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La ragazza di Marsiglia
La storia straordinaria di un'oscurata protagonista del Risorgimento, l'unica donna che s'imbarcò alla volta della Sicilia tra i Mille garibaldini. Di Rosalia Montmasson si trova solo un ritratto nell'Album fotografico dei partecipanti all'impresa e pochissime altre tracce nelle carte dell'epoca. Ma Rose fu per vent'anni moglie di Francesco Crispi, al suo fianco, senza timori e riserve, cospiratrice e patriota al servizio della causa mazziniana e da Mazzini stesso molto stimata. Dopo l'Unità e la svolta monarchica di Crispi si accentuarono i contrasti tra i due. La ragazza incontrata a Marsiglia diventò solo un ostacolo per lui che, da potente ministro, riuscì a farsi annullare il matrimonio. Da quel momento, Rosalia Montmasson fu fatta sparire dalla vita di Crispi e dalla memoria collettiva; a lei Maria Attanasio restituisce voce e identità, ripercorrendo i luoghi, scavando tra cronache e documenti, appassionandosi alla vita di questa donna dal temperamento straordinario, ribelle a ogni condizionamento e sudditanza. E ce la racconta in un romanzo sulla libertà di pensiero, che è quasi una storia al femminile sul processo unitario italiano. -
La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigàta
Questo volume comprende i racconti inediti ""La prova"""" e """"La guerra privata di Samuele, detto Leli"""". Le altre storie sono state pubblicate in tempi diversi: """"L'uomo è forte"""" in Articolo 1. """"Racconti sul lavoro"""", Sellerio, 2009; """"I quattro Natali di Tridicino"""" in Storie di Natale, Sellerio, 2016; """"La tripla vita di Michele Sparacino"""" in allegato al «Corriere della Sera», 2008 e Rizzoli, 2009; """"La targa"""" in allegato al «Corriere della Sera», 2011 e Rizzoli, 2015. Una rete di storie, ovvero una proliferazione di intrecci sorprendenti, è questo libro di racconti. La consueta concentrazione espressiva, la scrittura scenica di geniale lucidità, e il talento umoristico, consentono a Camilleri di tradurre con spigliatezza il ludico nel satirico, facendo giocare il tragico con il comico: senza però escludere momenti d'incanti emotivi, come nel racconto """"I quattro Natali di Tridicino"""". La raccolta si apre con una «commedia» di equivoci e tradimenti, dai guizzi sornionamente maliziosi. Si chiude con un racconto di mare di potente nervatura verghiana, calato in un mondo soffuso di antica e dolorosa saggezza: «La vita è come la risacca: un jorno porta a riva un filo d'alga e il jorno appresso se lo ripiglia. [...] Ora che aviva portato 'sto gran rigalo, cosa si sarebbi ripigliata in cangio l'onda di risacca?». Nella montatura centrale, tra varie coloriture sarcastiche, si ingaglioffa nell'abnorme e nell'irragionevole. Ora è la vita da cane di un poveruomo, che si araldizza nel gesto finale, nella desolazione estrema di una autoironia catartica sorvegliata dalla moglie: «C'è luna piena, fa 'na luci che pare jorno. E allura vidi a sò marito, 'n mezzo allo spiazzo, mittuto a quattro zampi, che abbaia alla luna. Come un cani. """"Sfogati, marito mè, sfogati"""" pensa. E torna a corcarisi». Ora è la stolidità ilarotragica del fascismo, in due episodi: sull'impostura di un falso eroe patriottico, al quale non si sa come dedicare una targa di pelosa commemorazione; e sulla discriminazione razziale, in un ginnasio, nei confronti di uno studente ebreo che sa però come boicottare e sbeffeggiare, fino alla allegra e fracassosa rivalsa, la persecuzione quotidiana di professori istupiditi dal regime. Si arriva al grottesco di un eccesso di esistenza. All'ignaro Michele Sparacino vengono cucite addosso più vite fasulle. I giornali lo raccontano come «sovversivo», «sobillatore», «agitatore» e infine «disfattista» durante la guerra. È sempre «scangiato per un altro». Ed è ricercato da tutte le autorità. Il vero Michele Sparacino morirà al fronte. Gli verrà dedicata, con tanti onori, una tomba monumentale al milite ignoto. E verrà «scangiato» anche da morto. Un giornalista scriverà infatti: «Avremmo voluto avere oggi davanti a noi i traditori, i vili, i rinnegati, i disertori come Michele Sparacino, per costringerli a inginocchiarsi davanti al sacro sacello...»."" -
Scusate la polvere
Questa nuova edizione di Scusate la polvere - memoria di un'infanzia aristocratica nel paese madonita di Petralia Sottana, raccontata avendo la cura di riportare tutta l'atmosfera di una fiaba vera -, è arricchita dall'aggiunta di venti brevissimi racconti finora inediti, come flash che ridestano benevoli fantasmi di un passato amato. «Alla penultima curva dopo l'abbeveratoio, quando il paese, il lilium, si schiudeva ai nostri occhi e appariva a farci battere il cuore, messaggio di luce, d'estate, di suoni e di balli, di tempo di raccolto e di benessere, mio padre, immancabilmente, ogni anno, sgranava gli stessi versi e quella sorta di aulicità che le parole del Tasso conferivano al paese appollaiato a mezza costa mi gonfiava il petto di orgoglio. Stava lì la grossa gallina accovacciata sul fianco della montagna, goffa eppure boriosa, con quella sua cresta di gallo poggiata sulla testa: la grande cattedrale che, altera sulla valle, si guardava intorno. ""Ecco apparir Gerusalem si vede..."""". """"Che grevianza 'sto discorso di Gerusalemme"""" commentava mia madre. Intanto, abbordavamo la salita detta """"del pastificio"""", per il grosso fabbricato, che, come un cane molosso, stava a guardia del passo. Mio fratello, considerato dalla famiglia un grande pilota, era al volante dell'Alfa»."" -
