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Le persiane verdi
"Bevve il terzo bicchiere a occhi chiusi. Poi ne bevve un quarto e solo allora si eresse in tutta la sua altezza, spinse il petto in fuori, gonfiò le guance e tornò a essere quello che tutti erano abituati a vedere. Si guardò intorno, osservando le facce che fluttuavano tra le nuvole di fumo, e contrasse le labbra in una smorfia, la sua famosa smorfia, feroce e patetica insieme, che alla fine produsse l'effetto desiderato, li fece ridere, come a teatro faceva ridere la platea, il tipico riso nervoso di chi per un attimo ha avuto paura."""" rn«Forse questo è il libro che i critici mi chiedono da tanto tempo e che ho sempre sperato di scrivere» azzarda Simenon, che ha terminato """"Le persiane verdi"""" in una sorta di stato di grazia, all'indomani della nascita del secondo figlio. Ha tutte le ragioni di essere soddisfatto: è riuscito a scolpire una figura larger than life, Emile Maugin, celeberrimo attore giunto, a sessant'anni, all'apice del successo e della fama, che un giorno apprende di avere, al posto del ventricolo sinistro, «una specie di pera molle e avvizzita». «Maugin non è ispirato né a Raimu, né a Michel Simon, né a W.C. Fields, né a Charlie Chaplin» afferma risolutamente Simenon nell'Avvertenza. «E tuttavia, proprio a causa della loro grandezza, non è possibile creare un personaggio dello stesso calibro, che faccia lo stesso mestiere, senza prendere in prestito dall'uno o dall'altro certi tratti o certi tic». Ciò detto, taglia corto, «Maugin non è né il tale né il talaltro. È Maugin, punto e basta, ha pregi e difetti che appartengono solo a lui». Pregi e difetti alla misura del personaggio: dopo un'infanzia sordida, ha lottato, perduto, vinto, amato, desiderato, conquistato e posseduto tutto - donne, fama, denaro -, e coltiva la propria leggenda abbandonandosi a ogni eccesso. Prepotente, scorbutico, cinico (ma segretamente generoso), regna da tiranno su un piccolo mondo di sudditi devoti e trepidanti, fra cui la giovanissima e amorevole moglie, ma vive nella costante paura della morte e nella nostalgia dell'unica cosa che non ha mai conosciuto: la pace dell'anima - quella cosa tiepida e dolce a cui il suo desiderio attribuisce la forma di una casa con le persiane verdi." -
Il tango
«Vi troverete davanti il più puro spirito di Borges, la sua narrazione calda, avvolgente, intrisa di qul vago mistero arcano che fa di uno scrittore un custode dei sigilli del reale, per cui niente è citato ma tutto rivive, in un rinnovato battesimo del tempo» - Stefano Massini, RobinsonIl tango, è stato scritto, è «un pensiero triste che si balla». Ma la malinconia del tango, la sua natura di scena drammatica, di lamento amoroso, di ballo lento, languido e voluttuoso, sono legate al periodo in cui si afferma nelle capitali europee (a Parigi, anzitutto) e viene universalmente accettato. Un periodo che a Borges poco interessa, perché nulla ha a che vedere con le sue origini di ballo audace e indecente, di «rettile da lupanare», come lo definiva Lugones. Per salvaguardare quelle origini lontane, nell'ottobre del 1965 Borges ha tenuto un ciclo di quattro conferenze che, fortunosamente registrate, solo di recente sono tornate alla luce e sono diventate un libro, inatteso e sorprendente. Perché nelle parole di Borges rivivono la Buenos Aires della sua infanzia – una piccola città di case basse con il patio, senza alberi, circondata da campi aperti –, le milonghe e le habanera che sono all'origine del tango, i locali infami dove lo si danzava, frequentati da guappi maestri di coltello e di ardimento, da rissosi niños bien, da magnaccia e donne di malaffare. Ma soprattutto rivive l'anima di quei tempi: la provocazione disinteressata, l'allegra spavalderia, il gusto di sfidare il più forte solo per mettere alla prova il proprio coraggio – la felicità del coraggio. Esattamente ciò che vibra nel tango originario, simbolo di felicità. -
