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Crepitio di stelle
Un grande romanzo sull'amore, la poesia e la memoria. Una storia famigliare che va dall'inizio del XX secondo fino agli anni Settanta e si snoda in tutta l'Islanda. Quella di Stefánsson è una scrittura che incanta e infonde nuova vita alla grande letteratura islandese.Una conchiglia e un sasso, ricordi di famiglia che fanno riemergere dal passato due grandi storie d'amore e di vita: quella burrascosa e irrequieta del bisnonno, uomo dalle mille risorse e mille debolezze, che sposa una diciassettenne cui resterà sempre legato malgrado l'irrefrenabile tendenza alla fuga, e quella tenera e triste del padre, apprendista muratore che, venuto a Reykjavík dai fiordi dell'Est, trova l'amore della vita in una ragazza ribelle e sognatrice, destinata a morire troppo presto lasciandolo con un bambino di sette anni. Quel bambino, oggi quarantenne, ripercorre con l'ingenuità dell'infanzia il dolore di quei momenti, le lunghe giornate di solitudine con i suoi inseparabili soldatini, la comparsa improvvisa e sconvolgente di una donna dal ruolo inquietante di matrigna. Ma riaffiorano anche i momenti quotidiani della vita del quartiere, il panettiere Böðvar dagli occhi tristi, le partite a pallone, l'amicizia con Pétur dalle mani delicate, le angherie del bullo Frikki. Ricreando attraverso la scrittura i meccanismi della memoria, dove il tempo si dilata e si contrae sovrapponendo immagini, pensieri, sentimenti e luoghi, Jón Kalman Stefánsson intreccia i destini di quattro generazioni di donne e uomini, vite effimere come le nuvole nei cieli d'Islanda, la cui incessante ricerca di un senso – nella vita, nel bisogno di radici, nell'inesorabilità della morte e del desiderio – è assoluta ed eterna, come lo sono una conchiglia e un sasso: «Un giorno, prima o poi, li riporterò tutti e due sulla Snæfellsnes e li lascerò al loro posto: il sasso sulla collina, la conchiglia in mare. Grazie per avermeli dati in prestito, dirò.» -
Il serpente
Scritto a 22 anni e fin'ora inedito in Italia, Il Serpente è il romanzo di esordio che consacrò Stig Dagerman come uno dei giovani autori di maggiore talento della sua generazione.rn«Il serpente è ovunque, trattenuto dal seducente gioco a nascondino in cui, con estro spietato, è costantemente impegnata la prosa di Dagerman, preso nel balletto delle ripetute dissimulazioni, nella fittissima rete di metafore per cui ogni cosa appare è un'altra cosa» - Alessandra Iadicicco, la Letturarn«Una storia di guerra, una metafora dell'assurdo» - Leonardo G. Luccone, RobinsonrnrnQuando nel 1945 Stig Dagerman pubblicò Il serpente fu accolto dalla critica come l'enfant prodige della letteratura svedese per la sua sorprendente modernità e la sua prosa potente e precisa. Scritto durante la Seconda guerra mondiale e ambientato in una Svezia nervosamente neutra in allerta militare, Il serpente riflette tutta la sensibilità dell'autore per l'inconscio, la giustizia sociale e la psicologia della paura. In un primo momento Il serpente sembra essere una raccolta di racconti fino a quando, in un brillante sviluppo della narrazione, le diverse storie si uniscono per rivelare le strutture tematiche sottostanti. Stig Dagerman scrive con uguale abilità dal punto di vista dei vari protagonisti, e attraverso di loro riesce a capire l'abisso dell'ansia e della paura sia dei soldati che della gente comune. Ed è sempre il serpente la materializzazione di questa paura: c'è il serpente catturato da Bill, un soldato di seconda classe che lo usa per imporsi su coloro che lo circondano; c'è il serpente che, riportato da uno dei soldati nella caserma, fugge dalla sua prigione e diffonde il terrore nella manciata di uomini che sono rimasti in questo immenso edificio polveroso e vuoto dopo la partenza del reggimento. In linea con la ferma convinzione della necessità etica (e politica) di non cedere a nessuna forma di consolazione, e soprattutto di fiducia nel futuro – un'idea faticosamente portata avanti in tutte le sue opere successive – Stig Dagerman sostiene la necessità di affrontare l'ansia direttamente, con la consapevolezza e l'introspezione, perché forse «questa è l'unica opportunità che abbiamo di mettere alla prova noi stessi». -
Leggende groenlandesi
