Sfoglia il Catalogo feltrinelli010
<<<- Torna al MenuCatalogo
Mostrati 2721-2740 di 10000 Articoli:
-
Il libro del tè
Il libro del tè (1906) di Okakura Kakuzo (1862-1913) è divenuto negli anni un classico dell'incontro tra Oriente e Occidente ed è stato molte volte tradotto. Nonostante il titolo, il libro non va considerato un manuale sul tè. È piuttosto un inno alla cultura, all'estetica, allo spirito del tè quale simbolo, paradigma, vessillo dell'anima asiatica. Venne scritto da un appassionato ricercatore giapponese, lo scopo della cui esistenza fu di rinnovare e diffondere i valori dell'Oriente nel momento in cui il suo stesso paese sembrava volerli rinnegare per quelli occidentali. Questa nuova edizione contiene un ricchissimo apparato di note che spiegano i contenuti del libro che l'autore aveva omesso di illustrare, e che le varie edizioni internazionali hanno solo limitatamente trattato. Inoltre contiene una postfazione in cui viene ricostruita l'esistenza di Okakura in riferimento alla sua missione interculturale e allo sviluppo della spiritualità universale attraverso l'estetica e la pratica del tè come stile di vita. Okakura visse in Giappone in un periodo di grandi idealità e di radicali trasformazioni individuali e sociali tra lo sbigottimento per la forza dell'Occidente e l'ansia d'imitazione. Scrisse Il libro del tè al culmine degli opposti movimenti dell'occidentalizzazione del suo paese e della diffusione in Occidente dello spirito orientale, con la sua arte e i suoi valori religioso-filosofici. È chiaro che per resistere alle complessità di un compito come questo e alle forze in gioco erano richieste una genialità fuori del comune e una profonda conoscenza di entrambi gli universi culturali, ma soprattutto un amore senza condizioni per il sapere e per lo sviluppo dell'individuo e della società. Nel caso di Okakura questo amore prese la forma dell'arte e fece di lui una figura eccezionale nella storia dell'incontro-scontro tra Oriente e Occidente all'epoca delle trasformazioni moderne di entrambi. A considerarla retrospettivamente, la formazione di Okakura sembra essere stata un percorso programmato passo per passo per rispondere allo scopo che sarebbe divenuto quello della sua esistenza. Il libro del tè è anche il fil rouge che lega una vita esemplare al proprio destino interiore: una suggestione archetipica per ciascuno di noi, oggi e sempre. -
Il «turco» a Livorno. Incontri con l'Islam nella Toscana del Seicento
Nella Toscana del Seicento, l'incontro con uomini di fede islamica era un'esperienza molto più comune di quanto non si possa oggi supporre. A Livorno, in particolare, i numerosi schiavi «turchi» costretti a vogare sulle galere del granduca erano alloggiati in una struttura apposita: il Bagno. Gli abitanti di questo microcosmo carcerario non erano tuttavia isolati dal mondo, ma intrattenevano relazioni lecite ed illecite con l'esterno. Il «turco», pur rimanendo il nemico dall'aura terrificante che dominava di là dal mare, si rivelava anche come il facchino che portava l'acqua al mattino, il gestore di una bottega di barbiere, o lo stregone a cui ricorrere per risolvere i consueti mali d'amore. -
Centro e periferia nella storia dell'arte italiana
«In un'età di imperialismi e di subimperialismi, in cui anche le bottiglie di Coca-Cola si configurano come segno tangibile di vincoli non solo culturali, il problema della dominazione simbolica, delle sue forme, delle possibilità e dei modi di contrastarla, ci tocca inevitabilmente da vicino». A quarant'anni esatti di distanza dalla prima pubblicazione di questo testo nella Storia dell'arte italiana Einaudi, l'attualità di queste parole non si è affievolita. Al contrario: se alla fine degli anni Settanta tale giudizio valeva per un'Italia che assisteva alla definitiva perdita della complessità di fronte all'omologazione culturale, alle migrazioni interne e all'inurbamento