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Michelangelo
«L'opera di Michelangelo» scrive Georg Simmel «manifesta un carattere tragico che ritroviamo anche nella sua vita, come dimostrano le sue tarde poesie e quel capolavoro assoluto che è La pietà Rondanini: la sua creazione non ha soddisfatto il suo bisogno decisivo, le sue necessità più profonde. Il suo dolore più lacerante, metafisico, fu infatti l'impossibilità di giungere alla redenzione, all'assoluto - a cui incessantemente tendeva - per via della creazione artistica incentrata sulla visione sensibile. L'idea, di cui Michelangelo divenne martire sembra appartenere ai problemi che l'umanità si pone all'infinito: trovare la perfezione e la redenzione della vita nella vita stessa, configurare l'assoluto nella forma del finito. Come per le figure di Michelangelo, così per la sua vita, l'ultima e decisiva tragedia consiste nel fatto che l'umanità non ha ancora trovato questa via». Con uno scritto di György Lukács. -
Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura
"Questo saggio va inteso come un tentativo di definire la teoria umanistica della pittura e di tracciarne a grandi linee lo sviluppo dagli inizi nel XV secolo al Settecento, quando i nuovi orientamenti del pensiero critico e delle arti figurative cominciarono a determinarne il declino. Sempre presente in questa teoria è l'assunto fondamentale - oggi peraltro non più accettato - che la buona pittura, come la buona poesia, sia l'imitazione ideale della natura umana in azione. Ne consegue che i pittori, come i poeti, devono esprimere verità generali rifuggendo dal particolare, facendo uso di soggetti universalmente conosciuti e apprezzati, tramandati attraverso la narrazione biblica e la lettura dei classici greco-romani; inoltre devono rappresentare una multiforme varietà di emozioni e tendere non soltanto a dilettare ma anche a istruire l'umanità. Questa teoria, come in larga misura anche l'arte di quel periodo, aveva le sue radici nell'antichità. Le famose analogie tra pittura e poesia di Aristotele e di Orazio avevano indotto i critici, che non trovavano negli antichi una vera e propria teoria della pittura, a trasferire l'antica teoria letteraria a un'arte per la quale non era stata concepita. Essi infatti trovavano una """"raison d'être"""" a una teoria umanistica della pittura non soltanto negli insegnamenti degli autori antichi relativi alla letteratura umanistica, ma nell'arte italiana stessa, che, intesa nei suoi momenti migliori come ricerca del vero - da Cimabue a Giotto, da Raffaello a Michelangelo a Tiziano -, si risolveva nel senso più alto in rappresentazioni delle azioni e dei sentimenti dell'uomo"""". (Dalla prefazione dell'autore all'edizione italiana)." -
Ritratto dell'artista da saltimbanco
«Starobinski ricostruisce, in ""Ritratto dell'artista da saltimbanco"""", la complessa vicenda dell'artista nella cultura borghese otto-novecentesca e indica i momenti decisivi della sua alienazione, del suo autocritico allontanamento dal corpo mondano, infine del suo autoironico camuffamento nei panni buffoneschi del pagliaccio da circo. Questo percorso starobinskiano radicalmente apollineo anche perché (al di là dell'apparente linearità tematica, arricchita dalla scrittura cristallina di sempre) è enigmatico e allegorico, allusivo e problematico: anche quando si accosta frontalmente al tema centrale della riflessione sul ruolo, sulle figure archetipiche e sui miti dell'Artista nella cultura moderna, Starobinski non cessa di mettere sempre in gioco sé stesso, di rilanciare sul tappeto il proprio stesso metodo. Parla dell'Artista, e implicitamente chiama in causa anche il ruolo, le figure archetipiche e i miti del Critico, a sua volta domatore di fantasmi collettivi.» (Corrado Bologna)"" -
L' angoscia dell'influenza. Una teoria della poesia
