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Vie di fuga
Come fa un bambino di dieci anni aspirante mago a sottrarsi al grigiore di una famiglia infelice e nessun amico? Dove trova rifugio una giovane donna, se il cappotto e le sciarpe dell'amore perduto non bastano a ripararla dal freddo di una grande città indifferente? Cosa scatta nella mente dei figli del re quando un acchiapparatti arriva a palazzo e sconvolge ogni equilibrio? Tutti i protagonisti di questi racconti cercano una via di fuga dalla realtà soffocante che li intrappola. Alcuni la trovano in un disegno che ritrae l'ignoto. Altri in un semplice battito d'ali.«Un album di fiabe inquietanti e surreali» - Annachiara Sacchi, Robinson«Con un esordio già maturo, Naomi Ishiguro si rivela maestra di un realismo magico venato di inquietudine» – The Big Issue«Queste storie iniziano come delicate ragnatele e finiscono come indistruttibili trappole di fildiferro» – Neil Gaiman«Una scrittura incantevole e di affascinante eccentricità» – The Sunday TimesDan ha buoni motivi per andarsene e buoni motivi per restare. In attesa di decidere, tiene la valigia pronta. Nel suo dibattersi, sembra non rendersi conto che, se il problema ce l'hai dentro, non c'è contesto in grado di salvarti. Jamie è affascinato dallo spazio e sogna di fare l'astronauta, ma vive tra le pecore in una remota comunità montana. Seppure non nel modo in cui sperava, uno scostante ospite di passaggio gli aprirà le porte di quel mondo inaccessibile. Evgeny si sente a disagio nell'ufficio di Londra in cui ha appena cominciato a lavorare. Per sua fortuna e sfortuna, la sostanza capace di trasformarlo magicamente in una macchina infallibile è in vendita a ogni angolo. In Vie di fuga Naomi Ishiguro racconta di persone normali che lottano per liberarsi da vincoli reali e mentali. Le loro storie, come quelle di Angela Carter prima di lei, hanno però anche qualcosa di fantastico, che si manifesti in un dettaglio – come un enorme orso giocattolo che con la sua muta ed enigmatica presenza ha il potere di scuotere un matrimonio – o in una conclusione che la razionalità non può spiegare. L'elemento fiabesco diventa centrale nella storia in tre parti che scandisce la raccolta. Qui, sullo sfondo di un regno in cui il prototipico palazzo del re convive con la periferia industriale dismessa, l'umile ma distinto acchiapparatti chiamato a porre fine a un'infestazione senza precedenti si trova invischiato in una faida familiare i cui protagonisti, a dispetto del titolo nobiliare, soffrono e feriscono il prossimo come la gente del popolo. In una lingua controllata e precisa, economica ma capace di tocchi poetici, Naomi Ishiguro racconta di persone in trappola, ma offre a loro, e ai lettori, la libertà del volo. -
Il gioco delle ultime volte
Quando è stata l'ultima volta che abbiamo fatto o visto qualcosa senza sapere che sarebbe stata l'ultima? Per Ale, diciassette anni, è quel pomeriggio a Torino all'uscita dalla palestra. Per Nicola, il medico che l'ha soccorsa, è stato trent'anni prima, ad Amsterdam, quando è inciampato in un dolore troppo grosso. E mentre Ale lotta in ospedale tra la vita e la morte, Nicola trascorre qualche giorno in una baita di montagna con vecchi e nuovi amici: giorni che hanno tutto il sapore del Grande freddo. Ci sono quattro uomini e quattro donne, in quella baita, e ci sono i loro segreti inconfessati. Ma i segreti e i ricordi, quando riaffiorano, non conoscono affatto le buone maniere.Ale, diciassette anni non ancora compiuti, scontenta, viziata, confusa. Lo ha sentito benissimo il rumore del tram, quando ha spiccato un balzo verso le rotaie. E Nicola, il medico che l'ha soccorsa appena arrivata in ospedale, non riesce proprio a togliersela dalla testa, quella ragazza piú vicina alla morte che alla vita. Perché lo scudo professionale certe volte è di cartapesta, e anche la bellezza può essere un coltello che allarga le nostre ferite. Davanti a sé, adesso, ha un lungo week- end da trascorrere con la moglie Teresa a Chamois, a casa di amici. Un week-end come tanti, si direbbe. Cene, passeggiate, chiacchiere davanti al camino. Ma in quei pochi giorni, per lui e per tutti gli altri, il tempo subirà un'accelerazione e procederà in tutte le direzioni. Ognuno sarà costretto a fare un bilancio della propria vita e a portare allo scoperto i segreti che nasconde persino a se stesso. A catalizzare tutto, forse, l'ombra di Ale, e per Nicola anche un fantasma in carne ed ossa che viene dal passato: il suo vecchio amico Matteo che non vede dagli anni del liceo. Qualcuno proporrà un gioco innocuo per passare il tempo: ma sarà il tempo invece a passare su ognuno di loro. «Il gioco delle ultime volte» ha le sue regole: ciascuno deve raccontare l'ultima occasione in cui ha fatto o visto una determinata cosa o persona; valgono sia i ricordi veri sia quelli inventati. C'è chi parla di una casa in cui ha trascorso le vacanze da ragazzo, chi s'inventa (chissà perché) di aver nostalgia di un anello che non ha mai perso, chi si spinge piú a fondo. Come Nicola, e Matteo, che finalmente a notte fonda si troveranno faccia a faccia per continuare quel gioco da soli. Non si vedono da trent'anni: da quando ad Amsterdam, dove erano in vacanza insieme, Matteo aveva fatto a Nicola «uno scherzo» che li avrebbe segnati per sempre. Avevano 19 anni, quell'estate, erano i Dioscuri, i due gemelli divini. E «c'erano state volte, – pensa Nicola, – in cui l'intesa con Matteo gli aveva provocato una felicità cosí profonda da fargli desiderare che il momento si congelasse». Il lungo week-end finisce per tutti, ma se la vita è ciò che ci succede mentre, piú o meno accuratamente, nascondiamo i nostri segreti, forse presto... -
