Sfoglia il Catalogo feltrinelli023
<<<- Torna al MenuCatalogo
Mostrati 6561-6580 di 10000 Articoli:
-
Al faro
In una sera del settembre del 1914, la famiglia Ramsay, in vacanza in una delle isole Ebridi, decide di fare l'indomani una gita al faro con alcuni amici. Per James, il figlio più piccolo, quel luogo è una meta di sogno, piena di significati e di misteri. La gita viene però rimandata per il maltempo. Passano dieci anni, la casa va in rovina, molti membri della famiglia sono morti. I Ramsey sopravvissuti riescono a fare la gita al faro, mentre una delle antiche ospiti finisce un quadro iniziato dieci anni prima. Passato e presente si intrecciano, il tempo assume un diverso significato. -
Per amica silentia lunae
"A una prima lettura, si comprende immediatamente che Per Amica Silentia Lunæ è una divagazione su due temi cari a Yeats: la maschera e la visione. La bellezza del testo sta però proprio nella stranezza di queste divagazioni, nel loro procedere senza continuità dialettica da monologhi a squarci e pensieri fulminanti, quasi aforistici, che fanno della loro oscurità la loro forza. Il problema dei morti, che occupa quasi tutta la seconda parte del testo, e del rapporto che i vivi hanno con loro, è centrale nel pensiero di Yeats. [...] Ma chi sono questi morti di cui parla Yeats? I poeti che lo hanno preceduto, secondo Harold Bloom, che legge questo testo anche come un saggio sull'Influenza Poetica e sul modo in cui un poeta riesce a liberarsi dei propri predecessori e a crearsi una propria individualità. [...] C'è infine un ultimo modo in cui è possibile leggere questo testo: Yeats immaginò queste meditazioni come una lettera a Iseult Gonne - la giovane donna di cui credeva di essere innamorato, figlia di quella Maud Gonne che era stata e forse era ancora un suo grande amore. [...] Ma nel parlare d'amore, Yeats dimentica quello che era il suo scopo e parla di ciò che ama e parla a ciò che ama. E questa lettera d'amore a Iseult diventa così anche una lettera d'amore per i poeti romantici, e una lettera d'amore per i morti appassionati. Un amore infelice, ovviamente, e illusorio come la luna."""" (Dallo scritto di Gino Scatasta)" -
La chiave spirituale dell'astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn 'Arabî
Titus Burckhardt è considerato da lungo tempo, con Eliade e Guénon, uno dei maestri indiscussi della tradizione spiritualista. Con ""La chiave spirituale dell'astrologia musulmana"""" (1950) ci offre l'occasione di approfondire la storia e i capisaldi di una scienza antichissima, affrancandola così dalle semplificazioni e dagli abusi compiuti dalla cultura occidentale. Scrive Burckhardt nell'esordio del libro: «L'opera scritta del """"più grande Maestro"""" sufi, Mohyiddîn Ibn 'Arabî, comporta alcune considerazioni sull'astrologia che permettono d'intravedere come questa scienza, giunta all'occidente moderno in modo frammentario e ridotto a certe sue applicazioni contingenti, potesse riallacciarsi a principi metafisici, dipendendo, dunque, da una conoscenza a sé stante. L'astrologia quale fu nelle civiltà cristiana e islamica, e come ancora sussiste in certi paesi arabi, deve la sua forma all'ermetismo alessandrino. Essenzialmente non è dunque né cristiana né islamica, e non potrebbe d'altra parte trovar posto nella prospettiva religiosa delle tradizioni monoteiste, dato che questa prospettiva insiste sulla responsabilità dell'individuo davanti al suo creatore»."" -
Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Il problema Majakovskij
