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Friedrich Nietzsche
Mia cara Lou, la Sua idea di una riduzione dei sistemi filosofici ai documenti personali dei loro autori è davvero il pensiero di una «mente sorella»: io stesso, a Basilea, ho esposto in questo senso la storia della filosofia antica, e amavo dire a quanti mi ascoltavano: «Questo sistema è stato confutato ed è morto, ma la persona che vi sta dietro non è confutabile, la persona non può considerarsi morta» - Platone, ad esempio [...]. Per quanto concerne la Sua «Caratterizzazione di me stesso» che, come Lei scrive, risponde a verità, mi ha fatto venire in mente quei miei versi della Gaia scienza, [...] dal titolo «Richiesta». Indovini un po', mia cara Lou, quel ch'io richiedo? [...] Ieri pomeriggio ero felice: il cielo era azzurro, l'aria mite e tersa, ero nella Rosenthal, richiamatovi dalla musica della Carmen. Sono rimasto seduto là per tre ore, e ho bevuto il secondo cognac di quest'anno, in ricordo del primo (ah! com'era cattivo!), e intanto meditavo, in tutta innocenza e malizia, se non avessi una qualche predisposizione alla follia. Alla fine mi sono detto: no. Poi è iniziata la musica della Carmen e per una mezz'ora sono stato sopraffatto dalle lacrime e dal batticuore. Quando leggerà queste cose, Lei concluderà di certo: sì! e prenderà un appunto per la «Caratterizzazione di me stesso». Venga presto a Lipsia, ma presto davvero! Perché soltanto il 2 ottobre? Adieu, mia cara Lou! (Lettera di Friedrich Nietzsche a Lou von Salomé a Stibbe, Lipsia, presumibilmente il 16 settembre 1882). -
La condizione operaia
"Il 4 dicembre del 1934, Simone Weil fu assunta come operaia presso le officine della società elettrica Alsthom di Parigi [...]. Inizia così la fase sperimentale della sua ricerca sull'oppressione sociale che si protrarrà fino all'agosto dell'anno successivo, con due pause imposte da una malattia e dalla difficoltà a trovare un nuovo impiego. Ricerca dolorosa, per il corpo sottoposto a una prova durissima, e per il pensiero costretto a verificare fino in fondo lo stato di abbrutimento fisico e morale a cui gli operai erano ridotti, la loro piena soggezione a un meccanismo produttivo impenetrabile al pensiero. Di questa ricerca Simone Weil volle registrare di giorno in giorno, quasi di momento in momento, i dati oggettivi, le reazioni personali, le prove fisiche e psicologiche, i rapporti tra le persone, in una parola la realtà concreta della condizione operaia vissuta dall'interno. Al lettore viene così offerta una rappresentazione della vita di fabbrica condotta al limite della umana sopportabilità. Una rappresentazione fatta di situazioni, di dettagli, di impressioni fisiche e psicologiche, di descrizioni tecniche delle macchine e dei procedimenti di lavoro, di sofferenze e di angosce, ma anche di insperati momenti di gioia per un cenno di solidarietà o per il fugace sentimento di essere partecipi di una operosa vita collettiva piuttosto che succubi di un degradante asservimento al processo produttivo."""" (Dalla postfazione di Giancarlo Gaeta)" -
La disumanizzazione dell'arte
«Isis Mirionima, cioè Iside dai diecimila nomi: così gli egiziani chiamavano la loro dea. Ogni realtà, in un certo senso, è come Iside. I suoi elementi, i suoi aspetti sono innumerevoli. Non è segno di audacia pretendere di definire una cosa, anche la più umile, con un certo numero di denominazioni? Sarebbe eccezionale se, fra gli infiniti discorsi che si fanno sull'arte, le cose dette da noi risultassero effettivamente osservazioni decisive. L'improbabilità aumenta quando si tratta di una realtà nascente, che inizia ora la sua traiettoria nel mondo. È assai probabile, quindi, che questo tentativo di descrivere l'arte nuova non contenga altro che errori». -