Raccolte un secolo fa dal grande esploratore e antropologo Knud Rasmussen e trascritte in danese, la lingua del governo centrale, le Leggende groenlandesi ci consegnano intatto il millenario confronto di questo popolo dei ghiacci con una natura matrigna, fatto di paura ma anche di un ricco e originale immaginario con cui superarla.Un’isola enorme, la più grande del globo, con i suoi insediamenti sparsi e piccolissimi, unica dimensione sociale possibile per un’umanità che deve fare i conti con i ghiacci del Nord più estremo: questo il paesaggio che fa da sfondo alle storie della tradizione popolare groenlandese. I principi, le fate, le fanciulle da salvare e i regni da conquistare delle fiabe europee sono lontani un mondo intero; al centro, qui, c’è la dura quotidianità della sopravvivenza, filtrata attraverso strati ancestrali di miti e animismo che trasfigurano foche, narvali, beluga e trichechi – prede importanti per il sostentamento del popolo inuit – umanizzandoli, trasformandoli perfino in dimore per le anime di coloro che sanno tornare dalla morte. Le due grandi figure nodali, spesso sovrapposte, sono il cacciatore, capace di sfamare la sua comunità, e lo sciamano, che grazie a un duro apprendistato sa farsi intermediario tra l’uomo e le entità della natura che abita. Attorno a loro, spiriti ausiliari, giganti e nani di montagna, donne che sposano volpi e balene, orfani maltrattati che trovano la loro meritata rivalsa e vecchie mangiatrici di polmoni umani, tra arrampicate verso il paese dei morti in cielo, discese in un aldilà marino, visite all’uomo della luna, antichi codici da osservare, armi portentose e l’onnipresente kayak. -
Nel nome del figlio
Cosa significa vivere senza padre e convivere con pochi ricordi del passato, senza radici e nessuna voglia di trovarne di nuove? Björn Larsson firma un romanzo intimo e doloroso, un omaggio al padre prematuramente scomparso.«Bisogna dare un po’ di spazio alle pagine per capire di star leggendo la storia della vita di un uomo, uno dei tanti, non di Larsson, ma di un figlio che ha perso un padre, che non ha mai avuto l’amore di una madre, la storia di chi per tutta la vita si è cercato, e che da sempre si è chiesto se sarà capace di capire chi è, pur non avendo mai conosciuto da chi proviene.» – Roberta Borzillo per Maremosso27 agosto 1961. A Skinnskatteberg, nella Svezia centrale, una piccola barca a motore carica di sei uomini e due bambini prende il largo nel lago Nedre Vätter durante una gara di pesca. Un altro bambino, figlio dell'elettricista Bernt Larsson, non ha voluto accompagnare a bordo il padre ed è tornato a casa. A notte fonda lo sveglia un grido disperato: la zia ha saputo che la barca è stata ritrovata capovolta e i passeggeri sono dispersi. Gli otto corpi vengono poi recuperati, ma la dinamica dell'incidente resterà per sempre oscura. A Skinnskatteberg tutti piangono le vittime, tutti tranne il figlio di Bernt: lui per la morte del padre riesce a provare soltanto sollievo. Com'è possibile? Dopo molti anni quel bambino è diventato uno dei più importanti scrittori svedesi, ma ai personaggi delle sue storie non ha mai dato una famiglia, dei parenti, un passato, e si accorge di aver sempre vissuto da orfano, guardando più avanti che indietro. Di certo non ha mai rimpianto il padre, del quale ha solo una manciata di ricordi. Ma cosa significa, per lui e per chiunque, vivere senza radici e senza desiderarne? Tra dubbi e vuoti di informazioni, ha inizio la ricognizione di un legame di sangue, destinata a fare di quel padre solo la proiezione di un figlio. Sfilano, in questa indagine in bilico tra biografia e autobiografia, e tra narrazione pura e divagazioni scientifico-filosofiche, i grandi scrittori del passato che Björn Larsson ha letto e studiato, da Harry Martinson a Per Olov Enquist, da Marcel Proust all'amatissima Simone de Beauvoir, contribuendo a restituire, insieme al ritratto impossibile di un padre, una riflessione sulla memoria, sull'identità e sulla libertà. -
Lettere tra due mari
Dall'autrice di Isola, un racconto epistolare che riesce a dar voce a uno degli elementi più compromessi dall'intervento dell'uomo: l'acqua, gli oceani, i mari.«Jacobsen non abbandona temi suoi: identità, migrazione e il mare. Qui lo fa attraverso figure antiche che si parlano con voci vicinissime» - Giulia Ziino, la LetturaDue sorelle, Acqua Atlantica e Acqua Mediterranea, si scambiano lettere. Entrambe sono molto anziane, Acqua Mediterranea è però più giovane di Atlantica e non conosce l'origine della loro storia: un tempo lontano, quando le terre riuscirono a emergere, i mari furono separati. Cercarono a lungo il modo di riunirsi, ma ogni piano fallì. Oggi i mari, lontani e nostalgici, raccolgono «l'acqua» - cioè i ricordi e le vite di pescatori annegati, di barche piene di uomini che cercano di attraversare il Mediterraneo ma poi finiscono a marcire sul fondo o di bambini che rinfrescano il viso nel mare Tirreno – e si scrivono, scambiandosi pensieri e storie. Nel frattempo dall'Acqua Artica arriva la notizia che i mari si stanno espandendo, gira voce che la rivolta è iniziata e forse si stanno per riprendere la terra! il sogno dei mari, di riunirsi, potrà un giorno avverarsi... Definito dai critici un manifesto idro-femminista del nostro tempo, Lettere tra due mari è un libro poetico e particolarissimo sull'acqua e sul mare, ma anche sulla vita sulla terra e sul cambiamento climatico. -
