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Una stagione d'aria
Talento riconosciuto già all’età di vent’anni da Maria Luisa Spaziani, Franco Loi, Sergio Zavoli, Isabella Leardini mette in scena in questo suo nuovo libro – opera matura cui ha lavorato per dieci anni – un Canzoniere d’amore che pone in contatto diverse generazioni di donne.rnrnScenario di questo fresco romanzo in versi è la Pensione Irene, un albergo della riviera romagnola nato nel primissimo dopoguerra dai risparmi della famiglia di Isabella e presto divenuto insegna del turismo di massa. Nell’ombra del nome dato all’albergo – una ragazza amata da un familiare in tempo di guerra – e sullo specchio delle vacanze altrui si snoda una storia d’amore, quasi una questione privata, in cui molte donne possono identificarsi. Ma è soprattutto alle donne cresciute negli anni ottanta e novanta – una generazione di ragazze educate a un’eterna stagione adolescenziale, poi destinate a fine millennio al precariato professionale e matrimoniale – che i versi di Isabella Leardini puntano con sguardo corale. Una stagione d’aria è anche la storia della fine della giovinezza che preme per entrare in un’età nuova. Il racconto arioso e doloroso di un’Italia che fatica a cambiare e appare come un paese metafisico o eternamente balneare, dove il ripetersi delle stagioni femminili incrocia destini diversi. Protagonista è una voce sola che accoglie le voci di altre «ragazze strane», «le ragazze del mare» archetipo nella contemporaneità di una classicità assorbita con naturalezza e sapienza. Tra loro, nel susseguirsi di canzoni e sonetti, il lettore potrebbe scoprire sotto traccia la presenza di qualche moderna Nausica; o ritrovare la Sirenetta di Andersen, e prima ancora quella Francesca da Rimini che rappresenta la vera «rondine bianca» di un libro di chiara ascendenza classicista. -
Territori dell'abusivismo. Un progetto per far uscire dall'Italia i condoni
Il volume fa il punto sul fenomeno dell'abusivismo edilizio nel Mezzogiorno, dopo un periodo di relativo silenzio degli studiosi sul tema, e avanza alcune proposte per l'innovazione dei progetti e delle politiche a esso rivolti. Alla base ci sono le riflessioni sviluppate nell'ambito di una rete di ricerca promossa e coordinata dai tre curatori con il sostegno della Società italiana degli urbanisti. I contributi ospitati nella prima parte del libro descrivono sotto angolature diverse lo sfondo in cui le pratiche dell'abusivismo e i suoi lasciti oggi si collocano. Uno sfondo per molti aspetti mutato rispetto al quadro entro il quale maturò la politica di condono edilizio nei primi anni ottanta, che richiede uno sforzo di rielaborazione critica degli assunti, delle possibilità e delle priorità dell'azione pubblica. Nella parte centrale, quattordici casi studio esplorano le articolazioni fisiche e sociali che l'edilizia non autorizzata ha prodotto nelle regioni meridionali. Un viaggio attraverso territori in cui si intrecciano problemi irrisolti, non di rado aggravatisi nel tempo, e nuove questioni riguardanti la transizione demografica, il dissesto idrogeologico, la crisi economica e ambientale. -
La luminosa virtù. Un'idea di costituzione nel Mezzogiorno del Seicento. Pagine da «La scienza della legislazione»
Come riformare uno Stato nell'età dell'assolutismo? E questo il quesito che affronta la ""Scienza della legislazione"""" di Gaetano Filangieri, un'opera del pensiero civile italiano dell'Illuminismo. La tesi essenziale di Filangieri era che l'opera riformatrice dovesse cominciare dalle leggi, in modo da poter stabilire attraverso di esse un corretto rapporto tra re e sudditi. Il grande pensatore napoletano prefigurava, in tal modo, sulla scia di Montesquieu, una forma di Stato che si sarebbe solo con difficoltà affermata nell'Europa continentale: la monarchia costituzionale. Filangieri si ispirava soprattutto alla Rivoluzione americana, che alla base dell'edificio istituzionale poneva la virtù dei cittadini. Con confuciano pragmatismo, il giovane filosofo napoletano capì che nessuna norma avrebbe potuto funzionare senza la spontanea adesione e la compartecipazione di governanti e governati. Era necessaria una profonda riforma morale che doveva partire dal basso, attraverso un sistema di educazione civile diffuso, a diversi gradi, in tutto il paese, senza distinzioni di luogo e di censo. Conosceva Filangieri l'opera di Confucio? Certamente