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La modern dance. Teorie e protagonisti
Il volume offre un quadro dell'importante fenomeno della ""modern dance"" americana fra il 1915 e gli anni Cinquanta. Si passano in rassegna le esperienze di Ruth Saint Denis, di Ted Shawn, della loro scuola e dei loro straordinari allievi, artisti del calibro di Martha Graham, Doris Humphrey e Charles Weidman, senza trascurare l'opera di coreografi come Hanya Holm, ma anche come José Limón ed Erick Hawkins, appartenenti a una generazione successiva. Questi protagonisti indiscussi sono i maestri della ricerca di una dinamica corporea coesa e non ""spezzata"", riflesso di un essere umano altrettanto armonico e unitario. Una ricerca che costituisce il nucleo essenziale e il cuore battente di tutta la ""modern dance"". -
Outdoor education: prospettive teoriche e buone pratiche
Con Outdoor Education (OE) si intendono le teorie e le pratiche dell'orientamento pedagogico che valorizza lo spazio esterno nelle sue diverse configurazioni come ambiente di apprendimento e di benessere educativo. L'OE emerge a livello internazionale sulla base dei frequenti indicatori di disagio e di malessere prodotti dalla ""società del benessere"". Tra questi, la progressiva espropriazione, a partire dall'infanzia, delle esperienze effettuate a diretto contatto con l'ambiente, soprattutto naturale, e i danni psicofisici causati dalla sedentarietà connessa alla persistente ""reclusione"" negli spazi scolastici e domestici. L'OE propone un cambiamento nel modo di pensare e di fare educazione grazie al quale l'adulto per primo scopre e allarga gli orizzonti e le potenzialità della propria professione. Il libro offre una varietà di contributi in cui si uniscono riflessioni teoriche e linee di intervento, quadri di ricerca e suggestioni culturali a sostegno dell'or non come ""moda"" educativa, ma come modo di fare educazione a cui è necessario essere formati, come insegnanti e pedagogisti, educatori sociali e dell'infanzia. -
Filologia della letteratura Italiana. Nuova ediz.
Compito primario della filologia è restituire i testi alla loro forma originaria dopo averli liberati dai guasti della trasmissione. Sui testi moderni la filologia si esercita invece nella ricostruzione delle fasi attraverso cui essi pervengono alla forma definitiva. Questo manuale, in una nuova edizione riveduta e ampliata, introduce anzitutto ai metodi e alle tecniche di base del lavoro filologico con riferimento alle opere della letteratura italiana. Ma spetta alla filologia anche far luce sulle vicende che hanno portato i testi ad attraversare i secoli, descrivere i manufatti che li hanno veicolati. È per questa ragione che i nostri maggiori capolavori sono qui raccontati nelle loro storie testuali. Storie che hanno radice nella creatività degli autori, ma hanno preso corpo e vivono in manoscritti e stampe. Ne consegue che lo studio della letteratura fa anzitutto i conti con la materialità dei documenti, poi con le teorie e le ideologie. Ma l’educazione filologica non ha solo un rilievo storico, ha anche un risvolto etico: è esercizio che induce alla valutazione critica di tutto ciò che cicirconda, che aiuta a smascherare dogmatismi e false opinioni. -
Cucinare senza glutine. Ricettario per celiaci
Che cos'è la celiachia, come viene diagnosticata, come convivere con questa forma di intolleranza alimentare sempre più diffusa? Il volume offre le risposte a queste e altre domande, insieme a più di 100 ricette varie e saporite, tutte facilmente realizzabili e a base di ingredienti privi di glutine. Chi è affetto da questa patologia potrà così alimentarsi in modo sicuro e salutare senza rinunciare ai piaceri della tavola e alle bontà della nostra tradizione gastronomica. -
