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Architettura è democrazia. Frank Lloyd Wright parla con gli studenti
Parlando agli studenti di architettura, Frank Lloyd Wright insiste sul fatto che manca un'educazione per gli architetti, che gli ingegneri fanno molti danni perché sono privi di quel senso poetico e artistico che è proprio del vero architetto; e rovescia la vecchia querelle ottocentesca che all'ingegnere riconosceva il primato di chi progetta la struttura e fa stare in piedi l'edificio, relegando l'architetto quasi nel ruolo di decoratore: ma un architetto che non sappia costruire un grattacielo anche sotto il profilo tecnico, per Wright non è un architetto. La sbornia e la mondanità dello star system architettonico all'inizio del XXI secolo ha prodotto una spettacolarità avulsa da ogni legame urbanistico: vige l'eccezione creativa, lo sballo immaginifico dell'architetto. Il koolhaassiano Junk Space procede così di pari passo con la Bigness e oggi ci si può chiedere se il decostruttivismo non sia stato, in fondo, un frutto abortivo di quella libertà dell'artista che per Wright era a monte dell'""architettura organica"""". È chiaro però - per citare ancora Koolhaas - che oggi «la sovversione è un nuovo tipo di stile», la cui bulimia espressiva ha smantellato in fretta un secolo di dibattiti sull'etica del progetto moderno. Perciò l'urgenza di una nuova educazione dell'architetto, invocata da Wright, è un fatto che riguarda anche noi."" -
Praga
Questo libro si compone di tre ""opere"""". """"L'occhio di Praga"""" è un saggio poetico di Michel Butor, costruito come """"collage letterario"""" ispirandosi ai collages di Jiri Kolàr sulla Praga di Kafka. L'opera è unita, in dialogo strettissimo, a """"Risposte"""", una riflessione di Kolàr sul proprio fare artistico. Nell'""""Occhio di Praga"""" di Butor, il punto di partenza è la poesia di Baudelaire. La scelta potrebbe parere anomala, dal momento che è Kolàr stesso, in """"Risposte"""", a indicare Mallarmé (ma, con qualche limite, pure Marinetti) come iniziatore della langue poetica contemporanea; in questo fiancheggiando una lunga e autorevole tradizione critica. Ma Mallarmé è etereo, di una raffinatezza estenuata, difficile, a volte impervio; e sempre teso in una ricerca nervosa, di uno splendore metallico, tanto quanto Baudelaire è imbevuto degli umori e delle opacità, dei profumi e dello sporco del vivere. Per questo la """"materia Baudelaire"""" assomiglia così tanto alla """"materia Kolàr"""", alle vecchie banconote usurate, alle scatole di cartone con le marche e i disegni, ai libri che nessuno legge più, ma che rivivono scolpiti, bucherellati, a strisce e frange. Una materia impura, carica di batteri, di segni, di storie, che viene rimontata - come fa Butor con un mazzetto di celebri versi baudelariani a risignificare e risignificarsi."" -
Tolstoj. L'ultima profezia
"Il cristianesimo tolstojano è definito """"artificiale"""" da Zweig, quasi che l'approdo evangelico altro non fosse che una terapia intensiva per lenire i mali interiori del vecchio guerriero. Le pagine più belle del ritratto che segue sono, non a caso, quelle tese a riprodurre un giorno della sua vita quotidiana, fra impavide corse a cavallo nel bosco e squallide riunioni familiari. Il proprietario terriero è costretto a convivere con l'anarchico spirituale. Come quando, vedendo un campo incolto, vorrebbe rimproverare i contadini che non lo curano, ma di fronte alle parole della povera donna che si difende coi bambini attaccati alla sottana, non resiste alla tentazione di farle l'elemosina. L'uomo antico lotta contro il nuovo una battaglia sanguinosa che finirà senza vinti né vincitori. Una condizione che, come sappiamo, condurrà Tolstoj a sottrarsi alla moglie e a tutto ciò che lei, nella mente del fuggiasco, incarna. La risoluta impennata s'interrompe alla stazione di Astapovo dove il vecchio maestro muore. L'occhio di Zweig si fissa proprio sull'ultimo declino, poco prima della maldestra e rocambolesca evasione senile che noi dovremmo inquadrare, al di là della vicenda che riguarda il grande narratore russo, nella totalità della serie biografica da lui conclusa."""" (Eraldo Affinati)" -
