientate a Toronto o nella foresta canadese, in cui la scrittrice indaga le relazioni sentimentali, il rapporto con la natura o i frammenti della sua memoria con lo stile affilato che la caratterizza» - Cristina Taglietti, La LetturarnMargaret Atwood è ormai universalmente nota per la serie televisiva tratta da Il racconto dell'ancella, ma sono in molti a ritenere che la scrittrice canadese abbia dato il meglio di sé nei racconti. In L'uovo di Barbablù la ritroviamo intenta a sgretolare il guscio protettivo che avvolge le vite di coppia delle donne, siano ceramiste con la pessima abitudine di innamorarsi di poeti o solo ragazze troppo semplici per essere al riparo da un marito fedifrago. -
Le mele d'oro
Le mele d'oro è il capolavoro che consacra Eudora Welty - premio Pulitzer nel 1973 - maestra indiscussa della forma breve: una raccolta in cui ogni racconto è legato all'altro dal destino, unico, degli abitanti della fittizia città di Morgana.rn«Se ne parla poco, forse, perché i racconti seducono meno i lettori. Invece è bello entrare in un mondo e restarci per poco» - Marco Rossari, D, Repubblicarn Nel Sud degli Stati Uniti ogni vita è intrecciata all'altra, i protagonisti si ritrovano e riscoprono di racconto in racconto ogni volta con un senso e una prospettiva diversi. Questa raccolta vicina al romanzo è un capolavoro strutturale in cui il pettegolezzo si mischia al lirismo purissimo e alla descrizione più minuziosa, in un microcosmo dove ogni tragedia - mariti che abbandonano le mogli, maestre di piano che diventano pazze, bambine che rischiano di affogare - viene risolta da un'epifania di tenerezza del tutto imprevedibile un solo momento prima. Mai come qui, al suo massimo splendore, Eudora Welty si accosta per libertà e agilità alla penna della sua adorata e indiscussa maestra Virginia Woolf. -
Cose impossibili di tutti i tipi
«Sono racconti sull'arte di lasciare, tornare e rimanere, resi con una scrittura estremamente asciutta e lineare, che dimostrano lo straordinario talento di McGahem nel saper tratteggiare, in poche pagine, personaggi estremamente complessi evocano al tempo stesso esperienza, vicende, emozioni» - Riccardo Michelucci, AvvenireÈ stato per molti critici il Cechov irlandese, per la sua abilità nel tratteggiare la dura vita rurale in racconti illuminati da una grazia cupa. D'altra parte, alla penna aveva sempre alternato il lavoro in cantiere e la zappa nella sua fattoria. Autore pluripremiato e considerato tra i grandi di sempre nella terra di Joyce e Beckett, in Italia sono stati pubblicati tre dei suoi romanzi: ""Il pornografo"""" e """"Moran tra le donne"""" (Einaudi), e """"The Dark"""" (minimum fax), bandito dalla censura nell'allora bigotta Irlanda. I racconti di McGahern erano finora inediti nel nostro paese."" -
Immagina di baciare Pete. Prediche e acqua minerale
Pete McCrea e Bobbie Hammersmith sono una coppia borghese mal assortita e infelicemente sposata che fra un tradimento e l'altro vedrà prima precipitare le proprie sorti nelle gerarchie sociali, all'indomani della crisi del 1929, e poi infine trovare un'insperata felicità grazie al figlio Angus. Malgrado le infedeltà e lo sgretolarsi delle certezze economiche, osserviamo marito e moglie invischiarsi in un'unione di una lealtà commovente, guidati dalla penna sicura e dall'orecchio per il cicaleccio americano di John O'Hara. Pubblicato inizialmente sul New Yorker, è il secondo capitolo di una trilogia che ha per centro la città inventata di Gibbsville e per protagonista il doppio dell'autore, Jim Malloy, uno scrittoruncolo di mezza tacca con un grande occhio per le differenze di classe e di razza della società americana.