«Lo scritto di Jakobson è molto più di una necrologia politicamente appassionata o poeticamente elevata: è un tentativo, il primo, di considerazione letteraria globale di Majakovskij. Singolare saggio critico, in cui un modo sistematico di lettura, intrinseco a Jakobson, si complica e si amplia non solo per la pur umana commozione dell'amico, ma più ancora per la ben umana penetrazione del testimone, di chi ha appartenuto, anche se in disparte e a distanza, alla ""generazione che ha dissipato i suoi poeti"""". [...] Majakovskij è nella sua generazione, una generazione che è storia, e solo dentro la realtà intensa e dilaniata di questa storia i significati simbolici di vita e di poesia di Majakovskij si rendono decifrabili. [...] Nella sua leggenda in contrappunto si fondono i tamburi del sovvertimento e i flauti dell'angoscia; e la sua voce s'è fatta più struggente da quando, come Esenin, se n'è andato """"fendendo le stelle"""". A penetrarne il timbro aiuta l'intelligenza amara e pacata di uno studioso che di lui fu amico.» (dallo scritto di Vittorio Strada)"" -
Diari intimi
«È impossibile scorrere una qualsiasi gazzetta, di non importa che giorno, mese o anno, senza scoprirvi ad ogni riga i segni della più spaventosa perversione umana e, al contempo, le più stupefacenti vanterie di probità, di bontà, di carità con le affermazioni più sfrontate circa il progresso e la civiltà. Ogni giornale, dalla prima all’ultima riga, non è che un contesto d’orrori. Guerre, delitti, furti, impudicizie, torture, crimini nazionali, delitti privati, un’ubriacatura d’atrocità universale. Ed è con un simile disgustoso aperitivo che l’uomo civile accompagna la sua colazione d’ogni mattina. In questo mondo tutto trasuda il delitto: il giornale, i muri e il volto umano. Non capisco come una mano pura possa toccare un giornale senza provare un brivido di disgusto». -
Nuove letture talmudiche
«Secondo la sapienza dei rabbini, nulla è più autorevole dell'insegnare in presenza dei propri maestri. L'eccellenza del maestro e l'elevazione dell'allievo - e i suoi doveri - hanno inizio laddove un elemento sia pur isolato del sapere si sia trasmesso da spirito a spirito. Considerate dunque i miei scrupoli! Se ho accettato di fare questa lettura talmudica senza l'erudizione tradizionale, senza l'acutezza di spirito che essa presuppone o anche contribuisce ad affinare, è unicamente per testimoniare che un ""dilettante"""", purché attento alle idee, può trarre anche da un superficiale approccio a questi ardui testi - senza i quali non vi sarebbe giudaismo, ma la cui lingua e i cui interessi appaiono al principio così singolari che noi, ebrei d'oggi, abbiamo qualche difficoltà a rivendicarli - suggerimenti essenziali per la sua vita intellettuale intorno a questioni che agitano l'uomo di tutte le epoche, ovvero l'uomo moderno»."" -
L' amicizia
«Quel che è importante mostrare, attraverso questo esemplare scritto di Bataille, è come il pensiero possa, con il più grande rigore, parlare di ciò che di questo rigore è la continua messa in crisi. L'esistenza, l'infinita ricchezza dell'esistenza, compresa la sua ""parte maledetta"""", non è l'opposto del pensiero, ma il bordo di uno stesso limite. Il pensiero più rigoroso è esattamente quello che sa stare sul limite. Come esso ci stia poco importa. Quel che conta è quanta libertà mostra e fa respirare, quanta gioia sa trasmettere (la gioia di cui parla Bataille alla fine de L'amicizia). Ed è per questo che il pensiero, la pratica di pensiero, ad avviso di Bataille può essere soltanto una pratica dell'amicizia, intesa come un sottrarsi e un esporsi ai propri limiti per aprirsi all'altro.» (Dallo scritto di Federico Ferrari)"" -
Lettere di un maestro sufi
«La prima cosa che appresi dal mio maestro - Iddio sia soddisfatto di lui - fu questa: mi caricò di due ceste colme di prugne. Io le presi in mano anziché pormele sulla nuca, come m'aveva indicato, ma nondimeno la cosa mi affliggeva grandemente e mi era così penosa che la mia anima si contrasse; essa s'agitava, si umiliava e si turbava oltre misura, a tal segno che quasi ne piangevo - e, nel nome di Dio, avrei davvero pianto per tutte le umiliazioni, il disprezzo e il dispetto che avrei dovuto subire in quella prova -, giacché la mia anima non aveva mai accettato una cosa simile né piegato la testa, e fino a quel momento ero stato inconsapevole del suo orgoglio, della sua rivolta e della sua corruzione; ignoravo se fosse orgogliosa o meno, e nessuno tra i teologi di cui avevo