sì. Un gesuita napoletano aveva tradotto per la prima volta nel 1590 i classici del grande filosofo orientale e sempre a Napoli, nel 1732, era stato fondato da Matteo Ripa il Collegio dei Cinesi. Nella popolosa capitale delle Sicilie, lungo le vie del mare, confluivano le grandi opere del pensiero politico. Dalla sua villa di Vico Equense, Filangieri immaginò un'utopia possibile per il Mezzogiorno, nella convinzione che fosse quella l'unica via percorribile per spianare la strada a un nuovo mondo di pace e di virtù. Nella sua opera il pensatore napoletano enuncia quelli che ci appaiono ancora oggi come veri e propri principi universali, validi in tutte le democrazie: aborrire la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti interni ed esterni; promuovere la felicità dei cittadini con un sistema legislativo chiaro e uniforme su tutto il territorio nazionale; abolire il regime feudale; favorire le opere dell'intelletto e le libere associazioni; separare Stato e Chiesa e ridimensionare la proprietà ecclesiastica; istituire un sistema gratuito di pubblica istruzione e favorire i cittadini virtuosi; garantire la libertà di espressione; condividere con gli Stati europei i valori comuni di tranquillità, sicurezza e diritto delle genti; trasformare la società in modo graduale con un piano di riforme e col ripudio di ogni violenza; assicurare il benessere economico dei cittadini. Scelti e commentati dalla cura di Eugenio Lo Sardo, i brani più significativi e curiosi di questa """"utopia civile"""" ispirata al Mezzogiorno d'Italia vengono qui proposti in un volume che riporta a evidenza il pensiero di un grande filosofo politico del nostro patrimonio intellettuale. Presentazione di Fondazione con il Sud."" -
Etica in laboratorio. Ricerca, responsabilità, diritti
Gli straordinari avanzamenti nel campo della biologia e della medicina di questi ultimi anni si propongono in modo prepotente come laboratorio culturale, sia per la verifica sia per la lettura dei processi di riorganizzazione in chiave democratica del rapporto tra scienza e società. In particolare, se la vita è la dimensione che l'essere umano percepisce come più inerente a sé, questa pertinenza che è quasi un'equazione ci autorizza, in un certo senso, a ritenere legittimo il giudizio personale rispetto a essa. Ne consegue la difficoltà ad accettare che sia qualcun altro a decidere rispetto a dimensioni tanto umane e personali come la procreazione, la fine della vita, la cura. Si tratta di un cambiamento pervasivo che incide sulla vita privata e di relazione e sul funzionamento di istituzioni come la sanità, che ridefinisce uno dei terreni principali su cui storicamente si strutturano i processi di socializzazione e in base ai quali è possibile descrivere i contesti e i rapporti in cui gli esseri umani vivono e agiscono. Questa trasformazione riguarda i concetti di autonomia e responsabilità e, con essi, ciò che ci consente di riconoscere e definire in primo luogo i confini culturali del corpo. Perché quello che muta in profondità è l'insieme dei riferimenti pratici e simbolici che accompagnano l'intero arco della vita degli individui, dalla generazione alla morte. In particolare, questo libro si sofferma su alcuni nodi tematici propri della riflessione etica e bioetica, come la responsabilità, la giustizia e i diritti. L'obiettivo è quello di collocare questi temi anche al di fuori di una dimensione esclusivamente legata all'autonomia delle scelte individuali per porli all'interno di una più ampia, e imprescindibile, dimensione collettiva e politica. -
Sinistra, e poi. Come uscire dal nostro scontento
"Tutto sta nel decidersi dove piazzarsi. Se nell'inverno dell'amarezza o in una stagione altra. Io scelgo l'altra"""".rnrnQuando avanza la destra, alla sinistra unirsi conviene. Quando avanza una destra aggressiva e illiberale l'unità dei progressisti si fa imperativo politico e morale. Purtroppo non sembra questa la rotta della sinistra italiana di adesso. Un lungo inverno alle spalle, la divisione consumata nel Partito democratico, tra qualche mese la sfida del voto. Il tutto dopo la crisi peggiore della storia recente, un sommovimento che ha scosso certezze, in economia e non solo: un «marziano» alla Casa Bianca, parabole inedite come con l'Eliseo a Macron o gli xenofobi al Bundestag; il nodo migranti a fare da discrimine tra destra e sinistra e nella sinistra stessa. Come uscire dalla trappola e restituire identità a quel campo di persone, partiti, movimenti sempre più apolidi e però ostinati a cercare una strada comune? Una via è scomunicarsi a vicenda, ma perdendo tutti. L'alternativa è tornare a pensare, leggere il mondo, nominare alcune idee radicali per immaginare il dopo. Magari così lo scontento potrebbe di nuovo far posto a qualcosa che somigli alla speranza." -
