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La musica romantica
"Gli scritti critici di Robert Schumann costituiscono una testimonianza della vita musicale romantica d'insostituibile valore. In essi è la rivelazione di Chopin, presentita con indescrivibile acume sin da un'opera della più acerba giovinezza; di Berlioz, imposto all'attenzione del pubblico europeo con una memorabile analisi della Sinfonia fantastica; di Brahms, annunciato solennemente come l'iniziatore di nuove vie in un ultimo scritto che è al tempo stesso una sorta di testamento spirituale e la consacrazione di una novella forza creatrice. [...] Come sempre avviene quando si tratta di uno scrittore ben vivo e originale, la critica schumanniana ha un timbro inconfondibile e tanto più raro in quanto dal musicista si è soliti attendere disquisizioni tecniche aride e secche, mentre in essa il tono poetico supera di gran lunga quello minuziosamente esegetico, delizia del mediocre e del pedante. [...] L'acutezza del giudizio si accompagna non soltanto alla raffinatezza del gusto, ma a un'assoluta probità morale che è veramente da pregiare quando si mostra così costante in tutte le manifestazioni di una lunga, quotidiana attività inevitabilmente esposta, per sua natura, a tentazioni non buone."""" (Dallo scritto di Luigi Ronga)" -
Estetica, etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva
«L'opera della mia vita è stata di ""vivere"""" l'opera d'arte, di girarla e rigirarla sul palato del mio spirito, di meditare e sognare su di essa; poi, nella speranza di meglio comprenderla, di scriverne. Il regno dell'arte è un mondo, in sé e per sé, fondato su ciò che è attuale. Ci offre, quando siamo esauriti dallo sforzo di distaccarci dalla confusione e dal ronzio dell'attuale, il riposo e il refrigerio che bramiamo prima di prendere il volo e d'innalzarci alla regione dei concetti, delle astrazioni, della matematica pura. È un regno in cui non possono trovar luogo reazioni di piacere fisico o di pena fisica, poiché né quello né questa possono attraversarne le frontiere senza lasciare indietro ogni principio attivo. È un regno al di là della sensazione fisica, e tuttavia è un regno che non può non servire di modello e d'ispirazione a ciò che è attuale. È il regno delle sensazioni immaginarie»."" -
Parmigianino, «peritissimo alchimista»
"E avesse voluto Dio che il Parmigianino avesse seguitato gli studi della pittura, e non fusse andato dietro ai ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco di quello che l'aveva dotato la natura e il cielo!... finalmente, avendo pur sempre l'animo a quella sua alchimia, come gli altri che le impazzano dietro una volta, ed essendo di delicato e gentile, fatto con la barba e chiome lunghe e malconce, quasi un uomo salvatico ed un altro da quello che era stato, fu assalito, essendo mal condotto e fatto malinconico e strano, da una febre grave e da un flusso crudele, che lo fecero in pochi giorni passare a miglior vita"""". (Giorgio Vasari)" -
Scritti e conversazioni
«Come realizzare l'arte? Dalle masse, dal movimento, dagli spazi ricavati da quel che ci circonda, dall'universo. Da masse differenti, slanciate, gravi, intermedie, ottenute da variazioni di dimensione o di colore. Dalle direzioni - ovvero dai vettori che rappresentano il movimento, la rapidità, l'accelerazione, l'energia e così via - che generano angoli significativi e orientamenti, definendo assieme una o più risultanti. Dagli spazi e dai volumi, suggeriti da un'opposizione appena accennata alla loro massa se non trafitti dai vettori, attraversati in un impeto. Nessuno di questi elementi è determinato. Ognuno può muoversi, agitarsi, oscillare, avanzare e indietreggiare in un rapporto mutevole con ciascuno degli altri elementi di questo universo». -
Vite di Caravaggio. Testimonianze e documenti