Dalle odi. Scelte e tradotte da Guido Ceronetti
L'amore per Orazio e il desiderio di tradurlo accompagnanornGuido Ceronetti sin da quando, diciottenne,rnsi cimentava in versioni oggi «ripudiatissime»rnrnL'Orazio interruptus viene poi ripreso al principiorndegli anni Ottanta col progetto, mai realizzato,rndi una piccola edizione concepita come primarntappa di un «viaggio ascetico verso il puro non-essere,rnlo spogliarsi d'ogni illusione e farsi jıvanmuktarnin compagnia di Orazio». Per Ceronetti, infatti,rnOrazio è lontano mille miglia dal poeta sondatorne scrutato dalla filologia classica: il suo stile non èrnfredda accademia augustea, semmai «contrazionerndella vita, mediante l'impegno della parola», il chernesige «tutto il fuoco della passione rivolto ad un $nernche la contraria» – fuoco contratto, dunque. E a lui ancorrnmeglio che a Kavafis si attaglia quel che diceva larnYourcenar: «Siamo così abituati a vedere nella saggezzarnun residuo delle passioni spente, che fatichiamorna riconoscere in lei la forma più dura, più condensatarndell'Ardore, la particella aurea nata dalrnfuoco, e non la cenere». Dopo più di trent'annirnil viaggio attraverso il «deserto fiorito» di Oraziornha preso la forma di ventotto traduzioni, che bastanorna metterci di fronte a qualcosa di totalmenternimprevisto: malgrado la sua fama ininterrotta,rndel più classico dei classici ci era sinora sfuggita l'animarnsegreta. -
Uomini e cani
Sullo sfondorndi una natura riarsa, in una terra chernsembra posta agli estremi confini del mondo,rnsi consuma una serie di drammi strettamenternintrecciati fra loro. E a raccontarernquesta umanità sconfitta e allucinata,rnc'è la lingua di Omar Di Monopoli.rn«S'inoltrò sulla sabbia abbandonando gli stivali a terra. Il fragore delle onde coprì ogni altro suono e quello fu il momento in cui la vide. Era di spalle, nuda. La pelle chiara come il latte. Una cascata di capelli sciolti e bagnati che le si appiccicavano sulla schiena. Buba si bloccò, pietrificato. Lei si portò i capelli davanti al viso, si piegò e li immerse nel mare. I seni ricchi, morbidamente lambiti dal dondolio della corrente sul pelo d'acqua. Poi, con un movimento brusco, tirò la testa all'indietro e i capelli scuri percorsero nell'aria un arco picchiettato da mille goccioline che luccicarono al sole. Prese a cantare, una canzone che lui non aveva mai sentito prima, e quando finalmente si voltò, non fece altro che continuare a cantare. Raccolse le braccia attorno al petto e rabbrividendo uscì dall'acqua, lo sguardo di sottecchi.»rn«Passami quell'asciugamano, disse.»rnrnIn una immaginaria, ma più che verosimile,rncittadina del Salento, chiamata Languore,rnnon esistono buoni e cattivi, ma solornindividui che lottano per la sopravvivenza,rncon rabbia, con brutalità, o con ciecarndisperazione; le sparatorie, le violenze, glirnstupri, le sopraffazioni di ogni genere sirnsusseguono, quasi a toglierci il respiro –rnné c'è differenza vera tra gli uomini e i canirnche questi si sono scelti come compagni,rnaltrettanto feroci e ottusi. Sullo sfondorndi una natura riarsa, in una terra chernsembra posta agli estremi confini del mondo,rnsi consuma una serie di drammi strettamenternintrecciati fra loro. E a raccontarernquesta umanità sconfitta e allucinata,rnc'è la lingua di Omar Di Monopoli – unarnlingua, è stato scritto, «tornita, barocca erndialettale». -
Inviata speciale
