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Mille vite, la mia
I genitori gli ripetevano che era bello, buono e bravo e lui ci ha credutornrn«Con quel naso schiacciato, l'andatura scomposta, il cognome da latin lover preso dalla famiglia paterna pimontese, Jean-Paul Belmondo ha sempre fatto impazzire colleghi dello spettacolo e pubblico più di quanto fosse ragionevole» - Stefano Montefiori,rn La RepubblicarnrnA ottantatré anni, Jean-Paul Belmondo decide di scrivere il suo primo libro. Da consumato funambolo qual è, sale in equilibrio sul filo dei ricordi. Un padre scultore; una madre pittrice dal forte temperamento, cui resterà attaccatissimo; l'infanzia, segnata dalla guerra; il pessimo rapporto con la scuola; l'esuberanza fisica, la passione per la boxe, l'attitudine a fare il pagliaccio, la smania di recitare. Poi l'adolescenza, il saggio al Conservatorio d'arte drammatica; le prime prove teatrali; e finalmente l'esordio cinematografico, nel 1956. Sarà l'incontro con Jean-Luc Godard a segnare la grande svolta. Sul set di Fino all'ultimo respiro (1960) si consumerà, come per incanto, l'esplosione di uno dei talenti più straordinari della storia del cinema. Da quel momento si susseguiranno, davvero senza respiro, le tappe di una carriera tanto prestigiosa quanto eclettica, poliforme, esaltante. Chi altri, come lui, potrà vantare di avere lavorato con registi come Godard, De Sica, Chabrol, Bolognini, Castellani, Melville, Lelouch, Verneuil, Deray, Malie, Resnais? Chi, come lui, potrà rivendicare di avere attraversato tutti i generi, di essere stato la bandiera della Nouvelle Vague? Il «brutto» più affascinante del cinema francese racconta di aver condiviso la scena con le dive più belle e famose. Con lui hanno recitato Sophia Loren e Jean Seberg, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida e Stefania Sandrelli, Ursula Andress, Catherine Deneuve e Laura Antonelli. Incontri importanti, storie intense, talvolta grandi amori. Come grandi, e turbolente, sono le amicizie con i partner maschili che si sono misurati con lui, da Lino Ventura a Jean Gabin ad Alain Delon. Alain, il «bello», l'alter ego, con cui si è realizzata quella miscela di complicità e antagonismo che ha segnato uno dei punti più alti del divismo maschile. Ripercorrendo la propria vita, Belmondo non tradisce lo spirito con cui l'ha vissuta: all'insegna della leggerezza, dell'eccesso, della gioia di vivere. -
Il turbante fatato e il tappeto magico. Fiabe dell'antica Istanbul
«Tanto tempo fa, quando i topi erano barbieri, i cuculi sarti, i cammelli messaggeri, le tartarughe fornai, e i somari gli schiavi di sempre, c’era un mugnaio che aveva un gatto nero…».rnrnPadiscià, sultane, visir, animali parlanti, draghi, mostri a tre teste, e poi ancora spiritelli buoni e dev crudeli: sono questi i mirabolanti protagonisti delle fiabe della tradizione popolare turca, riunite in queste pagine. A raccoglierle, una per una, era stato uno studioso ungherese, Ignácz Kúnos, nei suoi viaggi in Turchia alla fine dell’Ottocento, per poi pubblicarle, all’inizio del nuovo secolo, in inglese affinché la loro diffusione fosse la più ampia possibile. «Ho voluto offrire, in quest’antologia – scrive Kúnos –, una rosa di storie che con le mie stesse mani ho raccolto nel variopinto giardino del folklore turco. Non mi sono servito di libri, dal momento che non esiste nessun libro del genere; ma, quale attento ascoltatore dei cantastorie, mi sono messo a trascriverli. Sono le storie che si possono ascoltare ogni giorno nelle casette sgangherate di Costantinopoli, e che le donne del luogo, intorno al focolare, raccontano ai bambini o alle amiche». Ogni dettaglio – turbanti, fez, narghilè, babbucce, esseri immaginari e grotteschi – svela l’origine orientale delle fiabe; ma le gesta eroiche di principi valorosi, quelle picaresche dello sciocco del villaggio, i giganti, i cavalli alati, i tornei e le giostre, tutto questo richiama a ogni pagina il folklore dei popoli europei. Il libro racchiude dunque, come uno scrigno, il prezioso patrimonio favolistico popolare di una cruciale terra di confine tra Oriente e Occidente. «Le fiabe turche – continua Kúnos – sono come il cristallo, che riverbera i raggi del sole in una miriade di fulgidi colori; limpide come il cielo sereno; trasparenti come la rugiada su un bocciolo di rosa». Colori che rivivono in questa edizione anche grazie alla nuova veste grafica «indossata» dalle straordinarie illustrazioni di Willy Pogány – così minuziose, ricche di dettagli e allo stesso tempo vivacissime –, capaci di creare sulla pagina il miracolo di un equilibrio tra testi e immagini di rara suggestione. -