Il guardiano
Il guardiano è un libro di suspence, quel tipo di suspence alla Hitchcock e David Lynch, e ispirato a grandi classici come Il deserto dei tartari di Dino Buzzati.Harry e Michel sono due guardiani responsabili della sicurezza in un condominio di lusso. Vivono nel seminterrato, non lasciano mai il loro posto, di tanto in tanto qualcuno consegna loro nuove provviste. Nessun segno di vita è percepibile all'esterno ma i loro sospetti che il mondo sia stato flagellato da un terribile disastro o da una guerra nucleare prendono forza quando i residenti iniziano ad andarsene. Completamente isolati, vivono in condizioni austere continuando però ad adempiere ai loro compiti con disciplina militare: glielo chiede l'Organizzazione per cui lavorano. Un giorno, un corteo di auto abbandona l'edificio, lasciando i due uomini nel dubbio. C'è ancora qualche abitante da proteggere? Poi arriva un terzo guardiano che interrompe definitivamente la loro esistenza segnata fino a quel momento dalla noia e dalla cieca obbedienza, e il mondo intero sembra crollare. Con una scrittura essenziale e di una precisione chirurgica Peter Terrin racconta la discesa agli inferi di due uomini in un mondo assurdo e spersonalizzato, lasciandoci con il fiato sospeso fino all'ultima pagina e stimolando di continuo le nostre riflessioni sulla paranoia e la violenza del mondo contemporaneo. -
Made in Sweden. Le parole che hanno fatto la Svezia
Un libro per capire la Svezia: dal sacro rapporto con la natura al successo dei suoi riformatori sociali, dall’infaticabile biologo Linneo alla poesia di Tomas Tranströmer. Senza dimenticare Pippicalzelunghe, gli Abba, Zlatan Ibrahimović, Ingmar Bergman, Ellen Kay e molto altro.Negli ultimi anni siamo arrivati a privilegiare tutto ciò che è scandinavo: il cibo, gli arredi, la narrativa, la moda e il modo di vivere in generale. Sembra che consideriamo gli svedesi e i loro vicini scandinavi come complessivamente più sofisticati ed evoluti di noi. Tutti aspiriamo a essere svedesi, a vivere nella loro società perfettamente progettata dal futuro. Ma se avessimo investito tutta la nostra fede in una fantasia? E se la Svezia non fosse mai stata così moderata, egualitaria o tollerante come vorrebbero (farci) pensare? Non c’è Paese infatti che sia stato più idealizzato come welfare state per antonomasia, patria del politicamente corretto, meta prediletta di rifugiati politici ed economici, superpotenza gentile, progressista e liberale. Ma la recente ascesa alla ribalta politica di un partito apertamente neonazista ha iniziato a rompere quest'illusione, ed ecco che ora la scrittrice svedese Elisabeth Åsbrink, che ama il suo Paese «ma non ciecamente», ci presenta – con spirito ironico, a volte provocatorio ma sempre ben informato – quaranta parole chiave per comprendere l'identità svedese. -
Le piramidi di giorni
Premio per la Letteratura Europea 2019, Le piramidi di giorni è una raccolta di racconti magistrali, un ritratto vivido e pulsante della Lituania contemporanea.Ci sono brevi momenti, nella vita, in cui le piramidi di giorni che il tempo poco a poco costruisce attorno agli esseri umani, ingabbiandoli, perdono miracolosamente consistenza, lasciando svuotati del loro senso terribile ore e minuti, passato e futuro. È la nostalgia, o il bisogno, di quegli attimi ad accomunare i personaggi di queste dodici storie: una madre con i figli lontani e uno nuovo, adottato, che lei non sa amare; i due giovani che si salvano a vicenda dall’apatia, facendosi un dono che trascende la morte; la bambina con una madre e due padri che la amano in ugual misura; le due sorellastre che cercano di ricostruire un rapporto dopo anni di silenzi, recriminazioni e sensi di colpa; il padre che in sogno si rivede nel figlio adolescente e riesce finalmente a capirlo. Le piramidi di giorni, Premio letterario dell’Unione europea 2019, disvela sullo sfondo della Lituania contemporanea le impronte sottili e ineffabili lasciate da ciascun rapporto umano e capaci di trascendere le leggi anguste del tempo, cogliendo quelle piccole epifanie che può creare un campo giallo di colza a giugno o il volo di due aironi al disgelo primaverile. Con delicatezza e maestria, Daina Opolskaitė stupisce il lettore descrivendo una quotidianità fatta di dettagli minuti e intrisi di significato: il profumo di fiori impigliato al cappotto del marito che rientra a casa, un bambino che con i polpastrelli sul vetro ghiacciato scopre il mondo, le lisce piastrelle di una cucina che ricordano i sassi levigati di una spiaggia lontana. -
