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La Repubblica delle Lettere
"Invenzione dello spirito consapevole di esserlo, la Repubblica delle Lettere è stata comunque per diversi secoli dominati da monarchie e da aristocrazie una democrazia di pari se non addirittura di uguali. Invenzione dello spirito, questa Repubblica è stata, in un mondo di corti e di intrighi, una grande città invisibile e salda il cui rapporto tra i cittadini era alimentato dall'amore per la verità, intransigente ma mitigato dall'amicizia, dal rispetto per il sapere e per il talento... Ripercorrere la storia di questa istituzione singolare e metamorfica significa non solo considerare l'Europa da una prospettiva insolita, né economica né militare, ma anche convincersi che quella istanza critica transnazionale è ancora più auspicabile nel secolo di Facebook di quanto lo fosse in quello dell'invenzione del libro.""""rnNel corso degli anni, Marc Fumaroli ha studiato e frequentato assiduamente «quella società ideale, e ciò nondimeno reale, che fino alla Rivoluzione francese oltrepassò la geografia politica e religiosa dell'Europa via via umanista, classica, barocca, neoclassica, avendo costantemente l'Antico come patrimonio e oggetto di riflessione», e che «si è essa stessa chiamata per quattro secoli e in tutte le lingue Repubblica delle Lettere». Questo volume raccoglie l'essenziale di quanto egli ha scritto sull'argomento, che proprio grazie a lui è tornato a essere ineludibile in qualsiasi riflessione sulla cultura europea. Nata con la contagiosa passione di Petrarca per far riemergere a forza di scavi il tesoro disperso e sepolto dell'antica humanitas e della sua urbanitas, e sviluppatasi nella Firenze di Marsilio Ficino, «quella società di amici e di uguali» ha attraversato i secoli, trasferendo via via la sua capitale da Firenze a Roma, da Roma a Venezia, e da qui a Aix e a Parigi, che sarà in concorrenza con Londra e Amsterdam. Sulla scorta di quello che Fumaroli definisce «il sublime trattato Del Sublime» - e che indica un solo modo per «sfuggire alla sterilità moderna», per «isolarsi dal proprio tempo di decadenza»: volgersi alle grandi epoche, tornare a quei capolavori del passato «che hanno qualcosa di divino» -, i membri della Repubblica delle Lettere («grandi anime, nate troppo tardi») hanno a lungo costituito, grazie soprattutto allo scambio epistolare, quella che potrebbe essere stata anche l'unica entità sovranazionale felicemente riuscita, «una grande città invisibile e salda»." -
Il professore e il pazzo
«Lo sapevate? Uno degli autori dell'Oxford English Dictionary era un omicida rinchiuso in un manicomio criminale. Un libro straordinario racconta la storia del prestigioso dizionario inglese e di un pazzo geniale che ne diventa lessicografo» - Robinson, La Repubblica«Buon pomeriggio a voi, signore. Sono il professor James Murray della Philological Society di Londra, direttore editoriale dell'Oxford English Dictionary. È un vero onore e un vero piacere fare finalmente la vostra conoscenza, perché voi siete senza dubbio il mio più assiduo collaboratore, il dottor W.C. Minor, vero?». Ci fu una breve pausa, un'aria di momentaneo e reciproco imbarazzo. Un orologio ticchettava rumorosamente. Si udirono passi attutiti nell'ingresso. Un lontano sbattere di chiavi. E poi l'uomo dietro la scrivania si schiarì la voce e parlò: «Me ne rincresce, signore, ma non sono io. Non è affatto come pensate. In realtà io sono il direttore del manicomio criminale di Broadmoor. Il dottor Minor è qui, senza dubbio. ma è un detenuto. È ricoverato da più di vent'anni. È il nostro paziente di più antica data.»rnNel cuore di quella grande impresa dellornspirito moderno che fu la redazione dell’OxfordrnEnglish Dictionary è nascosta da semprernuna storia straordinaria. Il primo a scoprirla,rne in parte a viverla, fu il professorrnJames Murray, anima e responsabile delrnmaestoso progetto. Dopo anni di lavoro,rnMurray