Lombardo per i lombardi, romano per i romani e napoletano per i napoletani (ma anche siciliano e maltese), Caravaggio appassiona e divide ormai da più di quattrocento anni. Come è noto, il mito è relativamente recente: l'universale e indiscriminata ammirazione è stata preceduta da secoli di distinguo, di sopraccigli alzati, di pareri ben poco favorevoli, che si sono anche rispecchiati nella solo parziale fortuna di Caravaggio nella formazione dei grandi musei ottocenteschi. Constatata l'estrema scarsità di «parole» uscite direttamente dalla penna o dalla bocca di Michelangelo Merisi, fosse anche solo una firma in calce a un contratto, da un secolo è in corso la paziente immersione di specialisti e appassionati negli archivi civili, giudiziari, ecclesiastici, notarili e bancari di diverse città. Oltre naturalmente allo spoglio degli inventari delle collezioni antiche. Questo piccolo volume desidera mettere a disposizione in modo essenziale le fonti principali, cominciando dalle scarne ma importanti frasi pronunciate da Caravaggio durante un interrogatorio giudiziario, di gran lunga la più corposa testimonianza diretta che sia giunta fino a noi, per proseguire con i più importanti testi a stampa di vari scrittori d'arte del Seicento: van Mander, Giustiniani, Mancini, Baglione, Sandrart, Bellori. Sono sempre e comunque questi i testi di partenza per ogni ricognizione sull'opera di Caravaggio; spesso tuttavia vengono citati in forma frammentaria, collegando qualche frase di volta in volta a un dipinto o a un episodio biografico. (Stefano Zuffi) -
Vincent Van Gogh
"Una storia nota quella di Vincent, forse la più famosa vita d'artista di tutti i tempi, apparentemente raccontata qui nella sua versione più lineare e semplice, complicata invece perché piena di riflessi. (...) La biografia di Vincent scritta da Johanna è una biografia della ricerca della serenità, una appassionante sequenza di momenti tranquilli e di crisi in qualche modo risolte, bellissima sequenza di momenti tranquilli e di crisi in qualche modo risolte, bellissima sequenza di delusioni d'amore, che Johanna racconta con comprensione e dolcezza."""" (dalla postfazione di Elio Grazioli)" -
Quando anche le donne si misero a dipingere
«Non credo facile stabilire quando le donne si siano messe a dipingere: anche il caso, marginalissimo, di una monaca miniatrice è una pura ipotesi. Il Trecento fiorentino, se a qualcuno gli frullasse per il capo, la respingerebbe come suggestione diabolica. Magari carico di prole femminile, mai che un pittore pensasse a farsi macinare i colori da una figlioletta. Pensate: una Laudomia di Bicci, una Ginevra di Fredi? Vengono i brividi solo a pensarlo. E, per carità, nessun nome femminile fra i contemporanei di Pollaiolo, di Botticelli. L'avvento di Michelangelo cancellò del tutto la donna e altrettanto seguì coi suoi discepoli diretti o indiretti: basta pensare al Pontormo, al Rosso, caratteri lunatici, spauracchi delle pareti domestiche. [...] Fu sulla metà del secolo sedicesimo che qualche cosa cambiò: certi padri cominciarono a vezzeggiare le loro bambinette, che, furbette, non tardarono a profittarne». -
Il mito di Parigi. Saggi e motivi francesi
«Parigi è matura per avvicinarsi al mito. Assorbe del mito i caratteri fondamentali: la natura collettiva, unitaria, misteriosa e irrazionale, il senso di fiduciosa continuità nel tempo. Lontana da ogni elaborazione artificiale di efficienza pubblica e di bellezza (come fu il mito di Pietroburgo), è un simbolo luminoso che affonda le proprie radici nel buio. Gerusalemme di un mondo laico, appare come un enorme organismo in movimento, bello perché è vivo, animato nel suo divenire da una vita sotterranea, piena d'ombre e profonda». -
Sulla poesia ingenua e sentimentale
"Nel saggio «Sulla poesia ingenua e sentimentale», pubblicato tra il 1795 e il 1796, Schiller completa quel suo percorso estetico che vede al centro, nella rilettura originale di alcuni temi kantiani, le questioni della poesia, della natura, del tragico, del sublime e della grazia. Questo scritto ha un profondo significato «simbolico» nel lavoro schilleriano: è infatti non solo l'ultimo dei saggi dedicati ai temi dell'arte e della poesia, ma segna anche quello che lui stesso chiama un «congedo dalla teoria». Proprio per tale motivo, è uno scritto che risulta essere in profonda sintonia con la sua produzione «estetica» precedente, di cui è quasi un organico «completamento». Ebbe infatti una grande risonanza e un immediato successo. Successo ovviamente favorito dallo «schema» generale dello scritto, che si innesta sia sulla già utilizzata capacità schilleriana di costruire il suo pensiero su fortunate «coppie» concettuali, sia sul richiamo a una polemica culturale precedente, la secentesca Querelle tra Antichi e Moderni che viene più o meno esplicitamente «riattivata». Infatti il termine «ingenuo» deriva dagli «effetti» di quella antica e fortunata polemica, dal momento che venne utilizzata dal suo fondatore Charles Perrault e più volte ripresa nel corso del Settecento, in particolare francese. Quando Schiller distingue tra poesia ingenua e poesia sentimentale non vuole limitarsi a operare un'interpretazione «storica» (da un lato i classici e dall'altro i moderni, cioè i romantici), bensì segnare la tipologia del rapporto di unità o scissione tra l'arte, l'uomo e la natura. Questo rapporto è «estetico», legato cioè alla relazione sensibile che il poeta ha con il nucleo veritativo e simbolico dell'opera nel suo rapporto con la natura."""" (Dallo scritto di Elio Franzini)" -