Piovevano uccelli
Una sorprendente meditazione sulla libertà, sulla vecchiaia e sull'autodeterminazione, un romanzo in cui l'emozione, cruda e vivace, scaturisce da ogni pagina.«""Piovevano uccelli"""" è un romanzo per chi crede che si possa scegliere, ma anche per chi continua a sperare che il futuro abbia in serbo un ultimo, luminoso colpo di coda..» – Eleonora Capparella per MaremossoTre ottantenni che amano la libertà hanno scelto di vivere gli ultimi anni a modo loro, quasi senza contatti con la società, ciascuno nella propria capanna di legno nel folto della foresta canadese dell'Ontario settentrionale: Charlie, che ha rifiutato un destino di cure ospedaliere, Tom, che ha voltato le spalle a una vita dissoluta tra alcolismo e assistenti sociali, e Boychuck, taciturno e dall'oscuro passato. Unico contatto con il mondo esterno sono due personaggi ai margini della società: Steve, gestore di un albergo fantasma nella foresta, e Bruno, intraprendente coltivatore di marijuana. La visita di una fotografa sulle tracce degli ultimi sopravvissuti ai Grandi Incendi che hanno devastato la regione quasi un secolo prima sembra solo una breve parentesi nel loro isolamento, ma quando un'altra donna, fuggita dall'ospedale psichiatrico, arriva in quell'angolo sperduto del mondo, niente sarà più come prima: con l'aiuto dei suoi nuovi amici, l'anziana Marie-Desneige, un essere etereo e delicato che custodisce il segreto di amori impossibili, riuscirà a riprendere in mano la sua vita e a cambiare per sempre le regole di quella piccola e insolita compagnia. Il cauto, rigoroso rispetto degli spazi di ciascuno lascia il posto a un nuovo senso di comunità, a una condivisione delle emozioni e degli affetti che solo chi ha a lungo vissuto e sofferto può esprimere nella loro pienezza. Sullo sfondo silenzioso dei grandi spazi del Nord canadese, tra drammi del passato e nuove tenerezze del presente, Piovevano uccelli costruisce una storia luminosa di dignità e sopravvivenza, innalzando un inno alla libertà, fosse anche quella di ritirarsi dal mondo e scegliersi un'altra vita o quella di morire."" -
Venezia. Il leone, la città e l'acqua
Un vagabondaggio letterario, storico e filosofico dedicato a Venezia. Un sogno di palazzi e chiese, di potere e denaro, dominio e declino, un paradiso di bellezza.«Questa è da sempre una città per gli stranieri. Il trucco sta nel far durare l'incertezza quell'istante in più, essere veneziani per un attimo, prima che abbia luogo l'inevitabile smascheramento. Da un lato, loro vivono della nostra presenza, dall'altro sono minacciati dalla nostra massa, e alla sera lasciano la città come una barca che affonda. Ma come dimostrare di non essere massa?» Reportage e omaggio narrativo a Venezia, frutto di cinquantacinque anni di periodici soggiorni, questo libro particolarissimo e luminoso si compone di dodici capitoli dedicati ciascuno a una diversa peregrinazione attraverso la città per capirne e penetrarne la storia, il paesaggio, l'anima, o forse il genius loci. Grande narratore dalla curiosità inesauribile, Nooteboom riporta in vita non solo la tumultuosa storia della Repubblica ma anche i suoi dogi, i suoi eroi, i suoi magnifici pittori, i suoi architetti, i suoi cieli, e le sue «voci bronzee del tempo». Come sempre i compagni di cammino sono scrittori, poeti e pittori: Carpaccio, Tintoretto, Tiepolo, Giorgione, Canaletto, ma anche Casanova, Ruskin, Mann, Pound, Montale, Brodsky e molti altri che lo hanno preceduto. Non dissimile da altri libri di viaggio dell'autore, Venezia. Il leone, la città e l'acqua è molto più di un libro di viaggio, è un libro dove un'incredibile giovinezza dello spirito si unisce a una totale libertà di forma e di creatività. -
Il paradiso ritrovato