La questione agraria nell'Italia moderna e contemporanea
Lungo tutto il Novecento la «questione agraria» ha rappresentato uno dei temi cruciali, non solo nella pratica degli studi di storia, ma anche nel dibattito politico e culturale su scala più generale. L'impatto della modernità sulle società rurali tradizionali, a qualunque latitudine, è stato cuore e motore delle grandi rivoluzioni contadine in Asia come in Europa o in America Latina. È dalla trasformazione delle campagne che ha preso vigore la creazione di nuove élites sociali e imprenditoriali; di epocali trapassi di regime; di imponenti innovazioni produttive, commerciali, organizzative; per non parlare delle culture e delle mentalità. Non stupisce dunque che la storia agraria abbia rappresentato un terreno necessario di indagine anche per la storia d'Italia, e che Angelo Ventura abbia dedicato una costante attenzione a questo nodo essenziale della «grande trasformazione». Introduzione di Carlo Fiuman. -
Il sessantotto sequestrato. Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni
«Nella storia d’Europa dei decenni successivi, ilrn’68 non ci appare tanto rilevante per quel che avvenne a Parigi oppure a Torino, a Berlino, a Milanorno a Trento, quanto per i traumi e i rivolgimenti chernsegnarono quell’area dell’Europa “sequestrata” dall’impero sovietico» - rnGuido CrainzrnrnA distanza di cinquant’anni dal simultaneornmanifestarsi dei movimenti di contestazionerndel ’68 in tante parti del Vecchiorncontinente, iniziamo forse a comprenderernche per la sua storia successiva sono rilevantirnsoprattutto i rivolgimenti, i traumi e irnprocessi che segnarono la Cecoslovacchia,rnla Polonia e altre aree dell’Europa «sequestratarn» dall’impero sovietico, per dirla conrnMilan Kundera. Per molti versi quei rivolgimentirnrappresentarono uno spartiacque:rnla conferma definitiva che il «socialismornreale» non era riformabile.rnI processi che attraversarono allora quest’arearnfurono solo apparentemente stroncatirna Praga dai carri armati del Patto di Varsaviarne in Polonia da una brutale offensivarndi regime che assunse violenti toni antisemiti,rnprovocando l’esodo di una ricca comunitàrnintellettuale e di una parte significativarndegli ebrei rimasti nel paese dopo la Shoah.rnIn realtà, pur nel modificarsi di prospettiverne di visioni del mondo, si dipanano darnallora alcuni esili e al tempo stesso straordinarirnfili che portano al 1989, passando perrnCharta 77 in Cecoslovacchia o per il Kor ernSolidarność in Polonia.rnEppure, in quel fatidico ’68, i giovani, glirnintellettuali e i rinnovatori di quei paesi, irnsostenitori di un «socialismo dal volto umanorn», non trovarono nei movimenti studenteschirndell’Occidente quel solidale sostegnornche sarebbe stato necessario. Né lo ebberorndai partiti comunisti europei. Perché? Ernperché in molte ricostruzioni storiche complessive ha prevalso spesso una sostanzialernrimozione di questi aspetti?rnA queste domande e a questi nodi rispondonorni contributi del libro: il saggio dirnapertura di Guido Crainz; quelli di PavelrnKolář, Wlodek Goldkorn, Nicole Janigro,rnAnna Bravo; e i documenti di studenti e intellettualirndi allora, con le successive testimonianzerndi personalità come Jiří Pelikán,rnAdam Michnik, Zygmunt Bauman. -
Cento anni di Grande guerra. Cerimonie, monumenti, memorie e contromemorie
Dagli articoli ai monumenti, dai libri di testo alle lettere, dai pellegrinaggi alle mostre, dai film alle canzoni, ciò che affiora è una vera e propria memoria «polifonica».rn«In guerra il soldato ""è sempre qualcosa di meno di un uomo"""".» - Quinto AntonellirnrnrnCento anni sono trascorsi dalla fine della Grande guerra, cento anni durante i quali la memoria del primo conflitto mondiale si è radicata nella nostra identità. È entrata nel calendario civile con le «feste» del 24 maggio e del 4 novembre; ha segnato il volto delle città con monumenti grandi e piccoli; si è impressa nei nomi delle vie; ha trasformato il teatro delle battaglie in luogo di culto punteggiato da decine di