Cinque blues per la banda Monterossi
Carlo Monterossi, il protagonista di questi racconti e dei romanzi di Alessandro Robecchi, è una figura di detective del tutto atipica. Suo punto di partenza è sempre stato «guardare nelle vite degli altri». Pubblicare a dieci anni dall'esordio in un unico volume i racconti sparsi, già comparsi nelle diverse antologie gialle di Sellerio, serve - spiega Robecchi nel testo che li introduce - «a fare il punto sull'evoluzione dei personaggi», a comprenderli a tutto tondo. E infatti si va da un Monterossi quasi naïf del primo racconto, che si fa aiutare da un professionista misterioso come Oscar Falcone, fino a un'agenzia investigativa dell'ultimo, aperta in società con Agatina Cirrielli, ex poliziotta risoluta e sbrigativa già incontrata negli ultimi romanzi della serie. Ma lui, lungo tutto questo arco di tempo, è sempre più riluttante, quasi preda delle diverse storie: una truffa a suo danno e la contro beffa, il rapimento di un chihuahua che chissà cosa nasconde, l'etica di due killer, cartoline di significato misterioso su un interno di famiglia miliardaria, la ricerca affannosa del più sfortunato degli eredi di una fortuna industriale. Perché la cifra di Monterossi è il dubbio: dubita del comodo lavoro di produttore di programmi televisivi di grande successo commerciale, che lui giudica spazzatura, ma dubita anche della sincerità del suo disprezzo per il mondo da cui succhia tanto denaro. Così affronta la sua scettica parte sia tra le belle donne il cui fascino è cesellato da generazioni di privilegi, sia nei bilocali con soggiorno-cucina di chi sa sulla propria pelle che «il merito è sempre il merito dei già meritati». E tutto questo, senza rinunciare al whisky più costoso, all'automobile più silenziosa, all'appartamento più elegante, nutrendo una preferenza per chi riesce a vivere da sfigato. O forse è invidia. Alessandro Robecchi racconta una Milano nera ma «fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i soldi», in modo un po' cinico e sarcastico, ma soprattutto pietoso. -
La paura di Montalbano
Camilleri è un maestro del racconto. Si presta sia alla misura minima della novella che a quella del romanzo breve. E, nella raccolta La paura di Montalbano (uscita in prima edizione, per Mondadori, nel 2002), alterna «ritmi» brevi e «ritmi» lunghi. Concerta il tutto nella forma compattamente ritmica di un libro di grande felicità narrativa e di sicuro diletto. Fa da preludio Giorno di febbre. Vi abita un Montalbano febbricitante, impegnato nella vana ricerca di un termometro. È quasi una comica. Eppure il commissario, che assiste a uno scippo e al ferimento di una bambina, ha modo di fiutare, nel segreto di un barbone che si prodiga a dare soccorso, l'inabissamento di un giallo. La ricerca investigativa irrompe nel romanzo breve Ferito a morte. Montalbano si incarica di dare di sé un ritratto a contrasto, un attestato di esistenza in vita in qualità di personaggio nel ruolo di sbirro: lui «è» in quanto esistono i delinquenti. Un colpo di pistola ha ucciso, nudo nel suo letto, uno spurcissimo strozzino, che tiene in casa come serva una nipote diciottenne e ha come esattore un pregiudicato. Entra in scena un altro morto ammazzato. Si tratta del fattorino Dindò, personaggio di lunare innocenza. Per risolvere il caso, Montalbano si atteggia a regista cinematografico. Prova e riprova sul set le ricostruzioni possibili. Si insinua veloce, nella trama del libro, Un cappello pieno di pioggia. Ed è un imprevedibile cappello, quello del titolo, che consente allo sbigottito Montalbano, in trasferta a Roma, di favorire la cattura di uno spacciatore. Il quarto segreto vede in azione un Montalbano inedito che segretamente collabora con i carabinieri; e, senza la sua squadra, ma con l'aiuto esclusivo di un Catarella «affelicitato», porta a termine l'indagine sulla morte di un misterioso muratore e sulle attività di un costruttore mafioso. Segue, con La paura di Montalbano, l'ultimo «movimento» corto. Nella luminosità gelida di una passeggiata in montagna, accade a Montalbano di salvare una donna sospesa su uno «sbalanco». E di rispondere mentalmente alla provocazione di Livia, che lo accusa di non spingersi oltre le «prove» nelle sue investigazioni, proibendosi di scendere negli «abissi dell'animo». Montalbano confessa di avere «scanto». Sapeva che, «raggiunto il fondo di uno qualsiasi di questi strapiombi, ci avrebbe immancabilmente trovato uno specchio». Conclude il libro Meglio lo scuro. Dapprima Montalbano è riluttante. Non vuole affrontare il caso. Gli sembra di dover entrare in un romanzo d'appendice da smorfiare in romanzo poliziesco. C'è una confessione in punto di morte: un veleno che non è veleno; un omicidio che non è omicidio. La storia è datata 1950. Le persone implicate sono già morte, o prossime a morire. Alla fine il commissario non si sottrae. Purtroppo la verità che scopre è diventata superflua. Anzi, la sua «luce» può risultare inutilmente ustionante. -