Ortensie, azalee, camelie e altre acidofile
Per imparare a conoscere, apprezzare e coltivare alcune tra le piante ornamentali più belle - ortensie, azalee, camelie, ciclamini, ma anche gardenie, eriche e rododendri - e avere un bel giardino fiorito nei diversi mesi dell'anno. -
Vicolo Cannery
«Il vicolo Cannery a Monterey in California è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità della luce, un tono, un'abitudine, una nostalgia, un sogno.»Romanzo della maturità di John Steinbeck, Vicolo Cannery narra di un mondo in cui vivono usurai, pescatori, ruffiani, giocatori ed emarginati di tutte razze. In questo microcosmo di diseredati spicca la figura di un solitario e misterioso biologo che, nonostante la differenza di classe, si interessa a loro instaurando un rapporto di affettuosa amicizia e solidarietà umana. Insieme imparano a farsi burla del destino riuscendo a costruirsi un'esistenza degna di essere vissuta, che finisce per rendere questi personaggi eroi e simboli del vivere quotidiano. Nella narrazione scanzonata delle avventure di questa umanità, Steinbeck restituisce il ritratto tragico e al tempo stesso comico di uomini e donne vittime di un grande equivoco morale, l'altro volto del benessere americano. -
Le mosche-porta chiusa. Testo francese a fronte
""Le mosche"" e ""Porta chiusa"" sono tra i testi più significativi del teatro esistenzialista, due sguardi sull'abisso, due drammi che affrontano alcuni dei temi più cari a Sartre: la libertà, il valore delle scelte, il rapporto con gli altri e il senso dell'esistenza. ""Le mosche"" (1943), singolare rifacimento delle ""Coefore"" di Eschilo, ha per protagonista Oreste, il giustiziere matricida che prende su di sé, con atto di personale responsabilità, il rimorso di Egisto e dell'intera città di Argo per l'assassinio di Agamennone. Compiuta la vendetta, Oreste tornerà alla sua solitudine e con lui si allontaneranno anche le mosche, simbolica materializzazione del rimorso collettivo. ""Porta chiusa"" (1944) è quasi un manifesto dell'impossibilità del rapporto interpersonale: ""l'enfer c'est les autres"", l'inferno sono gli altri, scrive Sartre. La porta attraverso la quale vengono introdotti i tre ospiti-prigionieri in realtà non è affatto chiusa, ma la vera prigionia è sancita dal cerchio infernale dei rapporti, dall'impossibilità di comunicare nonostante la necessità vitale della convivenza. -
Il potere della fragilità
""La vita non è un letto di rose. È difficile, complessa. Molto di rado si è vivi nel vero senso della parola: nascere è una cosa, vivere un'altra. Si tratta della sfida più grande che esista."" In questo libro Osho sollecita questo risveglio con leggerezza, giocando con aneddoti, storielle, barzellette che rendono evidente come l'inconsapevolezza non paghi e non dia soddisfazione. Osho risponde alle domande di quanti lo interrogano e si interrogano con un invito semplice: occorre attivare e attivarsi all'interno della propria dimensione interiore, là dove dimorano talenti e qualità essenziali assopite. Nel testo vengono quindi suggeriti diversi metodi per porsi di fronte alla vita in modo nuovo, per non lasciarsi sopraffare dal flusso di reazioni, impulsi, abitudini, condizionamenti, stereotipi, pregiudizi. È il potere della fragilità, la cui forza non si misura in termini di imposizioni ma di benevolenza. -
Opere e lettere. Scritti di arte, estetica e morale in collaboraz...
