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Su Rodin
«Prima di essere celebre, Rodin era solo. E la celebrità, una volta sopraggiunta, lo ha reso forse ancora più solo. Giacché la celebrità è in fondo soltanto la summa di tutti i malintesi che si addensano attorno a un nome nuovo. Quelli che circondano il nome di Rodin sono moltissimi; dissiparli sarebbe un compito lungo e faticoso. D'altronde non è necessario; si assiepano attorno al nome, non attorno all'opera, che è cresciuta a dismisura ben oltre il suono e i limiti di quel nome, fino a cancellarlo e a rendersi anonima come una pianura o un mare, abbreviato in un appellativo sulle carte, nei libri e tra gli uomini, ma in realtà fatto di spazio, moto e abisso. L'opera di cui mi accingo a parlare è andata crescendo attraverso gli anni e cresce ogni giorno come una foresta, incessantemente. Ci si aggira tra i suoi mille oggetti sopraffatti dalla ricchezza dei reperti e delle invenzioni che la compongono, e istintivamente si cercano le mani che hanno dato forma a questo mondo. Ci si rammenta quanto piccole siano le mani dell'uomo, come si stanchino presto e quanto sia breve il tempo loro concesso per agire. E nasce il desiderio di vedere le due mani che hanno vissuto come cento, come un popolo di mani destatosi prima dell'alba per incamminarsi sulla lunga via che conduce a quest'opera. Ci si chiede chi sia il dominatore di quelle mani. Che uomo è mai?». -
Le lettere
"Sono qui raccolte [...] tutte le lettere di Amedeo Modigliani (Livorno 1884-Parigi 1920), i principali scritti che rimangono dell'artista. Dalle lunghe confidenze, pervase di slanci dannunziani e nietzscheani, inviate all'amico Oscar Ghiglia agli inizi del secolo, alle brevi corrispondenze con il suo mecenate parigino Paul Alexandre, a cui scrive tra l'altro il celebre aforisma «la felicità è un angelo dal volto grave»; dalle righe asciutte e commoventi indirizzate alla madre ai messaggi allegri e disperati mandati al mercante Zborowski, dettati da esigenze pratiche, ma capaci di aprirsi a riflessioni non occasionali («l'uomo è un mondo che a volte vale i mondi interi»), questi scritti, nella loro essenzialità, nella loro assoluta assenza di retorica, disegnano un ritratto dell'artista più autentico di tante testimonianze romanzate. Vissuto a Parigi dal 1906 al 1920, l'anno della prematura morte a soli trentacinque anni, Modigliani è stato una figura leggendaria dell'età delle avanguardie. La sua arte, vicina al cubismo e al primitivismo, ma non dimentica dei maestri del Trecento e del Quattrocento toscano alla cui lezione attinge costantemente, ha esercitato un fascino ineguagliato, eppure è ancora oggi più nota che conosciuta, più famosa che realmente compresa."""" (La curatrice)" -
Scritti, poesie, lettere. Ediz. italiana e inglese
"Più di molti artisti - e di ogni vero artista - Dante Gabriel Rossetti ha inscritto nei propri dipinti un'estetica di cui coscientemente non fu mai del tutto consapevole. È questo il frutto di due opposte operazioni, che rendono le sue opere al tempo stesso trasparenti e opache, semplici e sfuggenti. Da un lato ogni suo dipinto discende da un'attenta costruzione razionale, da una progettazione in cui, con minuziosità ossessiva, si intessono elementi ben precisi. Sono così presenti simboli studiati quali colori, stoffe, fiori o vasi, e poi scenari, pose, gesti, senza contare il rinvio a temi letterari o mitologici, dalle saghe arturiane alle opere dantesche, dai miti classici fino a sonetti dello stesso Rossetti. Tuttavia, dall'altro lato, su questo stesso telaio di significati, che sembra non dare spazio a nulla di istintivo, si insinua una sensualità carnale e appassionata, un'affettività dove più niente è riflessione, dove tutto è tormentata e irrisolta emozione."""" (Il curatore)" -
Pop art