si rese infatti conto di come unarnparte consistente dei lemmi – che qualsiasirn«letterato» poteva redigere, su base volontariarn– arrivassero alla redazione da un unicornposto in Inghilterra, e recassero in calcernsempre la stessa firma: «W.C. Minor». Arnquesto punto Murray decise di incontrarernil suo prezioso e infaticabile collaboratore,rnsalvo scoprire che il luogo da cui tutte quellernlettere partivano era Broadmoor, e il lorornautore uno degli ospiti più in vista del temibilernmanicomio. Sì, anni prima, per lernstrade di Londra, W.C. Minor – un medicornmilitare reduce dalla Guerra di Secessione,rne vittima di una gravissima sindrome paranoidern– aveva ucciso un passante, e adessornera rinchiuso in una cella dove gli era statornconcesso di trasferire la sua collezione di librirnantichi. L’incontro fra questi due personaggirnera già materia per un grande romanzornvittoriano. A Simon Winchester, inrnfondo, non è rimasto che scriverlo. Ma, d’altrarnparte, solo lui avrebbe potuto farlo. -
Il buonuomo Lenin
"In tutto il corso della sua vita, Lenin non si è mai battuto per la libertà. Si è battuto per ben altro. Le illusioni umanitarie e le ideologie democratiche dei patrioti russi del diciannovesimo secolo, le romantiche aspirazioni liberali dei Decembristi, lo spirito di sacrificio dei nichilisti, non rientrano nella sua logica. Egli non si batte per la libertà, ma per il potere, rien que pour le pouvoir. La parola libertà, durante gli anni d'esilio, dalla prima """"Iskra"""" al suo ritorno in Russia, gli suona male in bocca: è una di quelle parole che egli pronunzia sorridendo e stringendo gli occhi.""""rn«Spero di mostrare un Lenin del tutto diversornda come appare agli occhi dell'opinionernpubblica europea» confida Malaparternall'amico Halévy nel settembre del 1931.rnIl suo intento era, in realtà, ancora più audace:rnmostrare Lenin come appare agli occhirndei «Russi intelligenti». O, se vogliamo,rnanalizzare un fenomeno entro la sua stessarnlogica, come già aveva fatto nell'Intelligenzarndi Lenin per spiegare il bolscevismo.rnE il nuovo libro, uscito a Parigi nel 1932,rnavrà l'effetto di una scossa elettrica. Perchérnin questo romanzo-ritratto Lenin nonrnè affatto il Gengis Khan proletario sbucatorndal fondo dell'Asia per conquistare l'Europa,rnraffigurazione ideale per chi vogliarnricacciarlo al di là dei confini dello «spiritornborghese»: semmai, un piccolo borghesernegli stesso. Di più: freddo e riflessivo, sedentariorne burocratico, animato da un'immaginazionernmeticolosa e da una «crudeltàrnplatonica», ostile a ogni romanticismornterrorista e incapace di agire all'infuori dellarnteoria, a suo agio più nelle discussionirnpolitiche e nelle faide personali che nonrnnel confronto con la realtà, Lenin non èrnche un europeo medio, un buonuomo violentorne timido, un «funzionario puntuale e zelanterndel disordine», un fanatico e un opportunista,rnper il quale la rivoluzione è unarnquestione interna di partito, il risultato dirnossessivi calcoli. Non a caso quando, giuntornal potere, non potrà più attendere glirneventi e osservarli da lontano, e – propriornlui, dotato di un vivo «senso dell'irrealtà» –rndovrà fare i conti con la realtà, si risolveràrna inventarla, a crearla, imponendola «a sernstesso, ai suoi collaboratori, al popolo dirnRussia, alla rivoluzione proletaria, all'avvenirerndell’Europa»." -
Lo strano ordine delle cose. La vita, i sentimenti e la creazione della cultura