di massa, oggi, nell'età della globalizzazione, la «dominazione simbolica» si è estesa su scala mondiale. Motivo per cui ripubblicare questo saggio in forma di libro è utile sia agli storici dell'arte per capire come si è evoluta la carta geografica della produzione artistica italiana, che a chiunque sia interessato a comprendere come dei modelli estetici estendano la loro presa sulla società e, eventualmente, come ribaltare quello stato di cose. Il libro rilegge la storia dell'arte italiana mettendo in discussione uno dei dogmi su cui si era basata per secoli: l'identificazione del centro (o dei centri) come luogo della creazione artistica, e della periferia come luogo di ricezione tardiva. Contro questa visione semplicistica, il libro racconta i rapporti tra «centro» e «periferia» in maniera meno gerarchica (evitando di parlare di una mera diffusione dei modelli artistici dal primo verso la seconda), ma anche meno pacifica. Spesso infatti, anche quando sembrano adeguarsi alle indicazioni del centro, le periferie lo fanno in maniera creativa o comunque a prezzo di resistenze da conoscere e comprendere. -
Valadier. Splendore nella Roma del Settecento. Catalogo della mostra. Ediz. illustrata
Il catalogo della grande mostra monografica dedicata a Luigi Valadier, che segue e amplia quella tenutasi alla Frick Collection di New York nel 2018. Esponente più illustre e dotato di una famiglia di argentieri proveniente dalla Francia, Luigi Valadier (1726-1785) lavorò per buona parte del Settecento per i papi, i principi e le più aristocratiche e ricche famiglie romane sinché la sua fama raggiunse tutta l’Europa, ricevendo rilevanti committenze da Francia, Inghilterra e Spagna. La sua inarrivabile tecnica nel lavorare l’argento e il bronzo lo portò a sviluppare un gusto e uno stile – partendo da un rigoglioso e decorativo barocco di impronta soprattutto francese, rocaille o rococò, che si sviluppò poi in un linguaggio più contenuto e sofisticato, culminato nel neoclassicismo – assolutamente all’avanguardia, che ne ampliò la dimensione artistica da quella di grande artefice di arredi sorprendenti a realizzatore di imprese più ambiziose e monumentali. I suoi lavori rendevano omaggio al grande insegnamento di Giovanni Battista Piranesi, alla devozione verso i monumenti della Roma antica e le venerate statue dell’antichità, ricomposte in creazioni solenni come i centrotavola (desers) concepiti quali veri e propri monumenti da tavola, candelabri, altari, gioielli, arredi da mensa. Nessun luogo meglio della Galleria Borghese può assolvere l’impegnativo compito di celebrare Valadier, poiché egli fu una figura emblematica per l’aspetto che la Villa andava assumendo nella seconda metà del XVIII secolo grazie al rinnovamento voluto dal principe Marcantonio Borghese e affidato all’architetto Antonio Asprucci, e che attraverso la compresenza di pittori, scultori e artigiani condusse all’elaborazione uno stile che sarà a sua volta determinante per la nuova cultura e la nuova immagine che da Roma si sarebbe irradiata in tutta l’Europa. Per far emergere l’importanza determinante che Valadier ebbe nella cultura figurativa del Settecento europeo la mostra dà ampio spazio anche alle sue imprese più ambiziose e monumentali, sacre e profane, riunendo sia i bronzi di grandi dimensioni sia le sculture religiose che di Roma rappresentano il volto cristiano. -
Pordenone ma anche Correggio e Michelangelo