Bianco è il colore del danno
Libro candidato da Renata Colorni al Premio Strega 2021Il corpo di una scrittrice, in apparenza integro eppure danneggiato, diventa lo specchio della fragilità umana e insieme della nostra inarrestabile pulsione di vita. Francesca Mannocchi guarda il mondo attraverso la lente della malattia per rivelare, con una voce letteraria nuda, luminosa, incandescente, tutto ciò che è inconfessabile. «Francesca Mannocchi, inviata in contesti bellici, scopre di essere stata colpita da una patologia neurodegenerativa. Reagisce scrivendo un memoir che è un attraversamento della malattia senza sapere ancora il finale» - Alessandra Sarchi, Robinson«Per chi ha amato ""Perdersi"""" di Lisa Genova, """"Cosa sognano i pesci rossi"""" di Marco Venturino, o il prezioso """"Davanti al dolore degli altri"""" di Susan Sontag, questa lettura è una pietra essenziale. Che ha il merito nudo di metterci in guardia. Dal bianco dei danni che tendiamo a comprimere, in cui crediamo di annegare quando gli altri ci guardano, provando a schivare il loro riflesso.» – Cristiana Saporito per Maremosso«La vergogna è questa cosa qui. Ci rivela cosa siamo per gli altri, quanto valiamo nel catalogo dei vivi, ora che siamo guasti.»Quattro anni fa Francesca Mannocchi scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura. È una giornalista che lavora anche in zone di guerra, viaggia in luoghi dove morte e sofferenza sono all'ordine del giorno, ma questa nuova, personale convivenza con l'imponderabile cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. La spinge a indagare sé stessa e gli altri, a scavare nelle pieghe delle relazioni piú intime, dei non detti piú dolorosi, e a confrontarsi con un corpo diventato d'un tratto nemico. La spinge a domandarsi come crescere suo figlio correndo il rischio di diventare disabile all'improvviso e non potersi quindi occupare di lui come prima. Essere malata l'ha costretta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, e ad abitare una vergogna privata e collettiva che solo attraverso l'onestà senza sconti della letteratura lei ha trovato il coraggio di raccontare.rnProposto da Renata Colorni al Premio Strega 2021 con la seguente motivazione:rn«Ho letto con turbamento ed emozione, nonché con ammirato stupore, il libro di chiarissima impronta autobiografica che Francesca Mannocchi, già nota giornalista e reporter di guerra, ma da oggi anche originale e fine scrittrice, con il titolo Bianco è il colore del danno, ha pubblicato recentemente per Einaudi Stile Libero. Appena l’ho finito, ho subito pensato di proporne la candidatura al Premio Strega ed è ciò che faccio oggi con convinzione.rnA suggerirmi questo gesto è stata naturalmente la innegabile rilevanza, scientifica, politica e sociale, del tema che Mannocchi affronta di petto, con competenza specifica e strenuo coraggio: una giovane donna, che nutre per la vita una passione furiosa ed è straordinariamente capace di disegnarne con esattezza le presenze, le assenze, i contorni e le immagini più delicate ma anche le emergenze e le sfide più crudeli, è costretta a fare i conti ogni giorno con una grave e misteriosa e incurabile malattia cronica – la sclerosi multipla – che le viene... -
Bach e Prince. Vite parallele
Due musicisti appartenenti a epoche e culture diverse, che hanno difeso la coerenza della propria visione lasciandoci in eredità capolavori in debito con il passato e capaci di tracciare il futuro. Con spigliatezza narrativa e rigore da esperto, Carlo Boccadoro scrive un libro inedito e inatteso, in cui a emergere è soprattutto la forza di un sogno, portato avanti contro ogni critica o avversità.Persino chi non è appassionato di musica classica conosce e ama Bach, uno dei compositori piú ascoltati al mondo, che ha commosso epoche e culture diverse. E chiunque ha ballato almeno una volta su un pezzo di Prince, che ha mescolato black music, funk, dance e pop, creando sonorità del tutto nuove e singolari. Ma cosa accomuna questi due grandi interpreti del proprio tempo? Entrambi hanno determinato autentiche svolte nella storia della musica. Che uno lo abbia fatto alla corte di sovrani e imperatori del Settecento e l'altro nell'èra di Mtv, non cambia la questione, anzi è proprio ciò che la rende cosí affascinante. «Come si può cercare di riassumere in un linguaggio sincretico le diverse voci che affollano il paesaggio sonoro in cui ci si è trovati a vivere? Entrambi hanno fornito una propria risposta e la metodologia di pensiero utilizzata per raggiungerla non è cosí distante come i risultati potrebbero farla apparire. Mi piace credere che se questi due grandi artisti avessero avuto la possibilità di incontrarsi si sarebbero stretti la mano.» -