sacrari; persino i resti di quel sistema di trincee, forti e caverne sono diventati mete per pellegrini e turisti. Gli autori di queste pratiche commemorative sono stati i più diversi: esponenti delle gerarchie militari e delle associazioni combattentistiche e d'arma, rappresentanti delle istituzioni, dirigenti politici; e poi architetti, giornalisti, registi, insegnanti, redattori. Una memoria, tuttavia, troppo spesso dominata da un'unica voce solista, retorica e celebrativa, che glorifica la necessità e il valore della guerra, che osanna gli eroi e sovrasta le voci di chi a quella guerra non ha mai creduto: voci stridenti, indisciplinate, a cui è difficile prestare ascolto. È anche su questo controcanto che si sofferma l'analisi attenta e rigorosa di Quinto Antonelli, sfruttando appieno le armi della cultura «materiale»."" -
Simone de Beauvoir. La rivoluzione del femminile
La Kristeva ci accompagna tra le pagine di Simone de Beauvoir attraverso una lettura critica e acuta, mai scontata e mai agiografica, che mette in luce gli aspetti più significativi dell’eredità della grande intellettuale francese.rnrn«Il nuovo saggio della filosofa e psicoanalista non poteva scegliere momento migliore per essere tradotto da Donzelli. Ormai da mesi una nuova “rivoluzione del femminile” – questo il sottotitolo del libro dedicato a Beauvoir – sembra in atto.» - Anais GinorirnrnrnrnScrittrice, filosofa esistenzialista, donna libera e ribelle, Simone de Beauvoir è ancora oggi un faro indiscusso per i movimenti di emancipazione femminile. Figura in grado di raccogliere l'eredità di chi l'aveva preceduta e di orientare il dibattito e la lotta di chi la circondava, ha contribuito con la sua vita e con le sue opere al realizzarsi di una grande rivoluzione antropologica che non smette di produrre effetti imprevedibili sul destino personale di ognuno di noi e sul futuro politico del pianeta. Il suo esempio anticonformista e il coraggio delle sue idee continuano a far riflettere, mostrando quanto lontano risulti ancora il traguardo della parità tra i sessi. E a raccogliere la sfida e il testimone, in questo libro, è Julia Kristeva, un'altra scrittrice e filosofa, un'altra donna in lotta, erede spirituale di quella tradizione che vede nella Beauvoir la propria iniziatrice. Continuando la riflessione inaugurata con la trilogia dedicata al Genio femminile, Julia Kristeva fa qui i conti con la capostipite del femminismo. -
Le isole di fantasia. Un viaggio immaginario di Lord Byron in Corsica e Sardegna
Fondendo modi narrativi differenti come il racconto di viaggio, il resoconto paesaggistico-etnografico, il romanzo sentimentale, il romanzo gotico e del mistero, il Viaggio è una lettura affascinante che getta luce sulle immagini della Corsica e della Sardegna nel romanticismo europeo.rnrnrnrnComparso nel 1824, anno della morte del poeta, il ""Viaggio immaginario di Lord Byron in Corsica e Sardegna"""", come tante altre opere contemporanee, mira a soddisfare la curiosità di un pubblico avido di informazioni su una figura seducente e controversa. Opera fittizia, il """"Viaggio"""" rielabora con efficacia molti tratti della personalità e dell'agire del poeta, in un processo ininterrotto di trasformazione della sua figura in una vera e propria icona culturale. Vi si vede Byron partire da Venezia con un gruppo di accompagnatori, affrontare traversate avventurose e irte di insidie, fino all'arrivo in Corsica. Qui i viaggiatori perlustrano l'interno giungendo nell'impervia cittadina di Corte, per poi riprendere il mare in direzione di Cagliari, dove la vita del poeta e di alcuni membri del gruppo è messa seriamente a repentaglio. L'opera ci restituisce un'immagine del poeta come figura emblematica del suo tempo, e un'idea del Mediterraneo come cuore pulsante delle tensioni geopolitiche nei primi decenni dell'Ottocento."" -
Corrado Cagli. La pittura, l'esilio, l'America (1938-1947)