Ricordi del mio eremo
«L'ombra della luna della mia vita declina, e ciò che rimane della mia esistenza è prossimo all'orlo dei monti. Presto dovrò affrontare le tenebre dei tre cammini: per che cosa, dunque, serbar rimpianti? Il Buddha ha insegnato agli uomini a non nutrire affezione per nessuna cosa che sia di questo mondo. Dunque, anche il mio amore per questa capanna d'erbe è da ritenersi un peccato, e il mio attaccamento a questa quiete è anch'esso un impedimento alla salvezza dell'anima. Perché, allora, perdere del tempo prezioso a narrare i miei piaceri vani?». -
La linea d'ombra. Una confessione
La «linea d’ombra» conradiana non è solo quella che si deve oltrepassare per lasciarsi alle spalle le illusioni della giovinezza e addentrarsi nella maturità con la dolorosa coscienza di sé e delle proprie responsabilità. Essa affonda nell’inconoscibile, nel «perturbante»: è una sottile linea di demarcazione, sempre presente, mai visibile. Il giovane protagonista di questo lungo racconto – considerato tra le migliori prove narrative di Conrad –, un ufficiale di marina al suo primo comando, affronta il viaggio di iniziazione verso la maturità su un veliero come stregato dal ricordo del precedente capitano morto pazzo. E ben presto ha inizio la prova: l’esaltazione gioiosa del comando del veliero si trasforma gradatamente nell’incubo di un mare disperatamente immobile, di un equipaggio distrutto dalle febbri, della solitudine, dell’attesa angosciosa di un soffio di vento che dissipi quell’immobilità mortale, quelle tenebre. Solo dopo aver attraversato tali prove il giovane sarà liberato. L’iniziazione è conclusa e per lui – rinato – può incominciare un nuovo viaggio attraverso le insidie dell’età adulta. Con uno scritto di Cesare Pavese. -
Del sentimento tragico della vita negli uomini e nei popoli
"Esiste qualcosa che, in mancanza d'altro nome, chiameremo 'il sentimento tragico della vita', che porta dietro di sé tutta una concezione della vita stessa e dell'universo, tutta una filosofia più o meno formulata, più o meno cosciente. Questo sentimento possono averlo, e l'hanno, non solo uomini individuali, ma interi popoli; è un sentimento che non nasce dalle idee, ma piuttosto le genera, sebbene dopo, è chiaro, queste idee reagiscano su di esso, fortificandolo. Può nascere da una malattia accidentale, da una dispepsia, per esempio, ma può anche essere costituzionale. E non serve parlare di uomini sani e malati. A parte il fatto che non abbiamo una nozione normativa della salute, nessuno ha provato che l'uomo debba essere per natura gioioso. C'è di più: l'uomo per il fatto di essere uomo, di avere coscienza, è già, rispetto all'asino o al gambero, un animale malato. La coscienza è una malattia""""." -
Canti dell'innocenza e dell'esperienza. Testo inglese a fronte
Dei Canti dell'innocenza e dell'esperienza, una delle opere più note di William Blake (1757-1827), T.S. Eliot, nel saggio che accompagna questa nostra edizione, scrive: «La straordinaria carica innovativa della poesia di Blake si manifesta a partire dai Songs of Innocence and Songs of Experience, le due raccolte complementari concepite come espressione delle due opposte tendenze dell'animo umano. I canti derivano dalla tradizione della ballata popolare, ma se ne distaccano per la complessa e geniale fusione di simbolismo criptico, di impulso visionario e di mordente critica sociale». -
Il concetto dell'angoscia