Guerre civili. Una storia attraverso le idee
Che cos'è una guerra civile? Tutti noi pensiamo di saperlo, quando ce ne troviamo una di fronte. In realtà, le idee a proposito di cosa essa sia, e cosa non sia, hanno una storia lunga e dibattuta. Quando si parla di guerre le parole stesse vengono brandite come armi, e nessuna forma di guerra è più controversa, anche sul piano linguistico, della guerra civile. In questo campo infatti ogni definizione comporta un atto eminentemente politico: l'applicazione dell'espressione «guerra civile» a un conflitto spesso dipende dal fatto di essere un governante o un ribelle, il vincitore o il vinto, un nativo o uno straniero. L'uso stesso del termine «civile», dunque, fa parte del conflitto: può determinarne l'esito, a seconda che altre nazioni scelgano di intervenire o decidano di starne fuori. In questo libro, David Armitage, uno dei più eminenti storici americani, ripercorre la forma meno compresa e più controversa di violenza umana organizzata dall'antica Roma fino ai giorni nostri, passando per il Rinascimento, le rivoluzioni settecentesche, la guerra civile americana e i drammatici conflitti che hanno scandito il Novecento. Dai Balcani al Ruanda, dall'Afghanistan all'Iraq, fino al recente drammatico caso della Siria, il conflitto civile sembra essere oggi più che mai tornato alla ribalta del nostro tempo. E all'interno dell'Occidente perfino la lotta politica «sembra sempre più una guerra civile condotta con altri mezzi». La prospettiva unitaria con cui questo libro guarda al fenomeno, indagandone le origini e le dinamiche nel lungo periodo, si rivela indispensabile, se si vuole provare a fare i conti con quello che appare un problema tragicamente attuale. -
Quel che resta. L'Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni
«Mentre scrivo queste righe, il campanile di Amatrice cade sotto la forza del terzo terremoto che ha colpito, in meno di sei mesi, i paesi dell’Italia centrale. L’immagine del campanile viene riproposta ossessivamente. È una sequenza che angoscia e che però chiede di essere guardata e riguardata. Le immagini delle rovine, le visioni dei vuoti, delle assenze, dei luoghi a cui è stata sottratta la vita sono immagini perturbanti di cui abbiamo bisogno». Scrive così Vito Teti, nell’incipit di questo libro che riannoda il filo di una riflessione iniziata quindici anni fa con Il senso dei luoghi, un saggio che ha dato vita a un vero e proprio filone a cavallo tra antropologia, reportage, letteratura e fotografia. Nell’immagine del campanile di Amatrice, Teti scorge un mondo ben più vasto, che va anch’esso inesorabilmente franando. Mentre i grandi agglomerati urbani si preparano a ospitare la gran parte della popolazione mondiale, interi territori si spopolano. E lo spopolamento è la cifra delle aree interne di numerose regioni d’Italia e d’Europa. Di fronte a questo scenario, l’antropologo coglie l’abbandono come la forma culturale dello spopolamento e si chiede: cosa fare dei segni del passato, delle schegge di un universo esploso? Nella prospettiva di Teti, il passato può e deve essere riscattato come un mondo sommerso di potenzialità suscettibili di future realizzazioni. In agguato, certo, c’è il rischio che la retorica e la nostalgia restaurativa seppelliscano quel poco che, del paese, resta. Viceversa, la nostalgia positiva, costruttiva può essere sostegno a innovazione, inclusione e mutamento. Se la nostalgia diventa una strategia per inventare il paese, allora quel che resta è ancora moltissimo. L’antropologia dell’abbandono e del ritorno, di cui Teti definisce in queste pagine i tratti essenziali, è un tentativo d’interpretazione dei luoghi a partire da quel che resta, e che occorre ascoltare, prendendosene cura. Come scrive Claudio Magris nella prefazione: «In questo libro di scienza e di poesia c’è una profonda partecipazione al destino nomade e ramingo non solo degli emigranti partiti con le loro povere cose, ma di ognuno, delle stesse civiltà, del loro nascere e passare, ma forse mai definitivamente». -
La lingua dei lager. Parole e memorie dei deportati italiani
