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Lo spogliatoio della signora e altre poesie
Antesignano di una lunga schiera, Oliver Goldsmith ebbe a notare che Swift aveva un fiuto particolare nello scavare e mettere a nudo le “brutture” naturali. In questo caso l’indicazione di nuove possibilità espressive del grottesco, della forma deformata, composita, nasce da un sostanziale apporto della scrittura. Certe pastorali urbane lutulente e sordide sono riscrittura rovesciata dei segni di una tradizione colta coinvolta anch’essa nel processo di degradazione. Si dà il caso di una poesia fruibile a più livelli, anche se quello didattico sembra condizionare tutti gli altri. -
Il partito preso delle cose
Testo originale a fronte.Il progetto, quindi, è di scrivere un nuovo De natura rerum , o piuttosto un nuovo De varietate rerum il cui metodo viene così enunciato: «Il miglior partito è di considerare ogni cosa del tutto sconosciuta, e di passeggiare o di sdraiarsi nel sottobosco o sull’erba, e di riprendere tutto dall’inizio». Una fenomenologia poetica, certo, ma una fenomenologia materialista, non esistenzialista, per la disperazione di Sartre. L’opera di Ponge produce ciò che si può chiamare: «allegria materialista» – contatto rinnovato, rinnovante, con l’esterno, con le «choses» della «natura» e del mondo. Jacqueline Risset -
La vita è sogno
«Calderón, rinarrando e funzionalizzando a una piú vasta struttura la fiaba orientale (è nelle Mille e una notte ) del califfo che permette a un mendicante di regnare tra due sonni, ripropone qui un problema che si presenta costante nel corso della sua produzione. Si tratta del tema della cultura, della civiltà come strumento di controllo del comportamento naturale dell’uomo. Di fronte all’umana natura la filosofia di Calderón non fu meno pessimista di quanto lo sarebbe stata, a tre secoli di distanza e scavalcando un’epoca inquietata dal sospetto di una mitica bontà del dato naturale, la riflessione psicoanalitica di Freud: guidato dai suoi impulsi naturali, l’uomo si abbandona all’aggressività e alla sensualità fino a rischiare di tutto distruggere e autodistruggersi. Argine al sempre incombente pericolo è la cultura, che, difendendo l’umanità dalla natura, regola i rapporti degli uomini tra loro. Questo pessimismo, ma anche questa fiducia, tutta laica, nella civiltà, si pone a fondamento di piú di un dramma di Calderón». Dall’ Introduzione di Cesare Acutis -
Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli
«Machiavelli non fu un autore dei miei anni migliori», scrive Dionisottinell'epilogo di questo volume, ricordando come allora «sull'immaginedi lui stingesse quel repellente machiavellismo che la crisi politicadell'Europa aveva riesumato e rimesso di moda». E tuttavia questistudi - in parte apparsi in rivista, in parte inediti - riassumonoesemplarmente una «cinquantennale esperienza storica e filologica»,se la densità della pagina, il rigore dell'erudizione possono essere ilfrutto soltanto del lavoro di chi ha vissuto nella diuturna frequentazionedei classici.Con straordinario scrupolo critico, testi ed eventi sono ricondotti al loro preciso contesto storico, così da sgombrare il campo da sbavature anacronistiche e ricostruzioni approssimative che hanno intorbidato questioni già di per sé complesse di storia politica e sociale come di storia letteraria. Ne scaturisce una lezione di metodo, che non rifugge da scatti polemici: queste Machiavellerie , «scontrose piuttosto che indulgenti», sono la testimonianza dell’etica intellettuale di un grande studioso. Dai saggi sui rapporti col Valentino e il suo luogotenente e boia don Micheletto a quelli sulla lingua e la civiltà letteraria del primo quarto del Cinquecento, ci appare la multiforme attività di Machiavelli