Questo volume è dedicato a Giovanni Antonio de Sacchis, detto il Pordenone (1483/84-1539), uno dei protagonisti della pittura in Valpadana della prima metà del Cinquecento.rnDopo l’iniziale periodo di formazione friulano, viene influenzato da Giorgione (affreschi di Vacile e pala di Spilimbergo). Il suo stile diverrà più ampio e drammatico dopo un soggiorno romano (affreschi del duomo di Treviso e del duomo di Cremona). Il confronto con Correggio e Parmigianino è esemplificato dalla cupola di Santa Maria di Campagna a Piacenza e quello con Tiziano in alcune pale d’altare di cui rinnova il tradizionale impianto compositivo.rnIl saggio, scritto da Alessandro Ballarin, grande esperto di pittura veneta del Cinquecento, in punta di stilografica nella primavera-estate del 1989, è rimasto a lungo in una scatola d’archivio. Ripreso in mano nel 2018, dopo aver terminato i sette volumi di testi e tavole del Giorgione, è stato aggiornato e approfondito.rnLa storia di Pordenone, seguita dall’ultima fase dei lavori nel castello dei Collalto a San Salvatore di Susegana nel 1511 fino alla morte avvenuta a Ferrara alla corte di Ercole II nel 1539, ne esce profondamente modificata nella sua fisionomia, rispetto alle due monografie di riferimento, di Caterina Furlan del 1988 e di Charles Cohen del 1996 (in inglese). Soprattutto risultano studiate in modo diverso la foga e l’intelligenza con cui egli si è rapportato ai grandi avvenimenti figurativi del suo tempo, in particolare a Tiziano, a Correggio, a Michelangelo; e nel seguire fino in fondo le circostanze di questi confronti, succede che gli sviluppi dell’indagine si propongano di chiarire alcuni punti nevralgici della storia stessa di quei tre autori.rnIl grande tema dell’impatto della cappella Pallavicino (chiesa dell’Annunciata, Cortemaggiore) sulle vicende della pittura padana degli anni Venti del Cinquecento, finora totalmente mancato, comporta un’irruzione nella storia artistica di Bologna di quel momento, destinata a cambiarne la nostra visione. Il seguito a Venezia negli anni Trenta, dopo Piacenza e Genova – un passo scritto per l’occasione a partire da una novità rimasta in archivio per quarantacinque anni, che sarà una delle ragioni di attrazione del libro –, dà luogo ad un riassetto della produzione di quel momento, che però alla fine, grazie a quella novità, sfuma nella scoperta di una nuova stagione ferrarese destinata a restare piena di incognite. -
Arti e lettere a Napoli tra Cinque e Seicento: studi su Matteo di Capua Principe di Conca
Matteo di Capua (1568-1607), conte di Palena e secondo principe di Conca, Grande Ammiraglio del Regno di Napoli, fu il più munifico patrono delle arti e delle lettere a Napoli tra Cinque e Seicento. Al suo servizio furono, uno dopo l'altro, l'anziano Torquato Tasso e il giovane Giovan Battista Marino, insieme a uno stuolo di artisti, letterati, artigiani, scienziati e uomini di cultura. Il suo palazzo napoletano è stato spesso ricordato, oltre che come dimora dei due grandi poeti, per le conversazioni che vi ebbero luogo e che portarono al processo per eresia del celebre matematico Colantonio Stigliola. La sua biblioteca e le collezioni d'arte, ricche di opere attribuite a Correggio, Raffaello e Tiziano, furono tra le più importanti mai raccolte a Napoli: esaltate dalle fonti coeve, da Tommaso Costo a Giulio Cesare Capaccio, sono protagoniste delle Vite di Bernardo De Dominici, dove sono spesso ricordate (senza alcun fondamento) come il luogo in cui i pittori napoletani del Seicento avrebbero completato la loro formazione figurativa, davanti a illustri esempi ""classici"""". Nonostante già alla fine dell'Ottocento se ne conoscessero gli inventari, la loro consistenza e la loro storia reale non erano mai state indagate. Le vicende del principe, della sua famiglia, delle sue residenze di Conca, Caiazzo, Napoli e Vico Equense, insieme a quelle delle sue raccolte erano pertanto allo stesso tempo famose e ignote. I saggi contenuti nel volume, in cui si confrontano storici della società, dell'architettura, delle arti antiche e moderne, della letteratura, della musica e del libro, insieme alla vasta documentazione d'archivio ritrovata e trascritta, costituiscono una monografia a più voci, che indaga per la prima volta la breve vita del principe e la formazione, la consistenza, la dispersione della sua biblioteca, delle sue collezioni e della sua corte, viste come punto di incontro tra arti, scienze e lettere."" -