Il pozzo delle bambole
Nina viene abbandonata in un orfanotrofio nell'immediato dopoguerra. Le suore fanno la cresta sul vitto e le elemosine, il confine fra disciplina e oppressione è molto sottile e le punizioni corporali e psicologiche sono parte integrante del sistema di educazione. Quando Nina compie sette anni, arriva Lucia, che ha la sua età e non possiede la scorza necessaria per salvarsi dall'insensata cattiveria delle monache. Nina si sente in dovere di difenderla. Insieme all'amicizia, scopre la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, mentre cresce in lei il senso di esclusione. Oltre le mura dell'istituto c'è un mondo al quale loro non hanno accesso e dove accadono fatti clamorosi - la nascita della televisione, il discorso rivoluzionario di un reverendo nero, l'assassinio di J.F. Kennedy, dighe che straripano e trascinano a valle migliaia di corpi, la morte del Papa buono. Quando a diciott'anni Nina esce dall'orfanotrofio trova davanti a sé un continente inesplorato. La sua vita sembra iniziare da capo: incontra nuove amiche, con loro partecipa a manifestazioni e scioperi e alla storica occupazione del grande tabacchificio di Lanciano, nel maggio del 1968, durata per ben quaranta giorni. Le vicende private e sentimentali delle ragazze si mescolano a quelle pubbliche, tutto attorno l'Italia cambia, pare lasciarsi indietro l'oscurità del passato, scopre i consumi e le réclame, la moda e le prime utilitarie, mentre le radio a transistor raccontano una trasformazione dei costumi a tempo di canzoni. La colonna sonora di ciò che poteva essere e non è stato. Il pozzo delle bambole racchiude in sé molti romanzi: una storia di crescita e di formazione, sulla scoperta del mondo palmo a palmo; un'avventura di collegio, di istituto, di camerate e cucine, spazi in cui crescere e trasformarsi; un affresco storico sul dopoguerra che è anche racconto di fabbrica e lotte; e soprattutto un romanzo di donne che diventano consapevoli, commettono errori, avanzano e retrocedono in una lotta lunga e difficile che Simona Baldelli descrive con ritmo, verosimiglianza, attenzione e sensibilità. -
Il saluto sbagliato
Un giovane scrittore aspira a entrare nel mondo editoriale e intellettuale di Berlino. Erck Dessauer è nato e cresciuto nella Germania dell'Est prima della caduta del muro, e porta sempre con sé un carico di sentimenti contrastanti, di pulsioni irrisolte. Verso la famiglia e le scelte dei genitori, verso la cultura in cui si è formato, che separa «noi» da «loro», i comunisti contro i capitalisti, i colpevoli contro gli innocenti, gli aguzzini contro le vittime, in fondo sempre i buoni tedeschi contro i cattivi tedeschi, del passato, del presente, del futuro. Forse anche per questo è ossessionato da un celebre scrittore ebreo, Hans Ulrich Barsilay, autore di un bestseller autobiografico, La mia gente, che ruota attorno alla visita ad Auschwitz che ha cambiato la sua vita. Al suo arrivo a Berlino, quando era solo un ingenuo studente, Erck si era confrontato con Barsilay in un incontro distruttivo. «Che cosa può scrivere che non sia ancora stato pensato e scritto?», gli aveva chiesto l'autore famoso, accendendo nel giovane un'ossessione bruciante che condurrà entrambi in un vortice di sospetti, accuse, perfidie e vendette. Anni dopo Erck ha firmato un contratto con una casa editrice importante, per una biografia alla Limonov sulla figura di Naftalij Frenkel, l'ambiguo e «geniale inventore dell'economia schiavistica del Gulag», una figura realmente esistita. Una sera in un bar, quando si trova di nuovo di fronte all'autore che da tempo lo ossessiona, Erck è in preda a un'inquietudine di insicurezza e risentimento. Farà un gesto inconsulto, proprio quello, il braccio dritto, la mano aperta e tesa verso l'alto… Una incalzante narrazione sapientemente costruita si muove su diversi piani temporali, tra ricordi di famiglia e amicizie giovanili, frustrazioni e sogni di gloria, fino al presente in cui il narratore, quanto mai inaffidabile, rivela retrospettivamente l'intera vicenda smascherando le macchinazioni e i segreti che conducono a una vendetta crudele. Intorno a tutto questo Maxim Biller scrive un romanzo con una forte presa sulla realtà attuale e uno sguardo pungente sulle polemiche del politicamente corretto e sull'abuso retorico dei traumi del passato. -
Educare controvento. Storie di maestre e maestri ribelli