Walter Gropius e la Bauhaus
«Walter Gropius è un uomo del primo dopoguerra. La sua opera di architetto, di teorico, di organizzatore e direttore di quell'ammirevole scuola d'arte che fu la Bauhaus è inseparabile dalla condizione storica della repubblica di Weimar e della fragile democrazia tedesca. La sua razionalità, la sua positività, il suo stesso ottimismo nel disegnare programmi di ricostruzione sociale brillano sullo sfondo buio della sconfitta tedesca e dell'angoscia del dopoguerra: la sua fede in un avvenire migliore del mondo nasconde uno scetticismo profondo, una lucida disperazione. Non era soltanto una difesa psicologica e morale: quel supremo prestigio della ragione era anche l'ultima eredità della grande cultura tedesca, l'unica forza di riscatto che la Germania potesse attingere dal proprio passato. L'opera di Gropius s'inquadra nella crisi dei grandi ideali, che caratterizza la cultura tedesca del XX secolo; nasce anch'essa dalla disgregazione dei grandi sistemi e dalla fiducia riposta in una critica costruttiva, capace di porre e risolvere i problemi immediati dell'esistenza. La razionalità che Gropius sviluppa nei processi formali dell'arte è affine alla dialettica della filosofia fenomenologica ed esistenziale (soprattutto di Husserl), cui è di fatto storicamente collegata: si tratta in sostanza di dedurre dalla pura struttura logica del pensiero delle determinazioni formali di validità immediata, indipendenti da ogni Weltanschauung. Nella sua opera il rigore logico acquista evidenza formale: diventa architettura, come condizione diretta dell'esistenza umana». -
Le carceri
"Piranesi fu uno dei pochi geni tragici d'Italia, avendo a soli compagni Dante e Michelangelo. E ciascuno di questi geni era tragico, perché con lui si chiudeva un'epoca, un ciclo. Con Dante il Medioevo e secoli di violenza, di amor cortese e di visioni mistiche erano giudicati e riassunti in una costruzione apocalittica. Con Michelangelo il Rinascimento, e un mondo di esaltati titani vacillava sull'orlo della stanchezza, e la voluttà di Leda si mutava nel languore tenebroso della Notte. Ma con Piranesi tutto quello che l'Italia aveva avuto di civiltà, di sublimità di moli magnifiche, di gloria d'imperatori e di pontefici, di apparati festivi di gaie scenografie, di pompe funebri di solenni esequie, trovava il suo monumentale epitaffio."""" (Dall'introduzione di Mario Praz). Con uno scritto di Henri Focillon." -
La nuova oggettività tedesca
Nel 1918 la Germania esce sconfitta dalla guerra; l'imperatore Guglielmo II abdica e fugge, mentre focolai di insurrezione (e poi di reazione e quindi di guerra civile) si accendono in tutte le maggiori città; lo stato tedesco, che nel 1919 si costituisce in Repubblica di Weimar, è costretto dai vincitori a restituire schiaccianti debiti di guerra e si trova così a fronteggiare un'inflazione incontrollabile e con essa una disoccupazione dilagante e una criminalità atroce. È su questo scenario drammatico che si delinea il movimento della Nuova Oggettività, a cui si possono ricondurre artisti come Dix, Grosz, Schad, Schrimpf, Beckmann, Schlichter e molti altri, dei quali questo libro raccoglie le dichiarazioni di poetica. Realtà, naturalismo, verismo sono le loro parole d'ordine. All'afflato lirico e dionisiaco dell'espressionismo, che voleva porre l'individuo al centro dell'universo, subentra una dichiarazione di sfiducia nei confronti dell'io e un appello alle cose, alla dura lezione dei fatti. All'arte non si chiede più un'interpretazione o una trasfigurazione della natura, ma una descrizione esatta, impersonale, fotografica. Per questo si parla di «impassibilità», «asciuttezza», «sobrietà», «precisione», «chiarezza», «fedeltà al dato». Si cerca un linguaggio che non comunichi emozioni, ma informazioni e assecondi non l'effusione dei sentimenti, ma il loro superamento. Franz Roh, nel suo libro Realismo magico (1925), sostiene che la bellezza dipende «dalla forza gelida dell'immobilità, dal sottrarsi implacabile a ogni movimento». E Max Beckmann già nel 1918 scrive: «Amo la pittura, credo, perché costringe a essere oggettivi... L'unica cosa che può dare un senso alla nostra esistenza è dare agli uomini un'immagine del loro destino». -
