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Nemici. Una storia d'amore
Un giorno, a una domanda sull'importanza che aveva avuto l'amore nella sua vita, Isaac Bashevis Singer rispose: «Grandissima, perché l'amore è amore della vita. Quando ami una donna ami la vita che è in lei».rnrnMa che genere di amore è quello che lega Herman, il protagonista di «Nemici», a Yadwiga, la contadina polacca che lo ha salvato dalla deportazione nascondendolo per tre anni in un fienile, nutrendolo e curandolo, e che lui ha portato con sé a New York e ha sposato? E che genere di amore lo lega a Masha, la donna, scampata ai lager, del cui corpo non riesce a fare a meno, ma che percepisce come una minaccia – perché quel desiderio, più che alla vita, si apparenta alla morte? Ed è ancora amore il sentimento che lo lega alla moglie Tamara, che credeva morta e che gli riappare davanti all'improvviso? Di fronte a simili domande Herman è paralizzato, incapace di trovare una via d'uscita. A rendere tutto molto, molto più complicato è la fatica quotidiana del vivere, in quella New York che è sembrata un miraggio di felicità, ma che si rivela ogni giorno più inospitale e più aspra. Il lettore segue Herman nei suoi affannosi, sconclusionati andirivieni dal Bronx a Coney Island e da Coney Island a Manhattan, chiedendosi se e come riuscirà a tirarsi fuori da quella specie di guerra che le sue tre donne gli hanno dichiarato, e soprattutto dal groviglio di un'esistenza fatta di continue menzogne, sotterfugi, goffaggini e fughe – o se, come il Bunem di «Keyla la Rossa», finirà per cedere alla tentazione di disperare di Dio. -
Il bagno di Diana
Il mito di Diana e Atteone ha avuto semprernqualcosa di decisivo da dire agli uomini,rne nelle sue numerose versioni – così comernnelle rappresentazioni pittoriche, darnTiziano a Rembrandt – ha sedotto le piùrngrandi menti del pensiero e della letteraturarnoccidentali. rn… È successo tutto in fretta: – è stato stamattina o mesi fa che Atteone ha lasciato la reggia? Gli sembra di vederla da un’eternità, stupefatto, trattenendo il respiro – Diana, che lui immaginava sempre in piena corsa, ora se ne sta lì ferma, alta e imponente, leggermente riversa, appoggiata sui gomiti, distendendo le lunghe gambe di cui s’impadroniscono due delle sue ninfe per sfilarle i calzari; ha il capo eretto, lo sguardo fisso su un punto lontanornIn questo libro, a metà trarnil saggio e la favola, tra l'excursus eruditorne la «meditazione occasionale», PierrernKlossowski, mitografo eterodosso, raccontarne decifra sapientemente ogni dettagliorndella storia, scomponendo il quadro in unarnrete di elementi simbolici. «Diana al bagnorn» appare così come un'epifania paradossalerndel divino: una teofania che si realizzarnattraverso una visione sacrilega eppurernnecessaria. Ma è anche una caccia tragica,rndionisiaca. Diana si materializza tramiternlo sguardo di Atteone, che la fa, letteralmente,rnconsistere; e Atteone abbraccia ilrnproprio destino di intermediario sacri$calerntra l'umano e il divino accettando ognirnprevedibile conseguenza: l'estasi, il delirio,rnl'autodistruzione, giacché si annulla, attraversornla metamorfosi in cervo, nella divinitàrnche ha sorpreso senza veli. -
La cattiva strada
Questa è la storia di un amore. Un amore indomabile, travolgente. E innanzitutto proibito.rn«La cattiva strada esce in italiano nella nitida versione di Simona Mambrini che sa restituire sia il passo veloce sia la leggerezza cangiante di uno stile prodigato con perfetta nonchalance» - Massimo Raffaeli, Il Venerdìrn«Suor Clotilde rivide Denis. Capì che aveva fatto la strada di corsa per precipitarsi da lei. Aveva gli occhi più belli, più neri che mai e pieni di una felicità stupefacente. Tutto divenne confuso, lei gli chiese scusa, gli diede un bacio sulla guancia. E nella frazione di secondo in cui le sue labbra toccarono la pelle di Denis, lei capì che era vero, che il male era in lei, che non doveva più rivederlo, non