«Perché le differenze non si trasformino in discriminazione è necessario educare controvento, mettere in atto una ribellione nonviolenta. Educare alla libertà è un artigianato difficile, che ha bisogno di ispirarsi a chi ha saputo incarnare una rivolta tenace e quotidiana, in grado di costruire strumenti culturali capaci di accrescere le possibilità di scelta di tutte e tutti. Ma per educare controvento è necessario moltiplicare le domande e seminare inquietudine». Franco Lorenzoni è stato per quarant'anni maestro elementare e, insieme, ricercatore e formatore in un laboratorio pedagogico d'avanguardia. È autore di due libri ormai di culto in cui si dipinge l'avventura di una scuola capace di dare piena voce a chi apprende. In questo terzo libro illustra la pedagogia dell'educare controvento. Vale a dire una scuola «incubatrice di vocazioni», come voleva Calamandrei, il cui fine è «il pieno sviluppo della persona umana» e il mezzo una ricerca continua delle proprie capacità per cercare di contrastare ogni esclusione sociale. Il maestro Lorenzoni prosegue con il suo stile anti manualistico e non dottrinario, partendo dalla memoria di molteplici esperienze e rivivendo incontri e lezioni indimenticabili. La pratica e la teoria. La pratica è nei capitoli dispari, che narrano ciò che nasce dal continuo dialogo con bambine e bambini e da laboratori che rovesciano il mondo per cercare di comprenderlo nei suoi aspetti fondamentali: il corpo, lo spazio, il tempo, la convivenza, il parlare, il contare, la natura e la spiegazione scientifica della realtà. La teoria è nei capitoli pari, ed emerge dagli incontri che lo hanno formato con maestre e maestri capaci di aprire prospettive nuove e inattese. Calamandrei che osserva il figlio crescere, Carla Melazzini e i maestri di strada, l'approccio psicoanalitico capace di ascolto di Alessandra Ginzburg, la matematica come liberazione del pensiero di Emma Castelnuovo, le innovazioni radicali di Mario Lodi e don Milani, l'opposizione a ogni esclusione etnica di Alexander Langer, l'utopia necessaria di Nora Giacobini, fino ad arrivare alle esperienze contemporanee di Malala Yousafzai e di Greta Thunberg. Sono tante le presenze che compongono questo affresco di una pedagogia necessaria. -
Alfabeto dei piccoli armeni
Era il segreto celato in ciascuna delle famiglie dei sopravvissuti al genocidio degli armeni, compiuto nei territori dell’Impero ottomano tra il 1915 e il 1922. Le storie dei piccoli scampati allo sterminio: ciò che avevano subito, ciò a cui avevano assistito, come erano sopravvissuti, chi furono gli aguzzini, chi li aiutò a salvarsi, quale capriccio del caso li sottrasse alla morte. Nelle case dei discendenti, a causa del logorio del tempo e della diaspora, echeggiava solo un’eco lontana di tali racconti. E queste voci di ultima testimonianza, «ricordi, frammenti, sussurri» di bimbi e ragazzini indifesi, l’autrice ha raccolto nel corso del tempo da famigliari e conoscenti per tratteggiare nel modo più autentico il disegno di una tragedia collettiva. Quello che più risalta è che si tratta di bambini in marcia, che guardano e subiscono indicibili sofferenze lungo un cammino interminabile, perché lo specifico di quel massacro fu che esso si compì soprattutto attraverso terribili «marce della morte» (lezione utile, come dicono gli storici, per i successivi sterminatori del Novecento). E sono i figli di ogni classe sociale e ogni mestiere: dai professionisti delle città, dagli intellettuali cosmopoliti, ai poveri contadini delle campagne d’Anatolia. Dalle loro flebili voci, emergono anche i caratteri: gli audaci, gli avviliti, i vinti, gli speranzosi. -
L'eterno rivale
L’eterno rivale è uno dei tre romanzi di Jane Gardam che compongono uno straordinario ciclo letterario. I protagonisti sono accomunati soprattutto dal fatto di essere «orfani dell’Impero Britannico», nati in paesi asiatici dall’ultima generazione dei funzionari coloniali. Un gruppo di (ciascuno a modo proprio) «sbandati», eccentrici: ricchi, privilegiati, segnati da qualcosa di profondo e oscuro, legati a doppio filo dalla competizione e dal disprezzo reciproco. Ogni volume è autonomo e non vi è una sequenza cronologica: la stessa vita collettiva è raccontata ogni volta partendo da un punto di vista diverso, e focalizzando non una ripeti-zione della stessa vicenda ma una vicenda nuova, la quale diventa la chiave per leggere nuovamente gli stessi personaggi. Al centro del gruppo c’è il ricco e affermato legale Sir Edward Feathers, il comune «amico» che collega tutti, soprannominato Old Filth («Vecchia Schifezza»), dalle iniziali di Failed In London Try Hong Kong. In questo romanzo, per la prima volta tradotto in italiano, sotto i riflettori c’è Sir Terence Veneering, Terry, l’eterno rivale, anch’egli avvocato di fama. Per entrambi, e per ragioni diverse, la lo-ro «patria non era mai stata l’Inghilterra». Tra di loro sessant’anni di competizione, «un’ostilità inesplicabile. Un intruglio da streghe. O una semplice avversione reciproca». Alla fine dei loro