«La composizione umana stratificata del lager porta con sé la confusione delle lingue», scriveva Primo Levi, una Babele che riveste un ruolo centrale nei ricordi dei deportati italiani: spesso compaiono la difficoltà di capire gli ordini, il divieto di usare una lingua diversa dal tedesco, il ricordo ossessivo di parole che continuano a tornare alla mente, anche a tanti anni di distanza. Proprio per la centralità di questo elemento, per comprendere appieno i campi di concentramento nazisti, diventa indispensabile conoscere la lingua che essi hanno prodotto. Da una parte c'è la lingua tedesca dei sorveglianti, ridotta a un frasario che riassume comandi, gerarchie e luoghi e che si avvale di un linguaggio in codice che occulta ciò che sta avvenendo; dall'altra c'è la lingua franca dei prigionieri, costituita da lingue diverse tra cui tedesco, russo, polacco, francese, spagnolo e italiano. A Mauthausen, Auschwitz, Ravensbriick, Dachau e in altri campi, la lingua del lager, Lagersprache, è per le deportate e i deportati un mezzo imprescindibile per comprendere gli ordini espressi solo in tedesco, per comunicare tra loro, per interpretare la realtà che li circonda, per evitare i pericoli, e per resistere. Colmando un vuoto della ricerca linguistica, Rocco Marzulli ha elaborato un repertorio della lingua del lager, fondato su un'ampia ricognizione delle memorie dei deportati italiani, non solo per offrire uno strumento per leggere e interpretare le loro testimonianze scritte e orali, ma anche per introdurre il lettore meno esperto nella realtà quotidiana dei campi di concentramento nazisti. -
Le mafie di mezzo. Mercati e reti criminali a Roma e nel Lazio
Da diversi decenni operano nel Lazio numerosi gruppi di criminalità organizzata, con una varietà di forme di coabitazione che spaziano tra cooperazione e conflitto, strategie egemoniche e accordi per la spartizione di settori e campi di attività, illegali e legali. La capitale è diventata una sorta di laboratorio a cielo aperto, che consente di osservare sia le trasformazioni in corso nelle mafie storiche e il loro radicamento in aree esterne a quelle di origine, sia i contesti in cui prendono corpo e si sviluppano forme criminali nuove e autoctone. Il volume presenta i risultati di una ricerca inedita, che oltre alle fonti documentarie (indagini dell'antimafia giudiziaria e civile, statistiche ufficiali, letteratura) approfondisce tre casi di studio in altrettanti territori della regione: Ostia e il litorale romano, il basso Lazio e la capitale. La scala di osservazione ravvicinata consente di decifrare con maggior precisione la dimensione economica del fenomeno, in particolare l'operatività mafiosa nei mercati legali. L'indagine si estende all'imprenditoria, alla politica e alla società locale, mettendo in luce l'esistenza di reti di relazioni tra legale e illegale, assetti istituzionali e sistemi di governance in grado di condizionare profondamente le traiettorie dello sviluppo socio-economico di interi territori. È in queste reti che si insinuano le «mafie di mezzo», strutture criminali nuove e originali, a cui gli attori che tradizionalmente definiamo «mafiosi» possono aderire senza tuttavia esserne necessariamente la componente essenziale, né quella trainante. -
Carlo Rosselli, socialista e liberale
«Anche quando Rosselli non convince perché ti pare contraddittorio o incompleto, anche allora soffri delle sue sofferenze e gioisci delle sue gioie. E ti senti contento d’avere un’anima dove risuona l’eco di una parola calda, commossa, fraterna».rnrn«Non è più tempo né di anatemi né di apologie». Così scriveva Norberto Bobbio nella sua introduzione a Socialismo liberale, l’opera più nota di Carlo Rosselli (1899-1937). Gaetano Pecora ha raccolto questo monito e, senza preconcette avversioni (ma anche senza monumentalità celebrative), ha voluto fare le giuste parti sul conto di Rosselli, di cui proprio nel 2017 cade l’ottantesimo della morte, avvenuta in Francia per mano di sicari fascisti. E così, con il piglio di una conversazione diretta, immediata – leale, si potrebbe dire – ne ha registrato gli attivi ma non ne ha dimenticato i passivi. Dove per «attivi» s’intende anzitutto l’idea – carissima alla sensibilità di Rosselli – secondo cui o il socialismo è la prosecuzione del liberalismo, o non è (e si riduce allora a malinconico sogno di burocrati). E per «passivi», invece, vanno intesi tutti gli scompensi e tutte le ombre che Rosselli fece cadere proprio sul guizzo di questa sua felice intuizione. Con la conseguenza che, talvolta, il lettore è costretto a bilanciarsi su pagine che non fanno centro tra loro e che qualche volta si sciupano l’una sull’altra. Il tutto però accompagnato dalla convinzione che Rosselli poté toccare il segno o mancarlo. Ma che anche quando lo mancò e lasciava una mezz’ombra ambigua dietro di sé, anche allora egli saliva sempre in un’atmosfera superiore dove respirava un’aria più pura e meglio ossigenata. Fosse solo per questo, il suo nome non deve cadere dalla nostra memoria. Il libro di Pecora aiuta a mantenercelo. -