"Siamo nel 1968 e il critico Raphael Sorin intervista quattro fra i maggiori fautori della pop art: Roy Lichtenstein, James Rosenquist, Robert Rauschenberg, Robert Morris. Il 1968 è per tutti loro un anno particolare: ormai famosi e celebrati in tutto il mondo, si sentono alla mercé della notorietà più appiattente, quella del cliché, dell’identificazione di ognuno in uno solo degli aspetti della sua opera: Lichtenstein è quello dei fumetti, Rosenquist quello del cacciabombardiere f-111, Rauschenberg è quello che mette ritagli di riviste e oggetti sui quadri, Morris quello delle strutture primarie; e in parte se la sono voluta avendo sposato intenzionalmente il metodo pubblicitario che premia la riconoscibilità e la ripetizione, l’insistenza e l’anafora. Ora, in quel 1968, tutti e quattro gli intervistati sono in una fase di cambiamento e cominciano, pazientemente ma con decisione, a introdurre dei distinguo e a rivendicare un’evoluzione e una maggiore complessità. Fatto che rende le quattro interviste di Sorin curiose oltre che piacevoli, e di grande importanza a livello storico."""" (Il curatore)" -
La filosofia dell'arte cristiana e orientale
"Nei nove saggi raccolti in questo volume Ananda Kentish Coomaraswamy formula le sue idee su temi e argomenti che spaziano dalla filosofia alla sociologia, dal folclore alla concezione indiana del ritratto ideale, ribadendo che quelle che espone non sono opinioni «personali» ma le «logiche deduzioni di una vita intera spesa a maneggiare opere d'arte» e a interpretare significati trasparenti solo a una mente temprata sull'esemplarismo delle Scritture, le uniche «autorità» in grado di guidare l'uomo a cogliere il significato simbolico delle forme e dei suoni espressi con l'arte. Per lo scultore di pietre dell'Europa medioevale, per il pittore di icone della Russia contadina, per il paesaggista giapponese seguace dello Zen, o per il miniatore persiano collegato a una confraternita sufi, il «capolavoro» non è la vistosa espressione di un parto creativo, ma l'esito finale di una lunga disciplina spirituale, che l'apprendista sottopone al vaglio dei maestri iniziati, e solo qualora la prova venga superata egli avrà diritto a esercitare in proprio la sua arte con la qualifica di «maestro». Inoltre il «genio», nella accezione greca del termine, non è un individuo dalla personalità eccezionale, ma quel nume che lo invade, risvegliandolo nell'azione alla contemplazione e mutando l'opera in preghiera. Perciò alle due domande dell'uomo comune: «A che cosa serve?» e «Di che tratta l'arte?», Coomaraswamy risponde: «Nella misura in cui fu un modo di vita, essa tratta di Dio, ma nella misura in cui è diventata una superstizione inutile, il suo effimero e tragico soggetto è l'animale-uomo»."""" (dallo scritto della curatrice)" -
Scritti di estetica
Profondamente partecipe dello spirito del suo tempo, Hölderlin sperimenta che l'elemento di «inconciliabilità» della filosofia «alla fine nuovamente confluisce nelle misteriose fonti della poesia», come si legge nel romanzo «Iperione», e che dunque l'originaria e sempre rinnovantesi unità della natura sopravanza quella della coscienza. Ciò che più di tutto lo affascina è il ritmo armonico del vivente, che procede per opposizioni e unificazioni irrisolte. Divenire consapevole di questa alternanza, farla propria, tradurla in linguaggio metaforico è compito del poeta, il cui impulso creatore percorre una traiettoria eccentrica, in cui si alternano momenti di estrema naturalità a momenti di massima idealità. Ma affinché il vivente possa compiutamente manifestarsi nella poesia, è necessario il pensiero filosofico, che può scoprire e isolare quelle leggi calcolabili a cui il poeta deve piegarsi con libera scelta. In questa intima connessione tra poesia e filosofia va ricercata l'originalità del grandioso progetto di Hölderlin, che viene progressivamente costruendosi dalle prime riflessioni giovanili, suscitate dalla lettura dei classici greci, agli anni della ricerca di una propria autonomia teoretica, nel confronto con il pensiero idealista, alle produzioni più propriamente filosofiche dell'epoca di Homburg, incentrate sulla teoria dei generi artistici, fino alle ultime, sconvolgenti trattazioni sul tragico, parallele alla sua opera di traduzione di Eschilo e Sofocle. -