«La storia della poesia, come il nostro libro vuole dimostrare, dev'essere considerata indistinguibile dall'influenza poetica, poiché i poeti forti costruiscono tale storia travisandosi l'un l'altro, in modo da liberare un nuovo spazio alla propria immaginazione. Il mio interesse è per ora unicamente rivolto ai poeti forti, alle figure maggiori che hanno avuto la tenacia di lottare, anche fino alla morte, coi propri precursori forti. I talenti deboli tendono a idealizzare; le figure di vasta immaginazione invece si appropriano dell'esistente. Ma niente si ottiene per niente, e l'autoappropriazione comporta dunque enormi angosce di indebitamento, poiché quale autore forte vorrebbe riconoscere ch'egli non è riuscito a creare con le sue sole forze?» -
Mantegna
"Fra gli ultimi anni dell'Ottocento e la fine della prima decade del Novecento gli interessi di Roger Fry (1866-1934) si concentrarono principalmente sull'arte italiana, e gli scritti su Mantegna qui tradotti sono da ascrivere al periodo che precedette la scoperta del postimpressionismo. Rivelano le qualità di Fry come critico, conoscitore e storico dell'arte: l'abilità sia nella generalizzazione sia nell'acuta osservazione del dettaglio, la ricerca indefessa delle qualità estetiche essenziali, l'attenzione alla tecnica, e al suo significato, derivata dalla convinzione che """"l'eccellenza nella tecnica consiste sempre nella sua capacità di adattarsi perfettamente all'espressione dell'idea"""". Va ricordato che Fry era anche restauratore di quadri, conosceva per esperienza personale le possibilità e i limiti del mezzo, e sapeva parlarne in termini appropriati. E proprio questa capacità di giudicare il quadro da un duplice punto di vista - come pittore, affrontando problemi attuali di colore e di composizione, e come spettatore, con atteggiamento estetico, poetico e filosofico - a conferire profondità e allo stesso tempo freschezza ai suoi scritti."""" (Dallo scritto di Caroline Elam)" -
Viatico per cinque secoli di pittura veneziana
"Il progetto che Roberto Longhi scelse nell'immediato dopoguerra per il suo scritto 'Viatico per cinque secoli di pittura veneziana', che fu la risposta ad un evento espositivo, si focalizzava su di un doppio proposito che appare tuttora chiaramente. Lo studioso intendeva sottolineare la personale scelta del soggetto e il precoce ambito cronologico di essa, manifestando fin da subito, nei brevi capitoli del libro, il legame mentale e sentimentale che lo legava alla pittura veneziana. Le pagine dedicate a Giovanni Bellini e a Vittore Carpaccio appaiono ancora oggi prove supreme, anche grazie alla maestria letteraria, nell'intento di evocare la grandezza di queste personalità paradigmatiche e a lui particolarmente care. L'intimo significato delle tematiche affrontate dal Viatico si manifesta oggi anche con maggiore evidenza, considerando l'importanza del contributo che lo scritto ha dato alla conoscenza della pittura veneziana."""" (Mina Gregori)" -
La vita e l'opera di Albrecht Dürer
«Fu in Germania che, nel Quattrocento, l'invenzione della stampa, dell'incisione e della xilografia fornì al singolo la possibilità di diffondere le proprie idee in tutto il mondo. Proprio mediante le arti grafiche la Germania assurse al ruolo di grande potenza nel campo artistico, grazie principalmente all'attività di un artista che, benché famoso come pittore, divenne una figura internazionale solo per le sue doti di incisore e xilografo: Albrecht Dürer. Le sue stampe per più di un secolo costituirono il canone della perfezione grafica e servirono da modelli per infinite altre stampe, come pure per dipinti, sculture, smalti, arazzi, placche e porcellane, non solo in Germania, ma anche in Italia, in Francia, nei Paesi Bassi, in Russia, in Spagna e, indirettamente, persino in Persia. L'immagine di Dürer, come quella di quasi tutti i grandi, è cambiata secondo l'epoca e la mentalità in cui si è riflessa, ma sebbene le qualità distintive della sua innegabile grandezza furono variamente definite, questa grandezza fu riconosciuta subito e mai messa in dubbio». -
Michelangelo pittore