Lo sappiamo quando lo vediamo. Cosa ci dice la neurobiologia della visione su come pensiamo
«Questo libro racconta di come noi vediamo il mondo.»«Un libro magistrale che si legge tutto d'un fiato, e che intreccia la scienza e le storie che stanno dietro le quinte della scienza. Sapiente, profondo e scritto con quella facilità di approccio e competenza che solo un veterano della materia può conseguire» – David EaglemanIndividuare un volto in mezzo alla folla è cosí facile che lo si dà per scontato. Ma come ciò sia possibile resta uno dei grandi misteri della scienza. La visione è coinvolta in un'infinità di azioni compiute dal cervello. Spiegarne il funzionamento non svela soltanto il semplice modo in cui vediamo, ma moltissimo altro. Richard Masland, un pioniere nel campo delle neuroscienze, affronta questioni fondamentali sul modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni (come percepisce, apprende e ricorda) attraverso un attento studio della vita interna dell'occhio. Prende in considerazione tutto ciò che accade in esso, da quando la luce colpisce la retina fino alle sofisticatissime reti neurali che trasformano quella luce in conoscenza, per definire infine cosa un algoritmo informatico deve saper fare per poter essere definito davvero «intelligente». Lo sappiamo quando lo vediamo è un'indagine approfondita ma accessibile a tutti su come il nostro corpo riesca a dare un senso al mondo.«Questo libro racconta di come noi vediamo il mondo. Per molto tempo gli studiosi hanno riflettuto sulla visione, ma secondo i criteri moderni buona parte delle loro idee erano ingenue: l'occhio è sí qualcosa che assomiglia a una macchina fotografica, ma la visione è assai piú di questo. Forse a noi sembra naturale e semplice riconoscere il volto di un amico – al punto che gli antichi nemmeno l'avevano identificato come problema – ma nulla a riguardo è semplice. Per comprendere realmente la visione è necessario comprendere qualcosa che va oltre il semplice funzionamento dei nostri occhi: ossia è necessario comprendere anche come il cervello dà un senso al mondo esterno. Paradossalmente, il cervello è piuttosto lento: i neuroni e le loro sinapsi lavorano milioni di volte piú a rilento dei moderni computer. Eppure, esso li batte in molte funzioni percettive. In pochi millisecondi voi riconoscete vostro figlio in un affollato parco giochi. Come fa il cervello? Come incamera uno stimolo lieve – una macchia di luce, una vibrazione nell'aria, una variazione di pressione sulla pelle – e gli attribuisce un significato? Abbiamo qualche vaga idea di come ci riesce, ma ciò che abbiamo imparato è affascinante». -
Dante Alighieri. Una vita
Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell'Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni più recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell'esistenza del poeta, sia nell'attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati un'indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche. -
Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo
Un sestante per navigare tra gli scogli della stima di sérn«Il narcisismo abita i nostri amori e tutte le relazioni. Può essere fragile o contundente. Finché cerchiamo di rinchiuderlo in una definizione, non lo capiremo. Occorre una bussola psichica per navigare nei mari insidiosi della stima di sé, tra isole che si chiamano Insicurezza, Egocentrismo, Rabbia, Invidia, Vergogna.»Narciso era un giovane di grande bellezza, nella quale annegò dando vita a un fiore. Ovidio lo raccolse e ne fece un mito, Freud una realtà psichica: il narcisismo. Abita i nostri amori, attraversa i nostri discorsi, seduce politici e artisti, ma anche criminali. Funambolo dell'autostima, Narciso cammina sul filo teso tra un sano amore di sé e la sua patologica celebrazione, che può diventare una diagnosi: il disturbo narcisistico di personalità. Finché cerchiamo di rinchiuderlo nella gabbia di una sola definizione, non lo conosceremo: ci serve un sestante per navigare tra gli scogli della stima di sé. Ci sono narcisisti arroganti oppure timidi, con la pelle spessa o sottile. Tutti nuotano in un arcipelago di possibilità: saziati dalla prepotenza, circonfusi dal carisma, baciati dal successo, afflitti dalla depressione, tormentati dall'insoddisfazione, abitati dal vuoto, suicidi per frustrazione. Possono avvelenare una relazione fino al sadismo e manipolare gli altri fino alla psicopatia. Sono braccati da cinque fiere: l'egocentrismo, l'insicurezza, la rabbia, l'invidia e la vergogna. -
La spia intoccabile. Federico Umberto D'Amato e l'Ufficio Affari Riservati