Quando Corrado Cagli, pittore affermato e figura di spicco della Scuola di Roma, sceglie l'esilio, ha solo 28 anni, ma ha già alle spalle una carriera brillante: ha esposto tra l'altro alla Triennale di Milano e alla Biennale di Venezia. Nel 1938 la dittatura irrigidisce il suo volto e Cagli, ebreo e aperto al dialogo con le avanguardie internazionali, diventa un bersaglio per il regime, deciso a importare in Italia la campagna nazista contro l'arte degenerata. Cagli espatria quindi negli Stati Uniti, dove resterà fino al 1947. Saranno, questi, anni cruciali per lui, dal punto di vista personale e artistico: allo scoppio della guerra si arruola nell'esercito americano e torna in Europa a combattere, documentando l'esperienza con una serie drammatica di disegni; approfondisce la tecnica dei murali, confrontandosi con la scuola messicana allora in auge negli Stati Uniti; acquistati dal MoMA, i disegni di guerra gli procurano la prestigiosa Guggenheim Fellowship; lavora quindi per la neonata Ballet Society di Balanchine. Vicino alla rivista «View» e al suo ambiente surrealista, Cagli inoltre porta avanti una ricerca spaziale che lo condurrà ai disegni astratti sulla «quarta dimensione». Un decennio nomade, quello di Cagli, e finora poco conosciuto, ricostruito in questo studio grazie a un approfondito lavoro di scavo in un ricco materiale inedito, iconografico e testuale, in gran parte pubblicato qui per la prima volta. Un esilio come un cammino di trasformazione, che gli consente di sviluppare appieno la sua poetica: l'arte come ricerca, che matura attraverso percorsi paralleli e una molteplicità di linguaggi e contenuti; un'arte multidirezionale, apparentemente schizofrenica, di respiro internazionale. Come osserva Enrico Crispolti nella Prefazione, sarà proprio questa complessità, questa novità straordinaria - difficile da comprendere nel clima settario e fazioso del dopoguerra italiano - la ragione profonda, malcelata sotto critiche di carattere ideologico e politico, dell'ostracismo subito da Cagli una volta tornato in Italia, un ostracismo che su di lui peserà quasi come un nuovo esilio, questa volta in patria. Presentazione di Paolo Marzotto. -
Buroriforma. Per una sociologia delle trasformazioni nel lavoro pubblico
C’è un assoluto bisogno di un’amministrazione pubblica migliore.rnrnrnrnDa sempre percepita come un'entità statica e poco reattiva, la pubblica amministrazione sta vivendo oggi un momento di cambiamento e modernizzazione, legato soprattutto all'inserimento nella gestione pubblica di principi di intervento mutuati dalle imprese private e diretti ad assicurare efficienza ed efficacia ai servizi operativi. La crisi però permane, soprattutto a causa dei profondi limiti del complesso sistema organizzativo rappresentato dalle strutture pubbliche. C'è un assoluto bisogno di un'amministrazione pubblica migliore, a cui la riforma Madia ha cercato di dare una risposta, proseguendo il processo di deregolamentazione già in atto con l'obiettivo di eliminare tutti quei vincoli che sono di ostacolo all'innovazione e alla crescita della produttività dei servizi pubblici. Il nodo che permane nel processo di riforma della pubblica amministrazione è il coinvolgimento degli attori interessati: una riforma così importante non deve appartenere solo al governo che l'ha varata, ma essere condivisa e partecipata da chi lavora nel comparto pubblico e dai cittadini. Dunque non si tratta solo di «tagliare», di ottenere un efficientamento economico, ma di far sì che la pubblica amministrazione produca risultati, sul versante dei servizi tradizionali e di quelli che possono garantire il miglioramento delle attività economiche per il rilancio del paese. -
Come pesci nell'acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto
Tra le regioni del Nord Italia, il Veneto è quella meno interessata da inchieste giudiziarie e giornalistiche che abbiano portato alla luce la presenza di gruppi mafiosi strutturati e radicati. Di fronte a scarsi riscontri documentali, nella costruzione sociale del fenomeno mafioso prevalgono le impressioni, in una sorta di cortocircuito emozionale in cui l'evocata presenza delle mafie è chiamata in causa per spiegare le diversificate dinamiche di illegalità che caratterizzano il contesto politico e imprenditoriale di questo territorio. Il volume presenta i risultati di una ricerca sulle vicende criminali che coinvolgono organizzazioni mafiose, impresa e politica, offrendo una descrizione della cronologia e della geografia delle presenze mafiose in Veneto. Attraverso quattro studi di caso, gli autori osservano da una prospettiva ravvicinata i principali episodi in cui sono stati coinvolti gruppi mafiosi in questo territorio: l'incontro tra clan e tessuto imprenditoriale locale; le ricadute di questo incontro sul mondo del lavoro in relazione alle attività di intermediazione di manodopera gestite dai clan; i rapporti tra gruppi di 'ndrangheta e