Lo humor e la poesia di Laxness raccontano la ricerca umana della felicità attraverso l’epopea picaresca di un contadino islandese che approda tra i mormoni dello Utah.«Conoscere, esplorare e confrontarsi con l’altro da sé è sempre stata una questione fondamentale per il popolo islandese: nella convinzione che ""la verità viene prima di ogni altra cosa"""" e che """"chi torna non è mai la persona che è partita""""» – Nicola Lecca, Robinson – la RepubblicaIl fatto è che, se il mondo smette di essere prodigioso agli occhi dei nostri bambini, non ne resta granché.Steinar, agricoltore idealista e lavoratore coscienzioso, vive pacificamente in una piccola fattoria nel distretto di Steinahlidar con la moglie e i due figli. Si dice che Krapi, il suo cavallo bianco, sia dotato di poteri magici e per questo è l’oggetto di molte bramosie. Ma invece di venderlo ai potenti della zona, Steinar va a Thingvellir a offrirlo al re di Danimarca Cristiano IX, in visita per celebrare il millesimo anniversario del primo insediamento islandese. Dopo aver accettato l’invito del re a Copenaghen, incontra il vescovo mormone Didrik, che lo convince a partire con lui per unirsi alla comunità mormone del Paradiso Terrestre, nella valle di Salt Lake nello Utah. Ma mentre Steinar si integra nella nuova vita comunitaria oltre oceano, la sfortuna si abbatte sulla sua fattoria: le pietre invadono il suo campo, la casa crolla, la famiglia si sfascia a causa dei soprusi e della povertà. Quando Steinar tornerà in patria per ricostruire la sua vita sarà molto più informato sugli ideali e sugli inganni del mondo e avrà scoperto che la felicità non dipende dal raggiungimento della verità eterna. Pubblicato la prima volta nel 1960, Il paradiso ritrovato è una storia commovente e ironica, composta in egual maniera da elementi favolistici, folklore e umili verità, un romanzo complesso e sorprendente su quanto lontano può spingersi l’uomo nella sua ricerca della felicità.COME COMINCIAAll'alba del regno di Cristiano figlio di Guglielmo, terzultimo dei sovrani stranieri che esercitarono il potere qui in Islanda, viveva a Hlíðar, in quelle campagne note come Steinahlíðar, un contadino di nome Steinar. Suo padre l'aveva fatto battezzare così in seguito alla pioggia di pietre franate dalla montagna nella primavera in cui era venuto al mondo. Al principio di questa storia, Steinar aveva moglie e due bambini, un maschietto e una femminuccia. Le terre di Hlíðar erano venute in suo possesso per eredità.Nel periodo in cui cominciano queste vicende, gli islandesi erano noti per essere il popolo più indigente di tutta Europa. Così erano stati anche i padri, i nonni, i bisnonni, risalendo fino ai primi colonizzatori; ma loro erano convinti che nei tempi antichi l'Islanda avesse conosciuto un'età dell'oro, in cui gli islandesi non erano contadini e pescatori, bensì eroi e poeti di sangue reale, provvisti di armi, ori e navi. Come altri ragazzi islandesi, anche il figlio del villico di Hlíðar aveva imparato in fretta a essere vichingo e uomo del re. Con il legname portato a riva dalle correnti s'intagliava asce... -
La prima volta che il dolore mi salvò la vita. Testo islandese a fronte
Una raccolta di poesie di Jón Kalman Stefánsson, uno dei più amati scrittori nordici.Poesie quotidiane, riflessioni sulla vita, versi estemporanei che anticipano i grandi temi dei suoi romanzi più conosciuti (le eterne domande dell'uomo, la vita, l'amore, il fallimento, il senso ultimo dell'esistenza, il potere dell'arte e della letteratura) e rispecchiano la sua specialissima scrittura che si distingue per la sottile ironia e una lingua di singolare ricchezza evocativa. «Perdonami ma / a causa dei numerosi impegni / per mettere su casa / procurarsi entrate / nazionalizzare i venti / va accantonata la vita / da oggi e per i prossimi giorni.» Oltre a tre raccolte di poesie scritte tra il 1988 e il 1994, La prima volta che il dolore mi salvò la vita contiene un lungo testo biografico in cui l'autore, con una scrittura magnetica che decanta l'essenziale, racconta con infinita tenerezza le sue improbabili origini di scrittore, la pubblicazione del suo primo libro, le vendite deludenti, le letture giovanili e l'atmosfera vivace ed elettrica della vita letteraria di Reykjavík e Sandgerði alla fine del XX secolo. «Lo scopo della vita / Non è facile trovarlo / tant'è / che io non l'ho trovato.» -
Un uomo felice
Dalla penna del maestro dell’umorismo nordico una satira feroce e spassosa sul denaro, il potere e le gioie della vita di una piccola città finlandese.Incaricato di costruire un nuovo ponte a Kuusmäki, piccolo paese sperduto tra i boschi e i laghi della Finlandia, teatro di un efferato eccidio di Rossi durante la Guerra civile, Akseli Jaatinen è destinato a suscitare una sospettosa diffidenza fin dalla sua comparsa, una nebbiosa mattina di marzo: possibile che sia davvero un ingegnere quell’energumeno che si presenta in camicia a scacchi e stivali di gomma, arriva in pullman come qualsiasi squattrinato e familiarizza subito con gli operai? Che non sia tipo da badare alle convenzioni è più che evidente, e basta poco perché i suoi modi liberi, la sua refrattarietà ai codici e alle gerarchie sociali e la sua insofferenza per ogni ipocrisia e sopruso