Girolamo da Carpi. Ediz. a colori
Girolamo Sellari (Ferrara 1501-1556) è due anni più giovane di Giulio Romano, di due più anziano di Parmigianino, coetaneo di Perino del Vaga. I suoi modelli compositivi sono Raffaello, Giulio Romano, Parmigianino, Peruzzi, Polidoro da Caravaggio e, ovviamente, l'antico. Alle spalle di tutto è il background ferrarese di corte al quale Girolamo ha accesso tramite il padre Tommaso, del quale nulla resta, ma che dai documenti d'archivio si presenta come figura polifunzionale alla corte degli Este, dal 1503 al 1545, decoratore, corniciaio, scenografo; con lui Girolamo, giovane apprendista, ha accesso allo studio dei marmi e al camerino di Alfonso d'Este nella sua progressione, prima di trasferirsi a Bologna alla metà degli anni venti. Nella città pontificia, come attesta Giorgio Vasari, esegue molti ritratti, un genere in cui diventa specialista e che agevolerà il suo rientro alla corte estense all'avvento del nuovo duca Ercole II (1534), presso la quale sarà attivo anche come architetto fino alla morte (1556), salvo una lunga parentesi romana in cui servì il cardinale Ippolito II d'Este e, brevemente, il papa Giulio III (1550-1553). In questo libro, a più di 40 anni dalla monografia di Amalia Mezzetti, si presentano, per la prima volta strettamente interrelate, in forma monografica, l'opera pittorica e grafica. Costituisce una novità lo stesso catalogo dei disegni sciolti del maestro, riferibili a tutta la carriera del pittore, e irrinunciabile integrazionedel corpus del già bene noto Taccuino Romano (Canedy, 1976; distribuito tra la Rosenbach Library di Philadelphia, la Biblioteca Reale di Torino e il British Museum di Londra), composto da disegni di formato lungo e stretto, che annotano, copiano, estrapolano, nei tardi anni del soggiorno nell'Urbe, modelli dall'antico e dal moderno per uso personale e della bottega. -
Terra di confine. Arti figurative a Bergamo nel Rinascimento (e oltre)
Il libro è costituito da dieci saggi che indagano altrettanti argomenti artistici legati a una Terra di confine: prendono spunto da opere, artisti e testimonianze conservate a Bergamo, la città più occidentale della Serenissima. I pittori studiati sono riletti criticamente a partire da un'aggiunta al catalogo, da una nuova interpretazione delle fonti o del loro percorso stilistico. Bernardo Zenale, Lorenzo Lotto, Giovanni Cariani e Giovanni Battista Moroni sono alcuni dei principali protagonisti di questa storia. Uno dei fili rossi della ricerca indaga la sopravvivenza e il riuso di modelli figurativi da parte di botteghe familiari di pittori (i Marinoni e i Santacroce). L'interesse per la storia della critica e l'esercizio della connoisseurship sono i motori che alimentano la costruzione delle indagini. Nella parte finale si affacciano due classici della materia: Giovanni Morelli e Roberto Longhi (visto attraverso gli occhi del giovane Alessandro Conti). -
La vita di Giovanni Morelli nell'Italia del Risorgimento
Prima di Morelli (1816-1891) l'attribuzione di un dipinto a un artista o a una scuola si fondava spesso sulla tradizione o su un'impressione generale, quando non addirittura sull'istinto. La sua formazione medica lo indusse a osservare da vicino i particolari anatomici e a esaminare con rigore scientifico le opere dei grandi maestri rinascimentali. Combinando il vaglio attento, l'analisi e il confronto di dettagli per lo più trascurati da collezionisti, critici ed esperti museali, il metodo morelliano divenne la base della moderna connoisseurship. Fiero patriota italiano di origini svizzere protestanti, Morelli prese parte al Risorgimento rischiando la vita nelle guerre d'Indipendenza. Servì per quattro mandati come deputato nel Parlamento del Regno di Sardegna e in quello dell'Italia unita, per poi essere nominato, nel 1873, senatore