La storia di un uomo dallo straordinario potere, esercitato in modo felpato, in un cono d'ombra, in Italia, a partire dal dopoguerra.Di Federico Umberto D'Amato è stato detto che «sapeva quasi tutto di tutti e quello che non sapeva, tutti pensavano che lo sapesse». Per questo tutti lo temevano. Per i suoi detrattori è stato una sorta di anima nera della Repubblica della quale avrebbe custodito i piú reconditi misteri; per i suoi estimatori, invece, è stato il piú geniale uomo di intelligence che l'Italia abbia mai avuto, maestro nell'arte dello spionaggio e unico esponente dei servizi segreti italiani davvero stimato a livello internazionale. Al vertice del cosiddetto Ufficio Affari Riservati (l'organismo informativo del ministero dell'Interno) tra l'inizio degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta D'Amato fu detentore di un potere talmente vasto da permettergli di condizionare perfino le scelte politiche dei vari ministri dell'Interno in carica.Chi era Federico Umberto D'Amato? E quale funzione aveva l'Ufficio Affari Riservati (Uar), che diresse per tanti anni? Solo di recente ci si è resi conto di quanto sia stato rilevante il ruolo giocato dall'Uar durante gli anni della guerra fredda in Italia, disponendo finalmente di sufficienti elementi documentali per comprendere come esso sia stato l'organismo responsabile di una delle piú spregiudicate e capillari opere di infiltrazione all'interno di partiti politici, sindacati e movimenti extraparlamentari. Questa documentazione ha dimostrato che per decenni all'Uar aveva fatto capo una sorta di polizia parallela che agiva in modo del tutto autonomo dalle canoniche forze di pubblica sicurezza e che era in grado di gestire e tenere a libro paga centinaia di informatori sparsi in gran parte del territorio italiano. L'Ufficio Affari Riservati, in sostanza, operava come un vero e proprio servizio segreto, pur non essendo giuridicamente riconosciuto come tale. E, pur non avendo alcuna legittimazione giuridica, è di fatto esistito fin dall'immediato dopoguerra senza che il suo operato abbia mai suscitato un particolare interesse da parte della stampa, delle forze d'opposizione e della magistratura. La stessa figura di Federico Umberto D'Amato, d'altronde, è ancora oggi molto poco conosciuta, sebbene egli sia certamente stato il piú importante e influente dirigente dell'Uar, per anni detentore di un potere talmente vasto da permettergli di condizionare perfino le scelte politiche dei vari ministri dell'Interno in carica. -
La seconda ora d'arte
Un viaggio alla scoperta di cento opere fondamentali, per imparare attraverso la bellezza a essere persone più umane e cittadini più consapevoli.«I monumenti ci parlano. In ogni modo provano ad attirare la nostra attenzione, implorano uno sguardo, una nostra sosta. Lo fanno perché, pur eterni o quasi, non vivono se non attraverso la vita dei vivi. Se accettiamo di far loro un po’ di spazio nella mente e nel cuore, in cambio essi rendono più intensa, più profumata, più profonda la nostra vita. Temo che nessun produttore o responsabile di rete lo accetterebbe, ma il programma televisivo che davvero vorrei realizzare consisterebbe in una lentissima camminata in una qualunque chiesa storica del nostro Paese: e invece di fermarmi a far due chiacchiere con i passanti e i conoscenti, mi fermerei a leggere ogni lapide. Ognuno di quei brevi testi ha il potere di convocare davanti ai nostri occhi uomini e donne, eventi e pensieri, storie e vite di dieci secoli, e oltre. Dalla più sperduta chiesa si stende una rete di storie che avvolge l’Europa o il mondo interi, capace di farci sprofondare nei recessi intimi della nostra comune umanità».Oggi in Italia tutti hanno una ricetta in tasca per avvicinare gli italiani all’arte. Si tratta spesso di ricette a base di usurate pratiche di marketing, che dovrebbero far digerire Botticelli, come uno zuccherino aiuta a buttar giù la medicina amara, a cittadini considerati soltanto orde di consumatori inconsapevoli e irredimibili. Il risultato è desolante: ammesso (e per nulla concesso) che questa spintissima mercificazione serva a vendere qualche biglietto in più, è certo che non alimenta in alcun modo il nostro dialogo con l’arte. E se invece la ricetta fosse molto più semplice e rispettosa dell’intelligenza di ognuno di noi? Montanari traccia in queste pagine agili e appassionanti una possibile via per un’educazione artistica che sia anche educazione sentimentale e civica. E ci accompagna tra le strade del bello, dove alto e basso si mescolano, dove contemporaneo e classico sono parte di un unico grande discorso, che parte dalle mani impresse sulla roccia in una caverna e arriva a Banksy, passando per Raffaello, Monet, Pellizza da Volpedo e Rothko. -
Questo è il piacere