Casanova
"Casanova vive una vita che ha il suo massimo splendore in un periodo che dura giusto un quarto di secolo: dalla Guerra dei Sette Anni alla Rivoluzione francese, ovvero l'età dell'oro di quella figura, di cui l'Europa pullula, che è l'avventuriero: oltre a Casanova, vero principe dei principi, l'irlandese John Law; quel D'Eon, """"un ibrido mezzo uomo mezzo donna"""" che ha in mano la politica internazionale; il barone Neuhoff; Cagliostro; il vecchio Trenk, che verrà ghigliottinato; Sain Germain. Se qualcuno obiettasse a Zweig, come talvolta è capitato, che la scrittura di Casanova non ha luce e non dà suono, non conosce la forma, Zweig non avrebbe problemi ad ammettere che i suoi versi puzzino di colla accademica, mentre i suoi romanzi utopistici e i suoi discorsi filosofici fanno sbadigliare. Eppure, questa sua """"Iliade erotica"""" ha generato il miracolo del raggiungimento dell'immortalità, proprio attraverso la scrittura. Casanova ha scritto soltanto quando è stato messo definitivamente alla porta dalle donne e dai signori che ha di volta in volta servito o gabbato, ormai divenuto """"solitario mendico impotente"""", rifugiandosi """"nel lavoro come in un surrogato della vita che gli viene a mancare"""". Ha fatto di tutto per rendersi facile l'esistenza: non ha mai rinunciato a una briciola del proprio piacere, a un atomo dei suoi godimenti, a un minuto della sua gioia per dedicarsi """"alla severa dea dell'Immortalità""""..." -
I giornalisti
Scritto tredici anni dopo l'avvento della Monarchia di Luglio (1830), fra richiami all'ordine imposti ai giornali d'opinione e l'affacciarsi di una nuova stampa industriale che si rivolge a un pubblico più largo di quello dei notabili e delle classi borghesi, il pamphlet di Balzac - che vede qui la luce in una edizione che presenta per la prima volta anche due testi satirici di Gerard de Nerval e Marcel Schwob - mantiene intatta la sua vena corrosiva verso quella che oggi, secondo alcuni, dovrebbe essere il ""cane da guardia della democrazia"""". Balzac sentenzia senza mezze parole: """"Se la stampa non esistesse, non bisognerebbe inventarla"""". Caustica affermazione cui segue questo assioma: """"Si ucciderà la stampa come si uccide un popolo, donandogli la libertà"""". Balzac individua due tipi di giornalista: il pubblicista e il critico, e scompone entrambi in varietà e sottogeneri. Lo si potrebbe anche definire un trattatello di sociologia dell'informazione, scritto con una verve satirica che si nutre dei veleni che Balzac si è inoculato accumulando sconfitte nella sua febbrile attività di pubblicista e fondatore di riviste dalla vita breve. Eppure questo pamphlet è una delle cose più durature di Balzac, una sorta di antropologia del complicato intreccio fra politica e quarto potere nella società borghese, dove arrampicatori e corrotti, cinici uomini di Stato e vanitosi tromboni usano la stampa per le loro scalate sociali. Prefazione di Edoardo Castagna."" -
Il lato oscuro della fede. Religioni, violenza e pace
Küng e Ricoeur si addentrano nella parte oscura delle religioni, anzi ne affrontano forse l'aspetto più eclatante e anche indagato: la violenza. Perché le religioni generano così spesso contrapposizione, scontro, guerre, morte? Si tratta di un fenomeno inevitabile, perché ""il pericolo della violenza è alla base di ogni convinzione forte"""" (Ricoeur)? Come fare per superarlo (Küng si diffonde qui sul """"Manifesto per un'etica planetaria"""", elaborato dal Parlamento delle religioni del mondo a Chicago nel 1993)? Domande che moltissimi altri studiosi, filosofi e teologi e capi religiosi, hanno affrontato: a testimonianza - se non altro - della realtà e dell'urgenza del problema. Se si vuole, non tanto risolvere, ma almeno affrontare il nodo della violenza """"religiosa"""" nonché degli altri mali derivati dalle fedi, bisogna anzitutto riconoscere che le religioni - tutte - sono espressioni fallibili e incomplete, ed esiste un """"oltre"""" che nessuna casta sacerdotale possiede e nessun dogma esprime appieno. Per vincere la violenza, e gli altri mali delle religioni, bisogna insomma che con uno sforzo radicale di autocritica ogni religione accetti di andare oltre se stessa. Prefazione di Roberto Beretta."" -