politica nel Veronese; il caso del Consorzio Venezia Nuova e la costruzione del Mose, un caso limite, in cui non sono coinvolte organizzazioni criminali di tipo mafioso, che consente agli autori di mettere alla prova le chiavi di lettura adottate per interpretare il funzionamento dell'economia locale e la sua «sregolazione» politica. L'indagine permette di approfondire la convergenza tra i gruppi criminali e il tessuto imprenditoriale del Veneto, nonché il ruolo di facilitazione degli affari assunto dalla politica al tempo della crisi. La corruzione diviene così il luogo predestinato di incontro tra attori di diverso tipo, l'inevitabile approdo di una serie di condotte proprie del fare politica e del fare impresa in territorio veneto. -
Mordi il colore! Il gioco dei 5 colori saporiti. Ediz. a colori
Da cosa dipendono i colori di frutta ernverdura? Perché 5 colori da mangiare ognirngiorno levano il medico di torno?rnGiocando s’impara...rnrnUna mela al giorno leva il medico di torno, dice un vecchio proverbio. E a quanto pare non sbaglia. Oggi infatti gli scienziati ci dicono che mangiando ogni giorno 5 frutti e ortaggi di colori diversi, ci manteniamo sani e capaci di grandi imprese, dallo sport alle gare di matematica! Un gioco da ragazzi, insomma. E allora proviamo a giocare e a scoprire insieme quante combinazioni di colori possiamo sperimentare ogni giorno per scacciare i malanni di torno. La prima cosa importante è che i colori da mangiare siano di stagione - e qui casca l'asino! Quanti di noi sanno esattamente in quale stagione maturano le carote o i pomodori, i mandarini o l'uva? E se si sbaglia stagione, addio sapori e addio proprietà benefiche per il nostro organismo! E infatti provate ad assaggiare una fragola a novembre o un mandarino ad agosto: di sapore neanche l'ombra. Ma prima ancora di assaporarla, la frutta e la verdura bisogna riconoscerla - certo, basta andare dal verduriere o al supermercato e il nome ce lo troviamo scritto sopra. È vero, ma da soli sappiamo distinguere per esempio la pianta del peperone da quella della melanzana? Età di lettura: da 4 anni. -
Una fratellanza inquieta. Donne e uomini di oggi
Ciò che distingue il libro di Nadia Fusini è il tono di una scrittura elegantissima che racconta una realtà sentita e non solo compresa, dove vita e pensiero si curvano a modellare i lineamenti di una nuova possibile esperienza.rnrn«Ci incontreremo senza appartenerci, ci avvicineremo senza strangolarci in legami troppo stretti; accetteremo l’uno dall’altro l’ombra di sconosciuto che ci avvolge. Staremo nell’estraneità reciproca ammirando che l’altro possa fare cose diverse da noi, dire cose che non capiamo, e tuttavia ci riguardano. So che non siamo ancora, davvero, fino in fondo liberi – né uomini, né donne. Non ci parliamo ancora, davvero, da pari a pari».rnrnMai come in questo momento il rapporto tra donne e uomini appare incerto, inquieto, controverso – difficoltà che toccano il cuore stesso dell’identità umana. Riprendendo il filo di una riflessione avviata in un suo libro di più di vent’anni fa, e qui completamente rivisitata, Nadia Fusini affronta con coraggio la criticità di questa relazione, nel progetto di una nuova alleanza che ne ridefinisca il senso, al di là della lotta tra i sessi. Uomo e donna, maschile e femminile sono stati fino ad ora i nomi di un’irriducibile contrapposizione che ha dato intelaiatura al mondo reale; la nozione di realtà che possediamo presuppone tuttora questa trama di parole. Ma i significati di tali nomi e metafore stanno radicalmente mutando nel tempo presente. Chi sono gli uomini, chi le donne? Quale la relazione tra di loro? Quanto e come sono mutati il terreno e le armi dello scontro, le parole dell’incontro? Il come e il quanto di una simile trasformazione sono il cuore del libro di Nadia Fusini, che parla di un mondo dove le identità degli uomini e delle donne non sono determinate soltanto dalla differenza anatomica. Ma colte nella loro irriducibile singolarità.rnUn viaggio, dunque, tra quelle «mille pieghe della seta dell’animo umano» che l’Orlando di Virginia Woolf pensosamente indagava; un viaggio in cerca di una nuova fratellanza inquieta in compagnia delle più alte «consapevolezze» di un secolo, nel corso del quale per la prima volta una generazione di donne ha pensato e concretamente tentato di vivere un rapporto tra pari con l’altro sesso. -
Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto
«Algoritmo» è diventato ormai sinonimo di controllo sociale. Anche chi non saprebbe meglio definirlo, sa che le sequenze di formule matematiche nascoste dietro questo nome servono a governare l'elaborazione della sterminata quantità di informazioni generate continuamente dalla rete. Con la loro potenza di calcolo, e la loro apparente neutralità, questi «numeri magici» si presentano al nostro senso comune come i passe-partout per aprire ogni porta della nostra vita. Ma chi detiene davvero le chiavi degli algoritmi? Sono dispositivi neutri e inviolabili? O non sono invece espressione di una strategia di orientamento e governo sociale sempre più strettamente controllata dai loro «proprietari» ? Il saggio affronta con un taglio divulgativo, e un obiettivo molto pragmatico, il tema di una critica dei presunti automatismi che definiscono e classificano i nostri comportamenti. Il buco nero che ingoia la nostra libertà oggi non è tanto il condizionamento della nostra vita tramite l'uso dei nostri dati, quanto un'omologazione del nostro pensiero alle forme semantiche degli algoritmi prescrittivi. Non tanto il consumo, quanto proprio il cervello è la posta in gioco. Senza ombre di nostalgia, anzi con un'esibita e provocatoria adesione alla civiltà della rete, l'autore affronta il nodo di come la scienza matematica possa e debba essere oggetto di un nuovo contratto sociale e occasione di una negoziazione, anche conflittuale, fra gli utenti e i grandi players globali che sono proprietari dei dispositivi digitali. La posta di questo processo, come spiega Giulio Giorello nella prefazione al libro, è una nuova idea di libertà, in cui la potenza di un individuo sta nel passare da «calcolato» a «calcolante». Di fronte ai silenzi e ai balbettii della politica, che si divide fra subalternità tecnologica e rimozione della domanda sociale che ha prodotto la rete, è necessario prospettare un nuovo patto sociale, che concepisca le comunità di utenti (città, territori, università, categorie professionali, gruppi di consumatori) come soggetti negoziali della potenza di calcolo, per realizzare una nuova fase di quella «rivoluzione del sole» che cinquant'anni fa, nei campus californiani, spinse i migliori talenti giovanili a programmare software che avrebbero cambiato il mondo. -
Israele. Sogno e realtà di uno stato ebraico. L'identità nazionale tra eccezione e normalità
Tra i fondatori del movimento sionista che, nella seconda metà dell'Ottocento, auspicavano la creazione di uno Stato ebraico, molti sognavano una nazione che fosse né più né meno come tutte le altre. Quando, nel 1897, Theodor Herzl convocò il primo congresso del movimento sionista, non vi fu però accordo sul modo di riportare alla «normalità» la situazione del popolo ebraico. Herzl propose una «nuova società secolarizzata», dai tratti liberali, che potesse essere al tempo stesso la patria di ebrei e nonebrei; i sionisti dell'Est europeo propugnarono la riproposizione della lingua ebraica e la creazione di una cultura ebraica distinta e separata; i socialisti, dal canto loro, immaginarono una società fondata su comunità di lavoro agricole; e gli ortodossi sognarono una società imperniata sulle leggi delle antiche Scritture. Quando, all'indomani della catastrofe del secondo conflitto mondiale, divenne infine realtà la fondazione di Israele, lo Stato che ne emerse tra mille difficoltà nel 1948 rappresentò tutto meno che un'entità «ordinaria». Nato sulle ceneri del genocidio e di una lunga storia di sofferenze, Israele fu concepito per essere un unicum, una società modello, la sede di un Medio Oriente in grado di aspirare a una nuova modernità e a un'inedita prosperità. Ma fin da quel primo momento furono poste le basi per uno scontro tra i sogni del sionismo e la realtà dello Stato di Israele; uno scontro destinato a continuare fino a oggi. In questo affresco, Michael Brenner evidenzia il paradosso essenziale di questa lunga vicenda, divenuta sempre più decisiva non solo per gli equilibri geopolitici dell'area mediorientale, ma dell'intero scenario mondiale: il desiderio del popolo ebraico di essere al tempo stesso normale ed eccezionale. Si tratta di una contraddizione che attraversa tutta la parabola della definizione di una nuova identità ebraica e israeliana, e contemporaneamente la ricerca di un posto sicuro di Israele nel consesso delle nazioni. -
L' opinione pubblica. Nuova ediz.