a vita. In un'epoca in cui tante grandi raccolte della Penisola erano preda di collezionisti e musei stranieri, si fece promotore di misure legislative, tra le prime al mondo, volte alla tutela delle opere d'arte. La vita di Morelli fu segnata da profonde amicizie e relazioni sentimentali con grandi donne quali Clementina Frizzoni, Laura Acton, Vittoria, figlia della regina d'Inghilterra e principessa ereditaria, poi imperatrice, di Germania. Per lascito testamentario, la collezione di Morelli è passata all'Accademia Carrara di Bergamo, città natale della madre e luogo cui restò sempre legato. -
L'incostante provincia. Architettura e città nella marca pontificia 1450-1750
Pur avendo dato i natali a grandi maestri (Bramante, Raffaello), e sebbene importanti architetti vi abbiano lasciato tracce non indifferenti del loro passaggio (Francesco di Giorgio Martini, Gerolamo Genga, Antonio da Sangallo il Giovane, Pellegrino Tibaldi, Luigi Vanvitelli), le Marche sono state spesso considerate, per ragioni storiche e geografiche, una realtà periferica negli studi di storia dell'arte e dell'architettura. Il presente volume, esito di una ricerca collettiva cui hanno preso parte studiosi italiani e anglosassoni, indaga momenti salienti della produzione architettonica nelle Marche, cercando di evidenziare soprattutto episodi in cui emerge il confronto tra architetti, maestranze forestiere ed artefici locali, come pure l'importazione di modelli esterni, senza trascurare il ruolo non secondario dei committenti. Più che tracciare un impossibile affresco complessivo, i saggi che compongono il volume cercano di far luce su singole realtà urbane (Ancona, Ascoli, Camerino, Fano, Osimo) in un momento particolarmente significativo della loro storia. -
La notte in bianco dell'orso polare. Ediz. a colori
«Uffa... Non riesco a dormire» dice l'orso bianco. Apre piano piano un occhio per vedere se è vero... e sì, è proprio sveglio. Un libro da portare sotto le coperte. Da leggere, rileggere, amare. Età di lettura: da 4 anni. -
Art History Before English: Negotiating a European Lingua Franca From Vasari To The Present. Ediz. italiana, inglese e tedesca
I saggi di questo libro sono centrati su una questione fondamentale per tutte le discipline umanistiche: qual è il rapporto tra la lingua predominante in una disciplina di studi e lo sviluppo della disciplina stessa. La storia dell'arte, per esempio, ha come prima lingua il latino (a partire da Plinio il Vecchio), ma presto vede l'affermazione del volgare (prima e dopo Vasari) per poi approdare al francese e al tedesco, soprattutto per la teoria estetica. Quali dinamiche artistiche, intellettuali e storiche hanno guidato la diffusione e la preminenza di una particolare lingua nelle pubblicazioni storico artistiche nei secoli? Nel mondo globalizzato contemporaneo è l'inglese che si è affermato come la lingua principale degli studi storico-artistici. L'utilizzo di una nuova lingua franca ha modificato i principi e i concetti storico-artistici, oppure questi sono rimasti invariati sotto la veste di nuovi termini? Quali conseguenze ha avuto e ha l'utilizzo di un linguaggio condiviso, con finalità pratiche di immediatezza comunicativa? A queste domande fondamentali per lo status della storia dell'arte si tenta di dare risposta nei saggi di importanti specialisti contenuti nel volume. -
Incisori tedeschi del Cinquecento. Ediz. illustrata