doveva più vedere il suo sorriso né sentire la sua voce, doveva dimenticarsi di quel bacio e della morbidezza della sua mano.»rnrnQuesta è la storia dell'amore che lega un ragazzo appena quattordicenne a una suora che di anni ne ha ventisei. La passione che vivono, fino in fondo e senza rimorsi, queste due giovanissime creature viene raccontata con candore e precisione, senza compiacimenti e senza moralismi, da uno scrittore che all'epoca ha solo diciott'anni. In questo romanzo dotato di una grazia quasi prodigiosa (e che inevitabilmente ci fa pensare a un altro romanzo, pressoché perfetto, opera di un adolescente: «Il diavolo in corpo» di Radiguet) percepiamo, tra Denis e suor Clotilde, una tensione erotica palpabile, bruciante: e ogni qualvolta ci sono loro due, soltanto loro due, la pagina è come illuminata. Gli altri – genitori, autorità scolastiche, gerarchie ecclesiastiche – faranno tutto quanto è in loro potere per opporsi a quell'amore. rnMa non vi è migliore risposta dell'epigrafe apposta al libro dall'autore stesso: «Credi nel tuo Dio se puoi, ma credi soprattutto nella vita. Se la tua vita dimentica il tuo Dio, tieniti stretta la vita...». Non è un caso che Emmanuel Carrère abbia definito Japrisot «un grande scrittore», «uno dei più originali del suo tempo». -
Paranoia
L'angoscia che si insinua in noi nell'intravedere la presenza del Malernrn«Senta,» disse Mr. Beresford «voglio scendere».rn«Certamente» rispose l’autista. «Alla prossima fermata».rn«Ne ha appena saltata una » disse Mr. Beresford.rn«Non c’era nessuno ad aspettare» disse l’autista.rn«E comunque non me lo ha detto in tempo». Mr. Beresford attese. Dopo un minuto vide un’altra fermata e disse: «Ecco». rnL’autobus non si fermò, ma oltrepassò il cartello senza rallentare.rn«Mi denunci» disse l’autista.rn«Insomma, stia a sentire» disse Mr. Beresford, e l’autista gli lanciò un’occhiata; sembrava divertito. rn«Mi denunci» ripeté. «Il mio numero è qui, su questa tessera».rn«Se salta anche la prossima fermata,» disse Mr. Beresford «spacco il vetro della porta e chiamo aiuto».rn«Con cosa pensa di spaccarlo?» domandò l’autista. «Con la scatola di cioccolatini?».rnrnrnUn giorno, a metà degli anni Novanta, Laurence Jackson Hyman, il figlio maggiore di Shirley Jackson, apre la porta di casa e - sorpresa - si trova davanti una scatola di cartone senza traccia di mittente. Dentro, immediatamente riconoscibili dai fogli di carta gialla e dai caratteri della sua Roval, una messe di scritti inediti della madre, morta ormai da trent'anni. Da quell'imprevista cornucopia, e dalle successive ricerche nel suo Fondo presso la Biblioteca del Congresso di Washington, scaturirà nel 2015 un libro sorprendente, ""Let Me Tell You"""", definito «un revival di 'Ai confini della realtà'».I molti e appassionati lettori di Shirley Jackson - che amava dire di essere una strega - saranno così felici di trovare, nella scelta che qui offriamo, comicissimi sketch familiari, stranianti conferenze sull'arte dello scrivere, nonché alcuni dei racconti più inquietanti che «la maestra di Stephen King» abbia mai scritto. E di provare di nuovo quell'arcano sentimento che proprio lei ci ha fatto conoscere così bene: l'angoscia che si insinua in noi nell'intravedere la presenza del Male."" -
«Arte»
Yasmina Reza, di cui conosciamo la penna affilata e lo sguardo chirurgico, tocca in questa commedia nera vette di comica crudeltà, si diverte e ci fa divertire – perché ridiamo molto, anche se sempre più a denti stretti.rnrnSERGE Per me non è bianco.rnQuando dico per me, intendo oggettivamente.rnOggettivamente, non è bianco.rnHa un fondo bianco, ma con tutta una gradazione di grigi…rnC’è perfino del rosso.rnMolto pallido, diciamo.rnFosse bianco non mi piacerebbe.rnMarc lo vede bianco… È il suo limite…rnMarc lo vede bianco perché si è fissato che è bianco.rnMarc può pensare quello che vuole, di lui me ne strafottornrnrnrn«Il mio amico Serge ha comprato un quadro» annuncia