Il concetto dell'angoscia (1844), insieme a La malattia mortale, Aut-aut e Timore e tremore, è una delle opere capitali di Søren Kierkegaard (1813-1855). Come tutte le sue opere maggiori, anche questa viene pubblicata con uno pseudonimo: Vigilius Haufniensis; ossia ""colui che vigila ad Haufnia"""", l'antico nome di Copenaghen. Per Kierkegaard nell'esistenza umana nulla è necessario: tutto è possibile. Ma proprio l'infinità e l'indeterminatezza delle possibilità fanno sentire all'uomo la sua impotenza. Si manifesta così l'angoscia, in cui l'esistenza si rivela come possibilità, come rischio dello scacco, del fallimento, dell'insignificanza totale, del nulla. L'angoscia accompagna costantemente l'esistenza dell'uomo, vi è essenzialmente connessa, ed è la prima tappa nel lungo e drammatico cammino verso la scelta religiosa, come incertezza angosciosa e sublime vissuta nel rapporto decisivo del singolo con Dio."" -
La gelosia
"Sebbene la storia in sé non sia propriamente poliziesca, lo è però al massimo grado per quanto riguarda il suo procedimento narrativo: che è rigorosamente indiziario. Vale a dire che, come nelle detective stories classiche, l'interesse è commisurato alla voglia e alla capacità del lettore di valutare gli indizi che progressivamente gli vengono offerti (compresi quelli che rischieranno di sviarlo) e trarne da sé le deduzioni corrette. Anticipare qui dei chiarimenti altro che stilistici, puramente formali, significherebbe perciò non «stare al gioco» e attirarsi il giusto risentimento di quanti, invece, al gioco intendono starci e restarci fino alla fine."""" (Dalla Prefazione di Franco Lucentini)" -
Alcesti-Il Ciclope. Testo greco a fronte
Nel presentare questi due capolavori, da lui magistralmente tradotti, del terzo sommo tragico greco, Camillo Sbarbaro scrive: «Con Euripide si verifica nella tragedia greca una violenta frattura. L'intreccio, quasi assente in Eschilo e lineare in Sofocle, si complica in Euripide da far nascere la necessità d'un prologo che illumini il pubblico sull'antefatto e si aggroviglia al punto da richiedere, per sbrogliarlo, l'intervento della divinità. Dell'unità, monolitica nei primi due, prende il posto la varietà; per tener desta l'attenzione, al sublime e all'eroico Euripide alterna abilmente il plebeo; al patetico, il comico. A turbare definitivamente la severa linea classica, fa la sua comparsa un acceso romanticismo e la cavillosa discussione sofistica; e s'inaugura l'uso e l'abuso di tutti gli espedienti teatrali (colpi di scena, riconoscimenti eccetera) che passeranno poi in eredità alla commedia nuova». -
La felicità domestica
Questo breve romanzo, scritto nel 1859 da Lev Tolstoj (1828-1910), uno dei più grandi narratori di tutti i tempi, è forse quello in cui l'autore si svela con maggiore sincerità, con maggior abbandono. Tema de ""La felicità domestica"""" è la ricerca dell'amore. Tutto, persino il paesaggio, esprime questo anelito, questa tensione insopprimibile, quest'ansia che è al tempo stesso ricerca di felicità e desiderio di assoluto, di ricongiungimento con il tutto e con Dio. «Questa immagine dell'amore che si cerca» scrive il traduttore Clemente Rebora «ha riverberi d'esperienza attuale, e balena insieme di anticipazioni perenni». Con uno scritto di Boris Ejchenbaum."" -
Introduzione all'arte e alla mitologia dell'India
«Non è inusitato per coloro che accostano l'arte orientale per la prima volta il lamentare la mancanza di espressione facciale o di animazione. Ma è necessario comprendere che la tipica espressione di una immagine sattvica è un'espressione di serenità e rappresenta un ben definito ideale di carattere. Da un lato dobbiamo evitare di confondere l'apatia con la pace e dall'altro di confondere l'eccitazione con il potere. Moltissime delle emozioni a cui reagiscono ordinariamente gli uomini hanno un carattere che i retorici indiani chiamano transitorio: è l'emozione permanente (sth?yibh?va), la passione dominante di un Bodhisattva, che l'artista indiano è interessato a rappresentare, più che non i lineamenti