trasformino la diffidenza dei notabili locali in guerra aperta: le autorità, la polizia e perfino il prete fanno di tutto per ostacolarlo e umiliarlo, finché non riusciranno a espellere dalla piccola comunità quell’estraneo che disturba la legge e l’ordine. Ma come in un western in salsa finnica, Jaatinen tornerà in veste di rampante imprenditore a compiere la sua beffarda vendetta di giustiziere. La rivincita dei Rossi contro i Bianchi, di un costruttore di ponti contro i difensori dei muri di una società chiusa e classista, che perpetua nell’immobilismo le sue disuguaglianze: scritto subito dopo L’anno della lepre, il romanzo rivela l’aperto intento politico, senza però mai perdere la vena ironica e paradossale di Paasilinna. E quel fondo di sottile malinconia, che è la sigla della sua genialità. Nelle umoristiche peripezie, i suoi protagonisti si ritrovano sempre a combattere contro i conformismi inseguendo obiettivi libertari, ma forse raggiungerli non basta, forse anche un uomo felice alla fin fine sogna di fuggire. -
L'anima delle città
La Parigi di Satie, la Amsterdam di Mahler, la Bologna di Morandi, la Cagliari di Eva Mameli Calvino e tante altre. Storie, ritratti d'artista, reportage, in una sentimentale flâneurie metropolitana dall'autore di Anime baltiche e Bagliori a San Pietroburgo.Bibliofilo, esploratore, flâneur, avventuriero, esteta, fine osservatore, paziente ascoltatore, turista. Jan Brokken ha dedicato la vita a inseguire le sue passioni: arte, poesia, musica, architettura. Ma soprattutto è uno scrittore che ha messo il suo prodigioso talento ritrattistico al servizio dei grandi uomini e delle grandi donne che di queste arti sono stati i massimi interpreti del Novecento. In un viaggio attraverso il tempo e i continenti, Brokken accompagna il lettore a passeggio tra le vie, le strade, le case che li hanno ispirati. La Bologna di Giorgio Morandi, la Venezia di Giovanni Bellini alla ricerca del rilegatore Paolo Olbi, la Düsseldorf dell'artista Joseph Beuys, la Parigi del compositore Erik Satie. Ad Amsterdam sulle tracce di Mahler, fino a Cagliari alla scoperta di Eva Mameli Calvino – madre di Italo – illustre naturalista e prima donna a dirigere un Giardino botanico in Italia. È sempre da un particolare, da un dettaglio spesso sfuggito ai biografi, dall'osservazione di uno scorcio, che Brokken riesce a infondere vita nuova e un itinerario inconsueto a strade già battute. Un compendio di brevi storie, tra il reportage e l'acquerello, che fanno capire il legame indissolubile tra la creazione e il luogo dove si origina e insieme vanno a ripercorrere un'educazione artistica e sentimentale. -
Fiabe finlandesi
Un nuovo volume nella serie delle Fiabe Nordiche di Iperborea dedicato alla tradizione popolare finlandese.Foreste, laghi, isole, ghiaccio: il paesaggio che il popolo finlandese ha sempre avuto negli occhi non poteva che diventare lo sfondo per le sue fiabe. E la mitologia finnica, quella che anima il grande poema epico Kalevala, ne ha arricchito le trame, già ricche in una terra alla confluenza tra folklore occidentale e folklore russo: in Finlandia, una figura fiabesca universalmente nota quale la matrigna cattiva può spedire la figliastra a Hiisi, dimora di spiriti maligni autoctoni, e autoctoni sono anche i vetehiset, le divinità lacustri con cui deve vedersela il giovane che con il poco che ha va a cercar fortuna. In una natura numinosa, di cui sono gli sciamani a custodire i segreti, gli animali della foresta parlano, aiutano e tirano scherzi, un lupo addirittura canta in preda ai fumi dell’alcol; e la neve porta le tracce di un viavai di slitte, di sci e di navi portentose capaci di solcare anche la terra, i bracci di mare sono attraversati da ponti spuntati d’incanto e nel cielo si viaggia a dorso d’aquila o di gabbiano. Tutti vagano, in queste fiabe, tutti sono in cerca di qualcosa: Ilmarinen, il fabbro sempiterno, va a maritarsi, due ragazzi cercano i loro sette fratelli tramutati in cigni, Lippo, partito per la caccia, ritrova casa dopo anni grazie al figlio, che darà inizio alla storia della Lapponia, e c’è perfino chi cerca, e trova, la via che porta i finlandesi alla felicità. Nella trascrizione che ne ha fatto Eero Salmelainen a metà Ottocento, con il suo stile diretto, conciso e venato di ironia, queste fiabe si avvicinano alla freschezza del canto popolare e insieme, per l’immediatezza e il peculiare umorismo, anticipano la narrativa finlandese dei nostri giorni. -
Noi, umani