«Quando la Volta Sistina fu compiuta (fu scoperta parzialmente nel 1510 e totalmente nell'autunno del 1512), essa apparve come un fatto capitale per l'arte, un tale salto rispetto al Quattrocento da far pensare di trovarsi in un'altra epoca. Di colpo si era ""ingrandita la maniera"""" di dipingere, lo stile si era fatto elevato, le forme si erano dilatate e irrobustite con risultati di un fascino talmente imperioso che Raffaello stesso ne fece tesoro. È inutile insistere su una sorta di incomunicabilità tra la grandezza scontrosa di Michelangelo e la serena naturalezza di Raffaello: chi guardi una figura come quella in piedi di spalle presso San Gregorio Magno, o quella di filosofo antico che indica col braccio colossale all'estrema destra della """"Disputa del Sacramento"""", o il gigantesco Eraclito seduto ai piedi della scalinata della """"Scuola d'Atene"""" non potrà ricorrere per un confronto altro che alla umanità della Volta Sistina. Tale ingrandimento della maniera di dipingere si attuava con una bravura e una disinvoltura sbalorditive; l'assoluta padronanza dei mezzi disegnativi non ammetteva errori, anzi le forme più difficili erano cercate e provocate a bella posta. Questa sicurezza senza precedenti soggiogava gli artisti, incuteva loro """"terrore"""", come dice il Vasari, per il quale la cosa più """"terribile"""" (cioè, più formidabile) della Volta era il Profeta Giona, perché lì """"con la forza dell'arte la volta, che per natura viene innanzi girata dalla muraglia, sospinta dalla apparenza di quella figura che si piega indietro, apparisce diritta e, vinta dall'arte del disegno, ombre e lumi, pare che veramente si pieghi in dietro""""»."" -
Lettere
Picasso non si chiamava semplicemente Pablo. Quando era nato, nel 1881, era stato battezzato, secondo le usanze ridondanti della Spagna dell'epoca, con nove nomi, una carovana di appellativi che rappresenta quasi un presagio, perché non c'è stato un solo Picasso: ce ne sono stati una decina. Nella prima metà del Novecento l'artista spagnolo è stato realista, simbolista, espressionista, primitivista, è stato (con Braque) il padre del cubismo, ha ripensato il classicismo, ha interpretato il surrealismo. Questo atteggiamento proteiforme si ritrova anche nelle sue lettere, di cui il presente volume propone un'emblematica antologia. Sembra quasi che Picasso si comporti coi suoi amori sentimentali come coi suoi amori intellettuali e che, ad esempio, quel suo fuggire a Céret con Eva senza chiarirsi con Fernande, o quelle sue profferte a Marie-Thérèse mentre è in vacanza con Dora Maar, nascano dalla stessa spregiudicata libertà che lo porta a dipingere alla Ingres e alla cubista in uno stesso periodo, in uno stesso momento, in uno stesso quadro. Picasso, però, è un maestro di pittura, non di vita. E la pittura, che preferisce chiamare col nome più dimesso ma più concreto di «lavoro», non solo è la sua più grande passione, ma è anche l'unica cui sa rimanere sempre fedele. In questo senso le sue lettere ci offrono una cronaca non dei suoi amori, ma del suo amore: per l'arte. -
Ninfa profunda. Saggio sul panneggio-tormenta
Esiste una strana corrispondenza nella poesia e nei romanzi di Victor Hugo: guardare una donna - desiderarla - equivale a inabissarsi nelle profondità di un oceano. Vedere la donna? «Vedere l'interno del mare». Vedere una tempesta levarsi? Sentire la fragranza del desiderio che cresce. Come può la scrittura rendere sensibili i tormenti psichici quand'essi sono anche tormente fisiche, assimilabili ai fenomeni naturali, persino aerei, atmosferici? Siamo qui chiamati, al di là dell'esegesi letteraria, a immergerci nella vasta fenomenologia del mondo visibile: infatti l'equivalenza di cui s'è detto si manifesta materialmente, sopra ogni foglio, nell'immanenza stessa delle mirabili immagini create da Hugo. Ipocondriache chimere che svelano, nel pittore-poeta, un grande lucreziano in grado di decifrare il «fondo delle cose»; conferendo a ogni cosa umana l'immensità di una tempesta, a ogni cosa naturale l'intensità di un gesto corporeo animato dalla passione. -