seguito le lezioni - ed erano numerosi - m'aveva ragguagliato al proposito. Mentre mi dibattevo in questa perplessità e in questa pena, ecco che il maestro, con la sua profonda intuizione, venne verso di me, mi prese le due ceste dalle mani e me le posò sulla nuca dicendo: ""Fa' in tal modo la prova del bene per scacciare un po' d'orgoglio!"""". Con queste parole mi aperse la porta della rettitudine, poiché così appresi a distinguere gli orgogliosi dagli umili, i seri dai frivoli, i sapienti dagli ignoranti, gli uomini di tradizione dagli innovatori e quelli che possiedono la scienza e l'applicano da quelli che si limitano a possederla senza metterla in pratica. [...] Infatti il maestro - sia Dio soddisfatto di lui - m'aveva insegnato a distinguere la verità dalla vanità e ciò che è serio dalla farsa; Dio lo ricompensi di ciò e lo protegga da ogni male!»."" -
Carmi priapei
“La cattiveria, l’aspra misoginia, il più logoro e consunto luogo comune sconcio scatta in arguzia, e la volgarità si riscatta in leggerezza, finisce in risata o in irridente sentenza gnomica. Ecco il trionfo gaudioso dei Carmina Priapea nell’astutissimo gioco verbale di senso e di suono che incalza ossessivo il fantasma fallico, più che il fallo, fino a circuirlo e a stringerlo in una griffa di complice tenerezza. Sferzante però resiste l’intento morale, di fustigazione dei costumi, che manda in frantumi il supercilium dei Romani, la gravitas tradizionale, pur nella discontinuità delle voci, rigorosamente anonime, che lì dove il tono è minore e minore la tensione che le regge, non mancano di apparire monocordi o ripetitive. Ma si sa, l’osceno non è facile, sempre in bilico sul precipizio, legato a un sottilissimo filo d’intelligenza […]. Il divertimento, in senso etimologico, come brusco spostamento e improvviso mutamento, segna questi testi per lo più epigrammatici, e avviene che l’elemento fallico sia ridotto a puro pretesto e, spogliato per così dire della sua consistenza, si tramuti in altro da sé, – figurazione con altri sensi e significati, di altre ossessioni o fobie, soprattutto quando la freccia dell’offesa, con la punta intinta in altro veleno, mira ad altro bersaglio.” (Dalla postfazione di Jolanda Insana) -
Verso la libertà
Arthur Schnitzler è sicuramente, tra tutti gli scrittori della Vienna fin-de-siècle, colui che con maggiore intuizione e senso di realismo registra i molteplici fermenti che percorrono la sua tormentata epoca. Schnitzler percepisce le contraddizioni della realtà che lo circonda, e palesa il «vuoto di valori» individuandone la presenza nella dimensione del quotidiano, facendolo scaturire dall'osservazione di tutto lo spaccato della società viennese e austriaca del tempo. Ciò emerge forse con più evidenza e profondità nel grande romanzo pubblicato nel 1908, Der Weg ins Freie (Verso la libertà), una delle opere in prosa più importanti di Schnitzler, ma anche un documento in cui l'autore analizza con acutezza impareggiabile la situazione di una componente essenziale della società asburgica, la borghesia liberale ebraica che, incapace di comprendere le contraddizioni provocate dall'evoluzione dei tempi, brucia le sue ultime energie in un patetico solipsismo, rispecchiando così esemplarmente quel processo di dissoluzione dei valori che è la realtà tragica di una profonda e irreversibile crisi. Schnitzler ha descritto in questo romanzo tale realtà e ne ha messo a fuoco con lucidità le motivazioni storiche e le componenti psicologiche, il che dà la misura della sua presenza nell'epoca e forse giustifica il suo orgoglio per quest'opera, se è vero che, nel corso della sua composizione, poté annotare nel Diario il 6 gennaio 1906: «Questo romanzo si porrà nella grande tradizione dei romanzi tedeschi: Wilhelm Meister di Goethe, Enrico il verde di Keller, I Buddenbrook di T. Mann, Le dee di H. Mann», e affermare in un'intervista concessa nel 1931, poco prima della morte: «C'è un libro nel quale mi riconosco pienamente e sono quasi fiero di aver scritto: è il mio vecchio romanzo Verso la libertà. Presto lo metterò sulla mia scrivania fra quei libri che vorrei appena possibile rileggere». (Giuseppe Farese) -