Il futuro dell'Africa. Lettera a un amico africano
Questi brevi scritti sull'Africa di Emmanuel Mounier, apparentemente poco più che appunti di viaggio, in realtà strutturano un discorso sul Continente Nero fortemente coerente con l'impostazione ""personalista"""" del filosofo e uomo di cultura francese. Tra il 1946 e il 1947, pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel 1950, il fondatore della rivista """"Esprit"""" visita buona parte delle colonie francesi nell'Africa occidentale. Chiare le preoccupazioni politico-culturali: nell'avviarsi del processo di decolonizzazione quale futuro è prevedibile, e auspicabile, per territori che offrono una quantità inalterata di problemi alle genti che con fatica li popolano? Sono trascorsi settant'anni da queste pagine ma lo sviluppo dell'Africa non si è realizzato. Anzi, è diventata terra per lo shopping dei potenti della globalizzazione che si accaparrano risorse, grandi appezzamenti, fomentano contrasti fra i popoli del continente nero che sfociano in guerre sanguinose. Oggi si sente dire spesso, a fronte della massiccia immigrazione dai paesi del nordafrica, """"aiutiamoli a casa loro"""", che alla luce della storia recente e dello sfruttamento che l'Occidente ha fatto di questi popoli e di queste terre suona certo un po' ipocrita. Era, pur con le evidenti ipoteche paternalistiche dell'europeo civilizzato, anche l'idea di Mounier. Ma come metterla in pratica oggi con senso di giustizia?"" -
Dante, Beatrice e l'ideale femminile. Scritti sulla poesia amorosa
Remy de Gourmont, definito da Apollinaire ""Herpes Trismegisto"""" a causa di un lupus che lo aveva sfigurato costringendolo a un isolamento forzato, è una di quelle figure atipiche di cui è costellato il firmamento letterario francese a cavallo tra Ottocento e Novecento. Amico di Mallarmé, Huysmans, Mirbeau, Jarry, con il quale condivise l'esperienza della rivista """"L'Ymagier"""", fondò con Alfred Vallette il """"Mercure de France"""""""". Nel primo dei tre testi qui presentati, Dante, Beatrice e la poesia amorosa, uscito nel 1908, Gourmont passa in rassegna alcune espressioni della lirica medievale, soffermandosi in particolare sul rapporto tra l'autore della Commedia e Beatrice. Quest'ultima non viene considerata una donna in carne e ossa ma rappresenta l'archetipo della donna angelicata, con tratti che ne fanno una «statua aureolata», a cui idealmente viene contrapposta l'immagine di Francesca che, nonostante si trovi come ombra che vaga «per l'aere maligno» con il suo Paolo, ancora rimpiange «il tempo de' dolci sospiri». Viene qui raccolto in volume anche il saggio Dante, Beatrice e Platone del 1883, dove si possono cogliere sottili differenze interpretative rispetto al primo scritto. Il libro si chiude con Le donne e il linguaggio del 1902 in cui Gourmont, senza rinunciare ad alcuni tipici pregiudizi dell'epoca, riconosce alla donna un ruolo primario nello sviluppo linguistico umano."" -
Mi ha dato nell'occhio. L'arte contemporanea e la sua schizofrenia
"Se è la costanza quotidiana del lavoro a fornire il nutrimento migliore all'ispirazione di un artista, al punto che Baudelaire non poneva distinzioni tra l'una e l'altra, ancora di più, tale assunto, vale per un critico d'arte. Una singolare forza inventiva sembra davvero scaturire dallo stimolo esterno e dall'applicazione giornaliera, scorrendo le pagine dense del libro di Maurizio Cecchetti, che appaiono frutto di uno sguardo allenato a cogliere, anche negli episodi del presente, gli argomenti estetici che meritano scandaglio e sedimentazione. Partendo da singoli 'prelievi istologici', come l'autore stesso li chiama, il testo riesce a dispiegare precise e illuminanti analisi intorno a