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Le lezioni originali di magia Tarbell. Vol. 4: Lezioni 31-40.
Harlan Tarbell ideò nel 1926 il corso per corrispondenza per prestigiatori, costituito da 60 lezioni, che erano inviate una ogni 10 giorni. Chi seguiva tutto il corso otteneva poi un diploma. Nel corso degli anni quest'opera è divenuta il punto di riferimento per centinaia di migliaia di prestigiatori in tutto il mondo. In questo libro sono raccolte le lezioni originali, presentate con una accurata traduzione in italiano e con i chiari disegni che le contraddistingueva. L'autore era infatti anche un illustratore. L'opera doveva originariamente essere realizzata da Harry Houdini, ma per mancanza di tempo, egli suggerì all'editore, per le sue capacità magiche, Harlan Tarbell. Le lezioni sono pensate per accompagnare chi inizia nella magia e forniscono tecniche, routine, discorsi accompagnatori, principi psicologici, suggerimenti di presentazione. Anche chi già possiede competenze sull'argomento, trova in queste lezioni valido materiale per arricchire le proprie abilità. Questo quarto volume raccoglie le lezioni 31-40 dell'opera completa, 482 pagine con 810 disegni b/n. Seguiranno gli altri 2 volumi che comprenderanno l'intera opera di 60 lezioni -
Nuovi giochi di magia automatici con le carte
Questa è una delle migliori opere di Karl Fulves, particolarmente apprezzata anche da professionisti e da appassionati “avanzati” del settore. Pur regalando effetti magici immediatamente fruibili, questo libro contiene anche molte versioni “a prova di errore”, di giochi classici quali “Carta che si solleva”, “Fuori da questo mondo”, dei “Test con libri” e poi dimostrazioni del barare al Poker, di memoria prodigiosa, di effetti con i 4 Assi, e così via. Sono presenti effetti e consigli di nomi altisonanti quali Bill Simon, Aldo Colombini, Paul Curry, Herb Zarrow, Dai Vernon, David Copperfield e molti altri. Karl Fulves è una delle autorità magiche più popolari e rispettate tra gli autori dei testi di magia del giorno d'oggi. Nell'opera «Nuovi giochi automatici di magia con le carte», egli insegna ai neofiti, ma anche i più esperti apprezzeranno come eseguire 56 effetti reali e funzionanti che intrattengono il pubblico divertendolo, adatti a tutte le occasioni dove si può trovare un piccolo pubblico a distanza ravvicinata tipo quello che si può formare nelle feste e nelle riunioni di famiglia. I giochi sono semplici da padroneggiare. L'esecutore avrà bisogno solo di un mazzo di carte e di pochi altri oggetti di uso comune, tipo una moneta o un elastico. Il tipo di esibizione ravvicinata che questi giochi richiedono, offre ai principianti il miglior modo possibile per apprendere come interessare e gestire un pubblico. Tra i giochi qui spiegati, oltre al resto, vi sono giochi “di apertura”, cioè quelli che servono a guadagnare rapidamente l'interesse dei presenti anche per tutto il resto dell'esibizione; giochi “di memoria”, che sembrano far possedere all'esecutore la sconcertante abilità di memorizzare le carte; finte dimostrazioni di gioco d'azzardo, in cui sembrerà che il mago possegga le abilità di un esperto per controllare le carte durante le partite ai giochi che dovrebbero essere invece regolati dal caso; e carte “truccate”, che serviranno a creare della magia visuale tale da far strabuzzare gli occhi ai presenti. Copiose istruzioni passo-passo, accompagnate da illustrazioni chiare e attentamente disegnate, rendono questi effetti-da-applauso davvero a prova di errore, pur non richiedendo lunga pratica o particolare destrezza per eseguirli. -
Le lezioni originali di magia Tarbell. Ediz. integrale. Vol. 5: Lezioni 41-50.
Harlan Tarbell ideò nel 1926 il corso per corrispondenza per prestigiatori, costituito da 60 lezioni, che erano inviate una ogni 10 giorni. Questo quinto volume raccoglie le lezioni da 41 a 50 dell'opera completa, con 786 disegni b/n. -
I giochi del babbo. Divertirsi e sorprendersi con il proprio bambino, da zero a tre anni. Nuova ediz.