Il Rinascimento
«È in Italia, nel Quattrocento, che risiede principalmente l'interesse della Rinascenza - in quel solenne Quattrocento, che non si studierà mai abbastanza non solo pei suoi resultati positivi nel campo dell'intelletto e della fantasia, le sue concrete opere d'arte, le sue tipiche figure eminenti, col loro profondo fascino estetico, ma pel suo spirito e pel suo carattere in genere, per le qualità etiche di cui esso offre un modello perfetto. Le varie forme d'attività intellettuale che insieme costituiscono la cultura d'un'età, muovono per la maggior parte da punti di partenza differenti, e seguono cammini distinti. Come prodotti d'una medesima generazione esse invero partecipano d'un carattere comune, e inconsciamente s'illustrano a vicenda; ma quanto agli artefici stessi, ogni lor gruppo è solitario, e consegue quei vantaggi o subisce quegli svantaggi che possono esserci nell'isolamento intellettuale. Di tanto in tanto vengono tuttavia epoche di condizioni più propizie, in cui i pensieri degli uomini si raccostano gli uni agli altri più di quanto non avvenga di solito, e i vari interessi del mondo intellettuale si combinano in un tipo completo di cultura generale. Il Quattrocento in Italia è una di queste epoche felici, e quel che talora si dice dell'età di Pericle è vero per quella di Lorenzo il Magnifico: - è un'epoca fertile di personalità, multilaterale, accentrata, completa. Qui artisti e filosofi e coloro che l'azione del mondo ha elevato e reso acuti, non vivono nell'isolamento, ma respirano un'aria comune, e ricevon luce e calore gli uni dai pensieri degli altri. C'è uno spirito di generale elevazione e illuminazione a cui tutti partecipano egualmente. L'unità di questo spirito conferisce unità a tutti i vari prodotti della Rinascenza; ed è a quest'intima alleanza con lo spirito, a questa partecipazione ai più alti pensieri che l'età producesse, che l'arte italiana del Quattrocento deve molto della sua grave dignità ed influenza». -
Il mito tragico dell'Angelus di Millet
«Nel giugno 1932 si presenta d'improvviso al mio spirito, senza che alcun ricordo recente né associazione cosciente possa darne un'immediata spiegazione, l'immagine dell'Angelus di Millet. Tale immagine costituisce una rappresentazione visiva nettissima e a colori. È pressoché istantanea e non dà seguito ad altre immagini. Ne sono grandemente impressionato, grandemente turbato, poiché, nonostante che nella mia visione di tale immagine tutto ""corrisponda"""" esattamente alle riproduzioni del quadro da me conosciute, essa """"mi appare"""" nondimeno assolutamente modificata e carica di una tale intenzionalità latente che l'Angelus di Millet diventa """"d'improvviso"""" per me l'opera pittorica più inquietante, più enigmatica, più densa, più ricca di pensieri inconsci che sia mai esistita». Attraverso una straordinaria serie di associazioni istantanee, di identificazioni fantastiche e di eventi reali, Dalí applica qui magistralmente il suo metodo, «un metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull'associazione critico-interpretativa dei fenomeni deliranti», al celebre quadro di Jean-François Millet. Scritto agli inizi degli anni trenta e rimasto a lungo allo stato di manoscritto, Il mito tragico dell'Angelus di Millet andò perduto durante l'occupazione nazista della Francia e venne ritrovato ventidue anni più tardi. Fu pubblicato per la prima volta nel 1963 in una tiratura limitata e successivamente nel 1978. È quest'ultima edizione che qui presentiamo, arricchita rispetto alla precedente di numerosi commenti dell'autore e di nuove illustrazioni."" -
Raffaello. Il trionfo di Eros
«Raffaello trascendeva l'umano per la sua perfezione d'uomo e d'artista, per la perfezione dell'""arte e dei costumi insieme"""". Nacque la leggenda che il quadro destinato a Santa Maria dello Spasmo (ora al Prado) non giunse a Palermo se non dopo un salvataggio che aveva tutti i caratteri del miracolo. Allorché Raffaello morì, il Venerdì Santo del 1520, l'ambasciatore della duchessa di Mantova non esitò a parlare di un segno del cielo simile a quello che accompagnò la morte di Cristo: il palazzo del papa si squarciò e per poco non crollò. Vasari non troverà altra espressione per presentarlo che quella di dio mortale sceso in terra, il dio della """"grazia"""", Eros fatto pittore»."" -