Nel 2003, sull’isola di Flores, fu portato alla luce lo scheletro di un ominide destinato a riaccendere il dibattito sulle origini e l’evoluzione della nostra specie: l’Homo floresiensis risultava infatti alto poco più di un metro e dotato di una massa cerebrale estremamente ridotta. Una nuova specie, oppure un passo indietro nell’evoluzione? O forse un caso di nanismo, in una particolarissima area geografica dove sono state rinvenute ossa di rettili e cicogne giganti e di elefanti nani? Stuzzicato nel suo formidabile fiuto per le grandi storie, Westerman si immerge in un’indagine che lo porta dalle sponde della Mosa alle isole dell’Indonesia, sulle tracce dei nostri antenati. Presto, però, la questione delle origini si rivela elusiva, troppo disputata tra grandi paleontologi e scuole di pensiero, con i dibattiti scientifici spesso viziati da rivalità personali, prestigio internazionale e rancori postcoloniali. E la domanda su chi fosse l’uomo di Flores lascia spazio a interrogativi più disturbanti e urgenti: cosa ci rende geneticamente umani? Come è cambiata nel tempo la risposta a questa domanda, dalla paleontologia degli esordi alle tecnologie di oggi? Quanto il pensiero scientifico, con le sue pretese di oggettività, è invece un’inconsapevole vittima della storia? Dopo anni di viaggi e ricerche, intervistando esperti, leggendo diari dimenticati e testi scientifici, fino a partecipare a scavi e farsi mappare il genoma, Frank Westerman racconta delle nostre origini e di chi le ha studiate, favole avventurose di pionieri, autodidatti, luminari di una scienza forse troppo umana, ma non per questo meno importante e grandiosa. -
Gli invisibili. Saga dei Barrøy
Barrøy, una delle tante isolette a sud delle Lofoten, è nei primi decenni del Novecento il piccolo regno di una sola famiglia, che dell’isola porta il nome e in cui convivono tre generazioni. È in questo luogo fatto di periodici silenzi e di onnipresenti orizzonti, «la cosa più importante che hanno quassù», che cresce Ingrid Barrøy, ultima nata di una stirpe abituata a una vita poco più che di sussistenza. Scarsa terra da coltivare, qualche pascolo per le pecore, la torba da cavare, la pesca: queste sono le risorse messe a frutto con caparbietà da suo padre Hans e dal vecchio nonno Martin, tra ondate di neve e uragani, mentre la divisione dei ruoli impone che la madre, forte e «dallo sguardo obliquo, perché viene da un’altra isola», e la zia Barbro si occupino di rammendare le reti, pulire le piume e raccogliere le uova di edredone. Intanto Ingrid coltiva la sua accesa sensibilità di bambina, si lascia scivolare su pavimenti di ghiaccio affascinata dalle profondità marine sotto i suoi piedi e impara dal padre il coraggio: mai avere paura del mare in tempesta, perché un’isola non affonda mai, «è salda ed eterna». E se il mare è la strada che tutti loro ogni tanto prendono, qualcuno addirittura per scappare, «un’isola trattiene quello che ha, con tutte le sue forze», e a Barrøy si torna sempre. In una prosa calibrata, dove le emozioni trapelano come i tanti segreti che ha un’isola, Roy Jacobsen narra la saga di una famiglia che, ai margini della Storia e immersa nella grandiosa semplicità della natura, resiste alla modernità finché un equilibrio si spezza. E il nuovo molo voluto da Hans, sottraendo i Barrøy all’isolamento, diventa il simbolo concreto di un’era sul punto di scomparire. -
Bandito
Quando Sven Elversson torna a casa in Svezia, dopo anni di aristocratica educazione inglese e una spedizione al Polo Nord, ad accoglierlo trova solo diffidenza e disgusto: per quanto si metta al servizio della comunità, tutti lo evitano. Hanno saputo che lassù, tra i ghiacci, in preda alla fame e alla disperazione, ha mangiato carne umana, la colpa più grave che si possa commettere, che va contro uno dei più radicati tabù della civiltà: la sacralità della morte. Per i cannibali non c’è pietà. Neppure il giovane parroco riesce a perdonarlo. Anzi, è proprio lui, appena arrivato con la bella moglie Sigrun dalle lontane terre natali per fuggire la maledizione che grava sulla sua famiglia, a denunciarlo pubblicamente e a bandirlo dalla sua chiesa. E sarà lei, l’angelica Sigrun, che conosce la solitudine delle donne vittime di mariti che le «amano troppo» per lasciarle libere di realizzarsi, a vedere in Sven quello che è: un uomo buono e tormentato. Ma anche in quel villaggio di pescatori irrompe con la sua violenza la Prima guerra mondiale. E davanti alle atrocità di quella carneficina, sorge l’inevitabile interrogativo: è più sacra la morte o la vita? È più colpevole chi non rispetta un cadavere o chi accetta l’eccidio di uomini, donne e bambini? Con il crudo realismo di chi ha visto gli orrori del conflitto, ma anche con l’arte di chi sa fondere cronaca e leggende, avventure e senso del sovrannaturale, Selma