Marc, da solo in scena, ad apertura di sipario. «È una tela di circa un metro e sessanta per un metro e venti, dipinta di bianco. Il fondo è bianco, e strizzando gli occhi si possono intravedere delle sottili filettature diagonali, bianche». Subito dopo Marc viene a sapere dallo stesso Serge che il quadro bianco a righe bianche è stato pagato duecentomila franchi: cosa che Marc giudica grottesca, poiché secondo lui è «una merda». Un terzo amico, Yvan – che ha già abbastanza guai con i preparativi del suo matrimonio –, non prende posizione, venendo accusato dagli altri due di pusillanimità e doppiezza. Così, la serata che i tre decidono di trascorrere insieme si trasforma in un regolamento di conti, in un gioco al massacro: il quadro bianco a righe bianche diventa il rivelatore da cui affiorano a poco a poco nevrosi, risentimenti e rivalità, mentre le parole si fanno sempre più velenose, sempre più acuminate, fino a ridurre in macerie la fragile impalcatura di un rapporto fondato sull'egoismo, la vanità e l'ipocrisia. Yasmina Reza, di cui conosciamo la penna affilata e lo sguardo chirurgico, tocca in questa commedia nera vette di comica crudeltà, si diverte e ci fa divertire – perché ridiamo molto, anche se sempre più a denti stretti, a mano a mano che da sotto la maschera buffa del théâtre de boulevard vediamo spuntare la malinconia.rnrnTraduzione di Federica e Lorenza Di Lella. -
Nondimanco. Machiavelli, Pascal
Un invito a leggere tra le righe, lentamente, testi cifrati, spesso criptici. Per anni Carlo Ginzburg ha lavorato su casi molto diversi tra loro, tutti però fortemente anomali. L'incontro con la casistica - ossia la tradizione, all'incrocio tra teologia e diritto, che riflette sulla tensione tra norma e anomalia, a partire da casi specifici - era forse inevitabile. Un tema insieme lontanissimo e vicino: ferita a morte da Pascal e resuscitata dalla bioetica, la casistica non smette di interrogarci, nei suoi risvolti tragici o grotteschi.Machiavelli, Pascal: un accostamento inatteso, per più versi sorprendente. Machiavelli, frugando nella biblioteca di suo padre, scopre la casistica medievale e mette il rapporto tra la norma e l'eccezione al centro di un mondo inventato (la ""Mandragola"""") e di quello in cui vive e agisce (""""Il Principe""""). Pascal, feroce avversario della casistica (soprattutto quella dei gesuiti), legge Machiavelli attraverso la lente di Galileo, e la realtà del potere attraverso Machiavelli. Un viaggio negli intrichi della lettura, sulle tracce di due lettori straordinari - e dei loro interlocutori, avversari, seguaci. Vi si affacciano personaggi famosi (Campanella, Galileo) visti dal loro censore, il domenicano Niccolò Riccardi, detto «Padre Mostro»; e personaggi meno noti, come Johann Ludwig Fabricius, al quale una lettura obliqua delle """"Provinciali"""" di Pascal consente di proporre un'immagine inedita del «religiosissimo» Machiavelli."" -
Altre menti. Il polpo, il mare e le remote origini della coscienza
Da un ramo dell'alberorndella vita assai distante dal nostrornè nata una forma di intelligenza superiore,rni cefalopodi – ossia calamari, seppierne soprattutto polpi rnProtendo una mano e allungo un dito, ed ecco che lentamente un suo braccio si srotola e viene a toccarmi. Le ventose mi si attaccano alla pelle, la sua presa è di una forza sconcertante. Una volta attaccate le ventose, mi abbraccia il dito attirandomi delicatamente verso l’interno. Il braccio è zeppo di sensori, centinaia su ognuna delle ventose, che sono decine. Mentre attira a sé il mio dito, lo assaggia. Pieno com’è di neuroni, il braccio è un crogiolo di attività nervosa. Dietro di esso, per tutto il tempo, i grandi occhi rotondi continuano a fissarmirnBenché mammiferi e uccelli siano unanimementernconsiderati le creature più intelligenti,rnsi va imponendo una diversa,rnsorprendente, evidenza: da un ramo dell'alberorndella vita assai distante dal nostrornè nata una forma di intelligenza