Paul Cézanne
"Lavoro accanitamente, intravedo la Terra promessa. Farò come il patriarca degli ebrei, o riuscirò, contrariamente a lui, a mettervi piede? Se l'avrò finita entro febbraio, le spedirò la tela perché la faccia incorniciare e l'indirizzi verso un porto ospitale. Ho dovuto abbandonare i suoi fiori, di cui non sono troppo contento. Ho un grande studio in campagna. Vi lavoro, e qui sto meglio che in città. Ho fatto qualche progresso. Ma perché così tardi e con tanta pena? L'Arte è dunque un sacerdozio che esige uomini puri che gli si votino totalmente?"""". (Lettera di Paul Cézanne ad Ambroise Vollard)" -
Arte e astrologia nel palazzo Schifanoja di Ferrara
«Già da parecchio tempo vedevo chiaramente che un'analisi iconologica particolare degli affreschi di Palazzo Schifanoja avrebbe dovuto rivelare la duplice tradizione medioevale del mondo figurativo delle divinità antiche. Qui possiamo, seguendo le fonti, chiarire fino nei particolari tanto l'influenza della sistematica dottrina delle divinità olimpiche, come la tramandavano i dotti mitografi medioevali dell'Europa occidentale, quanto anche l'influenza della mitologia astrale, come essa si conservava imperturbata nei testi e nelle immagini della pratica astrologica. La serie degli affreschi murali di Palazzo Schifanoja a Ferrara rappresentava le immagini dei dodici mesi. Il simbolismo complesso e fantastico di queste figure ha resistito finora a ogni tentativo di elucidazione; dimostrerò, estendendo il campo di osservazione a Oriente, che esse sono elementi sopravvissuti di una concezione astrale del mondo delle divinità greche. Sono di fatto null'altro che simboli delle stelle fisse i quali, errando per secoli dalla Grecia attraverso l'Asia minore, l'Egitto, la Mesopotamia, l'Arabia e la Spagna, certo hanno perduto in pieno la chiarezza dei loro contorni greci». Il saggio è corredato dalle riproduzioni dell'intero ciclo degli affreschi del Salone di Rappresentanza di Palazzo Schifanoja. Con uno scritto di Fritz Saxl. -
La nuova architettura e il Bauhaus
«Nutro la convinzione che la Nuova Architettura sia destinata ad assumere una portata molto più ampia di quella che oggi ha l'attività edilizia; ritengo inoltre che attraverso lo studio dei suoi vari aspetti procederemo verso una ancor più ampia e profonda concezione del design come grande organismo unitario, specchio dell'indivisibilità, dell'immensità e della fondamentale unità della vita stessa, di cui esso è parte integrante. Sembra che il dominio della macchina, la conquista di una nuova idea di spazio e il lavoro pionieristico della ricerca di un comune denominatore per le nuove forme del costruire abbiano quasi esaurito le forze creative degli architetti di questa generazione. La prossima porterà a compimento il perfezionamento di queste forme, rendendo possibile la loro generalizzazione.» (Walter Gropius) -
Confessione creatrice e altri scritti
«L'arte è una similitudine della creazione. Essa è sempre un esempio, come il terrestre è un esempio cosmico. La liberazione degli elementi, il loro raggruppamento in sottoclassi composte, lo smembramento e la ricomposizione in un tutto da più parti contemporaneamente, la polifonia figurativa, il raggiungimento della quiete mediante la compensazione dei movimenti: sono tutti alti problemi formali, fondamentali per la conoscenza della forma, ma non ancora arte della cerchia superna. Nella cerchia superna, dietro la pluralità delle interpretazioni possibili, resta pur sempre un ultimo segreto - e la luce dell'intelletto miseramente impallidisce. Si potrebbe ancora ragionare dell'effetto benefico esercitato dall'arte, dicendo che la fantasia, mossa da stimoli istintivi, ci finge situazioni le quali sono più ricche di suggerimenti e incoraggiamenti delle situazioni terrestri a tutti note, o anche delle situazioni ultraterrene di cui siamo consapevoli. Dicendo che i simboli confortano lo spirito, affinché si renda conto che non gli è data solo la possibilità terrena, per quanto la si possa arricchire. E che la serietà etica veglia, e con lei un coboldico riso, su preti e dottori». -