Pagine sull'arte
«Il ponte di travi di tavole e di ruote, dove Michelangelo saliva per dipingere la volta della Sistina, mi s'è ricomposto nel sogno. Ho sfiorato il prodigio con le ciglia, ho toccato il prodigio con la mano. ""Questa è una bella materia"""" fece Francesco Francia palpando la statua di Papa Giulio. E il Buonarroti si sdegnò. L'opera titanica è bella come un'ala di farfalla. Veduta da vicino, in ogni parte e nel tutto ha la perfezione compatta d'un guscio d'ovo, una continuità simile alla politezza d'un dente d'elefante. È una tra le più belle materie del mondo, nata intiera da un cervello maschio come certe gemme virtuose che gli antichi lapidarii credevano generate nel capo di certi animali solinghi. O chiome delle potenti sibille! Sembra che la lentezza dei secoli non basti a formare il pregio d'un sol frammento di questo intonaco; e questo intonaco Michelangelo lo preparava da sé ed era costretto a dipingerlo in un paio d'ore, dopo aver macinato da sé i colori, dopo aver fatto ogni mestiere da sé. Le spatolate sono visibili. Mi commuovono a dentro come se fossero le tracce lasciate da un combattimento vinto a furia di lampi mentali. La volta era scarsamente rischiarata. In qual penosa attitudine il pittore dipingesse si sa dal suo crudo sonetto a Giovanni da Pistoia. Non aveva egli la guida dei cartoni. E con che s'aiutava egli dunque? Ecco questa mano di Domineddio, gigantesca. E come faceva egli a proporzionare con questa il resto della grandezza, mentre il pennello gli gocciolava sopra il viso e il ventre gli s'appiccava sotto il mento? Quando dipingeva questa testa di Adamo, i piedi della figura erano laggiù, lontani come i miei se nel travaglio dei tossici smarrisco il senso del corpo e mi difformo a dismisura. Non credo che ci sia nel numero dei drammi mentali un fuoco di cervello da paragonare a questo. L'istinto di divinazione accompagnava continuo l'opera. Se è vero che nella Sistina egli non fosse in buon luogo, è pur vero ch'egli non faceva il pittore, come confessò egli stesso in rima al suo Giovanni. Aveva nel suo """"petto d'arpìa"""" l'afflato dei suoi profeti e delle sue sibille, e nella fronte rugosa il balenìo continuo del Monte Tabor, questo manovale disperato, questo macinatore e intonacatore ansante. Non lavorava se non d'ispirazione e di miracolo. E il manico del suo pennello non era se non una verga divinatoria. Ho rapito con le unghie un frammento della materia preziosa, un pezzetto del guscio; e ora lo voglio incastonare in un anello di ferro per farne un dono eroico al mio spirito che non dorme. Dov'è la gemma tagliata che l'eguagli?»."" -
Monet
«A chi, timoroso di arrendersi a un'evidenza e a un ordine di considerazioni apparentemente scientifiche e naturalistiche, non ha mai fissato l'attenzione con la debita commozione e reverenza sul momento ideale in cui nella mente di Brunelleschi fu generato il miracolo della prospettiva (che significava, nella apparente povertà matematica di alcune linee convergenti, un nuovo modo di pensare, e in pari tempo di sentire e d'immaginare); a questi non sembrerà forse abbastanza commovente, per gli stessi motivi, l'urto labile e concreto a un tempo di una luce vera sul fogliame della radura, sulle vesti luminose, sui volti riverberati dei personaggi che fra il 1865 e il '66 Monet adunò per il suo ""Déjeuner sur l'herbe"""": omaggio e risposta a un tempo a quello di Manet». Con uno scritto di Roberto Tassi."" -
Paradosso sull'attore