Ludwig Van Beethoven nei miei ricordi giovanili
Questo volume è un classico della letteratura memorialistica su Beethoven e una delle più importanti fonti dirette sulla sua vita. Alla sua origine sta la singolarissima esperienza di un ragazzo poco più che dodicenne, che per due anni, gli ultimi della vita di Beethoven, ne frequenta quotidianamente la casa, gli diviene amico affettuoso, lo assiste, e più tardi, in età ormai avanzata, con consapevolezza ben maggiore e in più ampia prospettiva ripercorre quei momenti, riferendone episodi e impressioni con fedele semplicità e composta commozione. Sullo sfondo della vita culturale-musicale, non soltanto viennese, del tempo, nella quale il Maestro appare assorbito dalla sua imponente attività, prende rilievo un Beethoven intimo e umanissimo. Considerato testimonianza di incantevole bellezza questo libro di memorie è arricchito nella presente edizione da tre appendici: i ""Ricordi di Beethoven"""" di Grillparzer, una sezione dei """"Quaderni di conversazione"""" e il famoso """"Testamento di Heiligenstadt""""."" -
Il signor Croche antidilettante
"Un coraggio da autodidatta volontario ha obbligato Debussy a ripensare tutti gli aspetti della creazione musicale: così facendo provoca una rivoluzione profonda, se non sempre spettacolare: i due ritratti di Monsieur Croche ne fanno testimonianza: in nero: «Vi si saluta con sontuosi epiteti, e siete soltanto dei furbi! Qualcosa che sta fra la scimmia e il cameriere»; in bianco: «Bisogna cercare la disciplina nella libertà e non nelle formule di una filosofia caduca e buona soltanto per i deboli». Colpa clamorosa agli occhi dei costruttori: nulla venne promulgato. Eppure ecco la chimera più fascinosa. Debussy rimane uno dei musicisti più isolati che siano mai esistiti: se la sua epoca lo forzò a trovare talora soluzioni sfuggenti, feline, con la sua esperienza incomunicabile e la sua riservatezza sontuosa, è l'unico musicista francese a essere universale, per lo meno nei secoli XIX e XX. Conserva un potere di seduzione misterioso, avvincente; la sua situazione, all'inizio del movimento contemporaneo, è di punta, ma solitaria. Mosso da «quel desiderio di andare sempre più lontano che gli fungeva da pane e da vino», ha negato in anticipo ogni tentativo di riferirsi all'ordine antico. Non possiamo dimenticare che il tempo di Debussy è anche quello di Cézanne e di Mallarmé: congiunzione triplice alla radice, forse, di ogni modernità, anche se non è possibile trovarvi un insegnamento discorsivo, ma non v'è dubbio che Debussy ha voluto far capire che occorreva non solo costruire, ma sognare la propria rivoluzione."""" (Dallo scritto di Pierre Boulez)" -
Chiari del bosco
"Le caratteristiche di Chiari del bosco corrispondono a quelle della 'guida', un genere di testo passato in Spagna dall'Oriente, che è composto di figure alimentate dalla fantasia piuttosto che da argomentazioni, che è insieme comunicativo ed enigmatico, che suggerisce più di quanto non dica perché vuole che le sue verità rinascano e rivivano il più direttamente possibile nell'interiorità del lettore. Questi viene condotto, così, non tanto a condividere un sapere, quanto ad assimilare un'esperienza di tipo iniziatico, alimentata da una scrittura fortemente ellittica, lampeggiante, ora fin troppo coordinata ora bruscamente scoordinata, che lo obbliga a farsene coautore, a esporsi con tutto se stesso azzardando significati che il testo non garantisce. E che confluiscono in un 'logos sommerso' o 'logos del pathos', come la Zambrano ha chiamato in un'altra opera questa forma di comprensione inseparabile dalla situazione vitale di quanti si trovano a parteciparne. Di qui il riecheggiare, in queste pagine, della visione sapienziale dei presocratici, delle religioni salvifiche greche e romane, della tradizione gnostica, dell'idea - mutuata tra l'altro da Nietzsche - della filosofia come 'trasformazione'."""" (dallo scritto di Carlo Ferrucci)" -