Cambiamenti dell'urbanistica. Responsabilità e strumenti al servizio del Paese
Clima, Paesaggio, Città, Società, Energia, Economia cambiano con velocità e intensità fortemente variabili e con questi mutamenti si confrontano il sapere e la pratica degli urbanisti e dei pianificatori territoriali. La Società italiana degli urbanisti afferma la centralità della dimensione militante degli urbanisti e dei pianificatori, rafforzando le responsabilità, le competenze e gli strumenti attraverso cui traguardare la formazione, la ricerca e la pratica di una disciplina che, sempre più affrancata da specialismi, è protesa a esplorare e utilizzare un nuovo lessico, nuove forme di conoscenza, di interpretazione e azione derivate dal sapere scientifico disciplinare, ma anche da altri saperi, in una rinnovata alleanza di culture, punti di vista e linguaggi. Il libro discute, mettendo a confronto teorie e pratiche, visioni e approcci, sulle potenzialità dell'urbanistica e della pianificazione territoriale e sul loro ruolo per tornare ad essere rilevanti per lo sviluppo dell'Italia. Quali sono le competenze più adeguate e i metodi più efficaci per affrontare le rapide mutazioni e come esse incidono sulla razionalità urbanistica} In queste pagine vengono analizzati aspetti generali e metodologici, confronti internazionali ed esperienze pratiche di innovazione nell'ambito della sperimentazione, da leggere come occasioni per ragionare criticamente sul futuro e per dispiegare appieno le potenzialità della disciplina in tempi che cambiano. -
Il giardino delle meraviglie. Storie, segreti, ricette intorno alle piante del Mediterraneo. Ediz. a colori
Dal gelsomino al limone, dalla palma all'ulivo, dal cappero alla bougainvillea, dall'agave alla passiflora, dall'arancio al fico... una colorata passeggiata d'autore tra le piante ornamentali che hanno viaggiato e messo radici nel cuore del Mediterraneo. Età di lettura: da 6 anni. -
Lettera a Matteo Renzi
Massimo Salvadori, storico prestigiosorne intellettuale autorevole, generazionalmenternalieno dalle smanie nuovisterndel «rottamatore», decide inaspettatamenterndi prendere la penna per rivolgererna Renzi, in prima persona, una sorta dirnlettera pubblica.rnrnrnrn«Caro Renzi, tenga duro. Ma si ricordi anche chernle qualità di un leader non sono soltanto la volontà ernla determinazione. Contano anche le doti dell’attenzione,rndella valutazione prudente dei passi da compiere,rndella capacità di ascoltare, prima di scegliere e dirnprendere le proprie decisioni. Il governo degli uominirnè cosa assai più complessa dell’indicare loro la direzionerndi marcia, che pure è la funzione del leader».rnrnL’esperienza politica e di governo chernha avuto per protagonista Matteo Renzirnpuò essere descritta come una parabolarnsegnata da un’ascesa repentina e da unarnserie iniziale di successi, sfociata poi inrnuna sonora sconfitta. Ma – è questa larndomanda che tiene il campo – si tratta dirnuna sconfitta irrimediabile? O può esserernconcepito un rilancio del riformismornitaliano che veda ancora Matteo Renzirnprotagonista?rnMassimo Salvadori, storico prestigiosorne intellettuale autorevole, generazionalmenternalieno dalle smanie nuovisterndel «rottamatore», decide inaspettatamenterndi prendere la penna per rivolgererna Renzi, in prima persona, una sorta dirnlettera pubblica, che interpella le prospettiverndel prossimo futuro.rnAlla lettera fa seguito un denso saggiornche ricostruisce le premesse di scenariornsu cui l’esperienza del renzismo si è innestata,rne ne ripercorre le tappe politiche, finornad arrivare alla «madre» di tutte le riforme:rnla revisione del sistema costituzionale,rnapprovata dal Parlamento, ma bocciatarndal referendum.rnIn queste pagine, scritte con il pigliornsicuro di chi sa maneggiare la «storia delrnpresente», un’attenzione particolare vienernriservata alla personalità di Renzi («ilrncapo di governo più giovane di tutta larnstoria dell’Italia