«Con un po' di cura, forse non avrei mai scritto nulla di più sottile e di più acuto. È un bel paradosso. Sostengo che è la sensibilità a rendere gli attori mediocri, l'estrema sensibilità gli attori limitati, il sangue freddo e il cervello gli attori sublimi»: così Denis Diderot (1713-1784) scriveva nel 1769 a Grimm, direttore della «Correspondance littéraire», annunciandogli il proprio testo. Soltanto dieci anni più tardi, dopo varie revisioni, ""Il paradosso sull'attore"""" assumerà la sua definitiva forma dialogica, e dovrà attendere il 1830 per essere pubblicato in libro. Ma già al suo apparire in rivista, il testo alimentò l'accesa polemica sviluppatasi nell'Europa settecentesca sulla funzione del teatro, che vide tra i suoi protagonisti autori come Rousseau, Voltaire e Lessing. «Non esiste opera di Diderot più letta, più commentata, più contestata e più sicura di sopravvivere del Paradosso sull'attore» ha scritto Paul Vernière, uno dei più autorevoli esegeti del direttore dell'Encyclopédie. Ma sarebbe errato relegare il Paradosso, pur così ricco di vivaci aneddoti d'epoca, nell'ambito della specificità teatrale: nella forma serrata del dialogo, che nel suo movimento dialettico esprime al meglio la complessità del pensiero diderotiano, esso affronta anche il problema, cruciale nell'estetica, del «modello ideale» e della sua funzione nella rappresentazione della realtà. Prendendo posizione contro la «sensibilità», Diderot rifiuta ogni forma passiva, impulsiva di imitazione della natura: l'arte non può ridursi al puro e semplice effetto psicologico dell'immedesimazione, ma deve essere adeguazione critica a un modello, a un fulcro ideale, risultato - a sua volta - di un complesso lavoro di osservazione e di riflessione sui dati del reale."" -
Chiacchiere di un imbrattatele
"Era dunque necessario, pur tenendo conto di tutti gli sforzi e di tutte le ricerche, anche scientifiche, compiute, pensare a una liberazione totale, rompere i vetri a rischio di tagliarsi le dita - lasciando alla generazione successiva, ormai indipendente, liberata da ogni intralcio, il compito di risolvere il problema intelligentemente. Non dico 'definitivamente', perché è appunto di un'arte senza fine che qui si parla, ricca di tecniche di ogni tipo, capace di tradurre tutte le emozioni della natura e dell'uomo, di adattarsi a ogni individualità, a ogni epoca, secondo gioie e sofferenze. Era dunque necessario impegnarsi anima e corpo nella lotta, battersi contro tutte le scuole (tutte, senza distinzioni), non denigrandole, certo, ma in altri modi, affrontare non solo l'ufficialità ma anche gli impressionisti, i neoimpressionisti; il vecchio e il nuovo pubblico. Non avere più moglie né figli che vi rinnegano. Poco importano le ingiurie. Poco importa la miseria. Tutto questo come condotta umana. Come lavoro. [...] Lo sforzo di cui parlo fu compiuto all'incirca una ventina d'anni fa, sordamente, inconsapevolmente, ma tuttavia con risolutezza: poi andò consolidandosi. Che ciascuno se ne attribuisca la paternità! Che importa. L'importante è ciò che esiste oggi e che aprirà la strada all'arte del XX secolo. [...] Ecco, mi sembra, di che consolarci di due province perse, perché abbiamo così conquistato l'Europa intera, e soprattutto creato la libertà delle arti plastiche.""""" -
Concetti fondamentali della storia dell'arte
"Come orientamento generale, basterà dire quanto segue: i """"Concetti fondamentali"""" sono sorti dalla necessità di offrire una più salda base all'analisi della storia dell'arte; non a un giudizio di valore, dunque, di cui qui non si parla, bensì alla definizione dello stile. A tale scopo è sommamente interessante conoscere la forma rappresentativa dinanzi a cui ci si trova volta per volta (conviene parlare di forme della rappresentazione piuttosto che di forme visive). La forma della rappresentazione visiva non è ovviamente qualcosa di esteriore, ma ha un'importanza determinante anche per il contenuto della rappresentazione, e in questo senso la storia del succedersi dei concetti figurativi è già storia dell'arte. Il modo di vedere o, come preferiamo dire, della rappresentazione visiva, non è sempre e ovunque identico, avendo, come tutto ciò che vive, una sua evoluzione. Vi sono gradi nella rappresentazione visiva di cui lo storico dell'arte deve tener conto. Si parla di modi di vedere arcaici e """"immaturi"""", così come si parla, d'altra parte, di periodi di """"arte matura"""" e di """"arte tardiva"""". (...) Ora, nel presente volume non si vuole offrire un compendio di storia, ma si cerca di stabilire certi criteri di valutazione con cui si possono misurare, con una certa esattezza, i mutamenti storici e i caratteri nazionali.""""" -