superiore,rni cefalopodi – ossia calamari, seppierne soprattutto polpi. In cattività, i polpirnsono in grado di distinguere l'uno dall'altrorni loro guardiani, di compiere scorreriernnotturne nelle vasche vicine perrnprocurarsi del cibo, di spegnere le lucirnlanciando getti d'acqua sulle lampadine,rndi mettere in atto ardite evasioni. Com'èrnpossibile che una creatura tanto dotatarnabbia seguito una linea evolutiva così radicalmenternlontana dalla nostra Il fattornè – ci rivela Peter Godfrey-Smith, indiscussarnautorità in materia e appassionatornosservatore sul campo – che i cefalopodirnsono un'isola di complessità mentale nelrnmare degli invertebrati, un esperimentornindipendente nell'evoluzione di grandirncervelli e comportamenti complessi. Èrnprobabile, insomma, che il contatto con irnpolpi sia quanto di più vicino all'incontrorncon un alieno intelligente ci possarnmai capitare. Ma Godfrey-Smith tocca inrnquesto libro un altro punto capitale: nelrnmomento in cui siamo costretti ad attribuirernun'attività mentale e una qualchernforma di coscienza ad animali ben distantirnda noi nell'albero della vita, dobbiamornanche ammettere di non avere certezzernsu che cosa sia la nostra coscienza di umani.rnE forse questa via è una delle migliorirnper arrivare a capirlo. -
Una visita al Bates Motel
«Un’indagine che si estende tra la detection e l’erotismo misterico, tra il fremito conoscitivo e la conoscenza stessa come fremito di possessione, e costruisce una fitta rete di rimandi capaci di combinare analisi del film, riferimenti alla cultura classica e a effigi di storia dell’arte» – La LetturarnQuesta indagine nasce da una serie di indizi curiosi: un refuso rivelatore - Psyche invece di Psycho - nel primo trafiletto che annunciava il nuovo progetto di Hitchcock. Una statuetta di Amore e Psiche di Canova che s'intravede in una scena del film. Una sibillina dichiarazione del regista, che presentò Psycho alla stampa come un'«escursione nel sesso metafisico». Continua con un sopralluogo sui luoghi del delitto ormai disabitati: il Bates Motel e la casa arcigna in cima alla collina, che Hitchcock volle allestire come gallerie d'arte o Wunderkammern. E diventa una visita guidata che si svolge, con i brividi di prammatica, fra il bric-à-brac degli arredi cupi, e sotto l'occhio impassibile di uccelli impagliati. Una stanza dopo l'altra, il detective Vitiello - e dietro di lui, lo spirito di un Hitchcock mistagogo e sornione - ci aiutano a vedere la spettrale dimora vittoriana di Psycho come un musée imaginaire dell'erotica misterica, per le cui stanze si inseguono tre cicli mitologici infernali: Amore e Psiche, Orfeo ed Euridice, Demetra e Persefone. È una scoperta sorprendente e a suo modo sinistra, alla quale tutto sommato vorremmo sottrarci. Ma forse è troppo tardi: come avremmo dovuto sapere prima ancora di aprire il libro, infatti, dal regno infero di Norman Bates non si esce con la stessa facililità con cui si entra. -
Il rosa Tiepolo
Tiepolo: l’ultimo soffio di felicità in Europarnrn«Il rosa Tiepolo getta sull’opera del pittore veneziano una luce fulminante, che la fa apparire per quello che essa è, ovvero il riepilogo e l’apogeo, nel linguaggio delle forme, del genio italiano tanto pagano quanto cristiano.» – Marc Fumarolirn«Un libro che ha la forma del suo oggetto.» – Umberto Ecornrnrnrn«Tiepolo: l'ultimo soffio di felicità in Europa. E, come ogni vera felicità, piena di lati oscuri, non destinati a scomparire, anzi a prendere il sopravvento. Riconoscibile dall'aria che spira senza ostacoli e senza sforzi, come non sarebbe più avvenuto dopo quella volta. In paragone con Tiepolo, la felicità di Fragonard è costruita operando tacite esclusioni. Mentre Tiepolo non esclude nulla. Neppure Morte, che viene accolta fra i suoi personaggi e non si fa troppo notare. La felicità che Tiepolo emana non necessariamente abitava in lui stesso. Può darsi che le abbia detto in molte occasioni di ripassare più tardi, perché al momento doveva finire un lavoro ed era in ritardo». -