quelle che possono definirsi le patologie ricorrenti nell'arte, contemporanea e non. Maurizio Cecchetti traccia il percorso dei sintomi, ne insegue le abitudini e riesce a stanare i tic nervosi del sistema artistico, senza la pretesa di impartire terapie o prescrizioni, ma offrendo un vasto corredo interpretativo del fenomeno. Un episodio di cronaca, che vede protagoniste l'installazione di un artista di grido e un'anziana signora addetta alle pulizie del museo, può costituire il termometro più semplice ed eloquente di un distacco, di una mutazione genetica in atto. Il sottotitolo parla non a caso di schizofrenie e di certo una scissione è avvenuta da tempo tra la liturgia delle arti visive e l'attuale 'Urbi et orbi'."""" (Massimo Pulini)" -
Venezia
"'Una corona di città fiorenti, simili a ninfee sospese su uno stelo flessibile e altrettanto effimere, cingeva una volta le isole del Rialto, sulle quali doveva nascere la loro figlia ed erede più felice, Venezia'. A trent'anni, quando parla di Venezia, Julius von Schlosser ha l'occhio incantato e preciso di Monet, che nello stesso decennio inizia a dipingere le Nymphéas. Come lui potrebbe ritrarla a tutte le ore e i minuti, sorvolandola dalle nubi dei suoi vedutisti - Canaletto, Bellotto, Guardi - o sprofondando tra le palafitte come i suoi marangoni, i magici carpentieri che rappezzano i legni putrefatti dall'acqua, sottraendo Venezia alla morte. Nella sua luce di Fata Morgana proietta tutti i paesaggi che dalla preistoria si sono mutati senza requie in quel miracolo orientale di specchi cangianti, colpendo per sempre l'immaginazione di Turner, di Ruskin, di Proust, di Yeats, di d'Annunzio, di Frederick Rolfe e di Federico Fellini, che a Venezia voleva dedicare il suo film più impossibile, modello della sua stessa mente: la sua natura riflessa e inafferrabile. Le origini di Venezia e Venezia nel XVIII secolo, editi sull''Allgemeine Zeitung' nel 1897, compongono un capolavoro di erudizione e ispirazione, tra le testimonianze più belle verso la Serenissima, a opera di uno dei più grandi storici dell'arte."""" (Rosita Copioli)" -
Trilogia della vita vagabonda. Tre romanzi felici
"L'uovo di Silesius"""" è una fiaba dai tratti esoterici e giocosi. """"Fondamenti di vita celeste sulla terra"""" segue le vicende di un drappello di mendicanti sguinzagliati in un mondo post-naturale. """"Vaniglio road"""" è un'avventura fra le stanze di un Museo delle Meraviglie dislocato in Canada. I tre romanzi della Vita Vagabonda sono zampillati all'improvviso dalla testa dell'autrice, nati e cresciuti uno dopo l'altro come estrose utopie di vita. In comune l'allegria e il gusto per gli sbalzi narrativi e stilistici da cui affiora un sentimento della vita intensamente immaginativo nel solco di speciali predilezioni pittoriche, letterarie, cinematografiche. Scritture in cui l'autrice si è ritagliata uno spazio di libertà assoluta, ma non senza una coerenza """"tutta sua""""." -
L' immagine dei milanesi nella vita quotidiana (1790-1890)
Le stampe, le illustrazioni e le caricature ci hanno tramandato un'immagine poco nota dei milanesi lungo tutto il corso dei cento anni che vanno dal 1790 al 1890. Un secolo che vide un susseguirsi di vicende storiche ed economiche che portarono la città alla sua fisionomia di centro culturale, commerciale e industriale all'alba del XX secolo. Mode e costumi dei milanesi appartenenti alle diverse classi sociali vennero rappresentati spesso mettendone in risalto gli aspetti più umoristici. Tutte le tecniche di stampa vennero utilizzate, dalle incisioni in rame alla xilografia, alla litografia, per finire negli ultimi anni dell'Ottocento alle oleografie, che ebbero a Milano il più importante centro di produzione italiano e che costituirono esse stesse una particolare forma di gusto estetico. Dalle mode venute da Parigi subito dopo la Rivoluzione francese, passando sotto il regno di Napoleone e poi la Restaurazione austriaca, la libertà di esprimere le idee politiche era strettamente sottoposta a censure e trovava unico sfogo nella moderata critica sociale o nella rappresentazione della vita quotidiana. Il '48, per quanto di brevissima durata, costituì un momento culminante del secolo, dando vita a una produzione caricaturale di dimensioni sconosciute in Italia. La vita dei milanesi, con l'unificazione della nazione fu oggetto di una satira di costume sempre più legata ai modi di vivere delle classi borghesi ed espresse i suoi risultati migliori nei decenni tra il 1860 e il 1880. -