Finalista del Premio Lattes Grinzane 2019.Con Inviata speciale Jean Echenoz tornarnalla narrazione pura, e insieme al noir ernalla spy story, di cui è da sempre appassionato,rnmettendo la sua impareggiabile ironiarne tutte le scintillanti risorse della suarnscrittura al servizio della più affettuosa celebrazione.rnrn«Ecco la persona, generale, ha detto Objat.rnSenza rivolgerle la parola né tantomenornsalutarla, il generale ha squadrato a lungornConstance dalla testa ai piedi, con unarnrapida deviazione sul cigarillo. A Constancernera già capitato di essere scrutata in quelrnmodo ma stavolta le è parso che l'esamernnon avesse intenti medici o libidici. Poi,rnvoltandosi verso Objat: Ha ragione, ha dettornBourgeaud, credo proprio che possa farernal caso nostro.rn«Mi scusi, si è spazientita Constance, ma dirnquale caso sta parlando È semplice, ha rispostornil generale, la manderemo a destabilizzarernla Corea del Nord»rnrnrnTrentaquattro anni, camicetta azzurra attillata,rnpantaloni skinny antracite, cortorncaschetto alla Louise Brooks – in una parola,rnincantevole. È così che ci appare Constance,rnpoco attiva e poco qualificata, marnin compenso duttile, molto incline alle disavventurernsentimentali e misteriosamenterncapace di scatenare, con la sua morbidarnsvagatezza, l'imprevedibile. Una quindicinarndi anni fa, fra l'altro, Constance èrnstata l'interprete di un successo planetario,rnExcessif, una di quelle canzoni che fannornballare il mondo intero, dalla Lapponiarnallo Yemen, e assicurano a chi le componern– nella fattispecie il suo ex marito, LournTausk – un'esistenza oziosa e dorata. Unarncanzone che tutti ricordano ma che continuarna essere popolarissima, guarda caso,rnfra gli apparatcik della Corea del Nord,rnincluso uno dei consiglieri più influentirndel Leader supremo, Gang Un-ok. Giovane,rncharmant, educato in Svizzera e presumibilmenternaperto al dialogo con l'Occidente,rnGang è insomma il bersaglio idealerndel languido fascino di Constance, cherndopo varie, e per noi irresistibili, peripeziernfinirà – agente segreto suo malgrado –rnin una opulenta villa di Pyongyang con larnmissione quanto mai rischiosa di sedurrernGang, e destabilizzare la Corea del Nord.rnCon Inviata speciale Jean Echenoz tornarnalla narrazione pura, e insieme al noir ernalla spy story, di cui è da sempre appassionato,rnmettendo la sua impareggiabile ironiarne tutte le scintillanti risorse della suarnscrittura al servizio della più affettuosa celebrazione:rn«Sabotare per espandere, potrebbernessere il mio slogan» ha del restorndichiarato. Quel che è certo è che seguendornConstance da Parigi alla Creuse alla baiarndi Wonsan, dov'è ormeggiato lo yachtrndi Kim Jong-un, ritroveremo, miracolosamente,rnl'euforia della lettura. -
I riti di caccia dei popoli siberiani
La caccia, in Siberia, è una questione di vitarno di morte, uno scontro inesorabile trarnl'uomo e le potenze invisibili che dominanornle immense distese ghiacciate, le foreste,rni monti, i laghi, e a cui appartengonorngli animali. rn""Dietro l'animale il cacciatore scorge una schiera di forze soprannaturali pronte a intervenire contro la sua irruzione nel loro dominio. I ruoli sono invertiti: l'uomo, inerme, si batte in condizioni di inferiorità contro un avversario più grande di lui. Affronta un guerriero le cui doti non sono affatto inferiori alle sue, protetto da potenze superiori e che deve acconsentire alla propria uccisione. Se dovesse confidare nelle sue sole forze, l'uomo non oserebbe nulla. Di per se stesso, egli non esiste.""""rnIn un mondo dove tutto èrnpieno di dèi, popolato da spiriti di ognirnsorta con le loro gerarchie e antipatie reciproche,rnil cacciatore che si addentra nellarnforesta o s'avventura per mare «deve trovarsirnin uno stato di grazia, come il sacerdoternche si accosta al sacrificio». Si