che, se non fu un umanista nel senso proprio del termine, sempre riflette nella sua personalità e nella sua cultura il sapere e il sentire del suo tempo nelle punte più avanzate e originali: dalla grande stagione di Lorenzo il Magnifico e del Poliziano fino all’età del primo e del secondo papato mediceo, tragicamente chiusa dal sacco di Roma. Nel cuore di questo periodo, Machiavelli, «dopo la delusione del Principe , sempre più animosamente s’impegna a cercare nella letteratura militante dell’età sua una ragione di vita», e dai Discorsi all’ Arte della guerra vagheggia una soluzione della crisi italiana «attraverso il recupero dell’antica tradizione fiorentina, in direzione opposta agli sviluppi cortigiani comuni al resto d’Italia». -
Anfitrione
Giove, per conquistare Alcmena, assume l'aspetto di Anfitrione, il marito partito per la guerra. Il vero Anfitrione però torna all'improvviso con il servo Sosia, mentre Giove è nel letto di Alcmena. Mercurio, con l'aspetto di Sosia, fa da guardia alla casa e arriva a far dubitare il vero Sosia della sua identità. Anfitrione capisce però che la moglie lo ha tradito, ma Giove spiega la situazione, gli promette un figlio eroe e ne ferma la vendetta con un fulmine. L'ancella intanto annuncia la nascita di due gemelli, uno dei quali, nato da Giove, sarà Ercole. Anfitrione, convinto dalla voce stessa di Giove, si sottomette al volere del padre degli dei. -
Emilia Galotti
“Emilia Galotti” non è solo la più bella delle opere di Gotthold Ephraim Lessing (Kamenz 1729 – Braunschweig 1781), ma anche la più discussa e avversata tragedia del teatro tedesco, che purtuttavia continua ad avere un successo duraturo. Nonostante le riserve dei critici, l'”Emilia Galotti” resta sulle scene vivissima, così come sorse: come un’isola di Delo del mare, disse Goethe, vincendo, in virtù della sua bellezza illuministica, la grigia produzione drammatica contemporanea. -
Storia d'Italia. Annali. Vol. 4: Intellettuali e potere.
Piano dell’opera. Storia d’Italia Coordinatori dell’opera Ruggiero Romano e Corrado Vivanti Annali I. Dal feudalesimo al capitalismo A cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti II. L’immagine fotografica 1845-1945 di Carlo Bertelli e Giulio Bollati (due tomi) III. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal Rinascimento a oggi A cura di Gianni Micheli IV. Intellettuali e potere A cura di Corrado Vivanti V. Il paesaggio A cura di Cesare De Seta VI. Economia naturale, economia monetaria A cura di Ruggiero Romano e Ugo Tucci VII. Malattia e medicina A cura di Franco Della Peruta VIII. Insediamenti e territorio A cura di Cesare De Seta IX. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea A cura di Giorgio Chittolini e Giovanni Miccoli X. I professionisti A cura di Maria Malatesta XI. Gli ebrei in Italia A cura di Corrado Vivanti (due tomi) XII. La criminalità A cura di Luciano Violante XIII. L’alimentazione A cura di Alberto Capatti, Alberto De Bernardi e Angelo Varni XIV. Legge Diritto Giustizia A cura di Luciano Violante XV. L ‘industria A cura di Franco Amatori, Duccio Bigazzi, Renato Giannetti e Luciano Segreto XVI. Roma, la città del papa A cura di Luigi Fiorani e Adriano Prosperi XVII. Il Parlamento A cura di Luciano Violante -
Il ventaglio
Commedia in prosa in tre atti, rielaborazione di una sua commedia precedente in francese ""L'éventail"""". Durante un colloquio tra gli innamorati Evaristo e Candida a quest'ultima cade un ventaglio che si rompe. Evaristo ne compra uno nuovo che dà alla contadina Giannina perché lo porti in regalo a Candida. La cosa suscita la gelosia di Crespino e Coronato, innamorati di Giannina, che pensano che il dono sia per lei. Anche Candida lo crede e per dispetto accetta la proposta di matrimonio del barone del Cedro. Evaristo, deluso, lascia il ventaglio in dono a Giannina. Infine l'equivoco si chiarisce e Evaristo si riconcilia con Candida."" -