distorti sotto la spinta del sentimento personale. Solo nelle moderne figure di terracotta di Lucknow l'artista lavora secondo lo stile del Laocoonte. Si comprenderà come in India le immagini religiose non siano mai state considerate come opere d'arte. Esse sono oggetti utili, fabbricati dagli artigiani a cui vien fatta richiesta di una chiara e ripetuta rappresentazione di una data forma avente un significato ben noto. [...] Nell'arte indiana, ogni forma è il simbolo di un pensiero chiaro e consapevole e di un sentimento consapevolmente diretto. Nulla è arbitrario o peculiare, nulla è vago o misterioso, perché la vera raison d'être di tutte le immagini è di rappresentare idee concrete in forme comprensibili e facili da apprendere». Con uno scritto di Arturo Schwarz. -
Carteggio (1888-1911)
"Gustav Mahler e Richard Strauss ci appaiono, e probabilmente sono, due artisti diversissimi, due uomini quasi senza tratti in comune, due caratteri tali da escludersi l'un l'altro. La saggistica musicale ha accentuato, dal canto suo, la diversità, enfatizzandola anche là dove le due nature, a uno sguardo attento, si rivelerebbero confinanti o addirittura comunicanti. Luigi Rognoni, presentando la memorabile traduzione delle Erinnerungen di Alma Mahler, contrappose frontalmente i due musicisti: Strauss il grande attuale, Mahler il grande inattuale, beniamino dei tempi il primo, anzi, rappresentativo come pochi di una maniera d'«integrarsi» nella propria epoca, respinto dai contemporanei il secondo, l'uomo che disse «il mio tempo verrà» e il cui tempo, nel 1960, pareva non essere ancora venuto. Se le memorie di Alma non fossero divenute un cult-book anche in Italia, presso un pubblico colto e curioso ma non di necessità specializzato, e se i lettori già non sapessero di chiacchieratissimi episodi in cui Mahler e Strauss furono a contatto, instaurando un rapporto forse non di amicizia ma certo di attenzione e di alta stima, con divergenze e convergenze, con ripicche e insofferenze reciproche, l'idea di un epistolario Mahler-Strauss apparirebbe improbabile quanto quella di un carteggio Kafka-Proust, o Leopardi-Goethe. In realtà, Mahler e Strauss si scrissero lettere, e nessuna di esse è insignificante; alcune dure, o incalzanti, o nervose. La ricercatrice viennese Herta Blaukopf le ha rintracciate viaggiando per il mondo, individuando archivi e collezionisti privati. Il corpus che ne deriva è fortemente sbilanciato, e anche questo dettaglio è uno splendido rivelatore: Mahler era disordinato e perdeva le lettere, Strauss era pignolo, archiviava e catalogava tutto. Di conseguenza, le lettere di Mahler superstiti sono più del doppio di quelle di Strauss. «Rivalità e amicizia» è la formula con cui la Blaukopf condensa gli stati d'animo che fervono in queste lettere e le percorrono. E nel fondo, aggiungiamo, una splendida solidarietà tra uomini ironici, intelligenti e consapevoli di essere artisti dalle doti superiori. Ci sono i momenti in cui la solidarietà si fa fredda e sferzante contro i moralisti cretini, come nel frangente della vietatissima rappresentazione di Salome a Vienna. Fu un'occasione in cui entrambi si rosero il fegato, e noi stessi, leggendo le notizie e le considerazioni che i due si scambiarono affannosamente in quei mesi, sentiamo il desiderio di uccidere con le nostre mani i sessuofobi censori. Ma ci sono anche momenti di mondana e bene educata tragedia: tale l'ultima lettera del carteggio, inviata da Strauss a Mahler l'11 maggio 1911. Mahler era in fin di vita, e sarebbe morto dopo atroci sofferenze una settimana più tardi, il 18 maggio. Strauss, però, aveva avuto (falsa) notizia di un miglioramento, e scrisse al collega agonizzante: «Con mia grande gioia leggo che sta meglio». Scavando senza requie, tanto da produrre in otto anni tre edizioni del carteggio, ciascuna ricca di nuovi reperti e di aggiornamenti, la curatrice ha portato alla luce un tesoro d'informazioni, alcune delle quali suscitano profonde emozioni. Un piccolo libro capitale, uno specchio delle bassezze e delle crudeltà di... -