L'incisione moderna nacque nel XVI secolo in territorio tedesco. Quando la Germania non era ancora stato unitario, gli artisti di lingua tedesca svilupparono un efficiente sistema di produzione e diffusione delle stampa che ne elevò lo status, da mezzo di moltiplicazione delle immagini a basso costo, a linguaggio artistico indipendente. Ciò avvenne principalmente grazie a una delle massime menti del Rinascimento, quella di Albrecht Dürer: ma le sue intuizioni furono replicate, sviluppate e consolidate da una formidabile schiera di maestri incisori. Questo è il primo studio comprensivo in lingua italiana sull'argomento: raccoglie le biografie, una bibliografia di riferimento e un'antologia di opere rappresentative di oltre sessanta artisti compresi tra l'ultimo decennio del Quattrocento e la fine del secolo successivo, da Schongauer ai Piccoli Maestri di Norimberga, da Cranach a Altdorfer, passando per figure meno note e confronti con l'Italia, la Francia, la Svizzera e le Fiandre. Completa il testo una selezione di saggi che approfondiscono il mondo dell'incisione tedesca nelle sue molteplici sfaccettature storiche, tecniche e di espressione visiva. -
Ghiberti teorico. Natura, arte e coscienza storica nel Quattrocento
Lorenzo Ghiberti fu attivo negli anni cruciali del passaggio tra la tradizione artistica medievale e il periodo storico che oggi chiamiamo «Rinascimento». Leggendo le riflessioni teoriche contenute nei suoi Commentarii, si comprende quanto la rivalutazione dell'antichità classica, i nuovi sviluppi scientifici e un'osservazione più assidua della natura abbiano contribuito a mutare drasticamente sia i modi di produzione, che la ricezione delle opere d'arte. Ghiberti non si limitò a trasmettere questo ampio bagaglio conoscitivo agli artefici che frequentarono la sua bottega fiorentina (tra questi, molti degli artisti più promettenti della nuova generazione). Ghiberti fu anche il primo artista moderno dotato di una coscienza storico-critica. I Commentarii contengono il primo significativo resoconto storico moderno sulle arti, attento agli svolgimenti stilistici e alla filiazione delle diverse generazioni artistiche. Il presente volume indaga la genesi e il contenuto teorico dei Commentarii in relazione alle coeve pratiche artistiche e alla ricezione del pensiero di Ghiberti. Così facendo, porta all'attenzione del lettore problemi e domande che sono centrali per comprendere la trasformazione delle arti nel Quattrocento, e quell'ampio fenomeno culturale ad essa legato che è l'emersione della coscienza intellettuale dell'artista moderno. -
Avori. Un'introduzione. Ediz. illustrata
Gli avori, capolavori di un mondo lontano e raffinato, fanno parte delle cosiddette «arti minori», nonostante la loro altissima rilevanza storico artistica estesa dall'antichità al Rinascimento. Ecco finalmente la guida che fornisce tutti gli strumenti per avvicinarsi a conoscere questa arte così preziosa e regale, illustrata con splendide fotografie degli esemplari più significativi conservati presso il Museo Nazionale del Bargello, come la celebre Imperatrice Ariadne o il Flabellum di Tournus. La varietà dei manufatti eburnei è entusiasmante. Una molteplicità di tipologie (pedine e schacchi, valve di specchi, pastorali...), generi stilistici ed iconografici ripropongono secoli di storia con immagini di sovranità, di devozione e di vita cortese. Le sezioni illustrano, in maniera chiara e godibile, l'evoluzione di questa arte, a partire dagli avori etruschi e romani, passando per gli avori del Basso Impero (IV-VI secolo), gli avori bizantini, alto medioevali, carolingi e romanici, fino agli avori gotici e rinascimentali e a quelli orientali. -
Roberto Longhi. Percorsi tra le due guerre
Roberto Longhi (1890-1970) è stato uno dei più grandi storici dell'arte del Novecento. Questo libro vuole guardare in modo diverso ai suoi due volti: quello dello studioso capace di resuscitare intere zone sommerse della storia artistica nazionale; quello letterario del ""mago"""" e """"artista"""", che ne ha sancito la popolarità verso un largo pubblico grazie ai pregi di una scrittura inimitabile. Per collocarlo nel tempo e nello spazio, il libro prende le mosse da un episodio, la conferenza sull'arte italiana e l'arte tedesca che Longhi tenne a Firenze nel marzo del 1941. In quell'occasione formulò una dura presa di posizione antirazzista. Allora l'Italia fascista