Il sipario ducale
«Il sipario ducale» è stato, nel ’75, l’avvio di una nuova fase nella narrativa di Volponi. Lo scrittore abbandonava la forma anche esteriormente piu diretta della prima persona, non per dimettere, ma anzi per offrirsi una maggior libertà di intervento e di giudizio. Tutto ciò sembrava richiesto da una materia incandescente, anche temporalmente concentrata (la storia dura nella misura classica di pochi giorni) in una data: quella cruciale del 12 dicembre 1969, con lo scoppio della bomba in piazza Fontana a Milano. Tuono che echeggia, qui, nella remota Urbino, microcosmo rinascimentale velato da un sipario che tutto copre, e attutisce forse, ma sotto cui fermentano l’utopia e la ribellione. L’evento agisce su due mondi diversi: quello del giovane conte Oddino Oddi-Semproni, attorniato da un insensibile coro di zie, e quello di una coppia di anarchici, il professore Gaspare Subissoni, visionario insoddisfatto, e la sua compagna Vivés. Esso pone, come sempre, Volponi a lottare con la sua opera e con i suoi personaggi, e a provocare uno scontro del lettore con la sua pagina. Romanzo intenso d’amore e di storia, «Il sipario ducale» rimane come un’opera di profonda passione e di tensione anche stilistica, quasi incapace di contenere il flusso del racconto e del furore. -
La lezione-Le sedie
“Ionesco in queste sue due pièces, come d’altronde in quasi tutto il suo teatro, non offre una soluzione agli interrogativi che pone. Testimonia, mistifica, grida il suo smarrimento, le sue paure talora baroccamente e infantilmente atteggiate. La sua comicità può apparire sberleffo”. Con queste parole, Gian Renzo Morteo, nell’introduzione al libro, metteva a fuoco le intenzioni del drammaturgo francese: mostrare, attraverso contenuti palesemente metafisici, il vuoto di realtà che si nasconde dietro la società umana. “Spingere il burlesco fino al limite estremo”, con un rovesciamento di ruoli tra i due protagonisti ne “La lezione”. “Esprimere l’assenza. Esprimere i rimpianti, i rimorsi. Irrealtà del reale. Caos originario” ne “Le sedie”. L’ironia, il tono caricaturale emergono in Ionesco dall’esigenza di esorcizzare la disperazione grazie a una costante tensione sperimentale nella struttura e nei modi dell’azione teatrale. -
L' amaro miele
Quando c'è festa nei miei paesi vengono da lontano i venditori, mangiaspade, mangiafuoco, con mani immense e scamiciate alzano sui bambini la tromba del diluvio, dormono a notte nei fondachi scuri, se ne vanno un mattino sotto la pioggia. Io non ho fiere piú da visitare, e piú m'attempo piú voglio morire.«Questi versi, scritti su carta da macero con un pennino Perry moltissimi anni fa; sopravvissuti solo quasi per caso alle periodiche fiamme di San Silvestro a cui l’autore fu solito un tempo condannare il superfluo e l’odioso dei suoi cassetti; divenuti, invecchiando, patetici come rulli di pianola o vecchie fotografie; questi versi non vantano probabilmente altro merito per vedere la luce; se non quello, privato, di fare per un momento sorridere, ove ne abbia ancora le labbra capaci, un fantasma di gioventú. Il quale potrà ritrovarvi e riconoscervi, insieme ai relitti di sue antiche pene d’amor perdute in riva al Mediterraneo, le memorie di una lunga attesa e persuasione di morte all’ombra grave della guerra; e le veloci letizie, le lunghe solitudini, dopo il ritorno nel Sud». -
Atti unici