muoverndunque con circospezione, protetto solorndalla magia, mediante la quale stipula unrnpatto con l'«altro lato», perché «il dirittorndi uccidere si paga, come un permesso dirncaccia rilasciato da potenze superiori», ernin cambio dei sacrifici le divinità concederannornselvaggina in abbondanza. L'esitorndell'impresa, pertanto, non dipende solorndall'abilità dei cacciatori, ma dallo scrupolorncon cui si atterranno alle innumerevolirnprescrizioni e interdizioni rituali che accompagnanorndal principio alla $ne la battutarndi caccia. Dovranno, soprattutto, conciliarsirnla preda – far sì che acconsenta allarnpropria uccisione – e placarne l'anima dopornla morte, affinché non torni a perseguitarli.rnCon questo saggio magistrale – dovernlo stile elegante e sobrio cela rigore metodologicorne immensa erudizione – ÉvelinernLot-Falck, uno dei più grandi studiosi dellornsciamanismo siberiano, riesce a restituircirn«nella sua atmosfera, nella sua profusione,rnnelle sue variazioni, un fenomeno a unrntempo poetico, magico e religioso» (ClaudiornRugafiori)."" -
Il libro di sabbia
Nel febbraio del 1969, a Cambridge, su una panchina davanti al fiume Charles, Borges incontra un uomo che ha la sua stessa voce e gli è più intimo di un figlio nato dalla sua carne. L'uomo è Borges ventenne, a Ginevra, seduto su una panchina davanti al fiume Rodano. Comincia così, con un vertiginoso ritorno al «vecchio tema del doppio» e alle atmosfere lucidamente visionarie degli scritti degli anni Quaranta, ""Il libro di sabbia"""", che raccoglie tredici, memorabili, racconti - cui se ne aggiungono qui, in appendice, altri quattro. Racconti di carattere fantastico. O forse sogni. O forse incontri con apparizioni spettrali. «In questi esercizi da cieco» scrive Borges «ho voluto essere fedele all'esempio di Wells: la congiunzione di uno stile piano, a volte quasi orale, con una trama impossibile» - e il risultato è una prosa pacata ed essenziale, ma come non mai modulata e musicale."" -
Non dirlo ad Alfred
Gli aspetti più esilaranti dell’ambiente diplomaticorneuropeo degli anni Cinquanta.rnrnCatapultata dalla tediosa cerchia accademica dirnOxford fino all’ambasciata britannica a Parigi, dovernil marito Alfred è stato inopinatamente nominatornambasciatore, Fanny, la narratrice, ci fa assaporarerngli aspetti più esilaranti dell’ambiente diplomaticorneuropeo degli anni Cinquanta: una vitarndi società gaia ma ancora formale, nella quale si affaccianorna sorpresa i quattro $gli ormai cresciutirndella coppia, al$eri della rivoluzione giovanile airnsuoi albori. E se i personaggi di Nancy Mitford, comernlei stessa ebbe a dire, «vivono in un mondo dirnsuperlativi», il migliore esempio ne è senz’altro larndivina Northey, giovanissima segretaria particolarerndi Fanny, che dopo aver messo a soqquadro colrnsuo fascino il bel mondo parigino ci elargisce unrnmirabolante finale. -
Storia di Matilde
«Il più bel romanzo scritto in Italia negli ultimi vent'anni» - rnPietro CitatirnrnPer adeguarsi al ritmo ininterrotto di Storia di Matildernoccorrerà un piccolo sforzo iniziale, come quandorns'impara un nuovo ballo; ma presto i passi diventerannornspediti, il lettore si lascerà prendere, si lasceràrnandare, e sarà ricompensato dalla storia bellissima ernstruggente di un inganno crudele consumato da tuttarnuna società a spese di un uomo semplice e povero,rnnonché da una miriade di storie minori, di pace e dirnguerra. -
La debuttante