Margot sa che Quin le donne le ascolta, le spalleggia e le ama. Ma sa che allo stesso tempo le fruga, le manipola, le offende. Ora che un'accusa di molestie sessuali travolge la vita e la carriera di Quin, Margot deve chiedersi quanto sia tagliente la lama che separa la seduzione dall'abuso, l'empatia dalla giustizia.«Incendiario... e ambiguo. In ""Questo è il piacere"""" una delle piú grandi scrittrici viventi affronta un tema al calor bianco con sottigliezza e rispetto delle sfumature. La sua capace umanità accorda compassione anche quando non giustifica» – The Boston GlobeEntrambi editori stimati, entrambi di mezza età e felicemente sposati, l'inglese Quin e l'americana Margot sono amici da tanto tempo. Sin da quando Quin si è complimentato con una giovane Margot per il suo intrepido gusto letterario e, come a suggellare la forza del suo apprezzamento, ha allungato una mano verso le sue parti intime. Margot l'ha fermato con un no deciso e un palmo aperto davanti al naso, come si fa con i cavalli, e da allora la loro amicizia ha potuto prosperare nel segno dell'affetto e della reciproca comprensione. Quin era là per lei ogni volta che Margot ha avuto bisogno di un'iniezione di fiducia e di autostima; Margot ha ascoltato con premura quando Quin le ha raccontato di Caitlin e Hortense e Sharona, tutte le giovani donne che, nel corso della sua vita e della sua carriera, ha variamente corteggiato, sostenuto, usato, sminuito, protetto, manipolato. Non che Margot abbia mai approvato le sue battute pesanti e i comportamenti sconvenienti. Ma Quin è un uomo brillante e generoso, straordinariamente pronto all'ascolto, appassionato e un po' crudele. E Margot sa che il suo fascino seduttivo è un tutt'uno con i suoi eccessi. Del resto, entrambi sono convinti che al cuore della personalità ci sia il sesso. Quando il vento del tempo nuovo investe Quin come un treno e la luce cruda della correttezza illumina la tela viscosa delle sue relazioni, Margot deve provare a bilanciare il piacere con il dolore, fino a mettere in discussione la sua stessa idea di libertà. La piú incisiva storia di #MeToo, delle sue agognate conquiste come delle inevitabili dismisure, da una punta di diamante della provocazione."" -
Il Re Ombra
Lei è Hirut, figlia di Fasil e Getey, una ragazzina spaurita in balia di un sistema patriarcale che la vuole schiava. Ma quando i venti di guerra contro gli invasori italiani cominciano a infuriare sulle alture, Hirut, figlia di Fasil e Getey, diventa la temuta guardiana del Re Ombra: come le sue sorelle d'Etiopia ora è un soldato, che non ha piú alcun timore di ciò che gli uomini possono fare a donne come lei.rnrn«Ambientata durante la Guerra d'Etiopia, Il re ombra è un'epica vasta e indimenticabile di un'autrice d'immenso talento che non ha paura di rischiare». - The New York Review of Books1974, Addis Abeba: «È venuta a piedi e in corriera, attraversando luoghi che per quasi quarant’anni aveva scelto di dimenticare. È in anticipo di due giorni ma lo aspetterà… » Inizia cosí, con la paziente attesa di Hirut nella stazione ferroviaria della capitale etiope sull’orlo di una nuova rivolta, il lungo flashback con cui Maaza Mengiste ci conduce ai giorni dell’occupazione voluta da Mussolini nel 1935 e portata avanti con inaudita violenza malgrado i richiami della Società delle nazioni. Quando, il primo marzo 1936, l’imperatore Hailé Selassié, al comando del suo esercito, viene sconfitto a Mai Ceu e costretto all’esilio, sugli altopiani e nei villaggi dell’intero paese le donne e gli uomini etiopi organizzano una resistenza vittoriosa, combattendo battaglie il cui clamore rimanda agli epici scontri dell’Iliade. Tutto avviene secondo le regole talora cruente di una società feudale che vanta però un’antica indipendenza e una solida tradizione militare. Il re è salito su un treno che lo sta portando fuori dal suo paese, ma sui crinali dei colli appare il profilo conosciuto e amato del sovrano. È un inganno? Un miraggio? Forse è il potere dell’ombra, che restituisce ai sudditi fiducia e coraggio. Maaza Mengiste allestisce un doppio palcoscenico: sulle alture, agli ordini del nobile Kidane, si organizzano gli irriducibili combattenti etiopi, Aklilu, Seifu, Aster, Hirut, Fifi, la cuoca e innumerevoli altri; mentre sul terrazzamento a strapiombo sulla valle il colonnello Fucelli fa costruire la base italiana dove si fronteggiano opposte concezioni dell’onore e del coraggio, e si sperimenta con inquietante coerenza come una forma d’arte possa diventare un’arma. Nelle fotografie scattate da Ettore Navarra, il soldato ebreo cui viene dato l’ordine sadico e pornografico di immortalare esecuzioni e nudi femminili, leggiamo insieme talento e crudeltà, obbedienza e indifferenza a se stesso. Incrinate, l’una e l’altra, dal coraggio intelligente di Hirut, che si sottrae al ruolo di vittima del suo obiettivo per assumere quello di testimone e poi custode di un archivio d’immagini che raccontano la Storia e la rettificano.rnAnna Nadotti -
Quando tornerò