giorni per «una burla degli oziosi dèi dell’Olimpo» si sono trovati a vivere in lussuose dimore a poca distanza, nel ritiro dorato del Dorset. Ma una burla più feroce c’è stata sempre sotto il loro rapporto, riguardante la moglie di Filth, la magnifica Betty. Adesso che sono morti la storia è ricordata da due coetanei, la svanita Dulcie, «gran dame del villaggio», e il sempre snobbato avvocato Fiscal-Smith. I due «ultimi amici» consegnano inaspettati segreti, mentre trascinano anche loro gli ultimi passi e gli estremi ricordi personali.rnUna scrittura distaccata e dotata di un umorismo basato sulla distanza tra le intenzioni e la realtà consente all’autrice di esprimere il modo di vivere accanito e disarmato dei suoi personaggi e la situazione storica che hanno vissuto e che rende ancora oggi la Gran Bretagna un paese unico al mondo. -
Un matrimonio epistolare. Corrispondenza tra Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Alessandra Wolff von Stomersee
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo, e Alessandra Wolff von Stomersee, baronessa baltica e psicoanalista che contribuì a introdurre Freud in Italia, si sposarono nel 1932, trentottenne lei, di due anni di meno lui: si erano conosciuti grazie a complicati incroci di famiglia, frequenti tra gli aristocratici del tempo. Per una lunga fase della vita si spedirono lettere con molte notizie su come trascorrevano le giornate, su parenti, amici, pranzi e cani e, soprattutto, sulle reciproche letture. Rari i sentimenti. Scritte tra il 1932 e il 1943, quando, a causa delle vicende belliche, il loro matrimonio finì per assumere un «assetto più tradizionale», queste circa duecento lettere costituiscono una testimonianza estremamente significativa. Fino ad allora il loro era stato, infatti, quello che si potrebbe definire un «matrimonio epistolare»: basato su di una forte consonanza intellettuale ma di cui lo stare lontani per lunghi periodi costituiva «un elemento strutturale». Erano, i coniugi Lampedusa, fatalmente vincolati ai luoghi, alle case, ai miti fondanti della propria origine, tanto che lo scambio epistolare, il parlarsi rimanendo ognuno nel suo mondo, era divenuto, negli anni, uno dei codici primari della loro comunicazione. Giuseppe amava perdutamente la grande casa di Palermo: la casa dove era nato e si aspettava di morire. Licy (così veniva chiamata in famiglia Alessandra) non poteva, invece, restare separata a lungo dal castello avito di Stomersee in Lettonia e dalla «gente del Baltico», la «sua» gente. Sarà la guerra a scompigliare definitivamente assetti fino ad allora ritenuti immutabili: Palazzo Lampedusa viene bombardato e distrutto nel 1943, il castello di Stomersee confiscato tra l’avanzata dei tedeschi e la controffensiva sovietica. Nel commento che conclude il volume, Giorgio Manganelli caratterizza così i due personaggi: lei, «regina boreale che ha per reggia un castello tedesco in terra di Lettonia»; lui, «custode della propria infanzia»; e sottolinea quanta energia promani da lei e quanto più languido, infantile ed emotivo appaia lui. Caterina Cardona sulle lettere, attraverso le lettere e oltre le lettere di Giuseppe e Licy conduce la sua sottile indagine svelando «un gioco della psiche, una astuzia della intelligenza e degli affetti» (Manganelli) che cattura l’interesse del lettore conducendolo alla ricerca della chiave profonda di un matrimonio e alla genesi imprevista di un capolavoro: Il Gattopardo. -
Così in terra
Davidù è cresciuto a Palermo in una famiglia di pugili, accudito dalla madre e dai nonni paterni, allevato e allenato dallo zio Umbertino, un uomo irruente, eccessivo ma di una umanità profondissima. Per il nipote vuole il titolo che lui stesso ha sfiorato e il padre di Davidù non ha raggiunto perché morto troppo presto. In questo romanzo di formazione, crescita e caduta, il pugilato è metafora della vita e i pugni, dati e ricevuti, fanno sempre male e scrivono cinquant'anni di storia: dalla guerra in Africa combattuta da nonno Rosario alle bombe che sventrano la città durante la seconda guerra mondiale, fino a quelle delle stragi mafiose del '92 che ne cambiano il volto per sempre. Come se a Palermo, sporca feroce bellissima, il tempo fosse immobile e le sirene - della polizia o degli attacchi aerei - l'unica colonna sonora possibile. Dentro la Storia scivolano le storie dei tanti che formano il mondo affettivo di Davidù: il gigantesco Umbertino e la sua spalla il Maestro Franco, giovani spavaldi e orgogliosi degli anni Cinquanta; la nonna Provvidenza, portatrice di un senso civico fatto di saggezza antica; il taciturno nonno Rosario e il suo segreto risalente alla prigionia africana. E poi i coetanei che formano l'esperienza e la crescita: Nina, l'amore infinito; Gerruso il goffo, l'amicizia; i tanti ragazzi di strada e i loro codici brutali. Fino alla scena dell'ultimo incontro di boxe, che chiude il quadro di una città e di una formazione. Così in terra, pubblicato per la prima volta nel 2012, è un racconto epico e corale, dalla costruzione complessa e insieme leggera come la danza del pugile sul ring, capace di muovere al sorriso così come al pianto, alternando comico e tragico, crudo realismo e tenerezza, in una scrittura di vetro, dolce, tagliente e carnale. -