Rispetto alle prime prove drammatiche la tetralogia non è semplicemente una fase più matura: essa ha il senso di un passaggio dalla naturalità all’astrazione. Come nel giovane Kandinskij dai lavori Jugendstil osserviamo emergere magicamente le forme astratte, così in Cechov dal dramma tradizionale si arriva, in tutta la tetralogia a quell'”opera astratta come una sinfonia di Cajkovskij” di cui parlava Mejerchol’d, dove anche gli oggetti sono presenti come quei “correlativi oggettivi” che Eliot definisce in un saggio sull ‘”Amleto”: dati esterni, il cui sistema deve evocare un’emozione particolare. In questo teatro “astratto” c’è un fascino ipnotico che ancora ci incanta e c’è tutta la limpida umanità di uno scrittore, il cui principio etico-intellettuale fu, come egli scrisse, “la più assoluta libertà, la libertà dalla forza (cioè dalla pressione di qualsiasi forza. v.s.) e dalla menzogna”, in qualunque forma esse si manifestino, e per il quale quindi il futuro non era un dogmatico feticcio ideologico, ma una critica costruzione ininterrotta, una razionale speranza fondata sui valori di un rinnovato umanesimo laico-cristiano.” (Dall’Introduzione di Vittorio Strada) -
Poesie
Io grido a te pietà, pietà, amore - sí, amore! Amore misericordioso, non supplizio di Tantalo, ma univoco pensiero, ed immutabile e innocente, a viso aperto e chiaro e senza macchia! Lascia ch'io t'abbia tutta, tutta mia! Quella forma leggiadra, quella dolce droga d'amore minima, il tuo bacio - mani ed occhi divini, il caldo e bianco lucente seno dalle mille gioie; te stessa, la tua anima, ti supplico per pietà, dammi tutto, non escluso un atomo di un atomo, o morrò...Un giovane semplice, assai metodico, senza conoscenza del greco: ecco John Keats quando verso il quindicesimo anno piglia gusto alla letteratura traducendo in prosa tutta l’Eneide. “E se il sangue gli fu presto disintegrato da un male che scendeva nella famiglia – ricorda un illustre critico – la salute dell’ingegno, un’intima chiaroveggenza gli rimasero sempre, onde la sua carriera verso la perfezione poté essere tanto precoce”. Questa raccolta delle sue più significative composizioni consente di intravedere il significato attribuito alla bellezza come rivelatrice di verità. Tra queste poesie spiccano le Odi: forse non mai come in Sopra un’urna greca Keats ha saputo cogliere la sospensione infinita del mistero intorno alla grazia di un’opera umana. Edizione con testo a fronte. -
Navigazioni e viaggi. Vol. 5
Nell’umanesimo veneziano della prima metà del Cinquecento, tra tipografi, filologi e storici, fiorisce una singolare figura di intellettuale: Giovanni Battista Ramusio. Segretario del Senato e diplomatico sottile, letterato amico di Bembo e di Fracastoro, egli avverte come pochi altri i mutamenti introdotti nella storia europea dall’allargarsi dell’orizzonte geografico, dai contatti con popoli lontani e ancora pressoché ignoti. Inserendosi nel lavoro dei cartografi, Ramusio aduna e traduce un corpo imponente di Navigazioni e viaggi che dai tempi dei pionieri cartaginesi arriva fino ai suoi, quelli di Vespucci e di Magellano. Tra il 1550 e il 1606 vanno alle stampe i tomi di un’opera imponente: ora quelle decine e decine di trattati, di diari, di «itinerari», di relazioni tornano in edizione fedele, in sei volumi dei «Millenni» a cura di Marica Milanesi. Questo quinto volume, interamente dedicato al Nuovo Mondo, si apre con il Sommario delle decadi di Pietro Martire d’Anghiera (1457-1526), cronista, ma al tempo stesso commentatore e critico, della costruzione dell’ America spagnola, e qui, in particolare, dei viaggi di Cristoforo Colombo. Seguono poi il Sommario e la Storia delle Indie occidentali di Gonzalo Fernandez de Oviedo (1478-1557), forse il piú famoso cronista de las Indias , autore di una monumentale opera dedicata non solo ai fatti, ai personaggi, alle battaglie della Conquista, ma anche alle piante, gli animali, i pesci, gli insetti, i veleni, le curiosità, le stranezze, le leggende di un mondo fino ad allora sconosciuto. -