L'inconscio umano affonda le radicirnpiù in profondità e più lontano di quantornFreud e Jung abbiano mai immaginato.rn""La ricerca strategica della felicità si basa sui sentimenti, proprio come una ricerca spontanea. Sono i mali della vita (e i loro piacevoli contrappesi) a spingerci verso di essa; senza i sentimenti non vi sarebbero motivazioni. L'esperienza del dolore e la chiara coscienza dei nostri desideri hanno portato i sentimenti, buoni o cattivi, a convergere sull'intelletto, gli hanno dato uno scopo, e l'hanno aiutato a creare nuove modalità di regolazione della vita. L'alleanza dei sentimenti e dell'intelletto ha formato una potente alchimia, che ha permesso agli esseri umani di tentare di raggiungere l'omeostasi con mezzi culturali, invece di rimanere prigionieri dei dispositivi biologici fondamentali."""" rnCome e perché sono sorte le culture? Come si spiega lo sviluppo di pratiche, strumenti e idee quali le arti, l'indagine filosofica, le regole morali e le fedi religiose, la giustizia, i sistemi di governo, l'economia, la tecnologia e la scienza? Perlopiù si risponde a questa domanda invocando una caratteristica peculiare della nostra specie, il linguaggio verbale, insieme ad altri tratti quali l'elevato grado di socialità e un intelletto superiore. Una spiegazione a prima vista ragionevole, eppure carente, giacché trascura il ruolo che i sentimenti e le emozioni svolgono nel motivare le azioni individuali e collettive che danno origine alle culture. Ma c'è di più: se negare a mammiferi e uccelli i sentimenti collegati all'emozionalità, e quindi la coscienza, è tesi ormai insostenibile, ci aspetteremmo tuttavia che pratiche e strumenti culturali fossero possibili, data la loro complessità, solo in creature molto evolute, dotate di una mente e di una organizzazione cerebrale di livello superiore. Non è così. I sentimenti traggono infatti il loro potere da un principio di regolazione della vita, l'omeostasi, che è riscontrabile in ogni organismo e che gli consente non solo di perdurare, ma di prosperare. Essa è il filo invisibile che unisce le nostre menti al brodo primordiale in cui la vita ebbe inizio. Scopriamo così, non senza stupore, che i batteri, organismi unicellulari privi di mente e di cervello, hanno regolato per miliardi di anni la propria esistenza seguendo uno schema automatico che prefigura comportamenti usati dagli esseri umani nella costruzione delle culture, incluse forme avanzate di socialità e di cooperazione. Se le cose stanno così, l'inconscio umano affonda le radici più in profondità e più lontano di quanto Freud e Jung abbiano mai immaginato."" -
Il fiuto del dottor Jean e altri racconti
"Fu mentre cercava gli spiccioli in tasca che scorse la ragazza in azzurro pallido, e si può dire che da quel momento non le staccò più gli occhi di dosso. Non era una ragazza, era la ragazza, nella piena accezione del termine, con la sua freschezza, la sua grazia ancora incerta, la pelle chiara e vellutata, gli occhioni da gazzella. Il dottore pensò proprio a una gazzella!rnImpegnato com’era a rimirarla, si scordò di puntare. Il sette uscì per la terza volta e lui la vide raccogliere con un gesto distratto i gettoni che il rastrello del croupier le aveva spinto davanti ...rnSe ne stava là, in piedi, sola in mezzo alla folla. Prendeva uno o due gettoni, li piazzava sul tappeto verde e poi guardava altrove. Più di una volta Dollent ebbe l’impressione che un lampo di angoscia le attraversasse lo sguardo, come la minaccia di temporale che a tratti balenava nel cielo.""""rnIl 1938 è per Simenon un anno fausto: pubblica, da Gallimard, dieci romanzi e due raccolte di novelle, nonché, nella collana «Police-Film», dieci nuove inchieste di Maigret (che pure, nel 1934, aveva deciso di mandare in pensione). Nel frattempo, mentre ristruttura una casa a Nieul-sur-Mer, nella Charente-Maritime, non smette di produrre a un ritmo infernale: «non romanzi, che avrebbero richiesto troppa concentrazione, ma racconti di una cinquantina di pagine, uno al giorno». Tra gli altri, nel corso del solo mese di maggio, ne scrive tredici dedicati al dottor Jean Dollent: un giovane medico di campagna che, per la sua statura non imponente, ma soprattutto perché è una persona semplice e gentile, i pazienti chiamano familiarmente «il dottor Jean», o anche solo «il dottorino». Irruente, competitivo ed entusiasta (nonché sensibile al fascino femminile e incline all'innamoramento), il dottorino scopre di possedere notevoli capacità investigative, di essere «un risolutore di enigmi umani» - simile, in questo, al commissario Maigret, e come lui pronto a mettersi nella pelle degli altri, a «vederli muoversi nel loro ambiente». Con Jean Dollent, Simenon ci regala un personaggio non meno accattivante dei componenti dell'Agenzia O - un personaggio capace di conquistarci al primo incontro." -