Conversazioni
In queste intense conversazioni radiofoniche del 1948, l’allora quarantenne Maurice Merleau-Ponty traccia, per un grande pubblico, le linee direttrici di gran parte del suo lavoro successivo: il mondo della percezione, l’arte, la politica, l’animalità, l’uomo, la follia. Con un linguaggio limpido e immediato viene qui tratteggiata l’esigenza indemandabile di un pensiero che ritorni alle cose stesse, a quel mondo accessibile ai sensi che in ogni istante incontriamo. Inizia così a delinearsi un modo di far filosofia che influenzerà profondamente il pensiero contemporaneo. Merleau-Ponty, con lucidità e forza, e al di là di ogni pensiero nostalgico, ci pone di fronte alla necessità di restituire al nostro tempo una verità adeguata e, per questo, ancora e per sempre da scoprire. Poiché, come egli scrive, «la verità è che il nostro problema consiste nel fare nel nostro tempo, e attraverso la nostra esperienza, quel che i classici hanno fatto nel loro». -
Le vicinanze di Van Gogh. Testo francese a fronte
«...Sottosuolo non è affatto rifugio, ma corpo aperto, accerchiato d’alba lasciva...». Il bagliore degli astri e del cielo, il buio più segreto della terra e la sua notte, costituiscono i due termini di un unico percorso nel quale René Char ci introduce con questo suo libro. Nel presentimento della morte, nella veglia senza paradiso della vecchiaia, il viaggio estremo, tra memoria del passato e lucido sguardo su un presente sempre più spento e demente, si compie attraverso ineliminabili presenze in cui forte continua a pulsare «materia indubitabile» la vita. Luoghi familiari e nomi familiari di animali, spazi siderali e spazio domestico, tutti racchiudono con la stessa intensità un’unica passione: il «rosso degli uomini», fuoco e luce che conobbero anche Georges de La Tour e Vincent Van Gogh. Con uno scritto di Georges Poulet -
Parmenide ed Eraclito. Empedocle
«Sono qui da 100 ore, e appena mi sto riscotendo dallo stupore, e comincio a sbatter gli occhi, a poter pensare e scrivere, a riadattarmi alle cose di qua, a riprender l'istinto dei gesti, delle abitudini, delle frasi. E così la testa è libera e non è costretta a pensarci su per ogni minimo atto [...]». Così inizia una lettera di Michelstaedter a Chiavacci scritta a Gorizia il 29 giugno 1909. Quell'estate appena iniziata sarà decisiva per Michelstaedter e non solo perché si sta accingendo a scrivere la tesi di laurea, ""La persuasione e la rettorica"""", ma anche perché ritrova la sua famiglia e gli amici, rivede i luoghi dell'infanzia, mentre si acuisce in lui un senso profondo di prostrazione e gli si rivela l'urgenza di un «dovere» che sembra balenare tra le pieghe stesse del dolore. Tutto questo in Michelstaedter si accompagna, come sempre, all'esercizio del pensiero che comincia a prender forma soprattutto attraverso la meditazione sui frammenti dei prediletti Presocratici, come testimoniano questi """"Appunti"""". Si tratta di fogli di annotazioni e di idee, un esempio di scrittura «privata», irrequieta, apparentemente disadorna, dove il greco, il latino e il tedesco si combinano senza cesure con l'italiano, e in cui la vita stessa (o il suo anelito) dà spesso l'impressione come di schiudersi in un lampo."" -
Il romitaggio della dimora illusoria
«Gli haikai sono fastidiosi, come erbe sul sentiero della vita» confidò Bash? a Inen. Sembra inoltre che talvolta si lasciasse sfuggire con i discepoli parole dileggianti gli haikai. Parole del tutto logiche in un uomo che aveva abbandonato il mondo e che considerava la vita un sogno incessante. Ma non v'è dubbio che nessuno si appassionò con altrettanto fervore a simili «erbe sul sentiero». Perciò potrebbe essere lecito domandarsi se tale affermazione non sia che un vezzo. Toh? racconta: «Il vecchio affermò che v'è sempre qualcosa da imparare. ""Quando compongo non v'è spazio, neppure per un capello, tra me e il tavolino, e i pensieri fluiscono rapidi, non ho più dubbi. Ma quando mi allontano dal tavolino, non sono altro che cartacce"""" ammonì poi con severità. Proseguì dicendo che talvolta comporre era come tagliare un grosso albero. Bisognava essere capaci di colpire al limite dell'elsa con un fendente, come quando si spacca in due un melone. Come quando si affondano i denti in una pera». Con tale impeto si espresse Bash?, quasi stesse insegnando l'arte della spada. Non sono certamente, le sue, parole di un uomo che ha abbandonato il mondo e che considera gli haikai un gioco. (Dallo scritto di Ry?nosuke Akutagawa)"" -