"Enea è mio figlio, e come tutti i bambini è perfetto perché non ha alcuna paura di vivere. È in contatto sincero con se stesso e l’entusiasmo che sprigiona è travolgente. Tra i tanti regali che mi ha donato c’è quello di poter giocare con lui quotidianamente, in accordo con le sue fasi evolutive. È un cantiere sempre aperto, dalla mattina alla sera, pronto ad accogliere le bislacche idee del babbo. In questo libro presento i giochi maggiormente significativi della mia personale relazione con Enea nei suoi primi tre anni di vita. Si tratta di attività semplici, anzi semplicissime e molte a costo zero. Inoltre sono bellissime perché nascono da un processo interiore legato alla meraviglia e allo stupore."""" (L'autore)" -
Tutti al centro. Volontariato e terzo settore in un «Paese normale»
In questo volume, esperti e militanti si interrogano sulle basi etiche, gli aspetti economici e politici del mondo del volontariato e del terzo settore. Intervengono: Pierangelo Bertoli, Gianfranco Bettin, Mariano Bottaccio, Massimo Campedelli, Francesco Ciafaloni, Goffredo Fofi, Giulio Marcon, Martino Mazzonis, mons. Giovanni Nervo, Mario Pianta, Marco Revelli. -
Martin Heidegger. Filosofia della traduzione
Che nell’opera di Heidegger vi fossero spunti importanti di una riflessione sulla traduzione era noto; ma che proprio la traduzione potesse fornire la chiave per un confronto decisivo con tutto il suo pensiero, che – come suggerisce senza riserve il titolo – la filosofia di Heidegger fosse essenzialmente una teoria della traduzione, ecco una tesi davvero innovativa nella già troppo vasta letteratura heideggeriana.Giometti non si limiterà, però, ad argomentare con rigore e intelligenza queste tesi; egli esamina la stessa prassi della traduzione in Heidegger, le sue tanto discusse traduzioni dai greci per scorgervi il luogo in cui il pensiero del filosofo trova il suo limite e, insieme, il suo compimento e dice ciò che non avrebbe altrimenti potuto dire. E, in questo punto in cui teoria e prassi conducono nel concetto estremo di “uso”, comincia a poco a poco a delinearsi la figura di un’altra lingua, la “lingua in cui l’occidente si traduce” nel suo incessante corpo a corpo con le proprie origini e la propria fine. -
Lettura del «Bateau ivre» di Rimbaud
Il saggio che qui pubblichiamo per la prima volta in volume, occupa sicuramente un posto privilegiato nell’opera di Furio Jesi. Vera e propria cellula originaria, e, insieme, sorta di talismano cui Jesi affida i propri “pensieri segreti”, esso stringe attorno al testo poetico rimbaudiano quelli che saranno i concetti fondamentali dell’officina del grande mitologo: il nesso tra opera letteraria e prassi politica svolto nell’opposizione di rivolta (evento che sospende il tempo storico) e di rivoluzione (complesso di azioni volte a cambiare una situazione nel tempo); l’identificazione di una formula mitica della modernità nella nozione complessa di luogo comune, e la riflessione sullo statuto di merce della creazione; poi, soprattutto, il contributo decisivo di Jesi alla scienza del mito, la definizione della macchina mitologica come ordigno innescato da una non-esistenza (qual è propriamente il mito), che, proprio per questo, irretisce gli uomini in false alternative dalle quali non c’è via d’uscita. Ma, in queste pagine densissime, in cui il pensiero di Jesi sembra urtarsi al proprio limite estremo, sembra anche aprirsi per un istante un varco al di là della macchina e delle sue aporie. -
Scottature
“A capo del convento dove io ero in Collegio, c’era una trinità di monache tutte eguali nella potenza, concordi nel giudizio, sincrone nelle azioni: la Superiora, la Maestra, la Vecchissima Religiosa. In quel convento si faceva un gran parlare di misteri: se si trattava di misteri celesti, il parlare era sereno, ampio, dettagliato; se si trattava di misteri terreni, era un parlare agitato, rapido, più sottinteso che spiegato: erano accenni così sfuggenti da somigliare al gesto di chi tocca qualcosa che scotta. E difatti si alludeva spesso a certe ‘scottature’, non meglio identificate, che ‘il mondo’ era solito dare a chi prendeva soverchia dimestichezza con lui...” Scottature è l’unica opera non incompiuta di Dolores Prato. Così, anche in letteratura, l’eccezione sembra coincidere con il miracolo: in un unico gesto breve e perfetto si condensa l’intero universo poetico di una grande scrittrice del ’900. -