unita»), alle caratteristicherndella sua leadership, ai suoi punti dirnforza e di debolezza, al fine di chiarire lernragioni per cui, dopo il successo trionfalernalle elezioni europee del 2014, egli nonrnsia riuscito a raccogliere intorno a sé ilrnnecessario consenso popolare. Un esito,rnquesto, che ha suscitato l’esultanza nonrnsolo degli avversari esterni di Renzi, marnanche di quelli interni al suo stesso partito,rnche fin dall’inizio lo avevano consideratornun «intruso».rnÈ un’analisi lucida e severa, quellarncon dotta da Salvadori, che pure non esitarna schierarsi tra i sostenitori di Renzi.rnSe il leader, nella sua esperienza di governo,rnha compiuto una serie di errori politici,rnanche gravi, le impostazioni sostenuterndai suoi avversari, esterni e interni alrnpartito, sono apparse prive di consistenzarnal fine del difficile rilancio di un camminornriformista per il nostro paese.rnLa vicenda, insomma, è del tutto aperta.rnE molto dipenderà dal modo in cuirnMatteo Renzi sceglierà di stare in campo. -
I Mellops prendono il volo e altre avventure della famiglia Mellops
Lo sapevate? La famiglia di porcelli più amati dai bambini di mezzo mondo compie niente meno che sessant’anni!rn«Da un po’ di tempo il signor Mellops, gentile porcello e tenero papà, fa progetti per costruire un aeroplano. Finalmente un giorno chiama Casimir, Isidor, Felix e Ferdinand: “Cari ragazzi, ho progettato per voi un aeroplano che costruiremo tutti insieme”»rnrnEra infatti il 1957 quando il loro geniale inventore, Tomi Ungerer, mandò in libreria la loro prima avventura intitolata I Mellops prendono il volo. Da allora a oggi la bizzarra famigliola ha conquistato generazioni di piccoli lettori in quasi tutte le lingue del mondo. E infatti i Mellops non sono una famiglia di porcelli qualunque, certo che no! A loro capitano sempre avventure del tutto speciali. A procurarle di solito è il signor Mellops, un tipo sempre pieno d’iniziative. Quanto ai quattro fratelli, Felix, Isidor, Casimir e Ferdinand, non sono da meno e non esitano un istante a seguire il loro papà in una delle sue tante bizzarre trovate – per esempio quella di prendere il volo a bordo di un aeroplano che lui progetta per mesi e che poi costruiscono tutti insieme in un fine settimana, armati di chiodi, martello, sega e tutto quello che riescono a rimediare in soffitta e in giro per la città. Fortuna che ad accoglierli a casa c’è sempre mamma Mellops, pronta a festeggiare il loro ritorno sani e salvi con la sua insuperabile torta ricoperta di panna montata e zuccherini. E dunque quale modo migliore per augurare buon compleanno alla più simpatica famiglia di porcelli, che soffiare insieme a loro le candeline in cima a un’altra magnifica torta e dedicargli un’edizione tutta nuova con le loro prime tre avventure?rnrnAutore di 140 libri, Tomi Ungerer è stato insignito di prestigiosissimi premi internazionali: oltre al Premio per la letteratura per l’infanzia Hans Christian Andersen (1998), la Legion d’onore in Francia (1990), il National Prize for Graphic Arts France (1995) e lo European Prize for Culture (1999). La sua città natale, Strasburgo, gli ha dedicato un intero museo. Dal genere fantastico all’aforisma, dalla fiaba alla satira di costume, dall’illustrazione al design, dalla pubblicità alla scultura, non c’è ambito dell’espressione artistica che Ungerer non abbia praticato, e sempre con una spiccata vena d’inquietudine e un’impronta spesso definita «controversa» e «sovversiva». Tra le sue pubblicazioni di maggior successo ricordiamo I tre briganti (Nord-Sud, 2007), libro da cui è stato tratto un lungometraggio d’animazione. -
Fifa nera-Fifa blu. Ediz. a colori
Noi e loro, la nostra terraferma e il loro mare agitato. Dieci piccole storie per narrare due facce di una stessa paura. Da un lato, la fifa blu di noi che viviamo sulla sponda agiata del mondo e guardiamo i migranti sbarcare: una fifa blu di loro, del mistero racchiuso in quegli sguardi persi o curiosi, disperati o speranzosi. Basta capovolgere il libro e la fifa diventa nera, quella che vediamo ogni giorno scolpita nei loro occhi di ogni età; la fifa di ciò che hanno già visto e di ciò che li attende, una fifa nera di noi. Due itinerari di lettura senza ipocrisie, dieci storie alla scoperta delle reciproche paure, per provare a dissolverle. Con un racconto di Fabio Geda e uno di Marco Aime. Un libro da sfogliare insieme, grandi e piccoli lettori. Età consigliata: da 4 anni. -