era in guerra ed era alleata della Germania di Hitler: col tempo quell'uscita contribuì a legittimare l'immagine di un Longhi frondista. Davvero quella conferenza fu un gesto di rottura? Per rispondere a questa domanda occorre ritessere i """"percorsi"""" di Roberto Longhi in quegli anni cruciali: sono quelli tra libri e musei alla ricerca delle giunture fra due culture figurative; sono quelli tra ministri, colleghi e allievi, che sollecitano la sua curiosità e le sue prese di posizione. Ne emerge uno spaccato di storia culturale del Novecento, osservato dal punto di vista di uno dei suoi protagonisti.rnIl libro prende in esame il contesto politico e culturale in cui Longhi esercitò i suoi compiti di docente universitario negli anni bolognesi e di maestro di un cenacolo di giovani dalle diverse sensibilità.rnAl contempo, il volume riporta alla luce aspetti importanti e poco battuti della sua produzione, come l'incontro/scontro con l'arte e gli storici dell'arte del nord Europa: un filone di studi che, ricollocato nel più ampio contesto europeo della prima metà del Novecento, risulta centrale per misurare la temperatura dei convincimenti non solo scientifici di Roberto Longhi."" -
Raffaello pittore e architetto a Roma. Itinerari. Ediz. illustrata
In occasione del cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio (1483-1520) si propone un testo per scoprire dipinti e architetture eseguiti a Roma dall'arrivo nell'Urbe nel 1508 alla morte nel 1520. Aggiornate e complete dei dati essenziali, le schede esplicative illustrano l'ampio ventaglio della produzione matura del Raffaello pittore, dagli affreschi alle pale d'altare ai ritratti eseguiti per Roma o oggi lì conservati, e permettono di individuare e di comprendere le tracce dell'attività del Raffaello architetto. Si svolge attraverso le opere il racconto dell'appassionante stagione romana dell'artista, impegnato nel continuo rinnovamento del proprio linguaggio di pittore nel dialogo travolgente con Michelangelo, nella gara con Sebastiano del Piombo, nella spinta possente delle sollecitazioni fornite dal repertorio antico della scultura, nel nuovo impegno come caposcuola, alla guida di una bottega che farà da modello per tutto il secolo e oltre, e si segue il definirsi proprio a Roma dei suoi interessi di architetto e degli obiettivi che egli matura sul fronte dell'architettura moderna su sollecitazione di Bramante e poi di altri, nella sfida costituita dal confronto con i resti degli edifici antichi, in uno scambio costante con gli umanisti, come Pietro Bembo e Fra Giocondo, suoi ferventi interlocutori, committenti, sostenitori. Il testo non trascura di segnalare le opere non accessibili legate all'operato del Sanzio, quali, in Vaticano, le Logge o l'Appartamento del cardinal Bibbiena, o quelle che da architetto egli non poté realizzare ma di cui ci restano suoi progetti, o che vennero distrutte (Palazzo Branconio dell'Aquila), e dedica un'attenzione speciale, per la forza del suo rapporto con il presente, alla lettera a Leone X scritta da Raffaello e da Baldassarre Castiglione, riconosciuta come primo documento di una consapevole riflessione sull'urgenza della conservazione dell'architettura e dell'arte del passato alla quale oggi più di allora siamo chiamati a rispondere. -
In cucina con il protocollo autoimmune. 80 ricette prive di allergeni, semplici e gustose