Wilhelm Heinrich Wackenroder (1773-1798) è ritenuto l'iniziatore del Romanticismo tedesco. Condividendo con l'amico Ludwig Tieck (1773-1853) l'esperienza di brevi viaggi in Franconia nel 1793, Wackenroder rimane folgorato dalla grandezza della pittura rinascimentale, concependo nel tempo la stesura di alcuni testi redatti sul modello delle cronache degli artisti di Vasari o nella forma di carteggi tra giovani apprendisti pittori. Istituisce intanto un rapporto ideale tra l'arte di Dürer e quella di Raffaello. Tieck integra quei testi con contributi propri, perfettamente in sintonia con l'amico. Nascono così le ""Effusioni di cuore di un monaco amante dell'arte"" e le ""Fantasie sull'arte per gli amici dell'arte"". Il carteggio tra Wackenroder e Tieck offre, inoltre, un quadro del dibattito estetico dell'epoca che interessa molti temi del tardo Illuminismo europeo, riferiti alla letteratura e alla drammaturgia: dalle teorie sui sentimenti al pensiero sul sublime. -
Quaderni neri 1931-1938. Riflessioni II-VI
I ""Quaderni neri"" presentano una forma che, secondo le sue caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger, bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da paragonare a quello del ""diario filosofico"". In essi gli eventi del tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente in relazione con la ""storia dell'Essere"". Il presente testo è il primo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le ""Riflessioni"". Il primo quaderno di questo volume incomincia nell'autunno del 1931, l'ultimo, con le ""Riflessioni VI,"" si conclude nel giugno del 1938. Le ""Riflessioni"" non corrispondono ad ""aforismi"" da intendersi come ""massime di saggezza"". Ciò che è ""decisivo non è"", ""che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una costruzione rappresentativa"", ""bensì solo come si ponga la domanda e assolutamente il fatto che si domandi dell'essere"". Dal ""tentativo"" di Heidegger di riconoscere la ""storia dell'Essere"" nei suoi segni quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì. -
Estetica senza dialettica. Scritti dal 1933 al 2014
Includere tutto quanto non può essere escluso dal discorso estetico. Questo potrebbe essere il principio orientativo che ha sempre guidato la ricerca di Gilio Dorfles nel campo dell'estetica, cominciata sullo spartiacque tra primo e secondo Novecento filosofico. Questo anche potrebbe riassumere il criterio adottato nell'ordinare un così possente ""libro di una vita"", che appare in tal misura ampio perché la vita intellettuale del suo autore è stata di particolare ampiezza. A suo confronto, le restrizioni schematiche di tanti indirizzi filosofici o estetici solo accademici paiono preoccupazioni di una scolastica che ha premura di creare partizioni. Che cosa è estetica, che cosa rientra in essa e che cosa no. Questo libro, invece, raccogliendo tutto intero un orientamento sin dalla sua origine, sin dal primo grado della sua iniziazione, potrà somigliare a una grande introduzione, anziché a un libro consuntivo. Ampiezza, dunque, secondo i canovacci della disciplina che non possono essere scissi, che già i fondatori della stessa (e tra di essi Vico e Baumgarten) dettavano come suoi protocolli, consapevoli che delimitare un sapere come l'estetica vuol dire circoscrivere un sistema ""complesso"". -
Vent'anni
Luca Fabio e Attilio Bandi hanno vent'anni e sono sottotenenti dell'esercito italiano. I due ragazzi sono inviati al fronte nel maggio del 1915, in occasione dell'entrata in guerra dell'Italia. Fabio è un convinto interventista, Attilio è nipote di un eroe del Risorgimento, ma la guerra si rivela molto diversa da come se la aspettavano. Raggiunto il Carso scoprono infatti l'impreparazione dell'esercito italiano e la terribile vita nelle trincee. Scritto nel 1930 e qui riproposto nella sua versione originale, ""Vent'anni"" è un romanzo fortemente autobiografico sulla giovinezza, la disillusione e la follia della guerra. Una storia che dice molto sulla generazione che, tornata dalle trincee, si appresterà ad acclamare e sostenere il fascismo. -
Fondamento dell'intera dottrina della scienza. Testo tedesco a fronte