Genere
L’intelligenza della poesia: essa conosce in una forma e solo in quella. La sua traduzione in altra lingua è altrettanto priva di senso che la sua ‘esposizione’ in prosa. Ossia il significato coincide con le parole. In Nappo è presente questa particolare intelligenza che folgora e acceca, illuminandola, la natura morta in cui si sono trasformati persone, cose, paesaggi. Presepi barocchi e tabernacoli, gesta di conquistatori, vita di corte e di bassi: la citazione latina e l’uso stralunato del vocabolo dottissimo si accompagnano al termine gergale. Questo impiego particolare della lingua (puramente poetico) permette a Nappo di inserire versi tradotti o meglio che ricuperano nella poesia il sapore ottocentesco della traduzione del classico studiato a scuola:... così il tempo delle gesta sbarca nelle campagne napoletane, visita i vicoli poco frequentati e la macelleria equina, partecipa per due volte, per due lingue affiancate, alle gesta ripetute della cattura del pesce spada nella Calabria arcaica dell’infanzia di sua madre. Ella vi assiste, particolare fisso del tempo presente. -
La stanza dei bambini
I quattro racconti che compongono questo volume mettono bene in luce le peculiari qualità della scrittura di Louis René des Forêts, di certo una delle figure più schive e segrete, ancorché sotterraneamente influenti, della letteratura francese contemporanea. L’autore vi rinnova i modi del conte philosophique in un senso affatto originale, agendo sul duplice versante di un’intensificazione percettiva – una sorta di spietata esattezza analitica –, e di un’affilata riflessione intorno alle ragioni più sfuggenti dell’immaginare, dello scrivere, del rievocare. C’è in questo libro, al fondo, una richiesta urgente di verità. Molieri, protagonista del primo racconto, si attende tutto dalla fortuna perché ritiene la sua volontà incapace di operare attivamente. Egli, come capita spesso ai personaggi del libro, fa della propria impotenza uno strumento di salvezza e di dannazione a un tempo, giacché il rifiuto di essere come è, è troppo facile ma non si può in alcun modo essere, la consapevolezza della vanità di ogni sforzo, non possono che produrre, assieme a un’insostenibile lucidità, una definitiva disillusione. In tutti i racconti, si noterà, un rilievo particolare viene assegnato ai fatti uditivi su ogni altro apporto sensoriale. In effetti, siamo di fronte a un ascolto dalle caratteristiche assai particolari, riferito costantemente alla condizione di chi si tiene all’esterno, attirato dai suoni ma impedito alla vista, come un ascoltatore segreto – che appare non a caso la figura chiave di tutto il libro – che cerchi di sottrarsi a una verifica che potrebbe essere più che dolorosa totalmente distruttiva. La scrittura di des Forêts non costruisce in senso esistenziale il proprio universo, che corrisponde invece a una sorta di grande meccanismo ironico, il cui paradigma è la rimozione. Ed ecco l’atto, tante volte ripetuto, di se dérober, di sottrarsi, di sfuggire, gettandosi dietro quel che si ostina a rimanere presente – qualcosa di affine a una gaddiana cognizione del dolore: tale il gesto, tale il trionfo e insieme il fallimento dei personaggi, tutti intenti a celebrare la propria irrevocabile liquidazione. Da questo punto è possibile forse scorgere la qualità più propriamente filosofica di questo volume, che cerca di far luce sul fondamentale divergere delle interpretazioni dal mondo, del dissidio e delle differenze come motori del semplice e risolutivo atto di narrare. (s.c.) -
La prova dell'estraneo. Cultura e traduzione nella Germania romantica