Milano e l'Islam. Conoscenza e immagine di arabi e turchi tra primo '800 e primo '900
Il rapporto tra Milano, l'Islam e le sue popolazioni è una pagina di storia rimasta finora inesplorata. L'apertura della città ai grandi temi dell'illuminismo europeo, poi il suo progressivo coinvolgimento nelle vicende mediterranee con il Risorgimento e la politica coloniale del giovane Regno d'Italia, ebbero l'inevitabile conseguenza di metterla in contatto con i molteplici mondi dell'Islam, in precedenza qui poco o nulla conosciuti. Nel corso del libro, attraverso gli occhi di studiosi, viaggiatori, esuli, esploratori, artisti e pellegrini, ritroviamo l'Islam che essi si rappresentarono, che raffigurarono nei loro libri, nelle scenografie e nella pittura, che apprezzarono negli oggetti delle loro collezioni e vollero imitare nella decorazione e nell'architettura, che presentarono all'opinione pubblica sulla stampa e nelle grandi esposizioni. Non ne venne un'immagine coerente, come uno stile della città nel rapporto con questi mondi, piuttosto una molteplicità di giudizi, spesso tra loro contraddittori. Prevalsero le descrizioni distaccate, prive di coinvolgimento, cariche di pregiudizio, qualche volta potentemente negative; vi furono tuttavia anche donne e uomini capaci di andare oltre il muro dell'estraneità e costruire con le realtà incontrate un rapporto di reciproco scambio, ricco di possibili sviluppi. La doppia eredità di quel lungo Ottocento è ancora attiva nell'opinione pubblica e nelle istituzioni. -
La rivoluzione nera. Con una lettera di Martin Luther King dal carcere di Birmingham
Per Thomas Merton la soluzione dei problemi politici e sociali della condizione dei neri d'America implicava, necessariamente, ascoltare la voce ""pura e profetica"""" dell'uomo nero in quanto nero, in mezzo ai clamori dei falsi profeti """"scettici e ridicoli"""" della modernità capitalistica. Perché solo nell'ascolto di quelle voci, nel rispondere al loro appello, il peccato originario della civiltà occidentale, il fatto di essersi costituita grazie alle ingiustizie perpetrate su razze considerate inferiori, poteva essere espiato e superato. Questo riconoscimento della funzione quasi provvidenziale dei neri, la loro vera rivoluzione, in realtà suona come l'ennesima conferma della condizione di peccato nella quale versa la società dei bianchi. Era la stessa battaglia che combatteva Martin Luther King e che nella sua lettera dal carcere diventa epitome di una condizione universale di ingiustizia e sopraffazione. Ma il latente e mai sopito conflitto razziale negli Stati Uniti ci dice molto più di quanto la semplice storicizzazione di quegli eventi potrebbe insegnarci. Viene in mente la chiusa del libro di Alasdair MacIntyre, """"Dopo la virtù"""", nella quale viene evocato il momento in cui """"uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l''imperium' romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale 'imperium'"""". È la necessità che queste pagine indicano come un compito ancora irrealizzato, ma non irrealizzabile."" -
Più del colera la solitudine. Conversazioni con García Márquez