Il complotto dell'arte
Il complotto dell'arte, pubblicato da Jean Baudrillard nel 1996, suscitando reazioni violente e un aspro dibattito, è uno spietato atto di accusa contro l'arte contemporanea, e un testo attualissimo nel dibattito, aspro oggi come allora, tra i suoi fautori e i suoi detrattori. «L'essenza dell'arte contemporanea» scrive Baudrillard «sta in questo: rivendicare la nullità, l'insignificanza, il nonsenso, mirare alla nullità essendo già nulla. L'arte contemporanea specula sul senso di colpa di quanti non capiscono niente di ciò che essa produce, e non hanno capito che non c'era assolutamente niente da capire. L'arte contemporanea non significa niente eppure esiste. Vi è una spartizione in via amichevole, conviviale, della nullità. È questo il complotto dell'arte contemporanea, perpetrato da tutti i vernissage, allestimenti, mostre, collezioni, con l'unico fine di alimentare la più vergognosa speculazione commerciale». -
La moda
"La moda è uno degli scritti più belli di Georg Simmel, forse il suo capolavoro, perché all'interno di una produzione saggistica magistrale si distingue per organicità, chiarezza e compiutezza: affronta un problema specifico, di grande fascino, e giunge a specifiche conclusioni, senza che per questo alcuni temi «classici» generali della filosofia: soggettività ed oggettività, libertà e necessità, essere e divenire, sostanza e funzione, vengano ignorati. Simmel sembra valersi qui dello straordinario vantaggio dell'arte nei confronti della filosofia, di cui parla nell'introduzione alla Filosofia del denaro (1900), e che «consiste nel fatto di porsi ogni volta un unico problema rigorosamente circoscritto, sia questo un uomo, un paesaggio o uno stato d'animo, in modo tale che ogni estensione dello stesso verso il generale, ogni richiamo a tratti più ampi dell'intuizione del mondo venga percepito come un arricchimento, un dono, un beneficio immeritato». Un vantaggio che forse non è solo dell'arte, come Simmel affermava, ma anche della scienza, in questo caso della sociologia."""" (Dallo scritto di Lucio Perucchi) Con uno scritto di György Lukács." -
Il pensiero del fuori
"Il pensiero del fuori è il controcanto di Le parole e le cose. Se nel secondo di questi libri, infatti, Foucault analizzava, in modo mirabile, le strutture che permisero l'instaurarsi di un mondo tendente a definire, catalogare, ordinare, stabilire limiti, confini, mappature, nella più snella, ma non meno pregnante, riflessione/confronto con la scrittura di Maurice Blanchot, egli cerca di cogliere come le pratiche del discorso siano mutate e come le parole e le cose abbiano assunto un nuovo senso. Ciò che è mutato è il rapporto alla libertà. [...] Si tratta dunque di scrivere la libertà, di far sì che nella scrittura sia la libertà stessa a scrivere o, detto in altri termini, che la scrittura sia un atto di libertà e di liberazione. E Foucault, parlando dell'esperienza del fuori, indica esattamente una possibilità di svolta per il soggetto e per la sua liberazione."""" (Dallo scritto di Federico Ferrari)" -
Le baccanti