È lo scritto capitale di Fiche (1762-1814), che sta alla base di tutte le sue successive (ben 11) rielaborazioni e anche delle altre opere fichtiane. Esso vuole dare una fondazione teoretica di tutto il sapere, dedotto da un unico principio assoluto: l'Io. Questo Io non è però una semplice astrazione, ma raccoglie in sé anche l'ideale del dovere e si pone, quindi, come la sintesi della teoria e della prassi, come punto d'orientamento del pensare e dell'agire. In questa edizione, curata da Guido Boffi, il saggio introduttivo ricostruisce il contesto problematico e storico-concettuale della genesi dell'opera e le sue premesse nelle precedenti indagini fichtiane. -
Amori
A trentotto anni, nel 1887, Carlo Dossi chiudeva con Amori la sua carriera pubblica di scrittore. (Ma avrebbe poi continuato, per ventanni, in segreto, a stillare i geniali veleni delle Note azzurre). Questo esile, delizioso commiato dalla letteratura si presenta come evocazione di un ventaglio di donne amate. Ma, per uno spirito così naturalmente dedito allartificio, fantasticatore e narciso, un simile progetto non poteva certo prendere la forma di concrete storie damore. Vi troveremo, invece, una sequenza di sogni, delicata e ironica, dove la prima donna è ovviamente di carta (la Regina di Cuori) e altri sono «cari amori di legno, di stoffa, di porcellana», omaggi a singoli feticci di unimmaginazione felicemente discordante dallItalietta che la circondava. E, infine, anche le donne reali sembrano figurine araldiche, descritte per altro non senza corrosiva malizia. «Sono Amori» scrisse Lucini «descritti con ali di farfalla»: e perciò si posarono sulla carta tenuissima di una finta edizione giapponese, di cui qui riproduciamo la copertina e i fregi, opera di Luigi Conconi, in un gusto che congiungeva lironia romantica del maestro Jean Paul e la devozione allOriente dei decadenti francesi. E, dietro queste amabili squisitezze, riconosciamo subito, anche qui, la voce capricciosa e aerea, le impeccabili notazioni grottesche, lacida comicità e lavvolgente malinconia del grande Dossi, ospite inatteso di una letteratura che sembrava ignorare proprio le sue qualità, e le ignorò ancora a lungo, finché la situazione si è rovesciata e proprio Dossi ci appare, fra i nostri scrittori di quegli anni, quello più amico della nostra sensibilità, quello che ha cavalcato con più leggerezza londa del tempo. Ledizione, curata dal maggiore studioso del Dossi, Dante Isella, si arricchisce del carteggio finora inedito tenuto dallAutore con amici, artisti ed editori in occasione della stampa di Amori. -
Il monarca delle Indie. Corrispondenza tra Giacomo e Monaldo Leopardi
«In una letterina in balbettante francese – siamo a Natale del 1811 – Giacomo, scrivendo “De la Maison”, annuncia al Padre quanto egli abbia profittato dell’insegnamento paterno, del suo esempio. A imitazione del padre, Giacomo ha scritto una tragedia che ha per protagonista un Monarca delle Indie: occidentali nel testo paterno, orientali nel testo di Giacomo; nella seconda tragedia del figlio è protagonista un Principe Reale, come accadeva nella corrispondente tragedia del padre; nella terza tragedia il tema sarà, in entrambi i casi, il Tradimento. Questa letterina natalizia, propiziatoria, prospettica, minatoria, così blesa e dolcemente onirica, mi sembra affascinante; ed anzi mi sembra che tutto quel che seguirà, la meticolosa, ardua contesa di una vita, riceva in quella letterina – è importante che si tratti appunto di una letterina – una dichiarazione di retorica, il programma di un evento scenico e cerimoniale: e s’è visto che i contrassegni sono il Monarca, il Principe Reale, il Tradimento: ce n’è per una vita. «Iniziato con quella lettera natalizia, il rapporto Giacomo-Monaldo assume immediatamente la sua qualità costante, qualcosa che lo distinguerà da tutti gli altri rapporti di cui abbiamo documento nell’epistolario leopardiano; la qualità è cerimoniale e teatrale, il linguaggio è eloquente, con toni medi, talora umile, con discrezione; il comico vi si potrà infiltrare per astuzia, per frode, per malizia, ma non vi trova luogo naturale; soprattutto importa notare che tutto ciò che vi si dice, dall’una e dall’altra parte, fa riferimento alle leggi di un copione, obbedisce ai cenni di un invisibile regista al quale entrambi hanno convenuto di far riferimento. Dunque, non si dica che mentono, che equivocano, che frodano; vorrei vedere che non mentissero: le battute sono nel copione, il regista è intollerante, la loro menzogna è la loro specifica veracità teatrale. Non era forse il Tradimento il gran tema di una Tragedia che includeva un Monarca e un Principe Reale? - Giorgio Manganelli -