Lizzie
«Quella giovane donna, anonima e ottusa, che ogni mattina si reca in ufficio per vidimare le lettere in arrivo al museo dove lavora, neanche ci pensa a entrare in contatto con la propria vita interiore. In compenso, avverte un persistente mal di schiena, continue emicranie e vertigini, oltre a soffrire d'insonnia: i primi sintomi di quel vero e proprio abisso mentale in cui sta per precipitare ... Shirley Jackson è abilissima a mettere in scena questo terrificante teatro dell'anima, con le diverse personalità che entrano ed escono di scena, prendendo via via il controllo del corpo». (Franco Marcoaldi) -
Un uomo solo
«Uno dei romanzi che più ho amato in vita mia ... Pubblicandolo nel 1964, anche l'autore avvertì di avere scritto il proprio capolavoro – e aveva alle spalle una meraviglia come ""Addio a Berlino"""" (da cui """"Cabaret""""). In effetti, si tratta di un testo il cui equilibrio narrativo è praticamente perfetto: perfettamente in bilico tra commozione e distacco – un racconto dove non c'è una virgola di troppo, non una di meno.» – Mario FortunatornrnGià negli anni Trenta, quando scrisse «Addio a Berlino», Christopher Isherwood sosteneva di voler trasformare il suo occhio di romanziere nell'obiettivo di una macchina fotografica. Ma per lungo tempo – attraverso libri molto diversi fra loro, e spesso segnati dai personaggi fittizi o reali che raccontavano – l'intenzione rimase una di quelle fantasticherie stilistiche che spesso gli scrittori inseguono per tutta la vita senza realizzarle mai. E invece nel suo ultimo romanzo – questo – Isherwood trasforma una giornata nella vita di George, un professore inglese non più giovane che vive in California, in un'asciutta, e proprio per questo struggente, sequenza di scatti. Non è una giornata particolare per George: solo altre ventiquattr'ore senza Jim, il suo compagno morto in un incidente. Ventiquattr'ore fra il sospetto dei vicini, la consolante vicinanza di Charlotte, la rabbia contro i libri letti per una vita ma ormai inutili, e il desiderio di un corpo giovane appena intravisto ma che forse è già troppo tardi per toccare. Quanto basta per comporre un ritratto che non si può dimenticare, e che alla sua uscita sorprese tutti, suonando troppo vero per non essere scandaloso."" -
La vedova Couderc
«La parte centrale del romanzo è sorretta dalla tensione fortissima che scaturisce dal complesso rapporto tra i personaggi e che, per fare un paragone, ricorda quella, quasi insostenibile, del romanzo Misery di Stephen King (lo scrittore prigioniero della sua ammiratrice pazza). Una situazione senza vie d'uscita». (Corrado Augias) -
Il libro degli esseri a malapena immaginabili
Un bestiario degli animali più strani e dimenticati al punto che non sembrano neanche appartenere al nostro mondorn«La prima volta che si vede un axolotl - o assolotto - è difficile distogliere lo sguardo. Gli occhi a capocchia di spillo privi di palpebre, le branchie che si diramano dal collo come morbidi coralli, il corpo da lucertola provvista di braccine e gambette esili con le loro dita, e infine una coda da girino lo fanno sembrare una creatura aliena»rnrnDa tempi molto lontani i bestiari autentici e quelli immaginari concorrono in parti quasi uguali al disegno della zoologia cosi come la conosciamo, o crediamo di conoscerla. Si sono a lungo specchiati, imitati a vicenda, guardati a seconda dei casi con rispetto e con sospetto, i due generi: finché qui, per la prima volta, non si ritrovano fusi in qualcosa di nuovo. Sì, Caspar Henderson è andato a trovare dove nemmeno li si cercherebbe - nelle profondità degli oceani, negli angoli più inospitali di deserti roventi - intere famiglie di viventi di cui tutto ignoravamo, a cominciare dall'aspetto; oppure ha raccontato particolarità di animali tanto vicini a noi da risultarci, ormai, quasi invisibili. E li ha messi tutti insieme, pesci zebra e delfini, axolotl e balene, con l'amichevole partecipazione di Sapiens, in questo diario di un naturalista capriccioso che è anche qualcosa di più - il manuale delle strane regole con cui possiamo ogni volta ricominciare, a sorpresa, il gioco molto antico di reale e fantastico. -