Nobili contraddizioni. Vizi e virtù dell'aristocrazia inglese del Settecento
Le guerre tra Francia e Inghilterra che coprirono tutto l’arco del XVIII secolo non furono combattute solo sui campi di battaglia. Uno dei conflitti più profondi tra le due nazioni andò in scena nei salotti, nei club e sulle pagine dei giornali.rnIn un tempo in cui il massimo esempio di eleganza era costituito dall’etichetta francese, l’aristocrazia inglese ritenne di doversi emancipare dall’influenza culturale di quella nazione cattolica, assolutista e sconvenientemente sottomessa alle donne. Così costruì un proprio modello di comportamento che valorizzasse le naturali virtù britanniche. Intellettuali, filosofi e moralisti diedero vita a un nuovo galateo, la politeness, un insieme di regole concepito per plasmare la classe dirigente inglese, per formare i gentlemen e le ladies che avrebbero guidato l’Inghilterra verso il compimento di un destino glorioso che la Storia aveva promesso loro.rnQuesto «galateo per una nazione di eroi» rimodellò e disciplinò la quotidianità della nobiltà inglese, sebbene non si riuscì ad evitare che le regole venissero frequentemente contraddette. Dalla frequentazione dei club per soli uomini e di circoli improbabili al gioco d’azzardo patologico, dall’abbigliamento da adottare nelle diverse occasioni al modo di conversare (o, per le donne, di rimanere in silenzio), dall’arredamento della casa di Londra secondo l’ultima moda agli sport da seguire e praticare. E in quest’ottica vanno lette anche l’educazione violenta dei giovani gentlemen per renderli padroni di sé, le soffocanti regole che relegavano le donne alla sudditanza, dalle quali alcune tentarono di liberarsi attraverso arte e cultura, come le celebri Bluestockings. E, ancora, l’esperienza pedagogica del Grand Tour, dal quale però i giovani tornavano con più pregiudizi di quanti ne avessero prima della partenza, rafforzati nella convinzione della superiorità del proprio popolo. Aneddoti e curiosità, abitudini scandalose e comportamenti divertenti, queste pagine trascinanti, arricchite da 12 immagini a colori, rivelano le contraddizioni, le ipocrisie, i pregiudizi e le virtù della nobiltà britannica e di un popolo che sin dal Settecento ha fatto dell’etichetta una forza politica e sociale. -
Guttuso
John Berger «guardava i dipinti come se fossero persone» (Bernard Berenson). Berger «entra letteralmente dentro l’opera – scrive la curatrice del volume Maria Nadotti – e cerca di immaginarsi che cosa l’abbia resa possibile, quali ostacoli abbia dovuto superare il suo autore per realizzarla». A lui si deve l’ingresso di Guttuso nella scena inglese degli anni cinquanta, come sottolinea Marco Carapezza nella Nota finale, considerando il suo approccio anticipatore di quello dei cultural studies. In questo libro – finora pubblicato solo nella Germania Est (1957) e in URSS (1962) – il cui perduto originale è stato fortuitamente ritrovato di recente, Berger analizza alcuni quadri del grande pittore, profilandone con passione la figura culturale e il ruolo sociale: un realista in cui confluiscono la lezione delle avanguardie e una nitida visione politica. -
Il cerchio perfetto
Due vicende si intrecciano alternandosi nel ritmo del racconto. Una è ambientata negli anni Ottanta e procede a ritroso, ripercorrendo la relazione tra una ventenne dell’alta borghesia milanese, Lidia, e il giovane architetto che ha lavorato al progetto di ristrutturazione della casa regalatale dal padre in via Saterna, nel centro di Milano. Una casa particolare, un progetto architettonico visionario in cui ogni stanza è percorsa da una vibrazione, quasi da un mistero: un luogo che celebra la relazione clandestina e asimmetrica tra i due, la fragilità di Lidia e l’ambizione che infiamma il giovane uomo.rnRitroviamo la casa e le sue atmosfere alcuni decenni dopo, in un futuro prossimo, in cui la catastrofe climatica e la crisi migratoria sono in pieno corso, le strutture di convivenza ormai al collasso. Roma è torrida in modo insopportabile, Milano eternamente immersa in una nebbia arancione. Qui si muove Irene, quarantenne curatrice fallimentare di successo grazie alle aste in cui si cedono ai privati proprietà immobiliari di grande valore, spesso tesori dello Stato. Una donna solitaria e senza figli, a cui viene affidata da un facoltoso avvocato la vendita di una casa difficile e affascinante, proprio quella di via Saterna. Quando Irene la visita la prima volta ne è subito colpita, avverte una inquietudine, lo spazio è inatteso e ostile, eppure vi si cela un oscuro senso di bellezza, una luce profonda. Qualcosa non torna, piccole tracce qui e là, l’assenza di polvere al terzo piano, un mucchio di stoffe lasciato davanti a un divano. Ma l’idea di vendere quella casa la spinge a procedere, senza guardarsi indietro.rnNell’architettura vorticosa de Il cerchio perfetto scaturiscono relazioni impreviste, si profila un’idea di amore egoista e manipolatorio, si indaga una giovinezza protesa sul vuoto. Ovunque si avverte il fardello di un passato mai risolto, ed emerge l’idea di una possibile maternità nonostante un mondo che incombe minaccioso con le sue trasformazioni. -