Se, per motivi di salute, siete costretti a cambiare le vostre abitudini alimentari, rinunciando così a molti ingredienti, non deprimetevi: la buona notizia è che con questo libro scoprirete che non dovete rassegnarvi a cene e pranzi a base di petto di pollo alla griglia e zucchine lesse, ma che anzi ci sono tanti cibi nutrienti e gustosi, e altrettante ricette facili e veloci, per prepararvi piatti saporiti e sani. In questo libro troverete innanzitutto una spiegazione chiara e alla portata di tutti sulle cause delle malattie autoimmuni (dalla celiachia alla tiroidite di Hashimoto, passando per la psoriasi), prima fra tutte l'aumentata permeabilità intestinale provocata da alcuni alimenti proinfiammatori come glutine, lattosio, caseina e soia. Sarete poi guidati nella conoscenza degli alimenti da evitare temporaneamente per abbassare il livello di infiammazione sistemica del corpo, durante la fase di eliminazione del Protocollo Autoimmune, e nella scoperta dei cibi ricchi invece di nutrienti e probiotici che favoriscono la salute dell'intestino che, come ormai sappiamo, è alla base della salute dell'intero organismo. Nella seconda parte del volume, con oltre 80 deliziose ricette del tutto prive di allergeni - cioè senza cereali, legumi, latticini, uova, semi, frutta secca e solanacee - corredate da appetitose foto a colori di ispirazione, potrete sbizzarrirvi nella preparazione di porridge, zuppe e brodi, arrosti, burger, yogurt, verdure fermentate, crude o cotte e perfino dolci per le occasioni speciali, senza correre il rischio di fastidiosi effetti collaterali, ma anzi guarendo mangiando, e mangiando bene. Prefazione di Andrea Luchi. -
Alessandro Papafava e la sua raccolta. Un architetto al tempo di Canova. Ediz. a colori
"Se si dovesse stabilire la data d'inizio della lunga vicenda che, due se- coli più tardi, avrebbe dato vita alla presente esposizione di disegni di architettura neoclassica romana, questa sarebbe senza dubbio martedì 18 ottobre 1803. Proprio in questo giorno, Alessandro Papafava dei Carraresi, secondogenito di una delle più celebri famiglie di Padova, arrivò nella città papale per iniziare i suoi studi in architettura presso l'Accademia di San Luca. Vi giunse accompagnato - cosa insolita - da un sacerdote domenicano irlandese, George MacDonnough, che sarebbe stato suo precettore e amico durante l'intera permanenza a Roma. Nel settembre 2016 quarantanove disegni e un gran numero di incisioni di architettura raccolti da Alessandro, per la maggior parte durante quegli anni, sono stati donati dai membri della famiglia Papafava al Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza. La mostra, con l'occasione di celebrare la donazione dei preziosi fogli e il loro restauro, racconta quello che potrebbe essere giustamente descritto come un episodio affascinante, seppure poco noto, della storia culturale del Veneto."""" (Dalla Prefazione)" -
Le mura di Vicenza nel Cinquecento. Cronaca di un fallimento
Fin dall'inizio del Cinquecento Vicenza è al centro di iniziative per il rinnovamento della sua cinta muraria. La città si trova infatti in una posizione strategicamente delicata dello Stato veneziano, a pochi chilometri dal confine settentrionale con l'impero asburgico, e le sue alte mura medievali sono ormai inadeguate di fronte alla sempre più potente artiglieria e ai mutati sistemi d'assalto. Dopo un grandioso piano di fortificazione avviato da Bartolomeo d'Alviano e rimasto interrotto, si susseguono incalzanti, fino alla metà del secolo, interventi d'emergenza e progetti più o meno articolati che coinvolgono prestigiosi uomini d'arme e architetti, concludendosi però con un nulla di fatto. Tutti si scontrano con la presenza pericolosa del Monte Berico, con la necessità di radere al suolo parte della città, con la ribellione dei vicentini per la quota di spesa giudicata eccessiva, con la prassi decisionale veneziana che si nutre di un numero esponenziale di pareri di esperti. L'intera vicenda, nota nelle linee generali ma mai indagata a fondo, viene ricostruita attraverso le voci dei testimoni e dei principali protagonisti, a cominciare da quelle che emergono dalla fitta e inedita corrispondenza del capitano generale dell'esercito veneziano Francesco Maria I Della Rovere, duca di Urbino, e dopo di lui del figlio Guidobaldo II, con il loro agente a Venezia Giovan Giacomo Leonardi, esperto militare e autore di un trattato sulle fortificazioni.