Lagerlöf racconta una storia di caduta e redenzione che è una profonda denuncia non solo contro la guerra, ma contro tutto ciò che attenta alla dignità, alla libertà e alla sacralità di ogni singola vita umana.COME COMINCIAAnni fa sull'isola di Grimö, nell'arcipelago occidentale della Svezia, vivevano un marito e una moglie molto diversi tra loro.Il marito, più vecchio di una quindicina d'anni, non era mai sembrato altro che lento, flemmatico e piuttosto brutto, e certo non era migliorato con l'età, mentre la moglie era rimasta svelta e graziosa com'era sempre stata, e il suo amabile visino era così ben conservato che a cinquant'anni era attraente quasi come a venti.Una bella domenica sera, i due si erano seduti a chiacchierare in pace su una grossa pietra piatta che sporgeva dal terreno proprio davanti a casa loro. L'uomo, che parlava bene e amava ascoltare la propria voce, stava riferendo in modo dettagliato alla moglie un articolo che aveva appena letto su un giornale. Lei lo ascoltava, ma senza eccessiva attenzione.«Ah, quel Joel, quel Joel», pensava, «che riesca a tirar fuori così tante cose da una pagina di giornale! Ha davvero una testa straordinaria. Peccato che non sappia usarla a nostro vantaggio, ma solo per gli altri.» -
Viaggio al Nord
Nel 1936, mentre sull'Europa già incombeva lo spettro della guerra, Karel Čapek intraprese con la moglie il suo ultimo grande viaggio, attraversando la Danimarca e la Svezia con la ferrovia per proseguire in battello lungo le coste norvegesi fino a Capo Nord. Una meta sognata fin dall'adolescenza grazie al fascino delle imprese polari di Amundsen e Nansen e ora finalmente raggiunta, per il desiderio di conoscere da vicino i luoghi dei grandi scrittori della letteratura nordica. La dolcezza della pianura danese – un idillio bucolico di «poppe piene, frumento e grassi pascoli» – la calma delle foreste svedesi – che sembrano rivelare la placida neutralità del paese – e la severa, nuda roccia dei fiordi norvegesi ispirano a Čapek pagine pervase da un sincero, incantato lirismo. La meraviglia davanti ai paesaggi da sogno, non diversa da quella che si prova ai nostri giorni, è temperata da uno humour talvolta beffardo che si appunta in particolare nella descrizione dei personaggi incontrati: un vecchio marinaio alcolizzato, un gruppo di lapponi in costume che tentano di vendere la loro paccottiglia, un predicatore americano con il suo codazzo di attempate signore che imperversa con insopportabile entusiasmo rendendo impossibile la convivenza sulla nave. Il resoconto è inframezzato dai disegni dello stesso Čapek, la cui semplicità di tratto è lo specchio della precisione descrittiva e ne amplifica la bellezza: i profili dei monti, le forme degli alberi, il labirinto dei fiumi e dei laghi, i moli, le case di legno. Ma su tutto domina la magia della luce del Nord, il lento trascolorare del tramonto verso una nuova alba sotto il sole di mezzanotte, al di là del settantesimo parallelo.Il libro contiene anche numerose illustrazioni in bianco e nero dell'autore. -
Noi siamo luce
Vivere di sola luce, liberare il corpo dalla schiavitù del cibo per crescere interiormente. È il sogno di Melodie, che con le migliori intenzioni trascina nel suo progetto estremo tre persone segnate come lei dalle sofferenze della vita: la sorella Elisabeth, più anziana, Muriël e Petrus. Violoncellista mancata e leader risoluta ma suadente della piccola comunità Suono e Amore, Melodie guida da qualche tempo i tre compagni nella pratica della musica, della meditazione e dell'apertura alle emozioni proprie e altrui, in un cammino verso l'accoglimento di se stessi e l'armonia generale. Culmine del percorso è il «processo dei 9 giorni», con cui i quattro si sottraggono alla «dipendenza» dal cibo per vivere «un'esistenza più naturale e sostenibile», in sintonia tra loro e con il mondo. Ma una notte Elisabeth muore di denutrizione, dopo che il gruppo le è rimasto accanto senza chiamare soccorso. Una morte «molto naturale», si difende Melodie quando i tre, da idealisti che erano, diventano per la polizia possibili criminali. E ora che ciascuno nella sua cella può chiedersi chi è senza gli altri, venticinque testimoni-narratori ricostruiscono a turno i fatti e s'immergono nella coscienza dei personaggi, portandone a galla le illusioni, i ricorsi all'autogiustificazione e i nuovi interrogativi. La storia che ne risulta, sfaccettata, intensa e venata d'ironia, s'ispira a un fatto di cronaca e ci offre uno spaccato del nostro tempo, colto nel momento in cui l'aspirazione a migliorarsi e il bisogno atavico di appartenenza incrociano le nuove forme di irrazionalismo e deragliano.