Donna dall'eccentricità indomabile, LeonorarnCarrington fu una delle «muse inquietantirn» del surrealismo, dal quale peròrnnon smise mai di tenersi a debita distanza,rnanche negli anni in cui viveva con MaxrnErnst. rnrn«Hai l'ingenuità di credere che il passato muoia?».rn«Sì», disse Margaret «Se il presente gli taglia la gola».rnrnI suoi quadri, enigmatici e beffardi,rnsono oggi celebrati e ricercati, ma non menornrivelatrice è la sua opera in prosa – e inrnparticolare questi racconti, nei quali giàrnBreton riconosceva un vertice dello «humourrnnero» (definizione che a lui risale).rnQui il lettore potrà incontrare per la primarnvolta le sue creature predilette, esserirndalla natura sempre mutevole e indecifrabile,rnoscillanti tra l'aria ingannevole dellarnnursery – deposito di sogni e relitti infantilirn– e l'orrore puro. Come nel racconto darncui prende il titolo la raccolta, dove unarngiovane debuttante, per evitare di parteciparernal ballo organizzato dalla madre inrnsuo onore, chiede a una iena il favore dirnsostituirla: con conseguenze feroci e esilaranti.rnTutti «fantasmi di famiglia», su cuirnsentiamo aleggiare la risata rauca e affettuosamenterncrudele della Carrington.rnPer lei, ciò che per altri fu la scoperta dellarnsurrealtà, era la normalità stessa – comernconstatò sin dall'infanzia passata in unarnmagione goticheggiante, che si poteva trasformarernfacilmente in un'allucinazione. -
Commedia
i>«Egli se ne stava lì, ritto al sole, e il suo manchevole abbigliamento gli diveniva sempre più insostenibile. Quel po' di iattura gli faceva perdere la testa. Possiamo in effetti diventare spaventosi se la nostra situazione ci appare spaventosa. Se abbiamo spavento di noi, anche gli altri si spaventano di noi. Mi auguro che tutti voi lo abbiate già sperimentato almeno una volta. Vi prego di ricordarvene. Una sottilissima, lievissima, dico un'ombra di capacità d'uccidere, e che?, non è forse dentro ciascuno di noi? Dico il residuo fievolissimo di una disposizione risalente a secoli addietro?? Me lo domando. Domandatevelo anche voi. Nessuno di noi è in grado di sapere se non sia peggio di quel che è»rnrnUna Cenerentola che ama servire e farsi battererndalle sorelle; il principe che all'improvviso s'innamorarndella matrigna di Biancaneve, la qualernperò gli preferisce il ben più prestante cacciatorern(«val quanto diecimila principi»); Rosaspina chernrespinge il principe azzurro, reo di avere destatornlei e gli abitanti del castello dalla beatitudine delrnsonno. Nei «piccoli drammi» in versi, provocatorirnrifacimenti – ma sarebbe forse più giusto parlarerndi sabotaggi – di Fiabe dei Grimm, l'invenzionernlinguistica e l'ironia di Walser toccano uno dei lorornvertici. E se la forma metrica ne mostra la naturarndi compiaciuto, finissimo divertimento letterario,rnnon si può non cogliere nei personaggi, comernosservava Benjamin, gli inconfondibili trattirnwalseriani: «Sono personaggi che hanno dietro dirnsé la follia, e per questo rimangono di una super-rnficialità così lacerante, così completamente inumana,rncosì impassibile. Se volessimo descrivererncon una parola quello che essi hanno di felice e dirnperturbante, potremmo dire che sono tutti ‘guariti’.rnMa il processo di questa guarigione ci restarnoscuro, a meno di non cimentarsi con la sua Biancanevern– una delle figure più profonde della poesiarnmoderna –, che da sola basterebbe a spiegarerncome mai questo poeta, all’apparenza il più scanzonatorndi tutti, sia stato uno degli autori predilettirndell’inesorabile Franz Kafka». -
Lo spirito errabondo