La vista e i colori-Carteggio con Goethe
Schopenhauer nel 1819 ha raccontato, in un Curriculum vitae inviato alla facoltà di filosofia dell'Università di Berlino, la genesi dei suoi studi sulla vista e i colori, che si intreccia strettamente con la storia del suo rapporto con Goethe. (...) «dopo aver letto qua e là il mio lavoro (Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente) » racconta Schopenhauer «si rivolse a me di sua iniziativa, e mi chiese se volevo studiare la sua teoria dei colori, promettendo di assistermi con tutte le spiegazioni e gli strumenti necessari». Goethe e Schopenhauer si incontrarono, così, diverse volte per tutto l'inverno 1813-14, finché, trasferitosi a Dresda nel maggio 1814 e proseguite per conto proprio le ricerche, Schopenhauer portò a termine il suo lavoro, La vista e i colori, e, nel luglio 1815, lo inviò a Goethe. Il carteggio con Goethe, pubblicato nel presente volume, fornisce al lettore la storia completa degli inutili tentativi fatti da Schopenhauer per indurre Goethe a tenere a battesimo la sua «creatura ». I motivi di dissenso sulla questione particolare dei colori avevano, forse, radici più profonde di quelle che potevano apparire al giovane Schopenhauer, e Goethe, che altrimenti aveva divinato la genialità e anche la sorte del suo «infedele» discepolo, non poté sottovalutarli. (...) Le aspettative che Schopenhauer aveva nutrito sugli effetti rivoluzionari della sua opera (pubblicata nel 1816), che avrebbe dovuto liquidare definitivamente il secolare «errore di Newton», furono deluse: fu questa la prima, e forse la minore, di una lunga serie di delusioni, durata per circa quarant'anni, che coinvolse tutta la produzione filosofica schopenhaueriana. (Dallo scritto di Mazzino Montinari) -
Ligabue
"La poesia è lì, da leggere, da inghiottire; si intitola «Ligabue»; racconta di un pittore, un grande pittore, ma anche dell'uomo bizzarro e sventurato che quel pittore era; racconta di quel pittore e di quell'uomo, ma anche del poeta che ne parla, e di come questo poeta sia tentato di identificarsi con quel pittore; racconta del poeta che parla e che è tentato, ma anche dell'uomo che questo poeta è; racconta del pittore e del poeta e del loro essere bizzarri e sventurati o bizzarri e tentati, ma anche del tempo in cui hanno vissuto e vivono, dei loro quadri e delle loro poesie, di che cos'è un quadro, di che cos'è una poesia... Sfido chiunque a raccontare tutte queste cose insieme, a farci sentire che sono vere, a farci capire quanto contano o dovrebbero contare per ciascuno di noi, senza essere un poeta e senza scrivere una poesia."""" (Dall'introduzione di Giovanni Raboni). Con uno scritto di Marco Vallora." -
Caravaggio. Delle sue incongruenze e della sua fama
«Questa volta mi occuperò del Caravaggio. Finora, sia me ne mancasse l'agio, sia la mia curiosità non fosse stimolata abbastanza, o forse per la combinazione delle due cause, non mi sono mai dato la pena di entrare in dimestichezza col Caravaggio. Accade, nella vita, di sentir parlare di questa o quella persona che gli amici reputano affascinante, e tuttavia essa non viene a far parte della nostra intima cerchia anche dopo ripetuti incontri. Poi, un caso fortunato dissipa il velo opaco che ci tratteneva dall'approfondire quei rapporti saltuari, e viene il gusto e la voglia di contatti più stretti e di una conoscenza completa. Comincerò con l'esaminare le opere superstiti del nostro pittore. Fino a pochi decenni or sono, la sua personalità di artista era nebulosa come quella di un Leonardo o di un Giorgione prima degli studi morelliani. Qualsiasi tela presentasse, in forti contrasti di luce, volgari e obesi giganti sacrilegamente atteggiati a Cristo o ad apostoli, figure con piumacci, baraonde di uomini e di donne dall'aspetto vizioso e alticcio, giovinastri occupati a giocare ai dadi o a barare alle carte, o più dignitose scene di concerti, veniva senz'altro attribuita a lui. Non così oggi. Il Caravaggio ha cessato d'essere una categoria o una specie, e ha riacquistato una personalità artistica definita quanto quella di Leonardo, o almeno quanto quella di Giorgione. Studierò soltanto i quadri che gli appartengono in modo indiscusso, secondo il giudizio dei più competenti. Intorno a essi mi lascerò andare a dire qualunque cosa mi passi per la testa, una testa che ha meditato per molti anni sull'arte, dal punto di vista estetico, storico, morale. E, infine, mi prenderò la libertà di esprimere quanti pensieri l'esame dell'opera caravaggesca mi ha suggerito». -