Fra i tanti punti di vista da cui si può interrogare la tradizione culturale tedesca, quello della traduzione è di sicuro il più rivelatore, in quanto porta in chiaro il rapporto singolarmente profondo che essa intrattiene dall’origine con ciò che è straniero, con l’alterità, appunto con l’“estraneo”, e il suo atteggiamento – non solo sotto l’aspetto linguistico – verso ogni forma di contaminazione, di ibridazione, di meticciato. Nessuna altra cultura moderna ha avvertito il problema in modo tanto intenso e tormentato, e dispone, per conseguenza, di un campionario così ricco di risposte. E in nessun altro caso la concezione che un pensatore ha del tradurre è così essenziale per comprendere a fondo tutti gli altri aspetti della sua riflessione. “Dimmi cosa pensi del tradurre e ti dirò chi sei”, affermava Heidegger in un corso su Hölderlin degli anni Quaranta: ciò vale prima di tutto per i tedeschi, la cui identità linguistica affonda le sue radici proprio nella traduzione luterana della Bibbia. Per tutti questi motivi il saggio di Berman va a colmare un vuoto inaccettabile nel vasto panorama delle pubblicazioni legate alla “storia della cultura”. Ma il suo contributo va molto oltre. Obiettivo dell’indagine è anche reperire materiali per l’elaborazione di una teoria moderna della traduzione, e in questa direzione Goethe, i Romantici, Humboldt e Schleiermacher offrono un ausilio preziosissimo, ma soprattutto Hölderlin, le cui traduzioni da Sofocle - già da lungo tempo avvistate dai commentatori - restano ancora oggi, nel loro significato più profondo, un tesoro in gran parte sommerso. Proprio da Hölderlin Berman si mostra in grado di ricavare gli insegnamenti più fecondi per una riflessione adeguata sul problema: la traduzione ne risulta come una fonte insostituibile di esperienza, ben più penetrante che non la “critica” o l’“interpretazione”, esperienza della pura estraneità, della differenza come tale, e al contempo di possibilità quasi inesplorate del linguaggio, quelle che si sottraggono a ogni norma e rendono possibile e necessaria una traduzione letterale del testo straniero in un’altra lingua. Egli getta così le basi per una teoria, o meglio, una filosofia della traduzione letterale – anzi per una “scienza”, la traduttologia, che una volta tanto non è strumento di omologazioni e incasellamenti ma inventario dei punti di accoglienza per l’irriducibile alterità linguistica, quindi non imposizione di norme ma apertura a quelle che Berman, in un altro scritto, chiama zone non-normate della lingua. -
Antichi tappeti orientali
Nell’opera che qui presentiamo per la prima volta in traduzione italiana, Alois Riegl, uno dei maggiori esponenti della “scuola di Vienna”, getta le basi per un approccio moderno allo studio del tappeto orientale e in generale allo studio delle arti applicate. È in questo lavoro, infatti, che egli inaugura i concetti e le prospettive che renderanno classiche le sue opere successive (innanzitutto Problemi di stile e Industria artistica tardoromana), al punto da influenzare intere generazioni di critici, storici e filosofi dell’arte. Riegl mostra chiaramente che è impossibile decifrare una forma di espressione artistica come quella del tappeto senza procedere al superamento della rigida divisione fra arte propriamente detta e arti “minori”, e che la stessa abusata qualifica di “orientale” rischia di essere fuorviante se non si tiene conto del rapporto di vitale continuità fra arte tardoromana e arte saracena, fra le quali egli stabilisce una connessione simile a quella che Industria artistica tardoromana ha poi dimostrato esistere fra tarda antichità e arte occidentale. È in questo libro, inoltre, che di fatto opera per la prima volta il concetto tipicamente riegliano di Kunstwollen, centrale nel successivo dibattito storico-artistico. Riegl si mostra in grado di abbinare la più minuziosa competenza tecnica alla veggenza dello storico, muovendosi con sovrana disinvoltura attraverso le epoche e le zone geografiche più disparate: esemplari sono le sue descrizioni del modo in cui le forme artistiche sorgono e trasmigrano, si incanalano in differenti realtà socioeconomiche, vengono contaminate, frantumate e infine muoiono, in un percorso tanto avventuroso quanto quello delle idee più feconde che si trasmettono da una lingua all’altra. Nella presente edizione si è cercato di mettere a disposizione del lettore odierno le immagini che Riegl cita di continuo ma non era stato in grado di riprodurre: l’apparato iconografico ne risulta così notevolmente arricchito rispetto all’edizione originale. Il testo è seguito da una nota del curatore volta ad illustrare il contesto culturale in cui nasce e si sviluppa l’interesse di Riegl per il tappeto e da una bibliografia ragionata sugli sviluppi degli studi sul tappeto orientale fino ai nostri giorni. Chiude il libro uno scritto di Sergio Bettini, forse il principale promotore della diffusione in italia delle idee di Riegl (sua è l’introduzione all’edizione italiana di Industria artistica tardoromana, Firenze 1953), nonché dell’importante eredità della “scuola di Vienna” nel suo insieme. Si tratta di un testo tratto dal ciclo di lezioni sulla storia delle poetiche dove proprio il tappeto viene posto al centro di una estetica fenomenologica volta a render conto delle dimensioni fondamentali dell’esperienza, della vita e dell’arte. -