I masnadieri
Pubblicata anonima nel 1781 e rappresentata per la prima volta a Mannheim nel 1782, la tragedia mette in scena un dissidio tra fratelli: Franz Moor, l’infido macchinatore di complotti, e Karl Moor, l’idealista masnadiero, prototipo del nobile fuorilegge dello Sturm und Drang che per ‘migliorare il mondo’ combatte contro ogni sopruso, ma soprattutto contro la legge ingiusta dei tiranni. Il successo della tragedia costò a Schiller la caduta in disgrazia presso il duca di Wurttemberg, avviando un’avventurosa vicenda di arresti, fughe e peregrinazioni. -
In Versilia e nel tempo
I giorni in cui si svolge il romanzo di Marco Forti sono quelli del sequestro e della morte di Moro, emblema di un mondo minacciato e stravolto. Per il protagonista, che parte per una breve vacanza con la moglie, sono anche i giorni di un tentativo di trovare le proprie radici e quindi un senso e un significato della propria realtà. Il luogo è una Versilia fuori stagione, in cui si alternano passato e presente, spiaggia ed entroterra, stagioni e persone, momenti e situazioni che sembrano fungere da talismani e da catalizzatori. Un percorso nel tempo, accanto a una moglie interlocutrice e disponibile che restituisce a questa vacanza una dimensione più immediata e concretamente reale. Alla fine sarà lei a sciogliere il nodo del racconto in un rapporto vitale e quotidiano. -
Storia naturale. Con testo latino a fronte. Vol. 4: Medicina e farmacologia. Libri 28-32.
Dopo i vegetali, in quest’altra sezione dell’immensa ricognizione di Plinio sono gli animali a rifornire di medicamenti la sua e la nostra farmacia. Nei libri dal XXVIII al XXXII tornano le schiere che avevano già popolato di virtú, di orrori e di prodigi i libri dal VI all’XI: l’uomo, i foschi abitanti delle foreste, gli agili volatili dell’aria, i pesci guizzanti e i fastidiosi rettili, tutti trasformati ora in altrettante fonti di benessere contro i fastidi o i malanni che rendono la nostra vita «un tormento». Plinio aborrisce dai trucchi e dai sortilegi dei maghi, anche se poi dissemina il suo testo di misteriose superstizioni non scomparse nemmeno oggIgIorno; non e nemmeno di quelli che pensano che la vita vada prolungata ad ogni costo. Però ritiene di non dover lasciare cadere nulla di quanto la natura, e lo stesso regno dei viventi, ci offrono provvidamente, talvolta stranamente, per la nostra sopravvivenza. Chi sa che la proboscide dell’elefante al solo tatto guarisce il mal di capo? che il grasso di leone è un formidabile cosmetico? Le teste di lupo vengono efficacemente inchiodate sulle porte dei cascinali per stornare i malefici; per le ulcere si raccomanda il latte d’asina. Persino le civette, lo scarafaggio, la mosca, la formica, il millepiedi possono giovare, in polvere o in linimenti, alla nostra salute. In totale 5071 ricette sono offerte in questi densi libri, costanti e imperturbabili, inesauribili di sapere antico e di ancor piú antichi riti. La medicina, dice Plinio nel narrarne la storia in apertura del libro XXIX, è un’arte lunga, irta di difficoltà e di oscillazioni, un avventuroso errare tra cause ed effetti entro cui la natura provvida non cessa di guidarci e soccorrerci in ogni maniera, con tutte le sue creazioni: «lei che ha creato l’uomo». -
Amore di confine