Musica e pittura
Il volume raccoglie le lettere che Arnold Schönberg e Vasilij Kandinskij si scambiarono agli albori del XX secolo. Le lettere ruotano intorno a tre temi principali: gli esperimenti teatrali, tentativi di un'""opera d'arte totale"""" a cui Kandinskij e Schönberg lavorarono a partire dal 1909; le principali opere teoriche, """"Lo spirituale nell'arte"""" di Kandinskij e il """"Manuale di armonia"""" di Schönberg, nate contemporaneamente e uscite nel 1911; i punti di contatto e la possibilità di un """"denominatore comune"""" su pittura e musica."" -
Scritti e pensieri
C'è qualcosa di grandioso nella poetica di Sironi: qualcosa al cui confronto tante orgogliose dichiarazioni programmatiche sembrano solo educati ricettari. Tutti i manifesti delle età delle avanguardie proclamano di voler percorrere vie nuove. Ma Sironi ha in mente un compito più difficile: procedere sulle vie antiche, non eludere la tradizione, ma misurarsi sul suo stesso terreno, «ricollegando gli splendori della classicità alle vibranti aspirazioni moderne». Di fronte a una pittura che è ormai solo un'arte del quadro, un'arte da camera, a misura domestica, sogna le navate immense delle cattedrali, le altezze vertiginose delle cupole, le dure pareti di pietra e di marmo. Vuole appendere le sue opere non in un salotto, ma nelle piazze d'Italia. Mentre le mostre contemporanee propongono la breve luce delle tele incorniciate, l'assennata cautela del cinquanta per settanta, Sironi aspira a una pittura infinita. Chiede chilometri di architettura, come Melville chiedeva una penna di condor per scrivere e un vulcano per calamaio. Il suo sogno di una pittura murale non va letto solo in orizzontale, in parallelo col muralismo messicano, con l'appello alla decorazione avviato dal Bauhaus, con gli esiti monumentali della pittura francese e svizzera, tedesca e sovietica negli anni Venti e Trenta. Va letto anche in verticale, come presagio di tante ricerche successive, informali e post-informali, incentrate sul predominio e sull'assolutizzazione dei valori spaziali della pittura. Sironi giunge così, seguendo il miraggio degli ori bizantini, dei tagliapietre dell'anno Mille, dei frescanti di cattedrali, alle stesse conclusioni dell'arte europea e americana dell'ultimo dopoguerra. Dimostrando che, anche in pittura, l'origine è la meta. (Dallo scritto di Elena Pontiggia) -
Borromini
«Il carattere d’apparato funebre che l’architettura del Borromini conserva anche quando è più librata e luminosa e tocca vertici di un acceso misticismo ha un senso quasi morale, di danza macabra, di “memento mori”. È ombra di morte che si proietta su quelle che parevano ritrovata certezza, riconquistata pienezza di vita; ma insieme vuol dire al mondo che la bellezza dell’anima non è sempre conforme alla bellezza della natura; che una possibilità d’elezione è anche fuor delle vie segnate dalla storia e dall’autorità della tradizione; che per giungere alla salvezza bisogna andare contro la corrente. Ma, e la disperata fine dell’artista l’attesta [come è noto, morì suicida], la ribellione anela alla libertà e non la realizza; e forse non è che l’ultimo, brillante e caduco bagliore d’una rivoluzione fallita». Così Giulio Carlo Argan conclude questo denso, illuminante scritto su Francesco Borromini (1559-1667), protagonista in architettura della grande stagione del barocco romano. Un vasto apparato iconografico asseconda lo scritto, illustrando l’opera del grande architetto. -