Teatro. La morte di Danton-Leonce e Lena-Woyzeck
«L’autore drammatico non è altro, ai miei occhi, che uno storico, ma sta al di sopra di quest’ultimo, perché egli ricrea per noi la storia una seconda volta: invece di fornirci un racconto secco e spoglio, ci introduce immediatamente nella vita di un’epoca, ci dà caratteri invece di caratteristiche, personaggi anziché descrizioni». Così Büchner, autore drammatico, definisce il proprio compito in una lettera alla famiglia del 1835. Aveva appena terminato La morte di Danton, il suo primo lavoro letterario, e neanche venti mesi lo separavano dalla morte in esilio a Zurigo, a soli 24 anni, spesi quasi interamente nell’attività rivoluzionaria e negli studi scientifici. Delle altre due opere, Leonce e Lena e Woyzeck – pubblicate parecchi anni dopo la sua morte –, Büchner non parla, almeno nelle lettere di lui che ci sono rimaste. Tanto maggiore ci sembra il prodigio nel vedere come quel giovane abbia potuto precorrere – in queste opere che costituiscono forse il tentativo più audace di rinnovamento che la storia del teatro del XIX secolo conosca – motivi formali e ideologici la cui riscoperta ad opera del naturalismo, e soprattutto dell’espressionismo alla vigilia della prima guerra mondiale, sarebbe stata definita da Walter Benjamin come uno dei «pochi avvenimenti politico-letterari dell’epoca la cui attualità deve apparire di una luce accecante alla presente generazione». Dalla prima rappresentazione di La morte di Danton, curata da Max Reinhardt nel 1916, a quella di Vogt del 1921 con Alessandro Moissi nella parte di Danton, il teatro di Büchner è entrato ormai a far parte del repertorio classico, sia in Germania, sia in Francia, sia in Italia. -
Palchetti romani
In questo volume sono per la prima volta raccolte tutte le cronache teatrali che Savinio scrisse per il settimanale «Omnibus», diretto da Leo Longanesi, fra il 1937 e il 1939. In quel periodo sfilarono dinanzi al suo occhio di spettatore non complice tutte le glorie e le miserie del teatro italiano, dai testi rutilanti del «bardo» D’Annunzio (e del «bardo in seconda» Sem Benelli) alle «freddure» del varietà, dai Giganti della montagna di Pirandello a Villafranca di Giovacchino Forzano, inframezzati dalle obbligatorie pochades, dai Rostand, dagli Shaw, dai Rattigan, dai Bernstein, oltre che da qualche Plauto, Shakespeare e Lope de Vega. Quanto agli attori, andavano dal vegliardo Ermete Zacconi all’esordiente Anna Magnani, e fra l’uno e l’altra – oltre all’aleggiante ricordo della Duse – troviamo davvero tutti: da Benassi alla Morelli, da Ricci alla Pagnani, da Dina Galli ai De Filippo, dalla Gramatica alla Melato, da Macario a Tòfano. Savinio fu un grande spettatore e testimone di quel teatro innanzitutto perché andava a vederlo malvolentieri. Per una sua vasta parte, il teatro è l’involontario e momentaneo mettersi in scena di una civiltà: e Savinio sentiva acutamente il tanfetto stantio, l’orrenda «sanità» di gran parte della civiltà italiana in quegli anni. I nostri più celebri attori gli apparivano, quasi tutti, fatalmente «pensosi», inabili dunque alla «frivolità», da lui definita «la qualità di più difficile acquisto», che «non viene se non alla sera di una lunga giornata di fatica». Di quella «frivolità» sono invece esempio supremo queste cronache: impaziente, esilarante, perfido, Savinio procede per accostamenti fulminei, presentati ogni volta come fossero ovvi: così, grazie a lui, capiamo il profondo legame fra Ermete Zacconi e Shirley Temple; o la «stretta affinità fra la recitazione di Benassi e le decorazioni di ferro battuto che adornano le porte del teatro Eliseo» (non ancora ristrutturato); o il nesso fra il «grande stile» di Ruggero Ruggeri e «quello