«Il coro delle baccanti della Lidia danza la follia con la quale Dioniso ha colpito le donne di Tebe» scrive Jan Kott, il più grande studioso di teatro del Novecento. «Essere possedute significa essere possedute dal dio. La danza sacrale e il sacro eros sono preghiere del corpo. [...] La danza, ritmata dai tamburi e punteggiata dai gemiti dei flauti e dai toni acuti dei pifferi, porta a un'esaltazione sacra. Quando, al culmine della tragedia, il messaggero racconta del corpo dilaniato di Penteo, la danza diventa spasmo. Il coro delle Baccanti, come in un rito iniziatico, scopre il tremendum, la rivelazione quasi simultanea del sacro, della morte e della sessualità. Nessun'altra delle tragedie greche superstiti è permeata d'immagini religiose come Le Baccanti». Con uno scritto di Jan Kott. -
Racconti
Offrire al pubblico una nuova edizione dei Racconti di Kafka potrebbe apparire superfluo, se non fosse curata, come quella che presentiamo, da un traduttore di eccezione: Giorgio Zampa. Che dire dei racconti di Kafka che non sia già stato detto nella sterminata bibliografia che li riguarda? I personaggi di Kafka, colpiti improvvisamente dalla rivelazione di una colpa apparentemente sconosciuta, subiscono il giudizio e la condanna di potenze oscure e invincibili, che li escludono per sempre da un’esistenza libera e felice. Molteplici e contrastanti sono state le interpretazioni dell’opera di Kafka, ma in ogni caso essa va considerata come una delle più profonde espressioni artistiche della situazione esistenziale dell’uomo. -
Pagine postume pubblicate in vita
«Perché ""pagine postume""""? Perché """"pubblicate in vita""""? Vi sono inediti che costituiscono un dono prezioso per i lettori; ma di regola le opere postume hanno una affinità sospetta con le svendite o le liquidazioni per scioglimento della ditta. Il favore di cui godono tuttavia dipende forse dalla perdonabile debolezza del pubblico per uno scrittore che sollecita un'ultima volta la sua attenzione. Comunque sia, e tralasciando il problema se un'opera postuma abbia valore o se si tratti semplicemente di un pregio convenzionale, io ho deciso di oppormi alla pubblicazione dei miei scritti prima che sia troppo tardi perché la possa curare io stesso. E il mezzo più sicuro, che vi si consenta o no, è quello di darli alle stampe mentre sono ancora vivo. Ma """"io sono ancora vivo"""" non è poi una frase priva di senso? Il poeta di lingua tedesca non è da un pezzo sopravvissuto a se stesso? Così parrebbe, e a rigore così è sempre stato, per quanto lontano possa risalire il mio pensiero; solo da qualche tempo la cosa è entrata in un periodo risolutivo. Il secolo che ha prodotto le scarpe su misura composte di pezzi già pronti e gli abiti fatti in tutte le taglie sembra ora sul punto di presentare il poeta prefabbricato in ogni sua parte interna ed esterna. Già il poeta tagliato sulla misura propria vive quasi dappertutto estraniato dalla vita, eppure non ha in comune con i morti l'arte di fare a meno di un tetto, di astenersi dal mangiare e dal bere. Si vede dunque come le opere postume si trovino in condizioni vantaggiose. Fatto che ha avuto un certo influsso sul titolo e sulla genesi di questo libriccino»."" -
L' origine sportiva dello Stato
"José Ortega y Gasset è il saggista più vivo della Spagna, più vivo ancor oggi nonostante che la sua opera abbia raggiunto - e da molto - una misura esemplare e sopporti il peso del tempo e tale vitalità gli è conservata appunto dalla forza dello stile, dalla maturità del suo impegno: abbiamo fatto in modo - offrendo al lettore italiano i principali saggi dello Spettatore - che si potesse ritrovare qui per intero il percorso della sua intelligenza, i dati della sua formazione e quello che il tempo gli ha fornito di discorsi immediati, di motivi lontani dal suo mondo astratto. Mi sembra che alla fine si possa calcolare un discorso perfetto, sciolto nei punti di maggiore interesse, non solo un libro segreto, un diario, ma il libro più aperto di Ortega y Gasset, un giornale che non tradisce in nessun paragrafo la sua volontà di creazione."""" (Dallo scritto di Carlo Bo)"