Il Cenacolo di Leonardo
«Dai suoi scritti, vediamo come il temperamento dolce e tranquillo del nostro Leonardo fosse incline ad accogliere in sé le manifestazioni più diverse e più turbolente. La sua dottrina insiste dapprima su forme generalmente belle, ma poi al contempo anche sulla precisa attenzione a ogni anomalia, fino all'orribile. Si consideri l'Ultima Cena, dove Leonardo ha raffigurato tredici personaggi, dall'adolescente al vegliardo: uno pacatamente rassegnato, uno spaventato, undici eccitati e turbati dal pensiero di un tradimento in seno alla famiglia. Qui si osserva l'atteggiamento più mite e più composto fino alla esternazione delle più violente passioni. Se tutto questo doveva essere preso dalla natura, quale fu l'attenzione alle occasioni, quale il tempo richiesto per scovare tanti particolari e rielaborarli nell'insieme! Perciò non è affatto inverosimile che Leonardo abbia atteso all'opera per sedici anni, senza giungere a conclusione né col traditore né col Dio fatto uomo, e proprio perché entrambi sono soltanto concetti, che non si vedono con gli occhi». Con uno scritto di Marco Carminati. -
Aforismi sull'arte
«Il primo errore nel campo dell'estetica e della teorica dell'arte consiste nell'identificazione dell'arte con la bellezza, come se l'uomo avesse bisogno dell'arte per farsi creare un mondo del bello. È da questo primo errore che derivano tutti gli altri equivoci. Sarebbe da ricercare quando questo preconcetto si sia affacciato per la prima volta e dove abbia le sue radici. Sembra che sia antichissimo e abbia un fondamento così plausibile da giustificare il suo dominio incontrastato fin dai tempi più remoti nella sfera tutta di queste ricerche». -
La confessione come genere letterario
«La filosofia che non ha umiliato la vita ha umiliato se stessa, ha umiliato la verità. Come ridurre la distanza, come fare in modo che vita e verità s'intendano, la vita lasciando lo spazio per la verità e la verità entrando nella vita, trasformandola fin dove è necessario senza umiliarla? Quello strano genere letterario chiamato confessione si è sforzato di mostrare quel cammino attraverso cui la vita s'avvicina alla verità ""uscendo da sé senza essere notata"""". Il genere letterario che ai nostri giorni ha osato riempire il vuoto, l'abisso terribile, già aperto, dell'inimicizia tra la ragione e la vita. La confessione sarebbe in tal senso un genere di crisi non necessario quando la vita e la verità si sono accordate. Ma non appena sorge la distanza, la minima divergenza, esso si rende nuovamente necessario. Per questo sant'Agostino inaugurò il genere con tanto splendore; perché è l'uomo """"vecchio"""", abbandonato e offeso, così come può esserlo l'uomo moderno, che alla fine fa amicizia con la verità». Con uno scritto di Carlo Ferrucci."" -
Del sublime
«L'angoscia della caducità è il vero punto di partenza di Schiller. Nulla è più terribile della rappresentazione della morte, dell'impossibilità di fissare per sempre la pienezza dell'essere. «Anche il bello deve morire!» è la solenne esclamazione iniziale di una delle sue più compiute composizioni liriche, la «Nänie». E la morte è anche il tema ricorrente di questi tre saggi sul sublime e sul patetico. Privata di questa sua tragica dimensione, la cultura estetica rischia di diventare una cultura della menzogna, un occultamento della caducità dell'esistenza e delle sue forme. Il sublime deve quindi «accompagnarsi al bello», nel senso di esprimere la sua più profonda e tragica dimensione, rivelando il caos che si cela dietro l'armonia e la razionalità delle forme, l'orrore della caducità; mentre la cultura della mera bellezza è denunciata come mistificazione, come cultura della décadence. Il sentimento del sublime è dunque un gesto di rinuncia: di riconoscimento dei limiti della soggettività; ma è anche un gesto di utopia: di fondazione del proprio essere nel mondo. La tragicità dell'esistente, i limiti del sensibile (dell'intelletto) si rovesciano continuamente nel sentimento del sublime in valore, nella percezione dell'infinità della natura razionale dell'uomo.» (Dallo scritto di Luigi Reitani)