Rovinare le sacre verità. Poesia e fede dalla Bibbia a oggi
In questo libro - costituito dall'ampliamento delle Charles Eliot Norton Lectures, pronunciate nel 1987-1988 alla Harvard University - Harold Bloom esamina con sguardo maestoso la letteratura dell'occidente dall'Antico Testamento a Samuel Beckett. Rilegge provocatoriamente lo scrittore yahvista, Geremia, Giobbe, Giona, l'«Iliade», l'«Eneide», la «Divina Commedia», l'«Amleto», «Re Lear», «Otello» ed «Enrico IV», il «Paradiso perduto» e «Milton», opere di Wordsworth, Freud, Kafka e Beckett. «Non si può attribuire il primato della forza narrativa all'uno piuttosto che all'altro. Possiamo soltanto dire» afferma Bloom «che il Genesi e l'Esodo, l'«Iliade»e l'«Odissea», fissano i parametri della forza letteraria ovvero del sublime, e che dopo di loro giudichiamo Dante, Chaucer, Cervantes, Shakespeare, Tolstoj e Proust secondo questi criteri». -
La scuola di New York
"Un'antologia di poetica pone inevitabilmente la necessità di una selezione di scritti e di una loro disposizione organica che non risulti faziosa. I testi qui proposti di Baziotes, De Kooning, Gorky, Gottlieb, Hofmann, Motherwell, Newman, Pollock, Reinhardt, Rothko, Still, in accordo con la natura frammentaria e stratificata del movimento informale americano, si propongono di tratteggiare un quadro volutamente non pacificato, né tanto meno sistematico, dei molti punti di vista che convivevano all'interno di quella che solo poi è stata chiamata, per le esigenze della storia dell'arte, la Scuola di New York. In accordo con questo presupposto, e con la natura eminentemente pratica della poetica informale americana, si è scelto di non presentare testi di vocazione più analitica, per cui si rimanda soprattutto ai testi critici e teorici di Motherwell e di Newman, nonché alla loro polemica epistolare sulle origini del movimento, quanto piuttosto brani di carattere personale, risposte individuali ai più individuali quesiti, nel loro libero sovrapporsi al di là di ogni regia di temi."""" (Dallo scritto di Viviana Birolli)" -
La scrittura delle pietre
"Di fronte a questa nostra umanità più che mai percepita come effimera, di fronte a questo nostro mondo animale e vegetale di cui noi stessi acceleriamo la perdita, sembra che l'emozione e la devozione di Caillois oppongano un rifiuto; è infatti alla ricerca di una sostanza meno effimera, di una materia più pura. E la trova nell'universo delle pietre: 'lo specchio oscuro dell'ossidiana', vetrificata dallo scorrere di migliaia di secoli, sotto l'influsso di temperature per noi inconcepibili; il diamante che, ancora celato nella terra, reca in sé la magnificenza del suo futuro splendore; la fugacità del mercurio; il cristallo, che dona insegnamenti all'uomo accogliendo in sé impurità che pongono a repentaglio la trasparenza e la rettitudine degli assi - gli aghi del ferro, le schiume della clorite, i capelli del rutilo -, e perseguendo, malgrado esse, una limpida crescita. Il cristallo, i cui prismi - e Caillois ce lo ricorda mirabilmente -, non più che le anime, ne proiettano le ombre."""" (Marguerite Yourcenar)" -
Gli ultimi drammi di Shakespeare. Un nuovo tentativo di approccio
«Questo libro interessa gli studiosi di Shakespeare, gli storici e gli storici del pensiero, in particolare quelli attenti agli aspetti ermetici della cultura rinascimentale; ma in primo luogo si rivolge in generale a coloro che sono affascinati da Shakespeare, da qualunque punto di vista. Oggi esiste la possibilità che un serio approccio storico e critico ad argomenti precedentemente liquidati come ""occulti"""" e lasciati alla mercé della pseudofilologia possa avvicinarci a una nuova comprensione di Shakespeare e attenuare il sensazionalismo e le congetture eccessive che hanno circondato questo straordinario personaggio. Invito il lettore a leggere criticamente e attentamente questo libro, allontanando, se possibile, dalla sua mente tutti i vecchi miti e di affrontarlo liberamente con un """"approccio"""" completamente nuovo».""