Miti e simboli dell'India
«Primeggiò fra le due guerre un meraviglioso presentatorerndi miti indù in un tedesco semplice e sottile, Heinrich Zimmerrn... Zimmer ripropone qui i miti indù per l’ultima volta ernci incanta in modo supremo. Il motivo di tante seduzioni è larnsua comprensione dei vari piani di lettura possibili, la coscienzarnche il mito risponde a qualsiasi momento della storiarne infine la certezza che è sempre implicita nel linguaggio delrnmito una verità metafisica. È causa la presenza di queste premessernche l’esposizione diventa una melodia calma, convincente,rngiocosa» Elémire Zolla -
Satana a Goray
Alle soglie del 1666 si diffuse in Poloniarnla notizia che per gli ebrei la fine dell'Esiliornera imminente: un uomo chiamatornShabbatay Tzevi si era rivelato come ilrnMessia, e presto una «nuvola sarebbe apparsarne li avrebbe portati tutti in TerrarnSanta». rn""Il Profano si celava chissà dove, in un punto remoto delle tenebre, profondo come una grotta. A volte parlava pianissimo, quasi senza voce. Nascosto e velato, era chiuso in un qualche bozzolo o ragnatela. Spesso mutava forma - a volte assumeva un aspetto umano, a volte quello di un ragno o di un pipistrello.In certi momenti tutto ciò che Rechele riusciva a vedere era una bocca spalancata, storta come quella di una rana. Il Profano era audace, diceva cose oscene. Allora la sua voce rimbombava dal pozzo, o dalla caverna, in cui si teneva nascosto. Maledicendo e bestemmiando, urlava i nomi degli angeli e dei santi: un fiume di sconcezze usciva dalle sue labbra; scherzava e celiava senza fine, inducendo Rechele al riso, benché lei sapesse che era peccato.""""rnrnI segni non erano mancati: nel decenniornprecedente i cosacchi dell'atamanornucraino Chmel'nitskij avevano massacratornquasi centomila ebrei, «scorticandornvivi gli uomini, sgozzando i bambini, violandornle donne per poi squarciarne i ventrirne cucirvi dentro gatti vivi». Ma queglirnorrori non erano altro se non «le dogliernche annunciavano la nascita del Messia».rnPer accelerare la liberazione – così dicevanorngli emissari di Shabbatay Tzevi – bisognavarnimmergersi nell'oscurità del peccato:rnsolo la discesa agli inferi avrebbernconsentito l'ascesa delle anime, e la perfettarnredenzione. Anche gli abitanti di Goraj,rn«la città nascosta tra le colline in capornal mondo», si abbandonano dunque all'idolatriarne alla licenza, infrangendo ognirnlegge. Ma la sciagura si abbatte su di loro:rndopo aver giaciuto, benché sposata, con ilrncapo dei sabbatiani, Rechele la profetessarnviene posseduta da un dybbuk, e finisce perrnessere ingravidata da Satana, mentre la disperazionernstringe in una morsa la città,rnstremata dalla carestia. Perché a Goraj «virnsia contentezza» bisognerà che le forze demoniachernvengano scacciate, e il nomerndell'Onnipotente sia di nuovo santificato.rn«Che meraviglioso, meraviglioso mondo,»rnha scritto Henry Miller «un mondo bello ernterribile, quello di Isaac Bashevis Singer,rnbenedetto sia il suo nome!»."" -
Giorni tranquilli a Clichy
All'uscita del libro, nel 1956, un critico scrisse che con ""Giorni tranquilli a Clichy"""" la letteratura si era spinta in territorio nemico molto più oltre di quanto fino a quel momento avesse osato. E non solo, verrebbe da aggiungere: aveva scoperto come può essere attraente quel territorio. Lo sono i rapporti crudi fra i due protagonisti del libro, Carl e Joey, e le professioniste del quartiere, e fra Carl e Colette, la vagabonda quindicenne che lui invita a vivere con loro. Lo sono i continui sconfinamenti fra esperienza e finzione. Lo è, soprattutto, la forma stessa che il libro assunse, quando Miller decise di costruirlo intorno alle immagini scattate dal più grande conoscitore di quella notte calda, sporca e vertiginosa che un tempo chiamavano Parigi: Brassaï. Sono pagine, quelle di Miller, che forse davvero oggi nessuno oserebbe più scrivere: ma che, per fortuna, possiamo ancora leggere."" -