La pura superficie
Vincitore Premio Napoli 2018, sezione PoesiarnFinalista alla XLIX edizione del Premio Vitaliano Brancati, categoria Poesia e al Premio Viareggio Rèpaci 2018rnUscirà, sarà un passante, osserverà i dettagli minimi, gli oggetti nelle strade, gli stratocumuli sopra le case tracciare segni senza significato. Ciò che siete non è reale. Ciò che siete vi oltrepassa a ogni istante. rnLa pura superficie intreccia, in un'architettura studiatissima, voci e temi diversi. In primo piano c'è l'esistenza di una persona qualsiasi nelle città del mondo occidentale, una persona che attraversa il mezzo del cammino della propria vita sperimentando il vuoto, la solitudine, l'estraneità a se stesso e gli altri. Poi ci sono gli altri, gli individui che l'io incontra o osserva da lontano, e che in alcuni casi prendono la parola per rendere visibile la complessità dei destini personali. Infine, tutto intorno, c'è il piano dei destini generali, i grandi eventi collettivi che condizionano le singole vite, e che si mostrano sotto forma di esperienze dirette o, più spesso, di spettacoli: i conflitti degli anni settanta rievocati nel corso di una conversazione, il G8 di Genova, l'11 settembre visto in tv, i video dell'Isis. Un libro che parte dalle superfici (i finestrini di treni e aerei, gli schermi dei media, le facce degli altri) per ricercare la profondità. -
Signorina attaccabrighe. Ediz. a colori. Con Materiale a stampa miscellaneo
«Le forme perfette, il volto splendido e i modi eleganti di Lucy conquistarono a tal punto l’affetto di Alice che, quando si congedarono, lei fu pronta a giurare che Lucy era di gran lunga la persona a cui voleva più bene al mondo (fatta eccezione per il padre, il fratello, gli zii, le zie, i cugini e parenti vari, più Lady Williams, Charles Adams e qualche altra dozzina di amici speciali)»rnAnche senza la palla di vetro è facile prevedere che molti lettori di questa Signorina attaccabrighe un giorno s’innamoreranno (se non l’hanno già fatto) dei libri scritti dalla sua autrice. Jane Austen è infatti una delle scrittrici più adorate, celebrate e imitate al mondo e la lista dei libri, dei film, delle serie tv, dei blog, dei club di lettura, dei siti internet che ruotano attorno a lei è interminabile. Dall’Europa all’Australia c’è un mucchio di gente che condivide ogni giorno una vera e propria Jane-mania e celebra ricorrenze e riti legati a lei e ai suoi personaggi, tutti vissuti nella campagna inglese due secoli fa. Dunque, chi non ha ancora cacciato il naso nelle sue opere «serie» potrà cominciare a familiarizzare con il suo umorismo in questo racconto scritto «per scherzo», quando Jane aveva solo quindici anni. Il trucco sta tutto nel non prenderla troppo sul serio e nel prestarsi al suo gioco, mentre ci strizza l’occhiolino tra le righe per ridere con noi alle spalle dei suoi strampalati eroi. Il tutto con la complicità delle illustrazioni, che interpretano a puntino la storia di Alice & compagnia, e paiono una galleria di quegli specchi che al luna park deformano facce e sagome di chi ci passa davanti, facendone la caricatura.rnCon le illustrazioni di Andrea Joseph. -
Germania/Europa. Due punti di vista sulle opportunità e i rischi dell'egemonia tedesca
La Germania rappresenta, in questo difficile passaggio storico, disseminato di sfide inedite del mondo globale, il baricentro di una Europa sempre più fragile nei suoi equilibri e nella sua stessa esistenza: è innegabile che le sorti di un'unione faticosamente raggiunta dipendano fortemente dagli orientamenti e dalle scelte che è chiamata a compiere, nel prossimo futuro, la nazione tedesca. È una verità di cui spesso i suoi vicini europei stentano a prendere coscienza, manifestando atteggiamenti di aperta insofferenza e incomprensione nei confronti di un paese la cui storia ha dolorosamente pesato sui destini dell'intero Vecchio continente. Cos'è, dunque, la Germania di oggi? È in grado di esercitare quella leadership all'interno dell'Unione che oggettivamente le spetta? Le sue scelte di politica economica, improntate all'austerità e al rispetto dell'ortodossia delle regole di bilancio comunitarie, sono un modello o un intralcio per la costruzione di una politica economica comune? Partendo da punti di vista autonomi e non sempre convergenti, Angelo Bolaffi e Pierluigi Ciocca affrontano in questo volume i nodi più intricati della vicenda tedesca, e insieme di quella europea, in un confronto serrato su una questione ineludibile per tutti noi europei: cosa ne sarà dell'Europa se la Germania non riuscirà a interpretare con responsabilità e saggezza il suo ruolo di cuore federativo? -