Maugham fu non solo un maestro del romanzo erndel racconto, ma un saggista estroso, che talvolta –rne vorremmo fosse accaduto più spesso – si abbandonavarnalla vena vagabonda del suo umore, cosìrnincontrando i soggetti più disparati: da un pittorerncome Zurbarán a un grande filosofo politico comernEdmund Burke – e perfino Kant, il quale, purrnnella quotidianità scandita da ritmi draconiani,rnemerge come abile giocatore di carte e di biliardornoltre che, beninteso, estensore della celebre Critica.rnLo seguiremo anche in un'escursione nella detectivernstory, tra Hammett e Chandler, per percorrererninfine con lui una superba galleria di ritrattirndal vivo di altri romanzieri, dove spicca, tenero ernspietato, quello di un Henry James pomposamente,rnperdutamente aggomitolato nei suoi groviglirnverbali anche di fronte alla più effimera, scontatarnchiacchiera salottiera. Cuori delicati e buoni, ernlingue che non sono né l'una né l'altra cosa, costituisconornla migliore compagnia del mondo, rilevarna un certo punto Maugham. E qui magistralmenternlo prova. -
Grande trampoliere smarrito
Le vicende dellernsua breve, tumultuosa esistenza di Arthur Cravan, che Edgardo Franzosinirnripercorre con il tono narrativo lieve e insinuanternche lo contraddistinguernrn«Poiché, dopo un lungo periodo di tremenda pigrizia, sognavo ardentementerndi diventare ricchissimo (mio Dio,rnquanto spesso l'ho sognato!); poichérnero eternamente fermo al capitolo deirnpropositi, e sempre più mi esaltavo alrnpensiero di raggiungere la prosperitàrnin modo disonesto, e sorprendente, attraversornla poesia – ho sempre cercatorndi considerare l'arte un mezzo e nonrnun fine –, mi dissi allegramente: “Dovreirnandare a trovare Gide, è milionario. Sulrnserio, che spasso, infinocchierò quel vecchiornletterato!”»rnrnrn«Quante volte ho fatto scalpore» si compiace ArthurrnCravan, un «colosso mistico» di quasi due metrirnper circa cento chili di peso, che sfidava sul ringrnpugili come Jack Johnson e Jim Smith, sostenevarn(non del tutto abusivamente) di essere nipote dirnOscar Wilde e dava conferenze (indossando, talvolta,rnsolo un cache-sexe) in cui annunciava il propriornsuicidio. Inoltre, sulle pagine della rivista dirncui era editore e redattore unico (e che distribuivarnandando in giro per Parigi con un carretto darnfruttivendolo), osava pubblicare l'esilarante resocontorndi una sua visita ad André Gide da cui, comernaffermò in seguito André Breton, il «venerato maestrorn» non si sarebbe mai più ripreso. Blaise Cendrarsrnriconosce la sua influenza decisiva su Duchamp,rnPicabia e i membri del Cabaret Voltaire dirnZurigo, dichiara che «raccontare la vita di ArthurrnCravan a New York equivale a far la storia della fondazionerndel dadaismo» e rende omaggio all'«immensorntalento del poeta», capace di «illuminazionirnfolgoranti, non meno profetiche e ribelli e disperaterne amare di quelle di Rimbaud». Dopo averrnletto i suoi scritti, seguiremo, con lo stupore di chirnlegge un romanzo di avventure, le vicende dellernsua breve, tumultuosa esistenza, che Edgardo Franzosinirnripercorre con il tono narrativo lieve e insinuanternche lo contraddistingue. -
Buongiorno, mezzanotte
«Per favore, vi prego, monsieur e madame, signore, signora e signorina, ce la sto mettendo tutta per essere come voi. Non ci riesco e lo so. Ma ce la metto tutta. Tre ore per scegliere un cappello; a ogni risveglio, un'ora e mezzo per cercare di avere l'aspetto che hanno tutti gli altri. Ogni parola che dico ha una catena alla caviglia, ogni pensiero è gravato da grossi pesi. Da quando sono nata, ogni parola pronunciata, ogni moto, ogni pensiero pensato, tutto quello che ho fatto non è forse stato legato, gravato, forzato a terra con catene? E badate, so bene che il mio travestimento nonostante tutto non funziona. Oppure funziona, a sprazzi maledettamente bene. Troppo bene... Ma non m'importa. Pensate a me con un briciolo di pietà. Voglio dire, se ci riuscite, razza di scimmie, cosa di cui dubito»rn«Attenzione: questo romanzo è meraviglioso.» Teresa Ciabattirn«Tristesse, che parola graziosa...». NellarnParigi degli anni Trenta, dove ogni alberghettornè uguale all'altro e ogni caférnpuò