Il bello nell'arte. Scritti sull'arte antica
«Per noi, l'unica via per divenire grandi e, se possibile, inimitabili, è l'imitazione degli antichi, e ciò che si disse di Omero, che impara ad ammirarlo chi imparò a intenderlo, vale anche per le opere degli antichi, particolarmente dei Greci. Bisogna conoscerle come si conosce un amico, per poter trovare il Laocoonte inimitabile al pari di Omero. Una simile intima conoscenza condurrà al giudizio di Nicomaco sull'Elena di Zeusi: ""Prendi i miei occhi"""" disse questi a un ignorante che voleva biasimare il quadro """"ed essa ti sembrerà una dea""""». Con uno scritto di David Irwin."" -
La Bibbia di Amiens
"Quello che Ruskin chiama propriamente la «Bibbia d'Amiens» è il Portico Occidentale. Il portico d'Amiens non è soltanto un libro di pietra nel senso vago in cui l'avrebbe inteso Victor Hugo: è «La Bibbia» di pietra. Senza dubbio, prima di saperlo, quando vedete per la prima volta la facciata occidentale d'Amiens azzurra nella nebbia, splendente al mattino, e intensamente dorata nel pomeriggio per il sole assorbito, rosata e già fresca e notturna al tramonto, o non importa in quale di queste ore le sue campane suonino nel cielo, allora liberandola dai colori mutevoli, con i quali la natura la fascia, voi sentite davanti a questa facciata un'impressione confusa ma profonda. Vedendo levarsi verso il cielo questo monumentale formicolìo, dentellato di personaggi di proporzioni umane nella loro statura di pietra, che tengono nella mano la croce o il filatterio o lo scettro, questo mondo di santi, queste generazioni di profeti, queste processioni di apostoli, questo popolo di re, questa sfilata di pescatori, quest'assemblea di giudici, questo stormo di angeli, gli uni di fianco agli altri, gli uni al di sopra degli altri, diritti presso la porta, mentre guardano la città dall'alto delle nicchie, dalle estremità delle gallerie, più in alto ancora, così da non ricevere più che vaghi e meravigliati gli sguardi degli uomini ai piedi della torre, nel suono delle campane, senza dubbio, al calore della vostra commozione, voi sentite che questa gigantesca, immobile ed appassionata ascensione è realmente una grande cosa. Ma una cattedrale non è soltanto una bellezza da sentire. Se pure non è più per voi un insegnamento da seguire è tuttavia un libro da comprendere. Il portale di una cattedrale gotica, e specialmente quello di Amiens, la cattedrale gotica per eccellenza, è la Bibbia."""" (dallo scritto di Marcel Proust)" -
Conversazioni con Michel Archimbaud
«Il problema principale, per l’artista, è riuscire a fare qualcosa che si vede con il proprio istinto, anche se non ci si riesce quasi mai. È un obiettivo cui ci si può al massimo avvicinare. Ma è questo il problema principale: arrivare a fare qualcosa istintivamente. Quanto poi a spiegare l’istinto, la questione è troppo complessa. Osservando la trasformazione della pittura nel corso dei secoli, è legittimo chiedersi se di secolo in secolo non si trasformi anche l’istinto, se non sia modificato da tutto quel che si vede, da tutto quel che si sente. Non so bene. Quel che posso dire è che l’istinto si impone. Si potrebbe forse spiegare la maniera con cui un’immagine viene creata, perché è una questione di tecnica. Le tecniche cambiano, e si può parlare di pittura scrivendo una sorta di storia delle tecniche pittoriche. Quel che però fa la pittura, l’elemento inalterabile, il soggetto della pittura, quello che la pittura è, non si può spiegare. Credo sia impossibile. Quel che posso forse dire è che, a modo mio, disperato, vado qua e là seguendo i miei istinti». Con uno scritto di Milan Kundera. -