Stato e rivoluzione
Il 7 luglio 1917, nel pieno della fase convulsa che segue la rivoluzione di febbraio, Lenin scrive al compagno Kamenev: ""Se mi fanno fuori, vi prego di pubblicare il mio piccolo opuscolo: 'Il marxismo e lo Stato' (rimasto a Stoccolma). È un quaderno rilegato, con una copertina azzurra. Tutte le citazioni di Marx ed Engels sono state raccolte. Vi e una serie di note e di osservazioni, di formulazioni"""". Tra i mesi di agosto e settembre, Lenin riprende quegli appunti rielaborandoli in un testo articolato in sei capitoli, ma il sopraggiungere di esigenze pratiche più impellenti lo costringe a sospendere di nuovo il lavoro. """"Mi ha 'intralciato' - scriverà Lenin - la crisi politica, la vigilia della rivoluzione d'ottobre. E più piacevole e più utile fare 'l'esperienza della rivoluzione' che scriverne"""". In effetti, rientrato da Stoccolma a Pietrogrado, Lenin organizzerà attivamente la sommossa che si concluderà il 7 novembre con la presa del Palazzo d'Inverno. Nonostante questo carattere discontinuo e accidentato, """"Stato e rivoluzione"""" ha conosciuto un destino raramente riservato a un libro: è stato visto, a torto o a ragione, come il manifesto teorico di uno dei più grandi eventi rivoluzionari che abbiano segnato la storia del Novecento. Più ancora, il libro ha rappresentato, nei decenni successivi, e particolarmente nel campo comunista, il punto di partenza obbligato di ogni discussione attorno ai caratteri di ogni compagine statale instauratasi dopo la rivoluzione: dalle utopie della """"transizione"""" verso la società socialista alle teorizzazioni della """"dittatura del proletariato"""", fino alle enunciazioni dei """"compiti del partito rivoluzionario"""" dopo la conquista del potere. Per aver prefigurato i grandi e tragici nodi del dopo-rivoluzione, tra gli scritti di Lenin, """"Stato e rivoluzione"""" è stato quello più influente: il più letto, il più considerato, il più avversato, il più discusso. Negli ultimi decenni poi, per una sorta di fatale contrappasso, è entrato nel limbo di un oblio da cui si sono astenuti solo i più rigidi, e sempre più sparuti, difensori di una conclamata ortodossia. Edizione del centenario con un saggio introduttivo di Tamás Krausz su """"Lenin e la rivoluzione d'Ottobre""""."" -
Storie di magliari. Mestieranti napoleani sulle strade d'Europa
Giovani che per sottrarsi alla miseria e alla precarietà esistenziale provavano ad ascendere la gerarchia sociale attraverso una pratica del commercio senza fissa dimora che li trasformava in piccoli imprenditori cosmopoliti: questo erano i magliari. Si trattava di un modo d'arrangiarsi fattosi mestiere, un mestiere pressoché scomparso nel breve volgere di mezzo secolo. I primi magliari, soprattutto napoletani, avevano avuto l'orizzonte del Sud America, poi era stata la volta dell'Europa industriale del secondo dopoguerra, soprattutto l'area industriale e mineraria compresa tra Belgio, Francia e Repubblica federale tedesca, sulle orme dei flussi migratori degli operai italiani. La storia dei magliari è infatti strettamente intrecciata a quella della migrazione italiana in Europa nel secondo dopoguerra, nonché a quella della mutazione antropologica che ha traghettato le società occidentali verso una trasformazione della culturale materiale e l'avvento del consumo di massa. -
Agricoltura senza caporalato
Una riflessione a più voci su un fenomeno che interessa la società civile nella sua interezza e nei suoi fondamenti e che richiede di essere posto al centro del dibattito, all’insegna del comune impegno per la costruzione di una comunità di vita in cui i diritti di tutti siano riconosciuti.rnrnIl fenomeno del caporalato, insieme a quello del lavoro nero, presente soprattutto nel settore agricolo, interessa tutto il nostro paese, con punte preoccupanti nell’Italia meridionale. Esso consiste nel reclutamento illegale di lavoratori che vengono impiegati, per lo più a giornata, nei campi, per essere messi a disposizione di un’impresa. I caporali, spesso collegati con organizzazioni criminali, sono i mediatori tra le imprese e i lavoratori, italiani o stranieri in stato di bisogno. Questi ultimi si trovano dunque in una posizione debole dal punto di vista economico e