La voce di Mario Rigoni Stern è di quelle che non ci si stanca mai di ascoltare. Il lettore di queste pagine avrà l’impressione di ritrovarsi con lui davanti al fuoco di un camino, in una notte d’inverno sull’Altipiano, e di sentirgli raccontare storie di guerra e di pace, di uomini e di animali, di boschi e di piante, legate insieme da una adesione profonda ai ritmi dell’esistenza. I capitoli in cui è diviso il libro sembrano scandire i momenti di un’autobiografia: la prigionia nei campi di lavoro nazisti, narrata senz’ombra di enfasi vittimista, con la consueta attenzione al rifiorire della solidarietà anche nelle circostanze più drammatiche; il ritorno a casa e il lavoro come avventizio di terza categoria al servizio catastale, esemplare microcosmo di contadini e montanari, dove è possibile seguire sulle mappe e sui documenti l’intreccio delle varie vicende familiari; la vita quotidiana al paese, con i suoi personaggi salienti: don Titta, Bepi del Pune, Toni Zurlo, la bambina che era amica di Ezra Pound… Osservatore esperto ed autorevole, Rigoni Stern preferisce il ruolo del testimone a quello del protagonista. Ogni paesaggio – dice – ha le sue storie, a saperle leggere, e l’Altipiano di storie è ricchissimo, una miniera di memorie, riti, leggende, che trova quasi il suo emblema in quella sperduta Osteria dell’Antico Termine, per secoli rifugio alpestre e stazione di posta, che nel Medioevo segnava il confine tra la Reggenza dei Sette Comuni e il Vescovo Principe di Trento; o nei tre meravigliosi ciliegi che la tradizione vuole siano stati piantati alla notizia della scoperta dell’America. Il titolo allude non soltanto alla particolare posizione geografica di quel crocevia di genti, lingue ed esperienze, ma anche e soprattutto a quello speciale momento che è caro all’ispirazione dell’autore: il trapasso struggente di età e di stagioni, il trascolorare di epoche e di emozioni che ogni anno trova la sua cifra poetica nelle settimane del disgelo… -
Chi ha paura di Virginia Woolf?
Una coppia di mezz’età – George, professore di storia, e Martha, sua moglie e al tempo stesso figlia del preside dell’università – riceve un’altra coppia, più giovane: Nick, anche lui professore ma di biologia, e la moglie Honey. L’azione si svolge nel salotto di George e Martha, in una sola notte, un vero e proprio jeu de massacre che travolge via via i personaggi. La situazione è quella classica: unità di tempo e di luogo, drammatizzazione dei rapporti, coinvolgimento del passato di ognuno in un’azione tragica. Come in un rituale, questa notte diviene momento di oscena derisione, di scherzi sadici, di giochi crudeli, di scoperti tradimenti, ma anche, forse inaspettatamente, di liberazione e di verità. Il salotto dei Washington – questo il cognome non casuale di George e Martha – è così il centro d’una casa stregata, nella quale una specie di maleficio tiene soggiogati i protagonisti. Grazie alla normalità dei personaggi, scelti in un ambito ben definito ma non per questo meno emblematici, l’attenzione si concentra sulla normalità dell’angoscia, dell’odio, della trasgressione, della violenza. Che non è solo degli attori, ma propone gli stessi vizi e gli stessi comportamenti degli spettatori. Dalla Nota introduttiva di Paolo Collo -
Satire
Da tutti li altri amici, Annibale, odo, fuor che da te, che sei per pigliar moglie: mi duol che 'l celi a me, che 'l facci lodo. Forse mel celi perché alle tue voglie pensi che oppor mi debbia, come io danni, non l'avendo tolta io, s'altri la toglie. Se pensi di me questo, tu te inganni: ben che senza io ne sia, non però accuso se Piero l'ha, Martin, Polo e Giovanni.Il modello è costituito dalle Satire e, piú, dalle Epistole di Orazio: un modello non ovvio, dato che sino all’Ariosto fu molto maggiore la fortuna delle satire di Giovenale (Orazio era ammirato piuttosto come lirico), e un modello per lo stile di vita, oltre che per quello letterario: cosí intima fu l’adesione dell’Ariosto alla saggezza del poeta latino. Anche se si deve aggiungere che la frequenza dell’elemento dantesco, il quale rende robusto, persino asprigno, il tono del verso, mostra come la saggezza edonistica sia spesso attenuazione signorile di un risentimento morale vissuto e sofferto. Dalla premessa di Cesare Segre