Il canto del fiume
Una madre e un figlio salgono a bordo di una piccola barca a motore, lui è nero, lei bianca, e assieme intraprendono un viaggio lungo il fiume Atrato, l'unica via che permette loro di penetrare nella fitta giungla colombiana per arrivare a Bellavista, dove abita la madre biologica del bambino. Un percorso lento, scandito da numerose fermate, in condizioni tutt'altro che ideali. Mentre l'imbarcazione procede nella navigazione la madre racconta a un'altra viaggiatrice come il bambino addormentato tra le sue braccia sia arrivato una mattina nella sua vita e quale sia il motivo di questa loro immersione nel cuore della giungla. È un modo per esorcizzare l'ansia crescente, ripensare al passato che l'ha condotta fin lì, e un tentativo disperato di procrastinare il loro arrivo. Ogni gesto, anche il più quotidiano, acquisisce una dimensione nuova: mangiare un mango maturo, intrecciarsi i capelli, cucinare un pesce per rifocillarsi, fare il bagno nell'acqua piovana. Nel mezzo di questa regione segnata dalla violenza, da uccisioni e attentati, i passeggeri incontrano sempre più persone alle prese con un destino oscuro e un futuro tutto da costruire. Un incendio devasta un villaggio, emergenze continue, un parto improvviso. Sembra di non arrivare mai, sembra che il fiume non voglia mai smettere di intonare il proprio canto di dolore e di speranza. Un romanzo di paesaggi travolgenti, un accurato ritratto della paura di una madre, la cronaca di un dramma storico, la terribile violenza che ha colpito la Colombia negli ultimi decenni. E poi l'intima comprensione tra donne che si incontrano per la prima volta, la sorellanza allo stato più puro, la crudeltà della forza come unica soluzione, in un esordio che scruta senza ritrarsi il conflitto drammatico tra diritti naturali e affettivi, tra chi è madre e chi si sente madre, senza mai distogliere lo sguardo di fronte alla brutalità e all'incanto dell'animo umano. -
Colpo grosso ai Frigoriferi Milanesi
Il Solista del mitra prepara un colpo grosso, l'obiettivo sono i Frigoriferi Milanesi, l'intricato sistema di caveau a prova di furto, l'antica Fabbrica del Ghiaccio. Complici sono Il Piero, Faccia d'Angelo, La Miciona, La Piccerella, Il René, La Mantide. Il malloppo è qualcosa di estremamente prezioso, di losca provenienza, in ballo c'è anche una vendetta. Nel frattempo alla Casa di ringhiera la vita continua al solito, litigiosa, pettegola e malignetta. La falsa invalida, signorina Mattei-Ferri, ha deciso di cambiare atteggiamento e rendersi più amabile con i vicini, soprattutto i nuovi; il pensionato Amedeo Consonni si dedica al nipotino Enrico, dopo aver superato una profonda depressione; la professoressa Angela, dal buen retiro di Camogli, non perde di vista affetti e affari; il vecchio Luis De Angelis continua ad accudire paranoicamente la sua automobile, adesso una Maserati. E così via, tutti ostili tra loro, estranei, eppure legati gli uni agli altri come nella Finestra sul cortile. Però ci sono delle novità. Un gruppo allegro di studentesse di Fashion, venute dalla provincia più opulenta ad addentare la metropoli; e due nuove coppie di ricchi inquilini, a testimoniare che anche la Casa di ringhiera si gentrifica. E proprio da Camilla, la bella amante dell'architetto Sommariva, si viene a sapere qualcosa di Yutta, la venere tedesca che, dopo aver ammaliato tutti, era sparita con una fortuna e in barba al pensionato Consonni. La notizia fa ripiombare la Casa di ringhiera in una scalcagnata ed esagerata avventura. In questa nuova puntata della serie fortunata in cui un intero caseggiato assume personalità entro una cornice comico criminale, mosso da un'animazione farsesca, l'autore Francesco Recami sollecita il lettore a riflettere su cosa sia in realtà l'intrattenimento letterario. Un tema drammatico e surreale entra nella scena: che tipo di vita è quella dei personaggi di un romanzo? -
L'investigatore Maximilien Heller