La mite. Racconto fantastico
«Immaginate un uomo la cui moglie, suicidatasi alcunernore prima gettandosi dalla finestra, sia stesarndavanti a lui su un tavolo» scrive Dostoevskij nelrnpresentare ai lettori questo racconto perfetto, cherndi quell'uomo restituisce, con stenografica precisione,rnil soliloquio delirante e sconnesso, tutto esitazioni,rnripetizioni, contraddizioni, pause, balbettii,rnripensamenti. Di lui sentiamo i gemiti, e perfino l'eco dei passi che tornano in continuazionernal cadavere steso sul tavolo. L'uomo, quarantunornanni, ex capitano cacciato da un illustre reggimentorncon l'accusa di viltà e ora titolare di un bancorndei pegni, non è un giusto, ma nemmeno un inveteratorncriminale. È semmai parente stretto dell'Uomorndel sottosuolo, con cui ha in comune larnrabbia dell'individuo rifiutato dalla società, l'istintorndell'animale braccato. Sragionando ad alta voce,rncerca di capire e ricostruire le cause della catastrofe.rnHa amato la Mite, ma torturandola con lernparole e ancor più con il silenzio, con il perversorn«sistema» ideato per vendicarsi di un'antica offesarne ritrovare la dignità perduta. E ora continua a chiedersi:rn«Perché questa donna è morta».rnGenio guastatore, maestro nel far saltare i ponti deirnlegami causali, Dostoevskij gli nega – e lo nega airnlettori – il sollievo di una spiegazione univoca, definitiva. E il monologo si sgretola in un dialogo conrnimmaginari interlocutori: giudici? avvocati d'ufficio? fantasmi? -
Ombre giapponesi
Alla fine dell'Ottocento il Giappone, pur aperto ai commercirncon l'Occidente da mezzo secolo, rimaneva unrnmistero, e Lafcadio Hearn, «nomade civilizzato», si imbarcarnper scrivere un libro-reportage sul paese.rnrn«Darei non so che cosa per essere un Colombo letterario,rnper scoprire un'America Romantica in qualche regionerndelle Indie Occidentali, del Nordafrica o dell'Orienterndove i comuni cristiani non amano andare!» scrivevarnLafcadio Hearn. Sin dall'inizio, del resto, la vita lornaveva passo dopo passo indirizzato a questo scopo. Allarnfine dell'Ottocento il Giappone, pur aperto ai commercirncon l'Occidente da mezzo secolo, rimaneva unrnmistero, e Lafcadio Hearn, «nomade civilizzato», si imbarcarnper scrivere un libro-reportage sul paese. Nato inrnGrecia, cresciuto in Irlanda, Francia e Inghilterra, vissutornin America un ventennio, celebre per i pezzi di cronacarnnera e di squisita, insolita erudizione, è la personarnpiù adatta. Ha sapienza proteiforme e «partecipazionernanimica», il segreto del grande interprete. Ed è il primorna cogliere il volatile incanto del Paese degli Dei, dove resteràrnsino alla morte. Naturalizzato giapponese, sposarnla figlia di un samurai e prende il nome di Koizumi Yakumo.rnFa di più: «pensa con i loro pensieri» e accede alrnkokoro, al cuore della gente. Miracolo d'innesto, assolvernil delicato compito di catturare la bellezza dell'anticornNippon nel momento cruciale che precede la sua sparizione.rnRiporta alla luce antichi racconti orali e testi classici,rnfacendo riscoprire anche ai nativi capolavori tuttorarnletti e amati. Come Andersen e i fratelli Grimm, LafcadiornHearn è più una letteratura che un autore. Sonornqui raccolti i testi narrativi sparsi nei suoi volumetti miscellanei:rnracconti per lo più a sfondo fantastico, pienirndi atroci vendette di fantasmi – che si manifestanorncome insetti, ragni, rane, salici, peonie –, di mogli abbandonate,rnma anche di pietose riconciliazioni fra duernmondi separati dalla sottile membrana di un fusuma. -
A caso