Due conversazioni con lo scrittore latino-americano sulla sua opera letteraria alla vigilia del Premio Nobel che riceverà nel 1982. Il romanzo che lo identifica per il grande pubblico, ""Cent'anni di solitudine"""", lo vincola anche a una responsabilità del successo ottenuto, che diventa in certi momenti persino """"ingombrante"""" e lo spinge a dire: «Ne ho piene le tasche di questo Garcia Màrquez». Da queste interviste emergono gli intrecci strettissimi con l'esperienza giornalistica come reporter in molte parti del mondo, le influenze sulla sua scrittura - dalla giovanile infatuazione per La metamorfosi di Kafka alla scoperta di Faulkner -, ma anche la sua visione politica, legata al socialismo, con la difesa di Fidel Castro e la condanna della distorsione dell'ideale di uguaglianza ed emancipazione dell'uomo da parte dell'Unione Sovietica. Tutto comincia dalla realtà, confessa Garcia Màrquez, ma è l'immaginazione che rende credibile ciò che può anche sembrare se non surreale certamente un frutto del sogno. Quel volo onirico è un balsamo al senso della propria solitudine che lo spinge a raccontare. Lo scrittore confessa che la sua ricerca consiste nel ritrovare quella verità """"orale"""" che avevano i racconti magici della nonna, e afferma che a un autore tutto è permesso a patto che il suo racconto venga creduto da chi lo legge come una realtà possibile. In queste conversazioni c'è tutto il distillato poetico della scommessa narrativa del grande scrittore. Con un saggio di Harold Bloom."" -
L' altra fine del capolavoro sconosciuto
Frenhofer è il pittore misterioso che Balzac ha posto al centro del suo celebre racconto ""Il capolavoro sconosciuto"""". Ormai anziano, Frenhofer sta dipingendo da anni il ritratto di una bellissima donna la cui immagine è così vera da apparire """"viva"""". Amico di Porbus, un pittore con cui Frenhofer discute le sue idee artistiche, lo invita a recarsi nel suo atelier per svelargli finalmente il quadro segreto. Porbus accetta e porta con sé un altro amico, Nicolas Poussin, ancor giovane ma già ambizioso e consapevole sostenitore della classicità nella pittura. Il rito magico li pone di fronte a una singolare scoperta: fra sconcerto e meraviglia la tela appare loro come una mascherata di colori, un'informe tessitura da cui fuoriesce, su un lato, il particolare stupendamente dipinto di un piede femminile. Pur ammirando il talento che Frenhofer ha profuso in quel dettaglio, Porbus e Poussin non possono fare a meno di costatare che per la maggior parte il quadro è una indistinta crosta di colore senza capo né coda. Frenhofer, ferito e umiliato dalla loro reazione, congeda bruscamente gli ospiti con un addio che suona perentorio e definitivo. Il giorno dopo, infatti, recandosi di nuovo a casa di Frenhofer, Porbus scopre che il vecchio pittore ha dato fuoco alle sue opere ed è morto. A volte il sogno può cambiare il finale di una storia e creare un gioco di specchi che porta alla luce un altro riflesso della verità."" -
Lettere a mia madre dalla Cina
"Saint-John Perse (Guadalupa 1887 - Giens 1975), pseudonimo di Marie-René Alexis Saint-Leger Leger, è il poeta degli spazi sconfinati, dei Venti e delle Nevi dei grandi poemi sulla Natura rischiarati dai bagliori di Baudelaire e di Rimbaud. La sua poesia, ricorda Manrico Murzi, """"è quella di un enciclopedico, che per immagini e metafore, attinge alle tante discipline dello scibile umano: astronomia e astrologia, botanica e zoologia, esoterismo ed ennetismo, alchimia è chimica, entomologia e mineralogia..."""". Eppure anche dopo il Nobel del 1960, """"per il volo sublime e il linguaggio evocativo della sua poesia che in modo visionario riflette gli stati del nostro tempo"""", Romeo Lucchese, suo infaticabile traduttore, si rammaricava del fatto che in Italia l'opera di Perse restasse incompresa. """"Poeta per poeti"""", """"poeta diffìcile"""", così la condanna. A oggi, purtroppo, il vento non è mutato. Perse è un esiliato dal nostro Canone. E l'esilio è una delle grandi ossessioni della sua poesia. Come per Ovidio, Dante Brodskij. Queste Lettere a mia madre dalla Cina, tradotte da Luana Salvarani, risultano cosi indispensabili per riportare la giusta attenzione sul grande Dimenticato. Sono lettere che risalgono agli anni della delicata missione diplomatica in Cina (1916-1921). Grazie a quell'esperienza, il poeta, che aveva già pubblicato Images à Cmsoé ( 1909) ed Éloges, (1911) ideò la sua fortunata Anabasi. Fuoco, terra, aria e acqua. Acqua di mare, soprattutto..."""" (Alessandro Rivali)" -