Questa è la storia di chi parte e di chi resta. Di una madre che va a prendersi cura degli altri, dei suoi figli che rimangono a casa ad aspettarla covando ambizioni, rabbie, attese. E un'incontenibile voglia di andarsene lontano. Dopo il grande successo di Resto qui , Marco Balzano torna con un racconto profondo e tesissimo di destini che ci riguardano da vicino, ma che spesso preferiamo non vedere. Un romanzo che va dritto al cuore, mostrando senza mai giudicare la forza dei legami e le conseguenze delle nostre scelte.rn«Gli emigrati di Marco Balzano, spinti dalla necessità di costruirsi un destino migliore, o forse solo meno duro. (...) Combattenti invisibili in bilico tra il desiderio di mollare tutto, ""andarsene"""", e la seduzione di """"restare"""", affrontando dall'interno la battaglia quotidiana dell'esistenza.» - Annachiara Sacchi, la LetturaSe non capisci tua madre, è perché ti ha permesso di diventare una donna diversa da lei.Daniela ha un marito sfaccendato, due figli adolescenti e un lavoro sempre piú precario. Una notte fugge di casa come una ladra, alla ricerca di qualcosa che possa raddrizzare l'esistenza delle persone che ama – e magari anche la sua. L'unica maniera è lasciare la Romania per raggiungere l'Italia, un posto pieno di promesse dove i sogni sembrano piú vicini. Si trasferisce cosí a Milano a fare di volta in volta la badante, la baby-sitter, l'infermiera. Dovrebbe restare via poco tempo, solo per racimolare un po' di soldi, invece pian piano la sua vita si sdoppia e i ritorni si fanno sempre piú rari. Quando le accade di rimettere piede nella sua vecchia casa di campagna, si rende conto che i figli sono ostili, il marito ancora piú distante. E le occhiate ricevute ogni volta che riparte diventano ben presto cicatrici. Un giorno la raggiunge a Milano una telefonata, quella che nessuno vorrebbe mai ricevere: suo figlio Manuel ha avuto un incidente. Tornata in Romania, Daniela siederà accanto al ragazzo addormentato trascorrendo ostinatamente i suoi giorni a raccontargli di quando erano lontani, nella speranza che lui si svegli. Con una domanda sempre in testa: una madre che è stata tanto tempo lontana può ancora dirsi madre? A narrare questa storia sono Manuel, Daniela e Angelica, la figlia piú grande. Tre voci per un'unica vicenda: quella di una famiglia esplosa, in cui ciascuno si rende conto che ricomporre il mosaico degli affetti, una volta che le tessere si sono sparpagliate, è la cosa piú difficile. Dopo L'ultimo arrivato e Resto qui, Marco Balzano torna a raccontare con sguardo lucido e insieme partecipe quelle vite segnate che, se non ci fosse qualcuno a raccoglierle, resterebbero impigliate nel silenzio."" -
Filo spinato
Le poesie di Alessandro Fo raccontano piccoli episodi come ripresi da vecchie foto, sempre con la speranza che qualcosa resti, dopo la fine di ogni storia. Sempre con la certezza che tra lo scomparire e il riemergere ci sia un filo sottile, spinato o no, a cui tutti siamo appesi.Il filo spinato del titolo è quello che, trattenendo il nonno di rientro da un assalto durante la Grande Guerra, gli salvò la vita. Senza quel filo non ci sarebbero stati il padre del poeta, né la zia Bianca, né lo zio Dario, né il premio Nobel di quest'ultimo. Incontriamo poi in questo libro un ricco romano del IV secolo, di cui rimane pressoché solo il nome: ma fu grazie a lui se il giovane Agostino poté studiare. Senza di lui, niente Confessioni. E poi, ancora, una borsetta di perline trovata fra le macerie della Seconda guerra mondiale e conservata durante la prigionia per essere regalata a una futura nipote, che ora l'ha riposta cosí gelosamente da non riuscire piú a trovarla. La consolazione di un declivio fiorito lungo la strada che conduce a un lavoro logorante. Una pagella del 1934, nella quale un 6 in matematica fa ancora recriminare dopo piú di ottant'anni l'alunna che lo ricevette. Un garage da sgomberare, in cui giace un tesoro di lettere di Ripellino. L'avvento salvifico di vecchi libri sbrindellati nella cella di una prigione. -
L' aria di un crimine
Un cadavere viene trovato accanto a una fontana nella piazza del paese. Nessuno l'ha visto da vivo, nessuno sa chi sia. L'indagine sembra senza speranza, anche perché la gente di Región è abituata a parlare pochissimo e a compiere nel silenzio le proprie vendette. Una carrellata di personaggi memorabili, una lingua affascinante, da far girare la testa. Nel suo unico giallo Juan Benet, per molti il piú grande scrittore spagnolo del Novecento, mette in crisi i canoni del genere poliziesco esaltando nell'ambiguità la forza della letteratura.rn«Il segreto del libro, al di là dello stile superbo, risiede nella costruzione del racconto, una trappola tesa al lettore con quella serie di eventi che pe alcune settimane alterano lo scorrere ordinario del tempo a Región, prima che il solito pesante mantello di silenzio copra di nuova ogni cosa» - Cristina Taglietti, la Lettura«Questo romanzo è un incontro di solitudini: quella di chi l'ha scritto con quella di chi lo legge» - Gabriele Romagnoli, Robinson«Nella letteratura di Benet non è questione di afferrare o seguire una storia terrificante e magnifica, ma di leggere, e di fare una pausa e meravigliarsi, e di continuare a leggere» – Javier Marías«Juan Benet, convinto che l'umanità continui «a essere tribale», in L'aria di un crimine affida alla voce del narratore il linguaggio del numinoso che esalta l'onnipotenza dei fenomeni naturali, ostili dalla notte dei tempi a ogni forma di civiltà. Il fatto che Región stia andando in rovina, anche (ma non solo) come conseguenza della guerra civile, conferma