delle coppe con le quali erano premiati i vincitori dei concorsi ippici intorno al 1900». Ma l’ironia non faceva velo, in Savinio, all’equità, che gli permetteva di individuare con chiaroveggenza le peculiarità dei vari talenti. Quanto ai testi, per uno spettatore come Savinio, che vedeva nel Racconto d’inverno di Shakespeare il suo ideale «spettacolo di varietà», era una soave tortura ascendere all’Alta montagna di Salvator Gotta. Ma al senso di sorda oppressione che spesso emanava dalla scena Savinio poneva rimedio guardandosi intorno, distraendosi, divagando, con quella sua felice infedeltà alle forme che gli permetteva di «passare da una all’altra come una volta, di posta in posta, si cambiavano i cavalli». Allora poteva rivelarglisi la visione di gran lunga più grandiosa: il pubblico. Nessuno degli spettacoli di quegli anni ha la maestosa, greve intensità del pubblico di una serata di Govi, quale Savinio, cronista visionario, ci ha descritto: «Sembrava un’assemblea di divinità egizie, metà uomini e metà animali. Fronti aggrottate sulle quali calava una capigliatura fitta come il muschio, occhi acquosi e invasi dalle palpebre, mani enormi posate sulle ginocchia come costate di manzo sul marmo del macellaio, spalle a... -
Il problema di Aladino
Un giovane prussiano fin de race, ancora mosso da qualche residuo impulso aristocratico-militare, cresce nell’esercito della Polonia comunista. E un giorno passa all’Occidente. Non si aspetta né «più libertà», né un mondo a lui affine. Sa di essere solo: è un «anarca», uno spirito stirneriano mimetizzato nel regno della macchina. E proprio qui trova l’impresa adatta a lui: una multinazionale delle pompe funebri, che gestisce la morte come un problema industriale su vasta scala. Con freddezza e praticità, si dedica al progetto di uno sterminato cimitero centrale del pianeta, da situare in Turchia. Là, in cunicoli senza fine, nascerà un immane club dei morti, che affluiscono a migliaia da ogni paese. Talvolta sono intere sette che si prenotano, nella speranza di una quiete indisturbabile accanto al loro guru. Nella sua creativa vecchiaia, Jünger è rimasto non meno temibile e provocatorio di quando, adolescente, fuggì di casa per arruolarsi nella Legione Straniera. Questo suo recente romanzo (1982) è un apologo beffardo e penetrante su un mondo, il nostro, che non sa bene cosa fare della morte. E tanto basta a svelare la sua inconsistenza. Come sempre, con demonica percettività, Jünger non si oppone frontalmente a ciò che lo circonda ma vuole spingerlo all’estremo. La sua formula è quella di svellere le basi del mondo nichilista con una carica di nichilismo ancora maggiore. Non è forse il mondo segretamente ossessionato dall’immagine di scavatrici che sventrano le tombe? Non è forse vero che «il terreno si muove verso la capitale» e nessun luogo di riposo è garantito per sempre? A questo risponde il sogno di «Terrestra», la multinazionale delle pompe funebri di cui qui si racconta la lugubre ed esilarante avventura. -
Oltre il linguaggio
Può la tecnica offrire il rimedio contro i danni che essa produce? O è proprio questa l’estrema illusione che ci abbaglia? Si possono porre dei limiti alla violenza? Ma chi ha il potere di imporre che un limite non sia oltrepassato? Qual è il nesso fra essere e linguaggio? È vero, come vuole molta della filosofia moderna, che «l’essere che può venire compreso è il linguaggio»? Temi insidiosi, ardui: in questo libro sono l’occasione per un’indagine che, partendo dalla più recente fra le opere maggiori di Severino, Destino della necessità, e richiamandosi ai fondamenti del suo pensiero, esposti nella Struttura originaria, si inoltra in nuovi territori. Come sempre in Severino, l’estrema chiarezza e il vigore delle argomentazioni fanno sì che questi saggi siano preziosi per risolvere questioni di alta precisione speculativa, ma sappiano anche svelare, a un pubblico più vasto, l’urgenza dei problemi trattati. -
La rapidità dello spirito. Appunti da Hampstead (1954-1971)
E' una raccolta di appunti, vergati negli anni che precedono e seguono la pubblicazione di Massa e potere. Alle riflessioni si alternano parentesi narrative, com'è nello stile di Canetti.