Le specie del sonno
Il bilancio degli incontri tra letteratura e mito nella narrativa italiana contemporanea è singolarmente magro. Se si segnano – non troppo a caso – a un estremo i Dialoghi con Leucò di Pavese (1947) e, all’altro, gli ultimi romanzi della Ortese, nel mezzo Le specie del sonno – di cui Italo Calvino aveva saputo salutare nel 1975 la novità – splende isolato come un astro senza atmosfera, la cui luce comincia soltanto ora a raggiungerci. Poiché qui il mito non ha assolutamente, come in Pavese, il sapore aspro del sangue e della morte, né intreccia, come nelle trame fiabesche dell’Ortese, i fili del Meraviglioso e dell’Inquietante. Sembra, al contrario, che l’autrice, infilandosi per caso in un uscio rimasto aperto, sia riuscita a sorprendere le creature del mito nei loro gesti più quotidiani e immediati, cioè nel loro assoluto ignorare di essere mitiche. I centauri insonni, gli ipnotici ermafroditi, il dio Pan, i leoni araldici in lotta, l’eroe e il mostro nel labirinto, Eracle sfinito si muovono in queste pagine in una completa assenza di enfasi – e proprio questo smagamento dal mistero, questa ritrovata profanità è il loro mito, che Ginevra Bompiani comincia per la prima volta a raccontare. Le sue creature vivono in un tempo sospeso, come se non potessero mai avere una vita, parlano come se non potessero mai avere una lingua. Per questo la Stanchezza è la cifra ultima che il mito sembra lasciare sulle cose, quasi una leggera scucitura fra le parole e il mondo, uno stacco sottile fra noi e noi stessi, in cui vediamo sfuggirci la vita, assistiamo, fra sonno e veglia, al trascorrere del nostro mito. Le specie del sonno è un classico ritrovato nella letteratura italiana del Novecento. Giorgio Agamben -
L' osteria
L’osteria più che un luogo è un’atmosfera, un crocevia di attese che sfumano in altre attese; è uno schermo grigio su cui scorre uno spettacolo di malinconia ferita e velleitariamente ribelle, contraddetta solo dalla corposità offensiva dell’oste panciuto e dalla lancinante nudità dei passeri infilati nello spiedo dell’operosa cucina; intorno, tra gli avventori, dilaga l’inanità del gesto – il pugno battuto sul tavolo – che dovrebbe far esplodere la ribellione e si accascia, invece, nell’inguaribile stordimento, tra pioggia che scroscia, vino che scorre, voci di canto (sempre la stessa canzone ribalda di piratesca memoria «... ed una pinta di rum») e inquieti presentimenti. -
Il tessitore
Il tessitore è colui che vuole uscire e confondersi fra tutti. Ma non c’è che fare; appena sveglio è già in trappola: in un enorme letto due donne dormienti gli fanno la guardia, e riconoscono in lui, l’ignaro tessitore Iacme, il loro comune marito e vogliono lì per lì darsi alla vita coniugale. Ma il tessitore resiste, respinge i privati amplessi e anzi spalanca le porte della stanza a tutti quanti, sicché all’improvviso una folla, una moltitudine, un popolo intero si accalca intorno al letto, assetato di risposte. Dunque si parla, in un’economia concubinale, di avvenimenti decisivi nella vita di tutti quanti; e mentre la folla incalza indisciplinata, le due donne stringono ormai il sodalizio nuziale. Il tessitore però si ribella all’una e alle altre; tesse la sua parola insurrezionale “sveglia tutti”, uomini e donne, tutti quanti, e non dal sonno né da chi sa qual sogno ma proprio dalla veglia, dall’incubo del sé, che è sì la sua “trappola” ma anche quella di tutti quanti. Eppure, una parola sbagliata, forse un rovescio della fortuna ed ecco che il tessitore si ritrova di colpo nei panni dell’inquisito, torturato e condannato: tutti quanti minacciosamente chiudono il trio in una morsa di massiccia umanità che travolge e ammassa tutto, letto e tessitore, ma non le donne che, presto saltando giù dal letto, si uniscono alla moltitudine a schiacciare Iacme, che infine muore richiuso sotto tutti quanti. Così com’altrui piacque. -