Degas parla
Daniel Halévy ha saputo cogliere il suono della «sua bella voce», soprattutto quando era «intima e sofferta» - quando lasciava affiorare l'ombra tormentosa di quella «catastrofe inconfessata» che aveva segnato la sua esistenza.rnrn«Daniel Halévy, amico di Proust, era un ragazzo quando, a fine Ottocento, Edgar Degas frequentava la sua casa a Parigi. Dell'artista delle ballerine registrò su un diario parole, battute e sofferenze. Per chi ama studiare anche il retro della tela» - Robinson, La Repubblicarn«Vengo a sapere che Dagas è malato, come sempre ai bronchi. Ha cambiato casa adesso abita in boulevard de Clichy. Ci vado. È la mia prima visita. Una delle nipoti, venuta ad assisterlo, mi apre e mi accompagna in camera da lui: una camera nuda, nuova, senza passato. Degas è a letto, immobile. Mi riceve con un paio di parole gentili. Mi accomodo su una sedia. Conversazione inesistente»rnrnEdgar Degas era schivo, taciturno, intransigente. E molto solo, perché solo, e isolato (soprattutto dagli artisti suoi contemporanei) voleva essere. Frequentava pochissimi amici, andava in pochissime case. Una di queste fu, per vent'anni, quella degli Halévy: tra il 1877 e il 1897 rari erano i giorni in cui non pranzasse o cenasse da loro, perché lì si sentiva accolto, e finanche protetto, da quello «spirito Halévy», da quella «'secchezza' degli Halévy, che aveva agito nell'operetta come nelle battute di Oriane de Guermantes». Ad ascoltare, affascinato, le parole di Degas, c'era un ragazzo, che poi le annotava accuratamente nel suo diario. E che nel 1960, quasi ottantottenne, si decise a pubblicarle. Grazie a Daniel Halévy scopriamo, di colui che sin dall'adolescenza gli aveva dato «un'idea precisa di cosa fosse la grandezza», le battute fulminanti e i paradossi acuminati, il rigore scontroso e i furori intellettuali. Ma anche lo stupore incantato con cui Degas ascoltava, o narrava lui stesso, una fiaba delle ""Mille e una notte"""", o la «gioia infantile» che gli dava leggere agli amici uno dei suoi sonetti."" -
Sull'Iliade
Nell'""Iliade"""", come nella Bibbia, «la vita è essenzialmente ciò che non si lascia valutare, misurare, condannare o giustificare dal vivente». Traduzione di Simona Mambrini. Con una Nota di Jean Wahl.rn«Ancora una volta, la bellezza fa splendere sulla sofferenza la possibilità di salvezza. Di nuovo i suoi raggi trapassano la nube e scavano nella tormenta il sentiero della pace.(...) Troviamo così già espressa in Omero, con una pienezza mai eguagliata dai filosofi, quell'intuizione dell'identità di bellezza e verità che impregna il pensiero greco»rnrnRachel Bespaloff non incontrò mai Simone Weil. Eppure le affinità e le coincidenze biografiche sono tali che si è parlato, a giusto titolo, di «vite parallele»: filosofe entrambe, entrambe ebree di lingua francese, entrambe costrette, nel 1942, a cercare rifugio negli Stati Uniti. E, circostanza ancora più impressionante, nello stesso periodo in cui Simone Weil si concentrava sullo studio dell'""""Iliade"""" - ne sarebbe nato un saggio fondamentale - Rachel Bespaloff dedicava all'""""Iliade"""" pagine altrettanto fondamentali, fra le più dense e ispirate che siano mai state scritte. Anche per lei, come per la Weil, nell'""""Iliade"""" la «forza» appare come «la suprema realtà e insieme la suprema illusione dell'esistenza». Nel poema non ci sono dunque né giusti né malvagi, ma solo «guerrieri in lotta che trionfano o soccombono ... Condannare o assolvere la forza equivarrebbe quindi a condannare o assolvere la vita stessa»."" -
Gli inconvenienti della vita