soltanto l'andamento ciclico della storia del mondo. Il male ha radici piú oscure e universali, come già temevano uno scienziato e un umanista che agli albori del XX secolo misero a soqquadro i fondamenti delle nostre conoscenze. In una lettera del 1932 Albert Einstein domanda a Sigmund Freud se ci sia un modo di liberare per sempre l'umanità dalla sventura della guerra. Piuttosto a disagio, nella sua risposta articolata Freud conclude di non avere speranze che la pulsione di morte si allenti. Con pari sgomento, Juan Benet è in allerta fin da giovane, ma non per questo capitola. Ne è prova la sua scrittura nata da un desiderio che non si acquieta, da una mancanza che di racconto in racconto rilancia il dilemma, scava, attende.» (dalla prefazione di Elide Pittarello) -
Le tre vedove
Blake è morto. Lo ha ucciso la moglie. Ma quale delle tre?rn«Quinn scrive con passione di temi fondamentali quali la violenza domestica, la poligamia e le sette religiose, ma il tema che sembra starle piú a cuore è l’amicizia tra donne». - New York Times Book Reviewrn«Un romanzo entusiasmante». - Alex MichaelidesrnRachel, la prima moglie, è obbediente e sottomessa. Tina è la ribelle. Emily è semplicemente troppo giovane. Quando il cadavere di Blake Nelson viene ritrovato sotto il sole del deserto, a essere sospettate sono loro: le tre vedove. Blake Nelson è cresciuto nella Chiesa dei santi dell’ultimo giorno, quella mormone. Ma non ha mai accettato il divieto di poligamia. Si è preso un pezzo di terra desolato nell’angolo piú remoto dello Utah, deciso a viverci seguendo le sue regole. E cosí ha fatto, con le tre mogli, fino al giorno della sua morte violenta. Quando Rachel, Tina ed Emily vengono interrogate dalla polizia ha inizio un gioco di silenzi, mezze verità e sottili minacce. Chi sarà a parlare? Chi accuserà per prima le altre? O l’aver condiviso un uomo e una casa le ha rese alleate? -
Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria
La riedizione del capolavoro demartiniano consente di riscoprire in tutta la sua complessità, al di là dell'interpretazione convenzionale che enfatizzava la portata della componente meridionalista, un impianto teorico eccezionale, frutto del concorso di molteplici saperi.In questo libro Ernesto De Martino risale alle radici dell'esigenza umana di rifiutare la morte nella sua scandalosa gratuità e, di riflesso, procurare al defunto una «seconda morte» culturalmente definita, mediante il ricorso a determinate pratiche rituali. Tra queste, l'istituto del lamento funebre, rivolto ai vivi non meno che ai defunti, poiché la piena del dolore rischia di compromettere l'integrità della presenza dei sopravvissuti. Qui sta la funzione piú profonda del pianto rituale, che non cancella la crisi del cordoglio ma l'accoglie in sé, trasformandola in disciplina culturale capace di mantenere il pathos al riparo dall'irruzione della follia. In ciò risiede la sua umanissima sapienza, il cui valore trascende i limiti storici di diffusione del fenomeno, e al quale s'abbandona persino la Madonna al cospetto della morte del Figlio, nonostante l'accesa polemica cristiana contro il costume pagano. Dall'analisi del fenomeno, ridotto allo stadio di «relitto folklorico», scaturisce il bisogno di estendere l'analisi alle antiche civiltà agrarie del Mediterraneo, al cui interno l'istituto del lamento funebre visse la stagione del suo massimo splendore, fino al progressivo declino, causato dallo scontro con il cristianesimo trionfante. De Martino si interroga infine sul problema della risoluzione laica della crisi del cordoglio, e l'Atlante figurato del pianto riflette mediante un sapiente uso delle immagini l'affascinante itinerario dell'Autore, che sollecita un confronto con l'Atlante Mnemosyne di Aby Warburg. La riedizione del capolavoro demartiniano consente di riscoprire in tutta la sua complessità, al di là dell'interpretazione convenzionale che enfatizzava la portata della componente meridionalista, un impianto teorico eccezionale, frutto del concorso di molteplici saperi. -
Quale universo? Come la fisica fondamentale ha smarrito la strada
La storia delle riflessioni umane sul cosmo, dall'astrologia babilonese alla rivoluzione quantistica: un racconto avvincente sulla nascita della scienza moderna e su come la fisica fondamentale stia regredendo alle sue radici prescientifiche.All'inizio del Seicento, Galileo si liberò dal giogo dell'antica filosofia platonica e aristotelica. Affermando che la comprensione della realtà si sarebbe dovuta basare su ciò che possiamo osservare e non sul pensiero puro, Galileo rivoluzionò drasticamente la nostra visione del mondo naturale. In questo modo inventò quella che è stata chiamata scienza e preparò il terreno a Keplero, Newton ed Einstein. Ma all'inizio del Ventesimo secolo la scienza inizia a cambiare rotta. Quando la fisica quantistica condusse in regni sempre piú lontani da ciò che si poteva osservare direttamente, i teorici furono costretti ad affidarsi alle virtú estetiche della matematica per sviluppare la loro concezione della realtà fisica. Per molti fisici, il potere della matematica iniziò a sostituire le intuizioni scientifiche su cui si erano basati i predecessori. Questo processo, però, rese le loro teorie sempre piú resistenti all'esame sperimentale e all'osservazione. Di conseguenza, oggi gran parte della fisica teorica è ancora una volta piú simile alla filosofia di Platone che al modello secolare di scienza da cui ha avuto origine. Ma la scienza che ha perso ogni collegamento con i fenomeni misurabili, si chiede David Lindley in questo libro, è ancora scienza?