La città dalle 100 meraviglie
"Qualcuno ha scritto che nei testi di de Pisis si riconoscono i soggetti, i colori e certe emozioni dei suoi dipinti, cercando una correlazione fra i due linguaggi. È certamente vero perché entrambi fanno parte di un unicum, l'uno nutre l'altro e viceversa. Ma la caratteristica più interessante del personaggio nel suo complesso sta nella dimensione culturale assolutamente fuori dal comune, una dimensione erudita e profonda, da intellettuale raffinatissimo, conoscitore di discipline le più diverse, appassionato di arte antica e studioso di cosiddetti artisti minori, capace di darsi regole di studio severissime per raggiungere l'obiettivo della conoscenza. Tutto ciò fa da substrato fecondo sia della scrittura che della pittura, entrambi linguaggi articolati e di difficile elaborazione, che tuttavia de Pisis trasforma con apparente facilità in un dipanarsi di immagini, scritte o dipinte, che narrano la sua particolare visione del mondo che lo circonda, con un carattere di candore che è un elemento fondamentale del suo modo di leggere gli eventi, anche nei momenti nei quali affermerà, con la levità che gli era propria, la sua omosessualità. Egli ha senza dubbio conservato dentro di sé il pascoliano «fanciullino», attraversando due guerre mondiali senza neppure per una volta prenderne atto in uno scritto o in un quadro; con una levità che fortemente dentro di lui contrasta con il bisogno profondo di conoscenza. È forse questa dicotomia fra il reale vissuto e il reale sognato che lo porterà a una dissociazione interna e alla malattia mentale, facendolo vivere in quella dimensione «metafisica» che aveva cercato per tutta la vita."""" (dalla nota di Claudia Gian Ferrari)" -
Il Ritorno all'ordine
"Il Ritorno all'ordine è il movimento artistico più frainteso del ventesimo secolo. La sua stagione fondamentale, che si colloca tra il 1919 e il 1925 pur affondando le radici nei primi anni dieci, coinvolge tanti artisti in tutta Europa (da Picasso a Braque, da Derain a Matisse, da Miró a Dalí, da Schad a Schrimpf, da Carrà a de Chirico, da Campigli a Severini, da Martini a Sironi) e soprattutto comprende un così gran numero di capolavori da rendere inspiegabile il lungo ritardo con cui ne è stata ricostruita la fisionomia. Il suo linguaggio muove infatti da un presupposto comune: il richiamo all'antico e a una nozione classica di spazio e tempo, forma e disegno, mestiere e soggetto. E l'affinità di ideali espressivi che unisce i suoi protagonisti lo rende una sorta di koinè europea, nitidamente riconoscibile nonostante le diverse declinazioni nazionali e le varie personalità degli artisti. È un classicismo eretico, dove la centralità dell'uomo convive con la sua perifericità, la sua monumentalità con l'incertezza del suo destino. Come sono esistiti un classicismo cinquecentesco, uno seicentesco e un neoclassicismo, è esistito anche un classicismo novecentesco: incompiuto e frammentario, forse, ma il solo che il ventesimo secolo abbia saputo concepire"""". (Elena Pontiggia)" -
Ricostruire e meccanizzare l'universo
Fortunato Depero (1892-1960) è stato il protagonista dell'arte meccanica che ha caratterizzato il futurismo degli anni venti. La raccolta dei suoi scritti teorici permette di ripercorrere e analizzare le tappe più significative di un itinerario creativo che, investendo la pittura, la scultura, il teatro, l'architettura, le parole in libertà e l'arte pubblicitaria, è stato tra i maggiori contributi formulati dal futurismo per il rinnovamento dell'arte italiana. Giovanni Lista, specialista del futurismo, firma questa riedizione dei testi, procedendo inoltre ad un nuovo esame del particolare metodo di sfigurazione e stilizzazione con cui Depero rielaborava le apparenze fenomeniche della realtà per restituirle in chiave meccanica. Ne riabilita quindi la poetica qualificandola di ludica e felice parentesi di meccanicismo dal sapore illuminista all'interno della modernolatria tecnologica preconizzata dal futurismo marinettiano.