Vincitore Premio Strega 1975Ogni raccontorncela una sorpresa che ha su di noi lo stesso effetto dirn«un'unghia che stride contro un vetro, o d'una carezzarncontropelo» (I. Calvino)rnrnNon è amabilmente consolatore, il mondo di Landolfi,rnné amichevole, né tantomeno compiacente.rnEstraneo, piuttosto, luminosamente torbido e degradato.rnE, come in questa raccolta di racconti delrn1975 – l'ultima sua –, più che mai urtante, percorsorncom'è da un eros luttuoso e sogghignante, da orridernagnizioni, da avvilenti confessioni, da personaggirnoltraggiati dalla vita, feriti dall'«invalicabile stridore» che li separa dagli altri, torturati da un'animalerne irrimediabile tristezza. Sicché ogni raccontorncela una sorpresa che ha su di noi lo stesso effetto dirn«un'unghia che stride contro un vetro, o d'una carezzarncontropelo» (I. Calvino): ci fa rabbrividire, ernsubito vorremmo scacciarla. Invano: incapsulata inrnuna lingua tanto inconsueta quanto secca, lucidarned esatta, ogni immagine torna a riaffacciarsi, comernuna piccola testa malevola. Il fatto è che per Landolfi,rnuccisa ogni speranza, dobbiamo accontentarcirn«di gioie ambigue, torte e per giunta fuggevoli».rnNon c'è altra via di scampo, se non, estremo rimedio,rnun «genosuicidio» capace di liberarci da unarn«abominosa storia». -
Un romanzo russo
«La follia e l'orrore hanno attanagliatornla mia vita» scriveva Carrère presentandornUn romanzo russo ai lettori francesi. «Dirnquesto, e di nient'altro, parlano i miei libri». rn""Hai creduto che l'amore di Sophie, la lingua russa, le ricerche sulla mia vita e sulla mia morte ti avrebbero liberato, ti avrebbero permesso ti chiudere i conti con un passato che non è il tuo ma che si ripete in te in modo ancora più implacabile proprio perché non ti appartiene. Ma l'amore ti ha mentito, ancora non riesci a parlare russo correttamente e quello che in me era irrimediabilmente infetto continua a infettare anche voi, i miei nipoti, e vi sta uccidendo l'uno dopo l'altro. Per morire non c'è bisogno di saltare dalla finestra, ci sono quelli come te che muoiono restando vivi. Per te non c'è liberazione. Ovunque tu vada, qualunque cosa tu faccia, ti aspettano l'orrore e la follia.""""rnrnUn giorno, però, dopo aver conclusornla stesura dell'Avversario, alla follia e all'orrorerndecide di sfuggire. Trova un nuovornamore e accetta di realizzare un reportagernsu un prigioniero di guerra unghereserndimenticato per più di cinquant'annirnin un ospedale psichiatrico russo. Arrivarncosì in una cittadina a ottocento chilometrirnda Mosca, dove tornerà poi una secondarnvolta, ad aspettare, quasi in agguato, chernaccada qualcosa. Qualcosa accadrà: un delittornatroce. La follia e l'orrore l'hanno dunquern«riagguantato». Anche nella vita amorosa:rnun racconto erotico scritto per gioco,rnper «fare irruzione nel reale», precipita luirne la sua compagna in un incubo destinatorna devastare le loro vite e il loro amore. Nelrnfrattempo, il viaggio in Russia ha messo fatalmenternin gioco le sue origini e il suo rapportorncon la lingua della madre – e cosìrnCarrère comincia a indagare su quello che,rnnon solo implicitamente, gli «è stato proibitornraccontare»: la storia del nonno materno,rnil quale, dopo un'esistenza segnatarndal fallimento e dalle umiliazioni, è scomparsornnell'autunno del 1944, ucciso probabilmenternper aver collaborato con l'occupante.rn«È il segreto di mia madre, il fantasmarnche ossessiona la nostra famiglia».rnPer esorcizzare quel fantasma lo scrittorerncompie «un oscuro percorso nell'inconsciorndi due generazioni», che lo porterà allarnresa dei conti con un retaggio «di paurarne di vergogna» e al tempo stesso alla riconciliazionerncon l'incombente genitrice – ernmarcherà la disfatta (sia pur soltanto provvisoria)rndi quel nemico ghignante, crudelerne mostruoso che da sempre lo assedia."" -
Vite brevi di tennisti eminenti