La favola dell'essere. Commento al «Sofista»
Problemi e motivi de Il Sofista platonico sono all’origine di innumerevoli ricerche della filosofia contemporanea. Basti pensare, per rammentare il caso più celebre, all’esergo di Essere e tempo di Martin Heidegger. Spesso, però, quest’incontro si è realizzato attraverso una forzata attualizzazione del testo platonico, come provano soprattutto i trattamenti cui esso è stato sottoposto nelle indagini delle scuole filosofiche d’ispirazione analitica. Diversa è l’intenzione del presente commento. Esso non si propone, infatti, di interrogare e sollecitare Il Sofista, per rinchiuderlo nell’orizzonte dei problemi attuali della filosofia. Al contrario, esso vuole rimettersi all’ascolto del testo platonico, per prolungare innanzi tutto le sue stesse domande. In questa lettura, insomma, è Platone a interrogare la nostra attualità, mentre l’esegesi si pone come l’onda di risonanza del testo, ovvero, in termini figurativi, come una sua “icona”. Il commento vorrebbe così rendere giustizia all’idea di filosofo che nutre il dialogo platonico, ponendo la sua differenza dal sofista. Per quest’idea, la filosofia è musica, pura voce accordata sull’essere, mero tramite del suo risuonare. -
Percezione, linguaggio, coscienza. Saggi di filosofia della mente
Il filo conduttore di questo volume, che raccoglie contributi di alcuni dei più prestigiosi filosofi della mente, è quello di individuare nuovi paradigmi teorici che permettano di superare l'attuale stallo nello studio della mente, delineando nuovi approcci filosofici verso problematiche relative alla percezione, al linguaggio e alla coscienza.Sommario: Michele Carenini, Introduzione. Prove generali di una nuova prospettiva filosofica - Thomas Nagel, La concezione dell'impossibile e il problema mente-corpo - Douglas R. Hofstadter, Parole e pensiero: fantasie sulle risonanze create da parole e sintagmi attraverso la percezione subliminale delle loro parti sepolte - Daniel Dennett, La mente sta nel cervello? - Maurizio Matteuzzi, La melodia e il reggimento: la mente come rilevamento di morfismi - John Perry, Io e me stesso - Franco Lo Piparo, Il Mondo le specie animali e il linguaggio. La teoria zoocognitiva del Tractatus - Giacomo Ferrari, «Vedi cosa intendo?»: comunicazione verbale e canale visivo - Oliviero Stock, Verso una nuova modalità linguistica basata su tecnologia - Jerry A. Fodor, Prototipi e composizionalità - Note bio-bibliografiche -
Discussioni (1949-1953)
Su un foglio ciclostilato destinato a pochi lettori, un gruppo di amici dibatte i temi che il periodo storico mette all’ordine del giorno: la bomba atomica e la non-violenza, il socialismo e l’Urss, l’etica e la politica, il materialismo e l’estetica, la scienza e la storia. Nasce così, alla fine degli anni ’40, tra “ricostruzione” e “guerra fredda”, una rivista che oltre a far da palestra per giovani intellettuali accomunati dalla ricerca della verità – tra loro Delfino Insolera, Roberto Guiducci, Renato Solmi, Luciano Amodio, Cesare Cases, Franco Fortini, Claudio Pavone – costituisce l’incunabolo di una serie di riviste, da “Ragionamenti” fino a “Quaderni piacentini”, che avrà per caratteristica la libertà di giudizio e l’atteggiamento critico nei confronti delle ortodossie. La riproposizione integrale di “Discussioni”, preceduta da uno scritto introduttivo di Renato Solmi che ritrae nitidamente le figure dei collaboratori, e arricchita da un’appendice di testimonianze, restituisce un dialogo appassionato tra intellettuali indipendenti e documenta un esempio valido ancora oggi di capacità di coniugare la riflessione filosofica e la ricerca etica con l’analisi della contemporaneità Collaboratori: Luciano Amodio, Piero Bontadini, Sergio Caprioglio, Cesare Cases, Piero Angiolini, Pacifico D’Eramo, Franco Ferrarotti, Franco Fortini, Giacomo Francioni, Armanda Giambrocono Guiducci, Roberto Guiducci, Delfino Insolera (fondatore), Franco Momigliano, Fulvio Papi, Erminio Parini, Claudio Pavone, Giulio Preti, Michele Ranchetti, Renato Solmi, Emanuele Tortoreto. -
Misurare l'anima. Filosofia e psicofisica da Kant a Carnap