celare un nuovo, tormentoso incontro,rnuna donna che scopre di non esserernpiù giovane insegna a sé stessa l'arte delrndistacco. E Londra, dove presto dovràrntornare, non le riserva niente di meglio:rn«Perché non ti sei annegata nella Senna?rn» le domanda l'ultimo parente chernsembrava disposto a occuparsi di lei. PerrnSasha, ormai, si tratta solo di dimenticarsirn«dei vicoli bui, dei lumi bui, del dolore,rndella lotta», delle «voci che loro usanorncome pugnali». E quando i giorni e lernnotti si fanno ancora più solitari e desolati,rnc'è un unico modo per sopravviverernalla sua caparbia, febbrile perdizione:rn«Soprattutto non piangere in pubblico,rne se possibile nemmeno in privato». Megliorntingersi subito i capelli di biondo cenererne correre all'appuntamento con quellornstrano gigolo dalla nazionalità indecifrabilerne la lunga cicatrice che gli attraversarnla gola. -
Gli Undici
Un quadrornche non esiste, come non è mai esistitornFrançois-Élie Corentin, il suo autore, marnche mancava, e a cui solo Michon, con larnfastosa potenza della sua parola, potevarndar vita.rnrn«E fra questi colpi bassi (idea di Collot, a quanto si dice, dell'enigmatico Collot) c'era il seguente: far dipingere in segreto un quadro che ritraesse il Comitato, nel quale Robespierre e i suoi fossero raffigurati in gloria, un quadro che conferisse un'esistenza ufficiale a quel Comitato che teoricamente non esisteva, ma che per il semplice fatto di apparire in un dipinto sarebbe stato considerato per quel che in effetti era: un esecutivo insediatosi nella sede aborrita del tiranno, un tiranno a undici teste, esistente e regnante a pieno titolo, e che sfoggiava addirittura, alla maniera dei tiranni, la raffigurazione della propria sovranità – o forse, se le cose si fossero messe altrimenti, se Robespierre fosse riuscito a consolidare il suo potere senza alternative possibili, l'intento era quello di far apparire, mediante il dipinto, il Comitato come un esecutivo perfettamente consacrato dalla legge, la crème dei Rappresentanti, fraterni, paterni e legittimi come un'assemblea di sindaci o un conclave».rnrnIn una gelida notte del mese di nevosorndell'anno II, ossia intorno al 5 gennaiorndel 1794, un drappello di sanculotti prelevarnFrançois-Élie Corentin per condurlornalla chiesa di Saint-Nicolas-des-Champs.rnGià allievo di Tiepolo e ora impegnatornnell'atelier di David, Corentin è un vecchiornmaestro la cui notorietà non si è mairntrasformata in gloria. Il compito che nell'atmosferarnsordida e caravaggesca dellarnsacrestia gli viene assegnato da eminentirncapi della rivoluzione parigina è non menornarduo che stupefacente: in cambio dirnun compenso regale ma nella più assolutarnsegretezza e in tempi strettissimi, dovràrnritrarre i membri del Comitato di saluternpubblica, gli Undici. Detentori di un poterernassoluto e fantasma, i tirannicidi incarnanornormai il più plumbeo ritorno delrntiranno globale che si spaccia per popolorne sono lacerati da feroci rivalità. Corentinrndovrà dare a Robespierre e ai suoi ilrnmassimo rilievo: sarà una mendace assemblearndi eroi-fratelli, un'ultima cenarntruccata. La carneficina del Grande Terrorernè alle porte. Corentin non arretra: erndipinge il suo capolavoro, il quadro perfettornche farà di lui una leggenda. Un quadrornche attrae come un magnete e sgomenta,rnperché gli Undici sono la Storiarnin atto, «creature di terrore e d'impeto»,rnmostri, dèi e uomini, figure spaventosernche ancor oggi, dalle pareti del Louvre, sirnavventano su di noi, i dannati. Un quadrornche non esiste, come non è mai esistitornFrançois-Élie Corentin, il suo autore, marnche mancava, e a cui solo Michon, con larnfastosa potenza della sua parola, potevarndar vita. -
Arte monologica?