Un intrico di storie e di scoperte sui personaggi del tennis.rnrnrn«Dopo una pausa di indecisione, si era avvicinato alla tribuna, aveva fissato negli occhi lo spettatore e, con un'aria tra il sofferto e l'oltraggiato che nessun altro avrebbe retto per più di tre secondi, gli aveva detto una cosa, in realtà, serissima: ""Ah non, monsieur, je vous en prie. Je vouns en prie"""". Altra pausa e addirittura un accenno di inchino: """"Je fais du théâtre""""»rnrnPrima che il ragazzone in copertina, Jack Kramer, lo chiudesse per sempre nella confortevole camicia di forza del professionismo, il tennis era un mondo libero e per molti versi alieno, dove ognuno sembrava dare, del gioco, un'interpretazione quantomeno personale: Torben Ulrich tentava di cogliere, in stadi e palazzetti, il suono perfetto della palla sulle corde; « Teach » Tennant, che aveva insegnato a Carole Lombard e Joan Crawford, cercava di trasformare le sue giocatrici in « statue di tennis »; e Art Larsen - oh, Art seguiva sempre e solo i consigli del suo coach immaginario, l'aquila reale appollaiata, durante i match, sulla sua spalla. Quel mondo rivive in questi racconti, che sono lunghe didascalie di altrettante foto d'agenzia degli anni Cinquanta, trovate per caso nella valigia di un collezionista. Con varie sorprese, e almeno una scoperta: dietro a volti e nomi ormai esotici - Gottfried von Cramm, Beppe Merlo, Pancho Gonzales - si nasconde infatti qualcosa di cui il tennis arcaico era intessuto, mentre quello survoltato di oggi sembra averne smarrito anche solo il profumo: un meraviglioso intrico di storie."" -
La signora nel furgone e le sue conseguenze
Mancava un po’ a tutti, l’intrattabile MissrnShepherd. Ai moltissimi lettori della Signorarnnel furgone, naturalmente. Ma soprattuttornal suo riluttante e devoto biografo, AlanrnBennett.rn""MISS SHEPERD Questo pomeriggio ho visto un serpente. Veniva su per la Parkway. Era lungo, e grigio. Un boa constrictor mi sa.rnA.B. Ma no...rnMISS SHEPERD Aveva l'aria velenosa. Strisciava contro il muro. Secondo me puntava al furgone.rnA.B. Ma no, Miss Sheperd...rnMISS SHEPERD Ho pensato di avvisarla, per sicurezza. Io me la sono già vista brutta, coi serpenti.rnA.B. Miss Sheperd, mi stia a sentire. A Camden Town non ci sono boa constrictor.rnMISS SHEPERD Mi sta dando della bugiarda? Guardi che so riconoscere un boa contrictor, sa?""""rnrnAlan Bennett come si poteva immaginarernha colto al volo la proposta del registarnNicholas Hytner: scrivere un film che avrebbernvisto Maggie Smith nel ruolo dellarnprotagonista. Dal lavoro sul film è natornpoi questo libro, che oltre al testo originalerne alla sceneggiatura contiene uno scrittornintroduttivo di pungente sincerità dovernper la prima volta Bennett, anche grazie arnnuove pagine di diario, racconta fino inrnfondo la singolare relazione che per quindicirnanni lo ha legato al più eccentrico deirnsuoi personaggi, svelando a uno a uno,rncon nostro irrefrenabile divertimento, irnlati più curiosi dello strano mestiere che,rnsenza quasi volerlo, ha finito per fare –rnpiù o meno meglio di chiunque altro."" -
Le arti in Russia sotto Stalin
Le arti in Russia sotto Stalin e Unarnvisita a Leningrado, che Berlin definì, con sommo understatement,rn«resoconti» della sua missione diplomaticarnin Unione Sovietica, sonornin realtà entrambi memorabili:rnuna vera e propria storia dellarncultura russa nei decenni inizialirndel Novecento, «cronaca della profeticarngenerazione della Achmatova», il primo; un intenso reportagernsu Leningrado a meno di due annirndalla fine dell'assedio tedesco, ilrnsecondo. -
Viaggio in Africa
A Manganelli, che nel 1970 la attraversarndalla Tanzania all’Egitto portandosirnappresso l'immagine illusoria e il clichérncinematografico elaborati dal disagiorneuropeo, l'Africa si rivela d'improvviso.rnPachiderma planetario dove l'uomornè un'eccezione, affida la sua dignitàrnnon allo splendore di monumenti intimidatori,rnma a simboli inconsapevoli,rn«intensamente araldici»: gli animali. Ernil viaggiatore, di fronte a quella minacciosarnintensità, non può che sentirsi «esoticorned estraneo», affascinato, allarmato.rnÈ uno choc che lascerà tracce profonde:rnsulla via del ritorno, il Partenone appariràrna Manganelli un gesto di «violenzarnragionevole nei confronti della stessarndemonicità greca». -