Questo volume ricostruisce la storia di un problema filosofico tra i più classici – quello del rapporto tra anima e corpo – in seno alla filosofia tedesca dell'Ottocento e del primo Novecento. Il tentativo di applicare alla sfera psichica i procedimenti di misurazione e quantificazione tipici delle scienze naturali, scatenò all’epoca un vivace dibattito intorno alla natura dell’anima e ai limiti di applicabilità del metodo scientifico. Al centro di questo nodo problematico si colloca idealmente la psicofisica, disciplina ideata da G.Th. Fechner sulla base delle ricerche fisiologiche di E.H. Weber, ma anche sotto l'influsso determinante del pensiero di Schelling. A metà strada tra la metafisica del XVII secolo e le novecentesche discussioni sul Mind-Body Problem, l’ampia querelle sulla psicofisica coinvolse le maggiori personalità filosofiche del tempo, impegnandole su questioni che rimangono a tutt'oggi di grande attualità teoretica. Muovendo da una puntuale ricerca delle origini del problema, individuabili nell'opera di Kant, il volume affronta le principali scuole di pensiero dell'Ottocento per concludersi infine con l'esame degli importanti contributi offerti dalla scuola descrittivo-fenomenologica di Brentano e dai massimi esponenti del Circolo di ViennaIndice: Prefazione - 1. L’anima come «grandezza intensiva» - 2. Neocriticismo e psicofisica - 3. Eredi e critici di Fechner - 4. Esiti novecenteschi - Bibliografia -
Antichi tappeti orientali
Nell’opera che qui presentiamo per la prima volta in traduzione italiana, Alois Riegl, uno dei maggiori esponenti della “scuola di Vienna”, getta le basi per un approccio moderno allo studio del tappeto orientale e in generale allo studio delle arti applicate. È in questo lavoro, infatti, che egli inaugura i concetti e le prospettive che renderanno classiche le sue opere successive (innanzitutto Problemi di stile e Industria artistica tardoromana), al punto da influenzare intere generazioni di critici, storici e filosofi dell’arte. Riegl mostra chiaramente che è impossibile decifrare una forma di espressione artistica come quella del tappeto senza procedere al superamento della rigida divisione fra arte propriamente detta e arti “minori”, e che la stessa abusata qualifica di “orientale” rischia di essere fuorviante se non si tiene conto del rapporto di vitale continuità fra arte tardoromana e arte saracena, fra le quali egli stabilisce una connessione simile a quella che Industria artistica tardoromana ha poi dimostrato esistere fra tarda antichità e arte occidentale. È in questo libro, inoltre, che di fatto opera per la prima volta il concetto tipicamente riegliano di Kunstwollen, centrale nel successivo dibattito storico-artistico. Riegl si mostra in grado di abbinare la più minuziosa competenza tecnica alla veggenza dello storico, muovendosi con sovrana disinvoltura attraverso le epoche e le zone geografiche più disparate: esemplari sono le sue descrizioni del modo in cui le forme artistiche sorgono e trasmigrano, si incanalano in differenti realtà socioeconomiche, vengono contaminate, frantumate e infine muoiono, in un percorso tanto avventuroso quanto quello delle idee più feconde che si trasmettono da una lingua all’altra. Nella presente edizione si è cercato di mettere a disposizione del lettore odierno le immagini che Riegl cita di continuo ma non era stato in grado di riprodurre: l’apparato iconografico ne risulta così notevolmente arricchito rispetto all’edizione originale. Il testo è seguito da una nota del curatore volta ad illustrare il contesto culturale in cui nasce e si sviluppa l’interesse di Riegl per il tappeto e da una bibliografia ragionata sugli sviluppi degli studi sul tappeto orientale fino ai nostri giorni. Chiude il libro uno scritto di Sergio Bettini, forse il principale promotore della diffusione in italia delle idee di Riegl (sua è l’introduzione all’edizione italiana di Industria artistica tardoromana, Firenze 1953), nonché dell’importante eredità della “scuola di Vienna” nel suo insieme. Si tratta di un testo tratto dal ciclo di lezioni sulla storia delle poetiche dove proprio il tappeto viene posto al centro di una estetica fenomenologica volta a render conto delle dimensioni fondamentali dell’esperienza, della vita e dell’arte.