sociale, e sono facilmente esposti allo sfruttamento. Il lavoro viene altamente sottopagato, tanto da essere considerato una nuova forma di schiavitù. I turni, lunghi, faticosi e fuori da qualsiasi norma di diritto, sono accompagnati da varie forme di violenza, maltrattamenti e intimidazioni. Per spezzare la catena dello sfruttamento, al fine di combattere questo fenomeno così vergognosamente diffuso, è necessario conoscerne in maniera precisa le dinamiche, analizzando i contesti all’interno dei quali questa pratica trova terreno più fertile. Il libro risponde a questa necessità attraverso un’indagine affidata a studiosi di varia provenienza, dai giuristi agli storici del lavoro, dagli economisti ai filosofi e ai letterati, fino al saggio fotografico appositamente realizzato per questo volume da Fabrizio Sacchetti. Una riflessione a più voci, dunque, su un fenomeno che interessa la società civile nella sua interezza e nei suoi fondamenti e che richiede di essere posto al centro del dibattito, all’insegna del comune impegno per la costruzione di una comunità di vita in cui i diritti di tutti siano riconosciuti.rnSaggi di Roberta Capo, Fabio Ciconte, Pietro Curzio, Fabrizio Di Marzio, Marcello Maria Fracanzani, Francesco Gianfrotta, Marco Marazza, Cataldo Motta, Leonardo Palmisano, Paolo Passaniti, Fabrizio Sacchetti, Ernesto Savaglio, Giusto Sciacchitano, Enrico Scoditti, Giovanni Tria. -
Politica e corruzione. Pariti e reti di affari da Tangentopoli a oggi
La corruzione politica è considerata uno dei principali ostacoli alla crescita economica e civile del nostro paese. Il fenomeno è ancora più preoccupante nel mezzogiorno, dove si combina con l’influenza della criminalità organizzata. Eppure, mancano dati solidi per inquadrare la diffusione della corruzione, il suo andamento nel tempo, il radicamento nelle diverse aree, le modalità prevalenti che assume. La Fondazione Res con questa indagine offre un contributo originale in tale direzione servendosi di due fonti inedite: la banca dati delle sentenze della Corte di cassazione e i casi considerati nelle autorizzazioni a procedere del parlamento. Dalla ricerca emerge un quadro inquietante. Da Tangentopoli a oggi la corruzione che coinvolge direttamente i detentori di cariche pubbliche non solo appare in crescita, ma assume caratteri nuovi. È sempre più «privatizzata», volta cioè al perseguimento di vantaggi personali piuttosto che al sostegno dei partiti, come in passato; e si coagula intorno a reti politico-affaristiche, stabili e strutturate, che crescono di più a livello locale e regionale e attraversano i principali partiti piegando ai loro interessi la gestione della cosa pubblica. Prefazione di Carlo Triglia. -
Urbanistica oggi. Piccolo lessico critico
«Le voci di questo piccolo lessico critico sono da intendersi come una “mossa di apertura” per alimentare una discussione, paziente ma anche generosa, sulle possibilità e sui limiti del discorso e del fare urbanistica, oggi, in Italia e in Europa»rnrnQuali sono le parole chiave per pensare le pratiche urbanistiche oggi? A partire dalla voce «abitare» fino a «welfare», passando per «conoscenza», «crisi», «democrazia», «disuguaglianza», «potere», l’autore individua trentaquattro argomenti che tracciano una mappa concettuale utile ad affrontare i nodi critici del fare urbanistica nel nostro tempo. Emergono così le principali questioni legate all’attuale situazione economica (la crisi tuttora in corso delle economie e dei mercati urbani nei paesi occidentali), al contesto culturale (le difficoltà poste alle istanze universalistiche entro le quali l’urbanistica si è formata in un contesto di radicale pluralismo delle identità e delle popolazioni) e allo stato disciplinare (la condizione di scarsa legittimazione e di inadeguatezza degli strumenti operativi dell’urbanistica nell’attuale situazione politica e istituzionale). L’urbanistica viene intesa qui come un ponte a partire dal quale contribuire al dibattito pubblico sui nessi tra città, società, economia e politica. Le voci diventano uno spunto per una riflessione sul senso delle forme tecniche e istituzionali dell’azione di regolazione e progettazione della città e dei territori, una riflessione volta a riconfigurare il ruolo dei saperi e delle pratiche urbanistiche in Italia e in Europa, a partire da una rivisitazione complessiva del proprio senso, dei propri strumenti tecnici, delle proprie istanze politiche e sociali.