Un ricchissimo banchiere parigino viene ucciso. La polizia, il procuratore del re, il giudice istruttore accusano senza esitare un poveraccio, Guérin, servitore del banchiere. Avrebbe ucciso il padrone per un pugno di denaro, usando l'arsenico, il classico veleno per topi. La fortuna di Guérin è di essere il vicino di casa, o meglio: di soffitta, di Maximilien Heller, un giovane avvocato che ha lasciato anzitempo la professione, misantropo e geniale. Sospetta subito che il servitore sia accusato ingiustamente, perché i segni che ha potuto osservare sul cadavere non confermano la presenza della sostanza tossica. Così, con il suo attivismo, un po' alacre un po' pigro, che scopre tracce, ricostruisce fatti e deduce conclusioni, trova la verità. E, grazie ad astute dissimulazioni, sventa un complotto. Colpisce quante cose in comune con Sherlock Holmes (nato nel 1887) abbia Maximilien Heller che lo precede di sedici anni (1871). Compreso il medico narratore e amico protettivo, e tranne il fatto che l'investigatore di Cauvain vanta una cultura pressoché illimitata, mentre Sherlock cancella sistematicamente tutte le nozioni che non gli sono utili. Tanto che si può sospettare che sia lui il modello per l'allampanato eroe di Conan Doyle. Il francese ha forse una maggiore sensibilità sociale. Comunque sia, Maximilien Heller è evidentemente uno dei prototipi originari di tutti gli investigatori deduttivi. Ama i gatti come Baudelaire, conduce vita bohémienne e si muove tra languori decadenti e orgoglio positivista. -
Brighton Rock
Hale, un piccolo giornalista prestato più alle campagne pubblicitarie che non ai reportage, sa di dover morire, una volta sceso alla stazione di Brighton - la Brighton colorata delle vacanze inglesi ma che qui diventa, grazie al tocco pittorico della penna di Graham Greene, un labirinto cupo e grigio, una perfetta «Greeneland». La fine violenta di Hale è dettata da una lotta tra bande criminali, e diventa il motivo scatenante di una trama doppia e nerissima. Da un lato l'indagine della strana Ida Arnold che vuole svelare l'omicidio. Ida è una specie di materialista magica, è atea ma devota a piccoli rituali superstiziosi. Dall'altro lato c'è Pinkie, il Ragazzo, il vero protagonista, che si trova a essere un giovanissimo capobanda. Con tutti i mezzi, con nuove efferatezze agisce per coprire le tracce. A questo scopo seduce la piccola Rose, pericolosa testimone. Pinkie è un sociopatico, un ossessivo: un asceta del male cattolicissimo vocato a una terribile redenzione al contrario. E Rose è la vittima ambigua che lo accompagna nella sua visione, fino alla fine impensabile e inquietante. Una delle grandezze della creatività di Graham Greene che attrae e turba, è quella di costruire polizieschi che sono anche spietate indagini morali. Forse più in questo che in altri suoi romanzi, che costò all'autore l'etichetta di scrittore cattolico e un poco eretico. Quello che gli interessa è avvincere il lettore nella storia costringendolo a guardare a cruciali opposizioni: come quella tra giusto-sbagliato contro bene-male, oppure quella tra la misericordia e i suoi misteriosi limiti. «Pubblicato nel 1938, che cosa è - anche - Brighton Rock in anni nei quali si può dire che ogni libro di Greene sia un presagio di quanto sta per succedere in Europa? La carriera di Pinkie si fa leggere anche come uno scongiuro, chissà se e fin dove inconsapevole, sulla resistibile ascesa di un Hitler in erba, che qui è cresciuto nelle scuole popolari inglesi e nello sprofondo della città più sbarazzina d'Inghilterra» (Domenico Scarpa nella Nota al volume). -
La boffa allo scecco
C'è una trappola pronta a scattare per Giovà, guardia giurata di Partanna Mondello. La sorella Mariella ha dato in affitto il «villino» di sua proprietà. Purtroppo i due affittuari trovano scuse e pretesti (non del tutto infondati) per non pagare il canone e ciò scatena in famiglia la consueta tragedia farsesca. La madre Antonietta, la zia Mariola, la vicina Mariangela e persino il padre infermo spingono Giovà a fare qualcosa, qualsiasi cosa, quando un fatto ben più grave si aggiunge al danno morale e a quello economico. Gli affittuari, i sedicenti fratelli Mormile, sono caduti in un agguato e Mariella è stata fermata dalla polizia scatenando oltretutto una ridda di maldicenze. Lo stile del duplice omicidio è quello classico mafioso, eppure è proprio lo Zzu, il boss della borgata, a dare ordine a Giovà di fare chiarezza. Solo sullo sfondo si muovono le forze dell'ordine, che tutti i protagonisti della vicenda considerano un potere ostile, incapace di penetrare gli arcani del quartiere. A spalleggiare Giovà in questa nuova indagine sarà il figlio del padrino, l'infido Giampaolo. Inspiegabili indizi e ulteriori cadaveri arrivano a complicare la situazione, mentre Giovà sempre più si rende conto di essere su un piano inclinato che porta al disastro. «Mi stanno scaricando pure i miei parenti», riesce a capire un attimo prima di finire in trappola. La «boffa allo scecco» è lo schiaffo che si dà all'asino, utilizzandolo come capro espiatorio finale di una lunga catena di soprusi. Al termine della quale, anche questa volta, si trova Giovà Di Dio - investigatore riluttante ed esca umana -, un Giufà immerso nel contesto della mafia di piccolo cabotaggio, onnipresente nelle zone dove lo Stato sembrerebbe aver fatto un passo indietro. Un romanzo ricco di dialoghi da commedia brillante che portano il lettore a sorridere, salvo poi accorgersi che c'è poco da sorridere, in questo «piccolo mondo cinico», come lo ha definito con perfetta diagnosi Goffredo Fofi.