Girard. Oltre il sacrificio. Conversazione con Girard
Il cristianesimo è il primo e insuperato illuminismo. Il sacrificio viene smontato, abbattuto con l'ultimo della serie, quello che tutti li compendia e li assomma, quello della Croce. Non c'è alcuna compiacenza dolorista: Cristo muore perché deve morire come migliaia e migliaia di altre volte sono morti altri come lui, vittime innocenti del sacrificio, di quel meccanismo che evita che la violenza si diffonda a tal punto da precipitare il reale tutto nell'informe e nell'indifferenziato. Cristo ha preso la parola per la vittima, ha svelato il non detto della sua morte. Non un inconscio umbratile e chiaroscurale, ma la chiara affermazione del discorso della vittima: sono innocente. Il contrario del vittimismo. È riuscito il cristianesimo a garantire, nel tempo storico che ha inaugurato, questo illuminismo? Lo ha davvero reso efficace in questi duemila anni a tal punto da far arretrare la violenza sacrificale fin quasi a predisporre le condizioni per l'affermarsi in terra del Regno di Dio e a garantire la riproduzione sociale al di fuori degli schemi sacrali del capro espiatorio? No, non è riuscito. In queste conversazioni Girard ci dice anche questo... -
Cenacolo Belgioioso. Le caricature
Oltre alla magnifica galleria dei ritratti, presentati nell'altro volume, è sopravvissuta alla dispersione del ricco patrimonio artistico della Società degli Artisti e Patriottica un'altra serie grafica che rimane un'importante testimonianza della ininterrotta vitalità di un'associazione che ormai vantava origini antiche. Mentre la galleria dei ritratti restituisce attraverso il volto degli artisti che l'hanno frequentata la storia dell'associazione nella seconda metà dell'Ottocento e nei primi quattro decenni del secolo successivo, questa raccolta di caricature assume più una testimonianza della dimensione mondana prevalente appunto negli anni Venti e Trenta del Novecento, quando anche per ragioni storiche l'impegno politico e militante veniva a spegnersi. Nella maggior parte dei casi sono gli stessi pittori a passare dal serio all'ironico e, dopo essersi ritratti in posa ufficiale, composta e talvolta compiaciuta, si divertivano a sbeffeggiarsi a vicenda. Palanti, Morelli, Martinenghi, Mossa o Bettinelli si cimentano, con piglio e sincerità, nel rito goliardico della caricatura. Altri iscritti al circolo o le fedeli modelle ne fanno le spese, venendo trasformati in macchietta, vedendosi ridotti a una forma geometrica o finendo nella lente deformante delle mani più veloci e sarcastiche della città meneghina. -
Cenacolo Belgioioso. I ritratti
Questa straordinaria galleria di ben centoquarantaquattro ritratti, miracolosamente sopravvissuta nella sua integrità grazie a un provvidenziale intervento di tutela e alla sensibilità del suo attuale proprietario, Giorgio Baratti, alla dispersione del patrimonio artistico della Società degli Artisti e Patriottica, rappresenta una testimonianza fondamentale non solo per ricostruire la fisionomia artistica, ma anche il volto, attraverso l'immagine dei protagonisti della vita culturale, di Milano dalla seconda metà dell'Ottocento fin oltre la Seconda Guerra mondiale. L'associazione, sorta nel 1844 con sede in via dei Bigli, si era fusa nel 1875 con la Società Patriottica, nata nel 1776 nella Milano illuminista di Maria Teresa e Giuseppe II. L'istituzione vantava una raccolta di dipinti, statue, stampe e libri d'arte che ""andò man mano arricchendosi per una ininterrotta produzione di ritratti di soci, nata senza direttiva, senza scelta di persone da effigiare, senza riguardo di meriti di nome e di anzianità, sicché accanto a ritratti di maestri sommi troviamo qualche nome ignoto, accanto a pittori e scultori di fama qualche pallido dilettante"""". Questi ritratti ci restituiscono la memoria di alcuni dei protagonisti della propria epoca, come Domenico Inchino, Giuseppe Bertini, Eleuterio Pagliano, Sebastiano De Albertis, Federico Paraffini, Angelo Morbelli, Achille Beltrame, Giuseppe Palanti.""