La mente colorata
Comprendere l'Odissea significa comprenderern«noi stessi, l'arte moderna, il nostro futuro».rnrnNato da un progetto a lungo accarezzato, La menterncolorata è soprattutto un'interpretazione narrata dell'Odissea,rndove velocità e leggerezza celano un immanernlavoro di documentazione. Un racconto, dunque,rnche «conquista senza scampo», come ha scrittornPiero Boitani, giacché «intrecciare ancora una voltarnil tessuto stupefacente dell'Odissea, e insieme interpretarlornnell'arazzo più vasto della letteratura greca,rnnon è esattamente cosa facile», e Citati lo fa apparirern«semplice e limpido». Ma c'è di più: per Citati,rnche coltiva in egual misura la passione per gli antichirne per i moderni, l'Odissea inventa le leggi dell'arterndel narrare, ne sperimenta ogni forma e possibilità,rnsicché dal poema si dipartono luminosi tragitti,rnche ci proiettano verso i libri che verranno: Glirnanni di apprendistato di Wilhelm Meister, Anna Karenina,rnla Recherche sono costruiti secondo lo stesso principiornsinfonico; nell'isola dei Feaci Ulisse fonda ilrnracconto fantastico, che ha ispirato le storie dellernMille e una notte, Potocki, Hoffmann, Poe, e nella capannarndi Eumeo il racconto d'avventura, da cui discendonorni romanzi ellenistici, Dumas, Stevenson. -
In caso di disgrazia
Con mano da maestro, Simenon ci fa percorrere tutte le tappe di un amour fou turbinoso e funesto, regalandoci uno dei suoi romanzi più intensamente erotici, più strazianti e appassionati.rnrn«Alla luce di quanto oggi sappiamo della vita di Simenon, per sue dirette ammissioni, i turbamenti erotici del protagonista appaiono come un'adombrata liberatoria confessione: ""Una fame di sesso puro, se così posso esprimermi senza far sorridere, ossia che prescindesse da qualsiasi considerazione sentimentale e passionale"""". Sono le parole di Gobillot, di fronte all'irrefrenabile impulso che lo governa...». (Piero Gelli)"" -
Il porto di Toledo
«La vecchia natura delle cose non mi andava. Inventai dunque una me stessa che voleva un'aggiunta al mondo, che gridava contro la pianificazione ottimale della vita. Che vedeva, nella normalità, solo menzogna. Che protestava contro il soffocamento del limite, esigeva pura violenza e nuovo orizzonte. La cultura nuova (del mondo) non era nuova. Era una coltivazione di virus. L'immobilità e la soddisfazione erano dovunque. Era un pullulare di luoghi comuni sui vantaggi della vita, e questa vita era ormai un nido di mostri. Non vedevo nessuna colomba arrivare dall'orizzonte come segno che l'alluvione era finita ... Toledo non è dunque una storia vera, non è un'autobiografia, è rivolta e ""reato"""" davanti alla pianificazione umana, alla sola dimensione umana che ci è stata lasciata.» (Anna Maria Ortese)"" -
Il mercante di coralli
Fra i grandi scrittori del Novecento, Joseph Roth è quello che più pervicacemente ha saputo tener fede alla figura del narratore. Raccontare storie disparate, intesserle, farle risuonare l'una con l'altra, fare dei propri racconti «una grande casa con molte porte e molte stanze per molte specie di uomini»: questo è il sogno che Roth perseguì in tutta la sua vita di scrittore. E lo riconosciamo subito leggendo queste narrazioni, sparse nell'arco di più di vent'anni, chiuse alcune nella misura essenziale dell'apologo, dove avvertiamo ogni volta di muoverci all'interno di un unico, ma quanto mai vasto e variegato mondo. Molte sono le vie che Roth tenta, e più di una volta si può dire che esse conducano alla terra della perfezione, come nel caso almeno del ""Capostazione Fallmerayer"""", della """"Leggenda del santo bevitore"""" e del """"Leviatano"""".""