«Immaginare che la fisica potesse rendere conto di ogni singolo dettaglio della costruzione e dei contenuti del nostro universo era senza dubbio esagerato, ma ora la ricerca sembra essere finita all'estremo opposto. Secondo l'ipotesi del multiverso, la risposta a quasi ogni domanda su come o perché il nostro universo ha l'aspetto che ha è che una risposta non esiste. Nel nostro universo le cose hanno questo aspetto, ma in qualche altro universo ne hanno uno diverso. È un bel passo indietro rispetto alle stravaganti speranze di qualche decennio fa. In piú, ne deriva una domanda provocatoria: esattamente, che cosa stanno cercando di ottenere oggi gli studiosi di fisica fondamentale? Se le loro teorie non hanno uno specifico potere esplicativo riguardo al nostro universo in particolare, a quale domanda piú generale, se ne esiste una, stanno cercando di rispondere? Questo nuovo libro è la mia esplorazione di quella domanda e giunge ad alcune conclusioni che pochi fisici che si occupano di questioni fondamentali o cosmologiche saranno felici di sentire.» -
Il clima che cambia l'Italia. Viaggio in un Paese sconvolto dall'emergenza climatica
Il riscaldamento climatico non è altrove: è già qui, in Italia, e sta cambiando il paesaggio, la terra, i fiumi, il mare, i distretti economici e i nostri prodotti.Gli effetti del riscaldamento climatico sono già arrivati in Italia. Il clima sta cambiando velocemente e questo libro raccoglie testimonianze dalla viva voce di chi già oggi è toccato nella sua attività quotidiana dalle trasformazioni in atto nel nostro Paese. È la narrazione di agricoltori, pescatori, guide alpine, maestri di sci, albergatori, guardie forestali, insomma le persone che vedono una preoccupante accelerazione dei fenomeni che stanno cambiando i luoghi di cui si prendono cura. Un moderno Grand Tour, insomma, che raccontando la grande bellezza del nostro Paese racconta anche come siamo vicini a perdere molte delle nostre peculiarità se non agiremo in fretta e con determinazione. Completano il libro due interviste dell'autore a personalità d'eccezione: Michelangelo Pistoletto e Carlo Petrini. Entrambi, da par loro, intervengono su un tema cosí rilevante quale il riscaldamento climatico per l'Italia. -
Per non morire d'arte
Si può morire d'arte per aver scoperto d'essere immersi in un brodo creativo svuotato di certezze e convinzioni, morire per la malinconia di vivere il tempo delle superchiacchiere, sommersi da cataste di oggetti eterogenei, merce tra le merci, schiavi del dogma dell'indifferenza estetica, condannati alla dannazione del prezzo.rn«Un viaggio attraverso i dissonanti territori dell'arte contemporanea, che procede per snodi: dall'avvento in Europa della Pop Art al situazionismo, dalla Patafisica al cinema underground, dal concettualismo al postmodernismo, dal neo-monumentalismo epico ai neo-dadaismi» - Vincenzo Trione, la LetturaD'arte si può morire per la malinconia di un'avventura solitaria, vuota di teorie e teorici, per la vacuità dei gesti pensati eroici e persi tra gli accumuli di opere-merce dell'era dell'everything goes. Questo sostiene Ugo Nespolo, una delle figure piú interessanti del panorama artistico italiano, la cui significativa complessità dottrinale e teorica parla del fare arte come possibilità di dare ancora energia a un mestiere che pare lentamente evaporato. Ironia e gioco come mezzo espressivo di un linguaggio creativo ed ecclettico carico di apporti concettuali: «Non si può fare arte senza riflettere sull'arte». -
Declino Italia
L'Italia è in declino perché è organizzata in modo iniquo e inefficiente. Le rendite di pochi comprimono le opportunità di molti, e sono protette dalla tensione tra la razionalità individuale e l'interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può cambiarla, liberando energie ora sperperate, e avviare il rilancio.Questo libro tenta una lettura unitaria delle cause economiche e politiche del declino dell'Italia, che dura da un quarto di secolo. La tesi di fondo è che il Paese è organizzato in modo meno equo ed efficiente dei suoi pari: la supremazia della legge e la responsabilità politica sono piú deboli, in particolare, e ciò comprime sia la produttività delle imprese sia le opportunità dei cittadini. Il senso di questo equilibrio politico-economico è la difesa della rendita, e la sua forza è la tensione tra la razionalità individuale e l'interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può scardinarla, liberando energie civili e risorse materiali ora sperperate, e avviare il rilancio.