Nel 1952 le colonne della «Neue Zeitung» ospitarono un memorabile dialogo-rnconfronto, attraverso due letterernaperte, tra Lernet-Holenia e GottfriedrnBenn. Il tema non avrebbe potuto esserernpiù arduo – la natura dell'arte –, e lernposizioni più distanti: a Lernet-Holeniarnche lo esortava a rivolgersi «agli altri, inrnquei grandi dialoghi sui quali si fondarnogni vera poesia», ribadendo il vincolorntra la poesia e il divenire storico, Bennrnrispondeva nel nome di «un'arte monologicarn»: «Esprimi il tuo io: al tu consegnerairnallora la tua vita, alla comunità ernalla lontananza consegnerai allora larntua solitudine» – e ci consegnava così ilrnsuo testamento spirituale, la cui formulazionernpiù articolata si trova nel celebrernsaggio su Nietzsche, che qui fa seguitornalla lettera a Lernet-Holenia. -
Il signore delle anime
«Chi ha amato Suite francese non può perdersirnquesto romanzo della Némirovsky. Un Faust dirninizio '900, la storia drammatica dell'emigratornDario e di sua moglie Clara, originari di Odessa,rnche sperano di trovare a Parigi un paesaggio umanornche li redima dalla fame e dal disprezzo ...rnUna storia potentissima, sporca di fango e con accentirngotici, un'analisi dolorosa dell'essere umanorne delle sue bassezze ... Un capolavoro» - rnValeria Parrella -
Una storia vera e altre opere scelte da Alberto Savinio
Le opere di Luciano di Samosata (II secolornd.C.) sono qui proposte nella classica versionerncui Luigi Settembrini attese, intorno alla metàrndel l’Ottocento, durante la prigionia nell’isolarndi Santo Stefano, e che Savinio ha provvedutornad ammodernare cautamente e «“lucianizzare”rnal massimo»; ciascuna è preceduta da un cappellornintroduttivo dello stesso Savinio. Questarnedizione è apparsa per la prima volta nel 1944. -
Il morto piovuto dal cielo e altri racconti
Quattro nuove inchieste per l’esuberante dottor Jean Dollent, non più solo un investigatore per casornrn«Il paese era grazioso e ridente come una miniatura.rnNon mancava neanche l'allegro rumorerndel martello sull'incudine del fabbro, né il caldornprofumo del pane fresco che usciva dalla bottegarndel fornaio...rn«Il castello era la raffigurazione perfetta dellarncasa felice, dell'eleganza sobria e discreta. L'uomornche vi abitava, e che era abbastanza ricco darnpoter condurre altrove una vita dissipata, coltivavarnpiaceri sereni e profondi, l'ordine e il buonrngusto.rn«Ma allora quella storia dei paletti, della bucarnai piedi del fico e del metro srotolato in giardino...rn«E l'altro tizio, che nessuno aveva riconosciutorne che chissà da dove veniva, come poteva esserernMarcel Vauquelin-Radot, se quest'ultimornera ufficialmente morto da cinque anni». -
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
Una prima versione del romanzo, incompleta, apparve su rivista nel 1946, una seconda, riscritta e ampliata ma pur sempre inconclusa, nel 1957. Grazie alle carte d'autore è tuttavia possibile oggi chiarire in gran parte l'enigma finale. Con una nota al testo, che ricostruisce anche la filologia del romanzo, di Giorgio Pinatti, Adelphi torna a pubblicare uno dei capolavori della letteratura italiana.rnrn«Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi».rnrnrnrnrnNel giro di pochi giorni, nel marzo del 1927, un furto di denaro e gioielli ai danni di una svaporata e fantasiosa vedova, la contessa Menegazzi, e poi l'omicidio della ricca, splendida e malinconica Liliana Balducci, sgozzata con ferocia inaudita, incrinano la decorosa quiete di un grigio palazzo abitato da pescecani, in via Merulana, come se una «vampa calda, vorace, avventatasi fuori dall'inferno» l'avesse d'improvviso investito - una vampa di cupidigia e brutale passione. Indaga su entrambi i casi, forse collegati, Francesco Ingravallo, perspicace commissario-filosofo e segreto ammiratore di Liliana: ma la sua livida, rabbiosa determinazione, il suo prodigioso intuito per il «quanto di erotia» che ogni delitto nasconde e le pressioni di chi pretende a ogni costo un colpevole da dare in pasto alla «moltitudine pazza» non basteranno ad aver ragione del disordine e del Male. L'inchiesta sui torbidi misteri del «palazzo dell'Oro» gli concederà, al più, la medesima, lacerante cognizione del dolore di Gonzalo Pirobutirro. Giallo abnorme, temerario, enigmatico, frutto della irresistibile attrazione che su Gadda esercitavano il romanzo e i crimini tenebrosi ma insieme di una tensione conoscitiva che finisce per travolgere ogni possibile plot, il Pasticciaccio è anche il ritratto di una città e di una nazione degradate dalla follia narcisistica del Tiranno, dove si riversa a ondate tumultuose una realtà perturbata e molteplice - e dove, a rappresentarla, sono convocate, in uno sforzo immane, tutte le risorse della nostra lingua, dei dialetti, delle scienze e delle tecniche.