Solo Peter Cameron sembra avere ancora il coraggio, e la forza stilistica, di trasformare storie simili in opere di varia lunghezza, fatte di dettagli che riconosciamo, e del vuoto spesso atroce che li separa.rn«E da sette anni stava scrivendo un libro, il suo secondo romanzo, ma l'incidente aveva cambiato anche questo. Il suo lavoro procedeva lento, molto lento, le parole e le pagine si accumulavano in modo quasi invisibile, come un'incerta nevicata di ottobre quando il terreno è ancora troppo caldo per preservare la neve.»rnQueste storie raccontano due diverse e molto singolari forme di inquietudine: il malessere sottile che si allarga come una crepa nella vita in comune di due uomini, e la lunga guerra «misteriosa e mai dichiarata» in cui può trasformarsi un matrimonio di vecchia data. Le due coppie non potrebbero essere più distanti: lo scrittore in crisi creativa che divide un appartamento a Tribeca con un avvocato in carriera, e i due pensionati di una spenta cittadina di provincia, dove gli unici eventi degni di nota sono le periodiche inondazioni del fiume e gli appuntamenti della chiesa metodista. Casi da cui emana la sensazione di «un vivere fasullo, rabberciato, sempre lì lì per implodere o franare»; e infatti, sotto la superficie, questi rapporti vanno in pezzi davanti ai nostri occhi, lasciandoci attoniti e frastornati. -
Ai lati opposti delle barricate. Corrispondenza e scritti (1948-1987)
Come testimonia questo libro, che raccoglie tutti i materiali nati da quel confronto, il risultato è sorprendente: più che di nazismo, i due discutono di «teologia politica», di Thomas Hobbes, di san Paolo, di Walter Benjamin, di 'katechon' e messianismo, con il lucido intento di interrogarsi sui presupposti più profondi delle rispettive posizioni. rn«La mia non vuole essere una critica pedante, ma la domanda meditabonda di un giovane che, nonostante l'ampia letteratura sull'argomento, fatica a immaginare gli anni Venti. Per uno che volesse salvare la sostanza metafisica, le strade verso sinistra o verso destra erano ugualmente aperte?»rnNessuno sa che cosa si dissero Jacob Taubes e Carl Schmitt le poche volte che, a coronamento di un fitto scambio epistolare, si incontrarono di persona in casa di Schmitt a Plettenberg, sul finire degli anni Settanta. Quel che è certo è che quei dialoghi, ricordati dal primo come «veementi» e dal secondo come gli unici ormai in grado di agire in lui con la forza dirompente di un esplosivo, rappresentarono il delicatissimo punto di tangenza tra due visioni del mondo che la storia aveva messo «ai lati opposti delle barricate»: da una parte quella del rabbino apocalittico della rivoluzione, ispiratore occulto della rivolta studentesca del '68; dall'altra quella dell'anziano e del tutto isolato giurista cattolico della controrivoluzione. E dopo anni di esitazioni, in Taubes la volontà di comprendere prevale infine su quella di ergersi a giudice: comprendere, innanzitutto, perché uno dei pensatori «più significativi e intelligenti» del suo tempo, perseguitato dalla «questione ebraica», fosse stato risucchiato dal «guazzabuglio hitleriano». -
La cucina di notte
Un sequel di Nel paese dei mostri selvaggirnLe avventure di Mickey nel regno fatato dove ogni bambino sognerebbe di rifugiarsi, quando scende il buio: una meravigliosa panetteria. Età di lettura: da 5 anni. -
Robinson. Ediz. a colori
Dal buio della sua cameretta, il piccolo Peter intraprende un viaggio immaginario sulle orme di Robinson fino al paesaggio incantato di un'isola remota. Dove, come tanti bambini prima e dopo di lui, troverà il coraggio e la fiducia che servono ad affrontare il mondo. Età di lettura: da 6 anni. -
Il latte dei sogni
Una delle stanze di casa Carrington, in Messico, era coperta di disegni di Leonora, che facevano paurissima ai bambini. Per tranquillizzarli, allora, la mamma cominciò a raccontare (e a illustrare) storie molto fantastiche e molto buffe, via via raccolte in un quadernetto privato. Che ora, tanti anni dopo, è diventato un libro diverso da tutti. Età di lettura: da 6 anni.