In un mondo dominato dal web, dalla bulimia comunicativa e dalle cosiddette «fake news», può accadere di pensare che le ambiguità e le manipolazioni che presiedono alla formazione di un'opinione collettiva nelle nostre società democratiche si siano determinate solo di recente, e solo in funzione delle ultime innovazioni tecnologiche. Non è affatto così. La questione della formazione di un'opinione pubblica - che certo si è fatta più complessa e intricata nel mondo globalizzato di internet - ha origini ben più lontane. Questo libro ne è la più significativa e più consapevole testimonianza. Pubblicato nel 1922, ""L'opinione pubblica"""" conserva a distanza di cento anni la sua carica profetica, la sua lucida provocatorietà e la sua ricchezza descrittiva. L'autore, Walter Lippmann, avviato a una brillante carriera di giornalista e saggista, aveva ricoperto nel 1917 la carica di sottosegretario aggiunto Usa alla Guerra: un breve interludio, che gli aveva consentito di occupare un punto di osservazione strategico sulle convulsioni comunicative di una società democratica, apparentemente inconsapevole della propria complessità. L'assunto del libro - un classico «fondativo» della sociologia dei media - è limpido e preciso: come avviene quel complesso e solo apparentemente «normale» processo attraverso cui i nostri punti di vista, le nostre idee circa la sfera delle esperienze civili e politiche condivise diventano Opinione pubblica, Volontà nazionale, Mente collettiva, Fine sociale? In che modo «l'opinione pubblica» costruisce i propri miti, i propri eroi, i propri nemici, strappandoli alla storia e catapultandoli in una sorta di leggenda potentissima, e al tempo stesso effimera? Lippmann indaga e descrive i meccanismi attraverso cui le immagini «interne» elaborate nelle nostre teste ci condizionano nei rapporti con il mondo esterno, gli ostacoli che limitano le nostre capacità di accesso ai fatti, le distorsioni provocate dalla necessità di comprimerle; infine, la paura stessa dei fatti che potrebbero minacciare la vita consueta. A partire da questi limiti, l'analisi ricostruisce come i messaggi provenienti dall'esterno siano influenzati dagli scenari mentali di ciascuno, da preconcetti e pregiudizi. Il testo di Lippmann ci offre anche una lucida critica dei limiti insiti nel sistema democratico, che ambisce a governare società complesse attraverso meccanismi di formazione del consenso non sempre limpidi, trasparenti, irreprensibili, su cui è opportuno esercitare il massimo di attenzione e di vigilanza critica. Prefazione di Nicola Tranfaglia."" -
In nome del bene e del male. Filosofia, laicità e ricerca di senso
Le nozioni di bene e male sono indispensabili per vivere e, al tempo stesso, sempre insidiate da fraintendimenti e pregiudizi. Orlando Franceschelli - filosofo, impegnato da anni nella definizione di un'etica laica fondata sul radicamento dell'uomo nella natura - non si sottrae alla sfida di trovare risposta a una domanda radicale: in nome di quale bene e di quale male sarebbe auspicabile agire come singole persone e come gruppi sociali? In società come le nostre, investite da trasformazioni epocali, dal fanatismo terrorista, da nuove sfide poste dai dilemmi bioetici e dai progressi della ricerca scientifica, eludere questo interrogativo equivale a incamminarsi sul sentiero pericoloso dell'indifferenza e della deresponsabilizzazione. L'autore sceglie la via opposta a ogni disimpegno e chiarisce fin da subito la propria visione: l'identificazione del bene con la tensione verso la possibile felicità terrena - la propria e quella degli altri esseri senzienti umani e non umani - e del male morale con l'indifferenza egoistica verso la sofferenza. Una visione non condizionata da prospettive soprannaturali, in sintonia con una tradizione di pensiero che da Democrito arriva fino a Spinoza, Hume, Darwin, Leopardi, e si scontra con l'esaltazione della volontà di potenza proposta da Nietzsche. Nel ripercorrere il cammino dei grandi teorici del pensiero naturalista, Franceschelli mostra come dalla definizione di nozioni quali natura, male fisico o morale, bene individuale e beni comuni (inclusa la bellezza), felicità e sofferenza, si possa approdare a una concezione di bene e male condivisibile e compatibile con il rispetto del mondo naturale, sempre più minacciato, con la convivenza civile nelle società multiculturali e con i principi delle nostre Costituzioni liberali e solidali. La conclusione dell'autore è che la virtù della laicità - la sola che può garantire un dialogo alto tra credenti e non credenti - ci educa a praticare anche la più efficace solidarietà samaritana, ossia a soccorrere chi ne ha bisogno non solo per umana pietà, ma perché anch'egli aspira alla propria felicità e ha diritto a cercarla. -
Colette. Il genio femminile. Nuova ediz.
«Amo la scrittura di questa donna: ti rapisce all'istante e senza un perché. Ma una spiegazione c'è: Colette ha inventato il linguaggio per definire la strana osmosi tra i piaceri che alla leggera chiamiamo fisici e l'infinito del mondo». Questo linguaggio nuovo è l'oggetto primo dell'attenzione di Julia Kristeva, che ci offre un'avvincente e sofisticata rilettura critica della scrittrice francese, andando a scavare nelle parole con cui Colette «dice l'indicibile e nomina l'innominabile». Colette (1873-1954), la scandalosa autrice di meravigliose pagine di letteratura erotica, l'amante insofferente e anticonformista di donne e di uomini, resta tuttora un'icona dell'immaginario libertario femminile. Sposata tre volte, ballerina spregiudicata nei teatri della Francia fin de siècle, fu anche la prima donna nella storia della Repubblica francese a cui furono tributati funerali di Stato. Pagina dopo pagina, la tumultuosa vicenda biografica di Colette si mescola all'analisi del suo genio, facendo di questa biografia un punto d'arrivo nella comprensione di una delle menti più creative del XX secolo.