Il giocatore di scacchi di Maelzel. Testo inglese a fronte
"Pubblicato per la prima volta nell'aprile del 1836 sul «Southern Literary Messenger», Il 'Giocatore di Scacchi di Maelzel' - in apparenza un nadir saggistico rispetto al Poe più genialmente visionario - si colloca in realtà nel cuore della riflessione estetica dello scrittore americano. [...] È l'acume per i dettagli, che consente a Poe di costruire perfette macchine narrative e di smontare insidiosi meccanismi come il Turco scacchista. Solo chi sa felicemente barare con le parole non può tollerare che vengano truccati i fatti, gli accadimenti materiali. Con logica stringente, Poe dimostra che l'automa ospita al proprio interno un essere umano in carne e ossa; l'incubo cibernetico di un campione artificiale della scacchiera (oggi nuovamente reale grazie ai prodigi computerizzati) viene provvisoriamente allontanato."""" (Dallo scritto di Roberto Barbolini)" -
Kappa
«Prima di procedere nel racconto, penso di dover dire qualcosa sugli animali chiamati kappa. Taluni ancora dubitano della loro esistenza, che invece è reale, com’è vero che io stesso ho vissuto tra loro. Hanno capelli corti, e le dita delle mani e dei piedi congiunte da una membrana […]. In media, sono alti poco più di un metro. Secondo il dottor Chack il loro peso oscilla tra i nove e i dieci chili, ma alcuni eccezionalmente grossi raggiungono i venticinque chili. La parte superiore del loro cranio è concava, rotonda come una scodella, e pare che diventi sempre più dura col passar degli anni. […] Ma ciò che più colpisce nei kappa è la facoltà, ignota agli uomini, di cambiar colore a seconda del luogo in cui si trovano. […] I kappa devono avere un considerevole deposito di grasso sotto la pelle. Infatti non usano nessun indumento nonostante la temperatura piuttosto bassa – circa 10 gradi – del loro paese sotterraneo. Invece usano occhiali e portano con sé portasigarette, libri in edizioni tascabili e cose del genere, ma non per questo hanno bisogno di vestiti e di tasche, giacché, come i canguri, sono naturalmente forniti di una graziosa borsa sul ventre. La cosa che mi sembrò più curiosa è che essi non si coprono neppure con un perizoma». Pubblicato nel 1926, un anno prima della morte dell’autore, Kappa è il capolavoro di Ryūnosuke Akutagawa, qui riproposto nella versione di Mario Teti. -
Nel labirinto
“Nel labirinto”, il quarto romanzo di Alain Robbe-Grillet, fu pubblicato per la prima volta nel 1959. Erano gli anni in cui si stava raccogliendo intorno a una piccola casa editrice (Les Éditions de Minuit) e imponendo ai lettori il più prestigioso gruppo di scrittori in lingua francese del dopoguerra (oltre a Robbe-Grillet, Michel Butor, Claude Simon, Samuel Beckett, Nathalie Sarraute). Considerato il capofila del «nuovo romanzo», Robbe-Grillet ebbe con “Nel labirinto” la sua definitiva consacrazione. Opera di compiuta maturità espressiva, questo romanzo si rivela forse il più felice e coinvolgente tra quelli scritti dal grande narratore francese. Oggi, ormai distante dalle accese discussioni che “Nel labirinto” provocò, il lettore può finalmente valutare senza pregiudizi l’intatta novità del romanzo e cogliere, nella «parabola» del soldato che erra in una città deserta alla ricerca di una persona che non conosce, la metafora di un percorso che ciascuno di noi, anche oggi, compie tentando di decifrare i segni e le tracce enigmatiche che esso incessantemente ci propone.